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Pubbl. Ven, 24 Mar 2017

Anatocismo bancario: excursus storico e normativo

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Giuseppe Mainas


Delle varie forme di anatocismo, il profilo che ha destato maggiori problematiche in ambito dottrinario e giurisprudenziale è senza alcun dubbio l´anatocismo cd. usuale, in quanto diviene il preludio per la nascita di un istituto ancor più controverso: l´anatocismo bancario.


L’anatocismo, dal greco anà (di nuovo) e tokòs (interesse), è un fenomeno giuridico che determina la produzione di interessi su interessi già maturati e non pagati.

Nel diritto romano l’istituto era ammesso entro il limite della capitalizzazione annuale, fu successivamente proibito e sanzionato con l’infamia; era consentito solo ed esclusivamente in presenza di una specifica pattuizione tra creditore e debitore ed era considerato un fenomeno eccezionale, che prevedeva un accordo espresso. Necessitava comunque del consenso della parte debole del rapporto.

Il codice napoleonico del 1865 prima, ed il codice civile del 1942 poi, riammisero la periodica capitalizzazione degli interessi, seppur entro limiti ben definiti di operatività.

Gli interessi maturano sul capitale: questo è il principio base della naturale fecondità del denaro. Possono gli interessi produrre ulteriori interessi? Per cui il debitore nell’adempiere l’obbligazione pecuniaria debba pagare il capitale, gli interessi sul capitale e gli interessi sugli interesse? L’anatocismo determina un progressivo ed inarrestabile aumento del debito, creando un enorme pregiudizio per il debitore; questi oltre a restituire il capitale e gli interessi sul capitale stesso, deve restituire anche gli interessi sugli interessi già scaduti, progressivo aumento del debito. L’anatocismo non risponde al favor debitoris, ma risponde al favor creditoris. Ma qual è il principio che regola e informa le obbligazioni? Il favor debitoris.

L’anatocismo pregiudica il debitore, quindi si pone in contrasto con l’impostazione fondante le obbligazioni.

Il legislatore del codice civile, informato al principio del favor debitoris, sancisce l’eccezionalità del fenomeno dell’anatocismo; lo prevede come un fenomeno eccezionale, per tanto tipico; fenomeno che può configurarsi solo ed esclusivamente nelle ipotesi e alle condizioni espressamente previste dalla legge. Questa è la ratio dell’art. 1283 c.c.

L’anatocismo si può configurare solo in tre casi, viceversa risulta vietato.
La regola impone il divieto di anatocismo, salvo che non ricorrano una delle ipotesi espressamente previste dalla legge (cd. eccezionalità del fenomeno anatocistico):

1) L'anatocismo convenzionale. Ammissibile sulla base di un accordo tra creditore e debitore che abbia, però, precise e fissate caratteristiche:

  • Successivo alla scadenza degli interessi, regola posta a tutela del debitore. Si denota ancora una volta l’asimmetria del rapporto obbligatorio, che intercorre tra una parte debole (il debitore) e una parte forte (il creditore). Asimmetria strutturale, il rapporto obbligatorio è concepito di per sé come un rapporto asimmetrico e la disciplina si giustifica alla luce di questa caratteristica, per cui data la posizione di svantaggio del debitore, il legislatore si fa carico di tutelarlo. Asimmetria implicita nella disciplina delle obbligazioni e del rapporto obbligatorio.
  • Interessi dovuti almeno per 6 mesi, si ha un termine minimo. Non è possibile pagare gli interessi per un termine inferiore.

2) L'anatocismo giudiziale. Sulla base di una domanda giudiziale del creditore che chiede al giudice che vengano pagati, non solo il capitale, non solo gli interessi, ma anche gli interessi sugli interessi.
Anche in questa tipologia devono ricorrere due condizioni:

  • La domanda deve essere successiva alla scadenza degli interessi;
  • Interessi dovuti almeno 6 mesi, capitalizzazione almeno semestrale.

3) L'anatocismo cd. usuale. Fondato su un uso normativo. Quando esiste un uso normativo, una pratica, una consuetudine che determina la produzione degli interessi sugli interessi fondata sulla opinio iuris ac necessitatis, una prassi assistita dalla consapevolezza da parte del debitore di adempiere un obbligo conforme ad una norma di legge. In questo caso è consentito il fenomeno anatocistico, alla luce della credenza di adempiere ad un comportamento ritenuto doveroso. Il debitore agisce come se esistesse una norma che prevede la produzione di interessi sugli interessi.

Partendo proprio da questo uso normativo, si è iniziata a sviluppare e si è fondata per lungo tempo la prassi negativa dell’anatocismo bancario, anatocismo decorrente tra la banca e i propri clienti debitori. Anatocismo fondato sull’uso normativo, in forza del quale la banca applicava nei confronti del cliente interessi su interessi trimestrali, capitalizzazione trimestrale degli interessi.

Tale anatocismo era ritenuto legittimo in quanto considerato usuale, cioè fondato su un uso normativo, ritraibile da una clausola delle condizioni generali dei contratti, contenute nelle norme bancarie uniformi del 1958. Si riteneva che in base a questa condizione generali fosse detraibile un uso normativo, per cui il debitore della banca dovesse degli interessi sugli interessi trimestralmente capitalizzati.

Le Sezioni Unite, con sentenza n. 2374/1999 hanno affermato che l’anatocismo bancario è sì fondato su di un uso, una prassi, una consuetudine non normativa, ma semplicemente negoziale, in quanto manca l’opinio iuris ac necessitatis, ovvero il richiamo ad un’obbligatorietà da parte dei consociati, una consapevolezza da parte de debitore della banca di adempiere ad una disposizione obbligatoria di legge. Quella prestazione è dovuta in quanto conferme alla condizione generale di contratto, un uso negoziale, non ad un uso normativo. Non essendoci un uso normativo, allora emerge il dettato normativo: un uso negoziale non è consentito dall’articolo 1283 c.c., per cui l’anatocismo è vietato, la clausola che lo prevede è nulla. L’anatocismo bancario fondato sull’uso negoziale non integra nessuna delle tre fattispecie eccezionali previste dalla legge, per cui è vietato.

Oggi l’anatocismo bancario è espressamente previsto dalla legge: art. 120 T.U.B., nella forma modificata ed innovata dalla legge di stabilità 2014. È intervenuto quindi il legislatore per disciplinare in modo definitivo l’anatocismo bancario.

La norma esprime due principi:

  1. Simmetria o equivalenza tra interesse passivo e interesse attivo della banca nel rapporto con il cliente. Interessi creditori che devono essere equivalenti agli interessi debitori. Nel rapporto tra banca e cliente, la prima può essere creditrice ovvero debitrice ad esempio nel rapporto di conto corrente. Nella prassi, la banca applicava in precedenza una capitalizzazione di interessi in modi diversi a seconda che si trattasse di interessi sul capitale a debito o sul capitale a credito; cioè sugli interessi di cui la banca era creditrice nei confronti del cliente, si applicava una capitalizzazione annuale; invece, sugli interessi di cui era creditrice applicava una capitalizzazione trimestrale. Nella legge di stabilità, il legislatore è intervenuto per riequilibrare il rapporto, la capitalizzazione degli interessi creditori deve essere equivalente a quella degli interessi debitori. La periodicità con cui si ha la capitalizzazione degli interessi debitori deve essere pari a quella che si applica per gli interessi creditori, cd. principio di equivalenza nella periodicità degli interessi creditori e debitori.
  2. La norma prevede che gli interessi non possono produrre ulteriori interessi. Si vieta la capitalizzazione degli interessi, vieta il fenomeno dell’anatocismo; gli interessi non possono produrre ulteriori interessi. Si ha il divieto dell’anatocismo bancario; nel rapporto banca cliente opera una norma speciale che sancisce il divieto dell’anatocismo.

Il governo successivamente con il Decreto Competitività (agosto 2014) era intervenuto reintroducendo il fenomeno dell’anatocismo bancario, attribuendo al C.I.C.R. (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio, un organo amministrativo deputato alle questioni che riguardano il credito e il risparmio) il potere di stabilire le condizioni di validità secondo le quali gli interessi possono produrre ulteriori interessi. Il Decreto, in tal maniera, aveva reintrodotto l’anatocismo bancario, disciplinandolo attraverso un atto amministrativo, aveva dato ingresso nuovamente all’anatocismo bancario sulla base delle condizioni e dei modi espressamente previsti da un decreto amministrativo interministeriale. La norma introduceva nuovamente l’anatocismo e lo disciplinava sulla base di un potere amministrativo che determinasse e prevedesse le condizioni di ammissibilità.

La legge di conversione ha espunto la norma dal testo definitivo la norma che determinava l’anatocismo bancario, facendo rivivere la legge di stabilità 2014 che sancisce il divieto di anatocismo.

Si comprende come ogni modalità e fattispecie di anatocismo, che non è conforme al quadro normativo, sia nulla; le norme che prevedono il fenomeno sono norme eccezionali che hanno carattere imperativo, derogatorie della regola generale di divieto di anatocismo, per cui ogni prassi, ogni clausola che si pone in contrasto con le suddette norme, sono nulle.
L’anatocismo contrastante con le condizioni di legge è nullo; detta sanzione comporta il diritto alla ripetizione dell’indebito. Colui che ha pagato interessi su interessi, ha diritto di ripetere l’indebito, in quanto il pagamento avvenuto è fondato su una clausola nulla.

La problematica dell’anatocismo si è posto in prima linea proprio nei rapporti di conto corrente tra i clienti e la banca. Quest’ultima annota a debito una somma a titolo di clausola anatocistica nulla. Gli interessi sugli interessi non sono dovuti in quanto vige imperativamente il divieto; in definitiva l’annotazione risulta nulla, per cui il pagamento deve essere ripetuto. Il cliente ha effettuato un pagamento non dovuto.

La problematica sorge perché la ripetizione dell’indebito è una fattispecie a cui si applica la disciplina prevista dall’art. 2935 c.c., sulla prescrizione del diritto. La ripetizione del diritto ha un decorso decennale e inizia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere. Il diritto alla ripetizione dell’indebito è un diritto la cui prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui è stato effettuato il pagamento, dunque, dal giorno in cui il debitore paga gli interessi sugli interessi si configura un pagamento non dovuto, per cui da tale momento inizia a decorrere il termine di prescrizione per ottenere la ripetizione di quanto indebitamente versato.

La Suprema Corte, con l'arresto giurisprudenziale numero 168/02 (sentenza Rudolf), affermò che l’annotazione (che dal punto di vista tecnico è un movimento contabile - la banca annota una somma a debito - è un atto meramente esecutivo che determina una modifica nel saldo del conto corrente) era un pagamento che comportava una mera variazione del saldo, modificando il rapporto debito-credito intercorrente tra la banca e il cliente. In tal modo si alterava la posizione del cliente nei confronti della banca, per cui la giurisprudenza (prima delle Sezioni Unite) tendeva a qualificare l’annotazione come un pagamento. Essendo l’annotazione nulla, si configurava un pagamento indebito; dal giorno dell’annotazione decorreva il termine decennale di prescrizione della ripetizione dell’indebito.

Nella prospettiva delle Sezioni Unite, l’annotazione non configura un pagamento. La sentenza richiamata è innovativa proprio su questo aspetto, cioè sulla qualifica e sulla definizione precisa di pagamento: il quale è un atto giuridico che determina uno spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens. Il pagamento è uno spostamento patrimoniale che assolve e soddisfa l’interesse del creditore. Il pagamento è un atto giuridico che determina un effetto economico, uno spostamento di ricchezza dal debitore al creditore.

L’annotazione sul conto corrente non risponde a questa nozione di pagamento, perché non determina uno spostamento patrimoniale, non è un atto giuridico che determina uno spostamento patrimoniale che soddisfa l’interesse del creditore-banca. L’annotazione è un atto meramente esecutivo di movimentazione contabile e la soddisfazione dell’interesse del creditore si determina solo alla chiusura del conto corrente; è in quel momento che si definisce il rapporto debito-credito tra il cliente e la banca. È in questo momento che la banca fa valere la vigenza di una clausola anatocistica, richiedendo il pagamento di un importo pari al valore degli interessi anatocistici maturati. Ma fin quando non si cristallizza, con la chiusura del conto corrente, il rapporto tra creditore e debitore, l’annotazione è un atto meramente esecutivo, che non sposta il patrimonio e non soddisfa l’interesse del creditore. Il pagamento si ha solo alla chiusura del conto corrente.

Alla luce di ciò, si comprende come l’indebito si configura all’atto della chiusura, per ciò stesso il diritto alla ripetizione dell’indebito può essere fatto valere solo in tale momento finale, con conseguente decorrenza decennale della prescrizione da tale istante. Non concretizzandosi un pagamento all’atto dell’annotazione, non si configura un indebito e non può essere fatto valere il relativo diritto con conseguente decorrenza del termine prescrizionale.

La prospettiva delle Sezioni Unite ha natura di giustizia sostanziale; i giudici di legittimità mirano a spostare avanti l’inizio del decorso del termine decennale di prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito. Nella questione in analisi, la Cassazione pone quale termine iniziale di decorrenza della prescrizione la chiusura del conto corrente, spostando in avanti il termine per far valere il diritto alla ripetizione. L’annotazione non viene qualificata come pagamento, ma come mero atto esecutivo; il debitore ha un arco temporale più ampio per far attivare il proprio diritto. La sentenza si pone ancora una volta nella prospettiva del favor debitoris.

Successivamente alla sentenza delle Sezioni Unite, il legislatore era intervenuto con una nuova disciplina normativa specifica, indicando la legge come di interpretazione autentica: si determinava che il diritto alla ripetizione dell’indebito iniziasse a decorrere dal giorno dell’annotazione. La norma è stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta nella pronuncia n. 78 del 5 aprile 2012: questa disposizione si poneva come interpretazione autentica, applicabile ai rapporti pendenti (retroattiva data la natura di interpretazione, perciò in re ipsa avente valenza anche per il passato).
Il legislatore introduce una norma che si autoqualifica di interpretazione autentica dei rapporti già instaurati, definendo l’annotazione quale pagamento, perciò è da quest’atto che comincia a decorrere il termine di prescrizione del diritto alla ripetizione.

La norma è stata dichiarata ovviamente incostituzionale, in quanto le norme di interpretazione autentica hanno un carattere eccezionale (la legge non dispone che per l’avvenire); la legge retroattiva di interpretazione secondo la Corte costituzionale deve rispettare precisi parametri:

1. Deve esserci un'incertezza oggettiva: deve esserci una norma da interpretare, perché avente significato ambiguo.
2. Tenore letterale della norma: la norma interpretativa attribuisce alla norma ambigua uno dei significati desumibili dal dettato normativo stesso.
3. Motivi imperativi di interesse generale: la norma retroattiva deve tutelare principi di rango primario, di rango costituzionale.

Una norma che qualifica una disciplina dei rapporti banca-cliente, prevedendo che l’annotazione è pagamento, facendo decorrere il termine di prescrizione dalla stessa annotazione, quale norma va ad interpretare? Quale norma ambigua si deve interpretare: l’art. 2935 c.c., ma questa non è assolutamente una norma ambigua, non vi è nessuna ambiguità. Manca la prima condizione.

La legge di interpretazione non attribuisce uno dei possibili significati derivanti dal tenore letterale della norma, ma attribuisce al 2935 c.c. un significato completamente diverso. Sulla base dell’articolo per come interpretato dalle Sezioni Unite la prescrizione inizia a decorrere dal giorno della chiusura del conto, secondo la norma di legge interpretativa la prescrizione decorre dal giorno dell’annotazione. La norma di interpretazione attribuisce alla norma interpretata un significato completamente diverso, non uno dei significati possibili. Viene meno anche la seconda condizione.

Terza condizione non sussistente: quali sono i motivi di interesse generale che vanno tutelati? La norma di interpretazione prevedendo che la prescrizione inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione, anticipa il decorso in danno del debitore che è la parte debole del rapporto. Si accentua la asimmetria esistente tra creditore e debitore, avvantaggiando il primo e svantaggiando il secondo. Quindi risulta tutt’altro che posta alla tutela di interessi generali.

È da questo ordine di motivi che deriva la dichiarazione di incostituzionalità della norma, riprendendo vigore la pronuncia delle Sezioni Unite che fissano il dies a quo per il decorso della prescrizione dalla chiusura del conto corrente.