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Pubbl. Mar, 21 Mar 2017

Il ruolo del pubblico ministero nel processo civile.

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Samuele Miedico


Analisi delle funzioni e dei compiti che la legge riconosce al pubblico ministero con riferimento specifico al processo civile.


L’ordinamento giuridico italiano riserva al pubblico ministero un ruolo di primo piano non soltanto nel procedimento penale, ma anche nell’ambito del processo civile. Analizzando le norme contenute nel codice di procedura civile, di fatti, si evince che il pubblico ministero è titolare di tutta una serie di facoltà e di prerogative che sono tali da richiederne, in linea di principio, la partecipazione attiva anche al processo pendente di fronte al giudice civile.

1. Azione ed intervento del pubblico ministero.

Per comprendere il ruolo che il pubblico ministero è chiamato a svolgere nell’ambito del processo civile, è necessario partire da una bipartizione fondamentale: si tratta di distinguere le ipotesi in cui il pubblico ministero è chiamato ad esercitare l’azione civile (cd. pubblico ministero agente) e quando, invece, egli deve intervenire in causa (cd. pubblico ministero interveniente).
In primo luogo, l’art. 69 c.p.c. afferma che “il pubblico ministero esercita l’azione civile nei casi stabiliti dalla legge”. Tale norma esprime, anzitutto, il principio della tipicità della azione civile da parte del pubblico ministero, per cui non è possibile estendere in via analogica il potere di azione del PM al di là delle ipotesi previste dalla legge, trattandosi di un istituto che si pone in contrasto rispetto alla regola fondamentale dell'iniziativa di parte. Si tratta pertanto delle situazioni in cui il pubblico ministero agisce in veste di legittimato straordinario, in quanto fa valere nel processo in nome proprio un diritto altrui.
Le ipotesi nelle quali è concesso al PM di esercitare l’azione civile sono numerose e previste sia dal codice civile che da leggi speciali, e si può affermare che, in generale, si tratta di ipotesi in cui è possibile ravvisare un interesse pubblico, di cui il pubblico ministero, in quanto magistrato, è sempre portatore. Tali ipotesi possono, in particolare, essere ricondotte a due categorie: le ipotesi in cui l’azione del PM tende ad ottenere dal giudice un provvedimento favorevole ad una determinata persona (si pensi, a titolo esemplificativo, alla nomina del curatore dello scomparso) devono essere, infatti, distinte da quelle in cui l’azione del pubblico ministero si pone come limite di ordine pubblico alla libera esplicazione della volontà negoziale delle parti (si veda in questo senso il caso di opposizione al matrimonio).
Il successivo art. 70 c.p.c. si occupa, invece, del pubblico ministero interveniente che, a sua volta, deve essere ulteriormente distinto a seconda che il suo intervento nell’ambito del processo civile sia obbligatorio (nelle cause che egli stesso potrebbe proporre, nelle cause matrimoniali comprese quelle di separazione dei coniugi, nelle cause riguardanti lo stato e capacità delle persone, negli altri casi previsti dalla legge) o invece facoltativo (“in ogni causa nella quale ravvisi un interesse pubblico”). Mentre nelle ipotesi di intervento obbligatorio il pubblico ministero deve sempre intervenire nel processo in corso, se si rientra nei casi di intervento facoltativo spetta allo stesso PM valutare se è in gioco o meno un interesse pubblico e, di conseguenza, se è necessario un suo intervento.

2. Poteri processuali del pubblico ministero.

I poteri processuali spendibili da parte del pubblico ministero nell’ambito del processo civile sono descritti dall’art. 72 c.p.c., il quale ci indica che l’ampiezza di tali poteri varia in relazione alla configurabilità di diverse ipotesi, che devono essere singolarmente analizzate.

In primo luogo, il comma 1 dell’art. 72 c.p.c. statuisce che se il pubblico ministero esercita l’azione civile o interviene nelle cause che avrebbe potuto proporre “ha gli stessi poteri che competono alle parti e li esercita nelle forme che la legge stabilisce per queste ultime”. In particolare, si ritiene che competa al PM il potere di impugnazione e, in aggiunta, si ritiene che possa svolgere la propria attività processuale anche dopo la chiusura della trattazione, non estendendosi così al PM le preclusioni processuali cui vanno incontro le parti. La ratio di tale ultima facoltà deve essere riscontrata nel fatto che il PM è sempre e comunque investito del compito di difendere l'interesse pubblico, ivi compreso anche quello ad una piena difesa di tutte le parti coinvolte nella vicenda giuridica oggetto del processo.
Il comma 2 della disposizione in esame prevede invece che, se il pubblico ministero interviene in una causa che non poteva proporre, gode di poteri processuali più limitati, quali la produzione di documenti, la deduzione di prove e la ricerca delle fonti materiali di prova. Inoltre, il pubblico ministero in questa ipotesi deve essere ritenuto privo del potere di impugnazione (eccezion fatta con riferimento alle sentenze relative a cause matrimoniali, salvo quelle di separazione personale dei coniugi). Ciò che preme sottolineare, in definitiva, è che, nelle ipotesi riconducibili all’art. 72, comma 2, c.p.c., il PM non gode degli stessi poteri processuali di cui dispongono le parti.

3. Ipotesi particolari e considerazioni finali.

Ci si può chiedere cosa accade se, laddove sia prescritta la partecipazione obbligatoria del pubblico ministero, egli ometta di prendere parte al processo.
Ebbene, la mancata partecipazione del PM implica la nullità della sentenza e si ritiene che soltanto lo stesso pubblico ministero possa far valere tale nullità avvalendosi di un apposito rimedio straordinario, l’impugnazione per revocazione.
È necessario però fare attenzione sul punto, perché qualora i termini per impugnare non siano ancora scaduti, anche il PM dovrà ricorrere ai mezzi di impugnazione ordinari.
Un’altra ipotesi particolare ricorre con riferimento alle cause pendenti di fronte alla Corte di Cassazione. L’art. 70, comma 2, c.p.c. prevede espressamente, infatti, che il pubblico ministero “deve intervenire nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla legge”. In tali ipotesi è da ritenere che il PM debba intervenire e produrre al collegio giudicante conclusioni motivate, anche se non è stato parte nei precedenti gradi del medesimo giudizio.
Concludendo, bisogna considerare che nel nostro ordinamento l’ufficio del pubblico ministero è talmente oberato di lavoro, soprattutto relativo al processo penale, che, molto spesso, è costretto a trascurare le sue competenze nell’ambito civile.