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Pubbl. Mar, 14 Mar 2017

La responsabilità oggettiva del proprietario per il danno cagionato dal proprio animale

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Ugo Bisogno


La Suprema Corte con sentenza n. 4202 del 17.02.2017 ha ribadito la responsabilità del proprietario per tutti i danni cagionati dal proprio animale, a meno che non dimostri che il verificarsi dell´evento dannoso sia imputabile al caso fortuito.


Sommario: 1. Premessa; 2. Il caso; 3. La decisione.

1. Premessa

La responsabilità per danno cagionato da animale, disciplinata dall'art. 2052 del Codice Civile, appartiene al novero delle responsabilità oggettive, le quali implicano, come ben noto, la sola esistenza del nesso causale, prescindendo dall'effettiva valutazione dell'aspetto soggettivo del soggetto agente.
In particolare, il citato articolo pone a carico del proprietario l'onere della custodia dell'animale e, pertanto, le conseguenti responsabilità in caso di danni a terzi da esso cagionati.
L'unica esimente prevista dalla legge è il cd. casus fortuitus, cioè l'effettiva dimostrazione che l'evento dannoso cagionato dall'animale sia frutto di un evento imprevisto ed imprevedibile, tale da recidere il nesso di causalità tra condotta ed evento dannoso. 
L'onere della (difficile) prova è posto a carico del proprietario dell'animale, il quale, per vincere tale presunzione legale, dovrà dimostrare che il danno cagionato al terzo sia stato frutto di un evento imprevisto ed imprevedibile, completamente avulso alla sfera di imputabilità soggettiva dell'agente. 

2. Il caso

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione è ritornata sul tema della responsabilità per danno cagionato da animale, senza discostarsi dal proprio orientamento, ormai consolidato, confermando la presunzione di responsabilità del proprietario, salva la prova del caso fortuito.

Il giudizio aveva ad oggetto la richiesta di risarcimento avanzata da un automobilista per i danni riportati dal proprio veicolo a causa dello scontro con un cane, che, sbucato improvvisamente da una stradina laterale, aveva attraversato velocemente la strada, rendendo inevitabile l'impatto.
Il proprietario dell'animale, dal canto proprio, sosteneva che l'eccessiva velocità sostenuta fosse l'unica causa del verificarsi dell'incidente, pertanto, chiedeva, con domanda riconvenzionale, il risarcimento del danno morale per la morte del cane.

In entrambi i gradi del giudizio di merito, il proprietario dell'animale è stato ritenuto responsabile del danno cagionato al veicolo ai sensi dell'art. 2052 c.c., in quanto, nella fase istruttoria, è emersa la sola dimostrazione del nesso causale tra la condotta dell'animale ed il danno riportato dal veicolo.
Il Tribunale, infatti, chiamato a pronunciarsi sull'impugnazione della sentenza resa dal Giudice di Pace, ha accertato l'invasione improvvisa della carreggiata da parte dell'animale ed ha ritenuto, invece, non dimostrata l'eccessiva velocità del veicolo, quale causa primaria dell'incidente sostenuta dal proprietario dell'animale.

3. La decisione

La Corte di Cassazione, adita su ricorso del proprietario dell'animale, ha confermato la sentenza del Tribunale impugnata, rigettando tutti i motivi articolati.
In particolare, la Suprema Corte - pur riaffermando il principio eccepito dal ricorrente in forza del quale, in caso di urto tra un autoveicolo ed un animale, concorrono a stabilire le effettive responsabilità sia la presunzione di responsabilità del proprietario o utilizzatore dell'animale, che la presunzione di colpa a carico del conducente del veicolo (Cass. Civ. 9 gennaio 2002, n. 200, e 7 marzo 2016, n. 4373) - ha rilevato che, nel corso del giudizio di merito, vi è stata solo la dimostrazione del nesso eziologico tra condotta dell'animale e l'evento dannoso, non anche la successiva prova del caso fortuito di cui era onerato il proprietario dell'animale.
Secondo il Collegio, al fine di escludere la propria responsabilità, il proprietario dell'animale avrebbe dovuto, come correttamente osservato anche dal Giudice di merito, fornire la dimostrazione dell'evento fortuito quale causa primaria del verificarsi dell'evento dannoso, data nel caso dall'eccessiva velocità sostenuta dal veicolo, nonchè dalla condotta non prudente del conducente.
Pertanto, la mancata dimostrazione del caso fortuito da parte del ricorrente ha impedito l'applicazione dell'esimente prevista dall'art. 2052 c.c., con conseguente conferma della pronuncia di merito impugnata, che lo aveva condannato a risarcire tutti i danni riportati dal veicolo.