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Pubbl. Gio, 23 Feb 2017

Il minimo di pena edittale previsto in materia di stupefacenti al vaglio del Giudice delle Leggi.

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Giovanni Sicignano


Con l´ordinanza n. 1418 del 2016 la Sesta Sezione della Cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale relativa al minimo di pena edittale di otto anni previsto dall´art. 73 Legge droga per contrasto con gli articoli 25 secondo comma, 3 e 27 della Carta Costituzionale.


La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione con l’ordinanza n.1418 del 13/12/2016 ha sollevato un’interessante questione di legittimità costituzionale per contrasto con i parametri costituzionali di cui agli articoli 25, 3 e 27 della Costituzione in relazione all’art. 73, comma 1, del D.P.R. 309/90 nella parte in cui tale norma prevede[1] la pena minima edittale di anni otto in luogo di quella di anni sei introdotta con l’art. 4 bis del D.L. n. 272 del 2005 convertito nella legge 46/2009.

Sommario: 1. Il caso di specie - 2. La posizione della Suprema Corte - 3. La questione di legittimità costituzionale 

1. Il caso di specie  – Nel caso di specie il G.U.P. del Tribunale di Imperia ha condannato l’imputato per due violazioni dell’art. 73 legge droga, riqualificate ai sensi del quinto comma poiché la cessione di sostanza stupefacente era di quantità minima e l’eroina è da considerarsi droga da strada. Inoltre il G.U.P. ha tenuto conto del comportamento processuale dell’imputato, riconoscendogli anche le attenuanti generiche. Avverso tale provvedimento ricorre il P.M. che ne chiede l’annullamento per inosservanza o erronea applicazione di legge o manifesta illogicità della motivazione in relazione al quinto comma dell’art. 73 D.P.R. 309/90. In particolare la pubblica accusa evidenzia che il quantitativo di sostanza non era minimo (in quanto erano ricavabili ben 150 dosi singole da 25 mg ciascuna), l’imputato deteneva una somma di 195 euro fatte di banconote di piccolo taglio ed infine essendo l’imputato assuntore di sostanze stupefacenti non poteva essere ritenuto meritevole del riconoscimento delle attenuanti generiche.

2. La posizione della Suprema Corte – Il Collegio aderisce alle due contestazioni mosse dalla pubblica accusa. Infatti viene precisato che “secondo il consolidato insegnamento di questa Corte regolatrice, l’avvenuta trasformazione della fattispecie prevista dall’art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990, da circostanza attenuante ad ipotesi autonoma di reato non ha comportato alcun mutamento nei caratteri costitutivi del fatto di lieve entità che continua ad essere configurabile nelle ipotesi di minima offensività penale della condotta”. Alla luce di tale constatazione viene precisato che la minima offensività penale della condotta può desumersi dal dato quantitativo e qualitativo e nel caso di specie la quantità gioca un ruolo rilevante in quanto 150 dosi non sono conciliabili con l’ipotesi lieve.

 Anche la seconda considerazione della pubblica accusa viene ritenuta meritevole di accoglimento in quanto “non è revocabile in dubbio che lo svolgimento di un’attività di spaccio di stupefacenti non occasionale ma continuativo non sia di per sé incompatibile con l’attenuante della lieve entità del fatto.” Nel caso in esame viene ritenuto che il giudice a quo non abbia tenuto conto delle circostanze e delle modalità di azione. Infatti, il giudice a quo non ha considerato che le continue cessioni presupponevano comunque un materiale ingente. Il Collegio giunge a questa decisione sulla scorta anche delle richieste del Procuratore Generale che chiede l’annullamento della sentenza del giudice a quo in punto di qualificazione giuridica del fatto ai sensi del quinto comma dell’art. 73 legge droga.

3. La questione di legittimità costituzionale – In primo luogo la Corte di Cassazione, Sesta Sezione, precisa che l’intervento modificatore della Corte Costituzionale sulla disciplina dell’art. 73 legge droga si è tramutato in un trattamento sanzionatorio più grave per le droghe pesanti e al tempo stesso ha previsto un trattamento più lieve per le droghe leggere.

Il primo profilo di contrasto con la Costituzione concerne il rapporto tra il minimo edittale della pena detentiva di otto anni di reclusione, previsto dall’art. 73, e l’articolo 25 della Carta Costituzionale. La Suprema Corta precisa che le sentenze di accoglimento della Consulta, hanno efficacia erga omnes e pertanto sono da considerarsi fonti del diritto penale. Quindi la pronuncia di incostituzionalità sopra menzionata si pone in netto contrasto con il principio di legalità esistente in materia penale.

La giurisprudenza della Corte Costituzionale[2] ha avuto modo di precisare che le norme penali favorevoli si distinguono in due grandi categorie: “a) le norme penali di favore, cioè quelle che sottraggono una certa classe di soggetti o di condotte dall’ambito di applicazione di un’altra norma, maggiormente comprensiva, risolvendosi nella configurazione di un trattamento privilegiato per una categoria di persone o per alcune condotte, esonerandole da sanzione o comunque assoggettandole ad una risposta sanzionatoria più benevola; b) le norme favorevoli di carattere generale o comune, che realizzano un effetto favorevole – là dove restringono il perimetro della incriminazione, circoscrivono l’ambito della punibilità, introducono una causa di giustificazione ovvero affievoliscono una sanzione già comminata – sulla base di una valutazione legislativa in termini di meritevolezza ovvero di bisogno di pena, idonea a caratterizzare una precisa scelta politico-criminale.”

Alla luce di questo ragionamento pertanto si può ritenere che l’art. 73 primo comma legge droga, prima della sentenza della Corte Costituzionale del 2014, fosse una norma generale favorevole.

La Corte Costituzionale pertanto ritiene che “la declaratoria di incostituzionalità di una norma generale favorevole non sia consentita neanche in presenza di un vizio procedurale commesso dal Parlamento nella formazione della legge”[3].

La stessa Consulta pertanto ammette lo scrutinio di costituzionalità nel caso delle norme penali di favore in senso proprio mentre esclude tale scrutinio nel caso di norme penali generali favorevoli.

La Sesta Sezione Penale della Cassazione pertanto ritiene che essendo incostituzionale l’art. 4 bis del d.l. 205/2005 per contrasto con l’art. 77 della Costituzione, sono incostituzionali anche le modifiche apportate da tale norma alle disposizioni in tema di stupefacenti. Vi è di più: a giudizio della Suprema Corte, infatti, la pena minima edittale prevista dall’art. 73 primo comma legge droga è incostituzionale per difetto di ragionevolezza. Tale irragionevolezza si evince dal raffronto tra il primo comma dell’art. 73 legge droga e il quarto e quinto comma della stessa disposizione.

La pena minima edittale fissata in anni otto confligge anche con i parametri previsti dagli articoli 3 e 27 della Costituzione: “La sproporzione del trattamento sanzionatorio si rivela con nitidezza nel momento in cui – in presenza di fatti che presentino una non rilevante gravità, ma che consentano l’inquadramento della fattispecie nell’art. 73, comma 5 – il decidente, pur indirizzandosi verso il minimo edittale, si trova comunque costretto ad infliggere pene di entità eccessiva, che non sono in ragionevole rapporto con il disvalore della condotta.[4].

Quindi la Sesta Sezione Penale della Cassazione ritiene che la questione di legittimità costituzionale non sia manifestamente infondata e pertanto la questione sia da considerarsi seria e meritevole di vaglio da parte della Corte Costituzionale. Vi è di più: secondo la Cassazione, la Consulta potrebbe arrivare allo stesso approdo in via meramente interpretativa ma “renderebbe problematica l’applicazione del trattamento sanzionatorio più favorevole con riguardo ai fatti commessi e giudicati nell’intervallo tra la sentenza 32/2014 e l’eventuale decisione in tale senso del Giudice Costituzionale e potrebbe, pertanto, essere foriero di ingiustificate disparità di trattamento fra cittadini in una medesima posizione.”[5].

A conclusione di tale iter pertanto la Suprema Corte chiede che la Consulta dichiari incostituzionale l’art 73 primo comma legge droga nella parte in cui prevede come minimo della pena detentiva la reclusione di otto anni anziché sei, per contrasto con gli articoli 25 secondo comma, 3 e 27 della Costituzione.

Ad avviso di chi scrive si tratta di una questione estremamente significativa e densa di implicazioni problematiche in quanto incidente sulla libertà personale di tante persone in attesa di giudizio. Meritevole di condivisione e’ l’apprezzamento della Cassazione, in quanto la Consulta sarebbe potuta giungere a tale conclusione in via interpretativa ma ciò avrebbe comportato una lacuna nel sistema.

[1] Per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014

[2] In particolare, si veda la sentenza n. 394/2006

[3] Pagina 14 dell’ordinanza citata

[4] Pagina 21 della citata ordinanza

[5] Pagina 22 dell’ordinanza citata