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Pubbl. Ven, 17 Feb 2017
Sottoposto a PEER REVIEW

La prescrizione del reato e i cambi di prospettiva sulla sua natura.

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Stefania Tirella


Breve excursus del dibattito sulla natura della prescrizione, alla luce della più recente giurisprudenza europea e italiana.


Sommario. 1. Introduzione. - 2. La disciplina della prescrizione del reato. 3. Il “caso Taricco” e le diverse reazioni della giurisprudenza italiana. - 4. 4.La questione della natura della prescrizione: qual è la vera posta in  gioco? - 5. Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia da parte della Corte Costituzionale: l'ordinanza n. 24 del 2017.

1. Introduzione.

La prescrizione del reato è stata tradizionalmente considerata dalla giurisprudenza e dalla dottrina italiane un istituto di natura sostanziale, assoggettato pertanto al principio di legalità. Tale assunto è stato recentemente messo in discussione dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, nella sentenza “Taricco”, trovando tuttavia forti resistenze nel nostro ordinamento, tanto a livello giurisprudenziale quanto a livello dottrinario. Della questione è stata persino investita la Corte Costituzionale, la quale, posta di fronte all'alternativa di mutare opinione sulla natura della prescrizione o attivare i c.d “controlimiti”, ha preferito optare per un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

Lo scontro non è pertanto ancora giunto a conclusione, ma è anzi più vivo che mai, avendo assunto la dimensione di un contrasto che rischia di minare le fondamenta dei pilastri del nostro diritto penale.

Il mantra “ce lo chiede l'Europa” avrà la meglio anche stavolta? Posto che la Corte Costituzionale non ha mostrato di cambiare convincimento sulla natura sostanziale della prescrizione del reato e sulla conseguente necessità di sottoporla al principio di legalità, la Corte di Giustizia chiederà all'ordinamento italiano di sacrificare quest'ultimo sull'altare degli interessi finanziari dell'Unione Europea, in nome dei quali si intende imporre  la disapplicazione  in malam partem di una norma interna? É davvero opportuno per la Corte Costituzionale ribadire in maniera ferma la natura sostanziale della prescrizione, non cedere su questa che, a parere di autorevole dottrina[1] , è parsa una pura questione di principio, ponendo così le basi per un contrasto inconciliabile tra diritto interno e diritto europeo? Non resta che attendere i futuri sviluppi.

2. La disciplina della prescrizione del reato.

La prescrizione del reato è una causa estintiva del reato costituita dal decorso di un termine (variabile a seconda della gravità del reato stesso) senza che si sia giunti ad una sentenza irrevocabile. Le ragioni poste alla base di tale istituto sono molteplici. In primo luogo, la prescrizione rappresenta una perdita di interesse da parte dello Stato all'esercizio di una funzione repressiva rispetto ad una  condotta ormai risalente nel tempo, essendo venute meno le esigenze di prevenzione generale che giustificano la sanzione.

Da un punto di vista di prevenzione speciale, invece, la prescrizione si giustifica in quanto il soggetto potrebbe a distanza di anni aver già mutato le proprie abitudini di vita, aver preso le distanze dall'errore commesso in passato e non necessitare più di una misura rieducativa, quale è appunto, la sanzione penale. Sarebbe inoltre iniquo lasciar pendere sul capo dell'imputato la spada di Damocle del processo per un tempo indefinito, con tutte le conseguenze che ne scaturiscono sul piano lavorativo e personale.

La prescrizione è tuttavia sempre rinunciabile, in quanto l'imputato potrebbe avere interesse ad un accertamento definitivo della propria innocenza, eliminando quelle ombre che inevitabilmente permangono quando un processo si chiude senza un accertamento definitivo della verità.

É prevista invece l'imprescrittibilità per i reati puniti con la pena dell'ergastolo. In considerazione della loro gravità, l'interesse statale alla loro repressione non viene mai meno e sarebbe d'altra parte intollerabile che la responsabilità per un fatto tanto grave non venisse accertata a causa delle lungaggini eccessive del processo.

Il termine di prescrizione coincide generalmente con il limite edittale massimo di pena, senza che vengano in considerazione le circostanze aggravanti o attenuanti. La legge stabilisce in ogni caso che il termine di prescrizione non possa essere inferiore a 4 anni per le contravvenzioni e a 6 anni per i delitti. Per alcuni reati, la legge prevede inoltre un raddoppio del termine.

Il termine può essere soggetto a sospensione o a interruzione.

Nel primo caso, il termine si sospende per il tempo necessario a rimuovere l'ostacolo alla prosecuzione del processo e la porzione di tempo già trascorsa si somma a quella successiva alla cessazione della causa di sospensione.

Nel secondo caso, il termine di prescrizione già decorso viene meno e comincia a decorrere ex novo et ex integro. L'applicazione rigorosa di questa disciplina sui termini di interruzione potrebbe portare tuttavia a dilatare eccessivamente i termini fino a rendere di fatto imprescrittibili reati che, per legge, non lo sono. Per tale motivo, il legislatore individua, all'art. 160 ultimo comma c.p, un limite, stabilendo un tetto massimo per il prolungamento dei termini. Fatta eccezione per i reati di cui all'art. 51 commi 3 bis e 3 quater c.p.p, il ricorrere di più atti interruttivi non può dilatare di oltre un quarto il termine massimo necessario a prescrivere. É proprio questa la norma che, secondo la Corte di Giustizia, si pone in contrasto con il diritto dell'Unione quando la sua applicazione comporti la compromissione degli interessi finanziari della Unione stessa.

 

Riferimenti normativi:

Art.160, ultimo comma c.p, Interruzione del corso della prescrizione

La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi; ma in nessun caso i termini stabiliti nell'articolo 157 possono essere prolungati oltre i termini di cui all'articolo 161, secondo comma, fatta eccezione per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale.

Art. 161, secondo comma c.p, Effetti della sospensione e della interruzione

Salvo che si proceda per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, in nessun caso l'interruzione della prescrizione può comportare l'aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, della metà nei casi di cui all'articolo 99, secondo comma, di due terzi nel caso di cui all'articolo 99, quarto comma, e del doppio nei casi di cui agli articoli 102, 103 e 105.

 

 3. Il “caso Taricco” e le diverse reazioni della giurisprudenza italiana.

Mi limiterò qui di seguito a ricordare brevemente i termini della questione, già trattati in precedenza in maniera completa ed esaustiva in questa rivista, in due articoli di Fabio Zambuto.

1. Gli interessi finanziari dell’Unione prevalgono sulla disciplina della prescrizione del reato (e sul principio di legalità).

2. Cassazione: niente limite alla prescrizione in materia di reati tributari.

La Corte di Giustizia della UE, con la sentenza Taricco del settembre del 2015,  afferma l'incompatibilità delle norme di cui agli artt. 160 ultimo comma e 161 comma 2 c.p con la normativa comunitaria, nella misura in cui impediscono allo Stato italiano di adempiere agli obblighi di tutela effettiva degli interessi finanziari dell’Unione, imposti dall’art. 325 del Trattato sul funzionamento dell’Unione (TFUE),  quando comportano l'estinzione del reato per prescrizione rispetto a fatti che siano effettivamente gravemente lesivi dei medesimi interessi.

La Corte di Giustizia ravvisa inoltre un secondo profilo di contrasto tra  la normativa interna e quella europea nel fatto che i termini di prescrizione previsti nei casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato italiano sono più lunghi rispetto a quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell'Unione Europea.

Conseguenza di tale incompatibilità è la disapplicazione delle stesse norme, anche rispetto a quei soggetti che abbiano commesso il fatto prima della sentenza della Corte di Giustizia e che quindi abbiano determinato il proprio comportamento alla luce di una disciplina diversa da quella risultante dalla disapplicazione e certamente più favorevole per il reo.

Il altre parole: ipotizziamo che il reo commetta il fatto illecito sapendo che per quel reato è previsto dal codice penale un determinato termine di prescrizione che, anche al ricorrere di più cause di interruzione, non si dilaterà oltre un certo tetto massimo. Il termine massimo di prescrizione matura, ma la Corte di Giustizia impone al giudice nazionale la disapplicazione della norma e (qualora sussistano gli altri requisiti della responsabilità penale) la conseguente condanna dell'imputato.

La portata dirompente della sentenza è evidente: la disapplicazione di una norma interna contrastante con il diritto europeo avverrebbe infatti in malam partem. É ammissibile un simile risultato? La giurisprudenza nazionale si è divisa, tra chi ha ritenuto di dover seguire l'impostazione della Corte di Giustizia e chi ha invece continuato a sostenere l'inammissibilità di una simile impostazione.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2210/2016[2], ha per esempio seguito pedissequamente la tesi della disapplicazione delle norme contestate, negando che la disciplina della prescrizione soggiaccia al principio enunciato nel brocardo “nullum crimen sine lege”, sancito non sono dalla nostra legislazione ordinaria e dalla Costituzione, ma anche dall'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione.

Per pervenire a tale conclusione, la Corte di legittimità, in controtendenza rispetto alla tradizionale configurazione dell'istituto, ha dunque affermato la natura processuale della prescrizione, con la inevitabile sottrazione alla garanzia della irretroattività della legge penale successiva più sfavorevole.

Le ragioni poste alla base di tale assunto sono molteplici.

Il primo argomento è che l'Italia, avendo ratificato il Quarto Protocollo della Convenzione d'Europa sull'estradizione, avrebbe accettato il principio secondo il quale l'estradizione sarebbe consentita anche nel caso in cui il reato per il cui quale lo Stato richiedente procede si sia prescritto nell'ordinamento italiano, così negando implicitamente alla prescrizione la natura di elemento della fattispecie penale.

Il secondo argomento consisterebbe nella natura meramente dichiarativa e non costitutiva della sentenza della Corte di Giustizia. L'imputato non potrebbe dolersi pertanto dell'applicazione a suo sfavore di una norma già esistente nell'ordinamento e dalla quale già discendeva l'illegittimità della norma italiana di vantaggio. L'imputato avrebbe cioè potuto prevedere tale epilogo e autodeterminarsi di conseguenza.

Diversamente dalla Corte di Cassazione, la Corte d'Appello di Milano ha apertamente sollecitato la Corte Costituzionale ad azionare i “controlimiti”, con un'ordinanza del 18 settembre 2015. In particolare, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale sull'art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 con la quale viene ordinata l'esecuzione nell'ordinamento italiano del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona, "nella parte che impone di applicare la disposizione di cui all'art. 325 §§ 1 e 2 TFUE, dalla quale - nell'interpretazione fornitane dalla Corte di giustizia nella sentenza in data 8.9.2015, causa C-105/14, Taricco - discende l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli artt. 160 ultimo comma e 161 secondo comma c.p. in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, anche se dalla disapplicazione discendano effetti sfavorevoli per l'imputato, per il prolungamento del termine di prescrizione, in ragione del contrasto di tale norma con l'art. 25, secondo comma, Cost.".

La Corte richiama infatti la costante giurisprudenza della stessa Corte Costituzionale, orientata nel senso di affermare la natura sostanziale dell'istituto della prescrizione, in quanto tale soggetto al principio di legalità di cui all'art. 25 comma 2 Costituzione.

La questione è tra l'altro, nel caso sottoposto all'attenzione della Corte d'Appello, rilevante, in quanto ricorrono nel caso di specie tutti presupposti in presenza dei quali la Corte di Giustizia chiede la disapplicazione delle norme interne. Si tratta infatti di reati gravi, avendo gli imputati evaso l'Iva (una quota della quale deve essere girata automaticamente al bilancio europeo) per diversi milioni di euro, con la conseguenza che la dichiarazione della prescrizione maturata rispetto a tali imputati comporterebbe l'impossibilità di infliggere sanzioni effettive e dissuasive "in un numero considerevole di casi di frodi gravi che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea".

4. La questione della natura della prescrizione: qual è la vera posta in  gioco?

Se questi sono i  termini del dibattito giurisprudenziale, autorevole dottrina[3] ha messo in luce quali rischi  deriverebbero dall’accoglimento della impostazione prospettata dalla Corte di Giustizia.

Secondo questo Autore, il primo punto fermo da individuare sarebbe la natura sostanziale della prescrizione, che risponderebbe al problema del bisogno di punire e non alle forme del procedere.               

La prescrizione individuerebbe il giusto tempo dell'oblio, decorso il quale il reato si estingue.  Trattandosi dunque di una causa di estinzione del reato, non potrebbe che trovare idonea collocazione nell'ambito del diritto penale sostanziale (risultando infatti disciplinata per lo più nel codice penale).

La prescrizione presenterebbe inoltre una natura ibrida. Da un lato funge infatti da garanzia costituzionale del cittadino nei confronti dello Stato, volta a porre un termine a quella che, in caso contrario, diventerebbe una “giustizia infinita” che non terrebbe conto della reale e viva esigenza di adeguare la risposta del potere repressivo statale alle reali istanze sanzionatorie da parte della collettività.

Dall'altro lato, è innegabile che la prescrizione presenti anche  la natura meno nobile di “istituto disfunzionale”, in quanto viene ad essere applicata quando, evidentemente, il processo sia durato oltre i termini che possano dirsi “ragionevoli” e sufficienti a pervenire ad un accertamento della verità processuale.

Detto questo, tale dottrina si è posta un interrogativo: cosa accadrebbe se una legge intervenisse a recepire il contenuto della sentenza della Corte di Giustizia e, ribadendo la natura sostanziale della prescrizione, stabilisse pertanto l'obbligo per il giudice nazionale di non applicare le norme sul tetto massimo della prescrizione quando ”la normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell'Unione”? Una tale norma sarebbe costituzionalmente legittima?

Forse no. Potrebbero infatti prospettarsi molteplici profili di contrasto.

In primis, potrebbe ravvisarsi un attrito con il principio per cui la pena, oltre ad avere funzione repressiva, deve tendere alla rieducazione del condannato. Potrebbe allora ritenersi rieducativa una pena la cui applicazione sia legata non alla gravità della condotta, bensì alla necessità di tutelare più efficacemente gli interessi finanziari dell'unione Europea?

In secondo luogo, il giudice sarebbe chiamato ad applicare la pena sulla base della “valutazione relativa agli effetti in termini di immunità di un numero rilevanti di frodi determinato dalla vigente disciplina sull'interruzione della prescrizione”. Il giudice sarebbe dunque chiamato a valutare l'adeguatezza o meno di una norma ad evitare l'impunità. Si tratterebbe insomma di una questione di politica del diritto penale, che competerebbe al legislatore, con conseguente violazione del principio di separazione dei poteri.

Infine, potrebbe prospettarsi un contrasto con il principio di personalità della responsabilità penale. La decisione di applicare o meno la pena (e ancora più a monte di disapplicare la norma sulla prescrizione) dipenderebbe infatti non solo dalla valutazione relativa al fatto attribuito al singolo imputato, ma ad esigenze più generali di law enforcement.

La disciplina imposta dalla Corte di Giustizia con la sentenza Taricco sarebbe allora davvero costituzionalmente legittima, anche laddove venissero superati quei dubbi sulla illegittimità costituzionale per contrasto con il principio di legalità sotto il profilo della irretroattività sfavorevole?

5. Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia da parte della Corte Costituzionale: l'ordinanza n. 24 del 2017.

La Corte Costituzionale, lungi dal prendere posizione sul punto, ha nuovamente rinviato la questione in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ribadendo con forza il proprio convincimento circa la natura sostanziale della prescrizione, esponendo alla Corte di Giustizia i seguenti quesiti:

"1.se l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia priva di una base legale sufficientemente determinata;

2. se l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando nell’ordinamento dello Stato membro la prescrizione è parte del diritto penale sostanziale e soggetta al principio di legalità;

3. se la sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea 8 settembre 2015 in causa C-105/14, Taricco, debba essere interpretata nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione europea, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato membro o con i diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione dello Stato membro."

La Corte Costituzionale ha quindi prospettato apertamente  un possibile conflitto tra i principi fondamentali del nostro ordinamento e le fonti europee.

Le strade che a questo punto la Corte di Giustizia potrà percorrere sono essenzialmente due.

La prima sarebbe quella di fare un passo indietro e “correggere la propria presa di posizione relativamente alla natura della prescrizione, di fatto però così svuotando di efficacia reale la sentenza Taricco.

La seconda strada sarebbe invece quella di insistere sulla natura meramente processuale dell'istituto, correndo però così il rischio, tutt'altro che astratto, che la Corte Costituzionale decida di usare lo scudo dei "controlimiti", motivandolo alla luce di un insanabile contrasto tra i principi fondamentali della Costituzione e del diritto penale italiano e l'ordinamento europeo.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] F. VIGANò, Disapplicare le norme vigenti sulla prescrizione nelle frodi in materia di IVA?, in Diritto Penale e contemporaneo, 14 settembre 2015.
[2] Cass. Pen. Sez. III, sent. 17/09/2015 n. 2210
[3] D. PULITANò, La posta in gioco nella decisione della Corte Costituzionale  sulla sentenza Taricco, in Diritto Penale Contemporaneo, Fascicolo 1/2016.