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Pubbl. Lun, 30 Gen 2017

Eutanasia: un dibattito sempre attuale.

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Riccardo Giuseppe Carlucci


In questi giorni si sta riaccendendo il dibattito intorno all´eutanasia. Considerazioni alla luce del caso Antoniani e della proposta di legge che dovrebbe introdurre le cd. disposizioni anticipate di trattamento.


Sommario: 1. Premessa; 2. Riflessioni antropologiche; 3. L’eutanasia: le sue radici; 4. Contesto europeo; 5. Conclusioni.


1. Premessa.

In questi giorni, molto spesso, si sente parlare dello straziante appello rivolto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, da parte di Fabiano Antoniani. Nel video, divenuto virale sui diversi social network e rivolto al Capo dello Stato, Fabiano chiede l’eutanasia al fine di porre fine alle sofferenze e poter liberamente scegliere di morire.

Il tema, richiamato all’interno di questo video, è indubbiamente un argomento principe della bioetica e che negli ultimi anni (basti pensare al famosissimo caso Welby[1]) pone sempre maggiori interrogativi e apre dibattiti tra diversi autori di pensiero.

Fabiano, è un ragazzo di appena 39 anni che, a seguito di un incidente avvenuto il 13 giugno 2014, è diventato cieco e paraplegico.

Al termine della sua lettera, Fabiano richiama la proposta di legge presentata al Parlamento da parte dell’Associazione Luca Coscioni, che chiede la legalizzazione dell’eutanasia.

2. Riflessioni antropologiche.

Non c’è dubbio che un tema come quello relativo all’eutanasia vada molto di moda nel contesto in cui viviamo. Infatti il più grande controsenso di oggi consiste proprio nel fatto che, se da un lato assistiamo ad una corsa inarrestabile della medicina verso la salute e la cura, quasi che la medicina dovesse in tutti i modi trovare un metodo al fine di poter allungare la vita e la malattia rappresentasse una sorta di sconfitta, dall’altro lato la cultura contemporanea vive un nuovo modo di concepire la malattia, la sofferenza e la morte. Oggi l’uomo, nel contesto di un mondo che lo considera al centro e il centro di tutto, tende quasi a nascondere, a censurare, in maniera sistematica e generalizzata, la malattia e la morte, quasi che fosse un limite insopportabile per l’uomo. Per dirla con le parole di D’Annunzio, viviamo in un mondo dominato dall’idea del superuomo, dove l’uomo dominato dall’impulso di onnipotenza si illude di poter rimuovere la malattia e la morte, rifiutando così i propri limiti.

Ciò è sicuramente evidente nel contrasto tra due temi particolarmente delicati negli ultimi anni, l’accanimento terapeutico da un lato che si sostanzia nel tentativo della medicina di posticipare, al di là di ogni limite, la morte e dall’altro lato l’eutanasia che invece si sostanzia nella richiesta di anticipazione della morte naturale, al fine di alleviarne le sofferenze.

Sono due fenomeni simmetrici che però hanno un comune denominatore: il rifiuto della morte, della malattia e del dolore, quali esperienze di limite per l’uomo.

3. L’eutanasia: le sue radici.

Indubbiamente dare una definizione omnicomprensiva dell’eutanasia non è facile. Nella sua radice etimologica essa deriva dal greco e sta a indicare dolce morte. Tuttavia, così come ribadito da diversi autori, al di là della sua derivazione linguistica, un tale significato è sicuramente fuorviante rispetto alla sua valenza semantica attuale.

Per eutanasia potrebbe intendersi l’azione od omissione, che per sua natura e nelle sue intenzioni, procura anticipatamente rispetto al decorso naturale la morte della persona, il cui scopo è quello di alleviarne le sofferenze.

Lo scopo di tale pratica è quello di fuggire alla morte, accelerandone il processo, in quanto si ritiene inaccettabile una vita vissuta in maniera non dignitosa, non sopportabile e non desiderabile.

Molto spesso nel dibattito bioetico si fa confusione nell’utilizzo dei termini, finendo per utilizzare il termine eutanasia anche in situazioni che sono significativamente diverse tra di loro, dando luogo a equivoci e fraintendimenti. Indubbiamente dall’eutanasia deve essere distinto l’accanimento terapeutico che deve essere ritenuto illecito sia sotto il profilo etico, che sotto il profilo giuridico, consistendo in una pratica che prevede la correlazione tra la valutazione medica oggettiva della sproporzione delle terapie e la considerazione soggettiva della straordinarietà delle terapie. L’accanimento terapeutico, quindi, può essere definito come il prolungamento forzato delle cure nei casi in cui le stesse non danno risultati o i risultati deludono le speranze, presentando alti rischi e costi, anche in termini di sofferenza per il paziente.

Deve altresì segnalarsi come l’eutanasia non vada confusa con il contesto della medicina palliativa. Tale medicina, che negli ultimi anni ha fatto passi da gigante, ricomprende quegli interventi che, pur non potendo più avere quale obiettivo primario la guarigione del paziente, cercano di aiutarlo a sopportare i dolori connessi alla sua patologia. In alcuni casi si tendono a qualificare come eutanasiche le ipotesi in cui la medicina palliativa produce il duplice effetto di sedare i dolori del paziente, ma anche di sconvolgere maggiormente il precario equilibrio fisico dell’organismo determinando un’accelerazione del decesso. Si tratta di un qualificazione del tutto erronea, in quanto l’eventuale esito di accelerazione del decesso è un effetto secondario e non intenzionale della medicina palliativa che, invece, se è veramente tale, persegue sempre quale obiettivo primario la palliazione del paziente.

Escluse tali forme, che non costituiscono eutanasia, occorre definire quest’ultima come l’abbandono terapeutico o l’astensione terapeutica, quando la terapia, proporzionata rispetto alle condizioni del paziente, avrebbe ancora ragione di essere praticata.

Nel dibattito attuale, quando si parla di eutanasia, sovente si fa riferimento all’eutanasia con consenso che può definirsi come l’azione o omissione praticata su soggetto consenziente, in grado di esprimere la sua volontà di morire, che chiede di morire, in modo persistente, in presenza di malattie inguaribili o di sofferenze insopportabili ed irreversibili.

Sotto tale profilo, in genere, si distingue tra il “suicidio medicalmente assistito”, che si sostanzia nell’anticipazione della morte consapevolmente da parte del paziente con l’aiuto del medico, al quale si rivolge per la prescrizione di farmaci letali, dall’”eutanasia volontaria” che invece si sostanzia in una richiesta diretta del paziente al medico di essere aiutato a morire. La distinzione tra le due ipotesi può essere colta nell’atteggiamento del medico: infatti mentre nel primo caso il medico si limita a consigliare il paziente, invece nel secondo caso il medico ricopre un ruolo di primo piano, operando egli stesso e direttamente l’atto eutanasico con modalità diverse, in maniera passiva o attiva.

Al cuore del dibattito relativo all’eutanasia con consenso, vi è quindi il principio di autonomia, su cui si incentra la maggiore riflessione filosofica, bioetica e biogiuridica.

Il richiamo al principio di autonomia è essenziale sia nell’ambito etico, ma anche giuridico e politico. Nella richiesta di un malato di essere ucciso, molto spesso e superficialmente, vi si legge la manifestazione di un autonomo esercizio di disponibilità in merito alla propria vita, quanto invece dovrebbe scorgersi, molte volte, la dichiarazione di essere caduti in uno stato di abbandono. Praticare quindi l’eutanasia, in molti casi, non è rendere omaggio alla libera volontà del soggetto che chiedere di essere aiutato a morire, quanto invece significa sanzionare quello stato di abbandono morale e sociale, che si avrebbe il dovere di combattere strenuamente.

4. Contesto europeo.

Il significato di eutanasia va sempre più allargandosi, inglobando situazioni che, in un primo tempo, sfuggivano dal concetto stesso di eutanasia.

Sotto tale profilo, i segnali più preoccupanti arrivano dall’Olanda dove, nell’estate del 2004, nella Clinica universitaria di Gröningen si è elaborato un protocollo per la soppressione eutanasica di neonati e in generale di minori. Difatti se in un primo periodo si era ritenuto lecito dover applicare l’eutanasia ai malati terminali che ne facessero richiesta, in un secondo momento l’eutanasia ha iniziato ad allargare i suoi confini non solo ai malati terminali, ma anche a soggetti affetti da altre patologie, che avrebbero comportato una qualità di vita insopportabile ed indesiderabile.

Esempi come questi hanno indotto il dibattito bioetico a ritenere che in tal caso si rischia di essere in presenza di uno slippery slope (pendio scivoloso). Infatti in queste ultimi ipotesi (soprattutto relative ai minori) il richiamo al principio di autonomia risulta essere del tutto fuori luogo. Una volta accettata la legittimità dell’eutanasia volontaria, nel rispetto del principio di autonomia, molto facilmente e velocemente si giunge ad accettare l’eutanasia anche se involontaria, in nome di principi come quello della compassione (mercy killing) o del consenso presunto da parte del paziente alla sua soppressione. Si tratta di una preoccupazione ben fondata. Basti pensare che in Olanda, subito dopo l’accettazione sostanziale dell’eutanasia pediatrica si sia iniziato a discutere l'ammissibilità dell’eutanasia geriatrica.

5. Conclusioni.

Dal punto di vista giuridico, nell’ordinamento italiano l'eutanasia e il suicidio assistito sono atti entrambi punibili dagli articoli 575, 579, 580 e 593 del codice penale. Attualmente, nonostante il dibattito si sia sviluppato assiduamente negli ultimi anni, l'unica discussione parlamentare è quella sul testo di legge relativo al testamento biologico, denominato “Dichiarazioni anticipate di trattamento”. Il testo dopo essere passato al vaglio della commissione Affari sociali della Camera, approderà al Parlamento proprio oggi, 30 gennaio 2017.

I cinque articoli che costituiscono la proposta hanno il loro cuore nell’introduzione delle DAT, cioè le Disposizioni anticipate di trattamento. Infatti l’articolo 1 comma 5 della proposta prevede che «Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e volere, in previsione di una propria futura incapacità di autodeterminarsi può, attraverso Disposizioni anticipate di trattamento (Dat), esprimere il consenso o il rifiuto rispetto a scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, ivi comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali».

L’articolo 3 della proposta, prevede anche che il malato potrà «indicare una persona di sua fiducia (“fiduciario”) che ne faccia le veci e lo rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie. Il fiduciario deve essere una persona maggiorenne, capace di intendere e di volere».

Invece per quanto riguarda i progetti di legge relativi all’eutanasia, il dibattito su tale tema è stato avviato il 3 marzo 2016,  denominato nello specifico "Norme in materia di eutanasia".

Incardinato nelle commissioni congiunte Giustizia e Affari sociali della Camera, è tuttavia rimasto fermo. In totale sono sei le proposte di legge in materia, che andranno a costituire un testo unificato: cinque sono d'iniziativa parlamentare, a prima firma Bechis (Misto - Alternativa libera), Di Salvo (PD), Marzano (Misto), Mucci (Misto) e Nicchi (SI-SEL). A queste si aggiunge la proposta di legge di iniziativa popolare depositata da oltre 67.000 cittadini attraverso l'Associazione Luca Coscioni il 13 settembre 2013, e a cui fa riferimento Fabiano Antonioni.

Nel momento in cui il progetto di legge definitivo uscirà dalle commissioni e giungerà al Parlamento, il legislatore dovrà ben tener conto delle diverse implicazioni etiche e giuridiche, senza lasciarsi condizionare dalla frenesia sociale e nella precisa consapevolezza delle conseguenze che possono discendere da una legislazione ambigua e lacunosa.

 

Note e riferimenti bibliografici

F. D’AGOSTINO, L. PALAZZANI, Bioetica, Milano, 2013, pp. 203 ss..

M. CALIPARI, Curarsi e farsi curare: tra abbandono del paziente e accanimento terapeutico. Etica dell’uso dei mezzi terapeutici e di sostegno vitale, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2006, pp. 147-168.

http://www.camera.it/leg17/1100?tab=1&shadow_organo_parlamentare=2086

[1]Piergiorgio Welby, malato di distrofia muscolare, nel 2006 inviò al precedente Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la richiesta di eutanasia. Dopo mesi di dibattito del mondo scientifico e giuridico, grazie all'Associazione Luca Coscioni, di cui Welby era co-presidente, ottenne legalmente ciò che inizialmente gli era stato negato.