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Pubbl. Lun, 30 Gen 2017

Permessi ex Legge 104/92: indispensabile una assistenza costante, ma non continuativa

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Antonella Storti


La Cassazione interpreta estensivamente il concetto di assistenza, consentendo al lavoratore di dedicarsi ai propri bisogni.


La Suprema Corte, seconda sezione penale, con sentenza 54712 del 2016 si è pronunciata in materia di permesso retribuito, ai sensi dell’art. 33 della Legge n. 104/1992, operando una lettura attenta alle esigenze del lavoratore, il quale non è tenuto a svolgere assistenza nelle ore di lavoro, potendo beneficiare dell’intera giornata al fine di organizzare in modo proficuo l’attività di assistenza che deve svolgere.

Il Giudice di Legittimità ha scelto di tutelare il diritto del lavoratore, su cui incomba l’onere di assistere una persona diversamente abile, di poter svolgere un minimo di vita sociale. In particolare, la Cassazione ha analizzato la ratio legis della disciplina normativa in esame, individuandola nell’esigenza di: “assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell’assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare, indipendentemente dall’età e dalla condizione di figlio dell’assistito.”

La Legge 104/1992 ha una duplice finalità:

  • Assicurare la continuità delle cure ed assistenza del disabile, che si realizzino in ambito familiare, a prescindere dall’età e dalla condizione dell’assistito;
  • Sostenere le famiglie che svolgono un ruolo fondamentale nella cura ed assistenza dei soggetti deboli.

L’istituto del permesso mensile retribuito si pone in rapporto di dipendenza con la finalità di tutelare la salute fisica e psichica dei soggetti diversamente abili.

Sulla scorta della precedente giurisprudenza di legittimità, la Suprema Corte, nel prospettare le possibili letture da dare alla normativa oggetto di controversia, ha fatto riferimento al dato letterale. Per la Legge n. 104, infatti, l'unico presupposto per la concezione dei permessi è che il lavoratore assista il familiare diversamente abile “con continuità ed in via esclusiva.”

Tale locuzione però, sottolinea il Giudice di Legittimità: “Non implica un’assistenza continuativa di 24 ore, per la semplice ed assorbente ragione che, durante le ore lavorative, il lavoratore non può contemporaneamente assistere il parente. È evidente, quindi, che la locuzione va interpretata cum grano salis, nel senso che è sufficiente che sia prestata con modalità costanti e con quella flessibilità dovuta anche alle esigenze del lavoratore. Di conseguenza, se è considerata assistenza continua quella che il lavoratore presta nei giorni in cui lavora (e, quindi, l’assistenza che presta dopo l’orario di lavoro, al netto, pertanto, delle ore in cui, lavorando, non assiste il parente diversamente abile), ne consegue che non vi è ragione per cui tale nozione debba mutare nei giorni in cui il lavoratore usufruisce dei permessi: infatti, anche in quei giorni egli è libero di graduare l’assistenza al parente secondo orari e modalità flessibili che tengano conto, in primis, delle esigenze del soggetto debole; il che significa che nei giorni di permesso, l’assistenza, sia pure continua, non necessariamente deve coincidere con l’orario lavorativo, proprio perché tale modo di interpretare la legge andrebbe contro gli stessi interessi del soggetto debole (come ad es. nelle ipotesi in cui il parente diversamente abile abbia bisogno di minore assistenza nelle ore in cui il lavoratore presta la propria attività lavorativa)”.

Il caso pratico oggetto di ricorso poneva il problema di stabilire se sia lecito, per il lavoratore che richieda di usufruire dei permessi retribuiti, non per prestare assistenza al soggetto debole, utilizzando quei giorni come se fossero giorni feriali da utilizzare come meglio preferisca.

Il beneficio del permesso retribuito, previsto dalla norma in esame, presuppone, in ogni caso, che chi ne usufruisca continui a prestare assistenza. Ciò vuol dire che i permessi servono a consentire al lavoratore onerato la possibilità di praticare attività che non sono espletabili quando l’intera giornata è dedicata al lavoro, nell'ottica di una più efficiente cura del soggetto debole, ma anche per permettere a chi presti assistenza di organizzare la stessa in maniera più adeguata, rispettando tutte le necessità del familiare diversamente abile. Quindi, il presupposto dell’assistenza non può mancare. Pertanto, i permessi non possono assolutamente essere considerati come veri e propri periodi feriali di cui il lavoratore potrebbe disporre come meglio crede. I permessi ex Legge 104, però, sono ritenuti dalla Suprema Corte anche un'agevolazione di cui possa fruire chi svolge assistenza, per avere a disposizione del tempo da dedicare a se stesso. 

Tutto ciò sta, quindi, a significare che l’abrogazione della condizione dell’assistenza con continuità e in via esclusiva, è servita solo a chiarire la norma ma non a mutare e a stravolgerne l’essenza e la ratio che consiste, pur sempre, nell’assicurare «in via prioritaria la continuità nelle cure e nell’assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare, indipendentemente dall’età e dalla condizione di figlio dell’assistito». È evidente, infatti, che l’assistenza non è fattualmente ipotizzabile nelle ipotesi in cui, come quello in esame, il fruitore dei permessi, si disinteressi completamente dell’assistenza, partendo per l’estero: i permessi, infatti, non possono e devono essere considerati come giorni di ferie (perché a tal fine è preposto un ben preciso e determinato istituto giuridico), ma solo come un’agevolazione che il legislatore ha concesso a chi è si è fatto carico di un gravoso compito, di poter svolgere l’assistenza in modo meno pressante e, quindi, in modo da potersi ritagliare in quei giorni in cui non è obbligato a recarsi al lavoro, delle ore da poter dedicare esclusivamente alla propria persona.

L’abuso dei permessi della legge 104, sottolinea la Suprema Corte, integra gli estremi di un illecito, punibile sia con il licenziamento che con una denuncia per truffa ai danni dello Stato.

Naturalmente, a tal proposito, occorrerà distinguere caso per caso se l’attività posta in essere dal lavoratore che usufruisca dei permessi retribuiti possa, effettivamente, considerarsi illegittima o meno.