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Pubbl. Mar, 22 Nov 2016

Stop agli sprechi: dalla sharing economy alla donazione alimentare.

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Fabio Giuseppe Squillaci


Alla ricerca delle ragioni che hanno indotto il legislatore italiano ad introdurre la c.d. legge anti-spreco, che favorisce ed incentiva l’impegno delle imprese volto a ridurre lo spreco di prodotti alimentari ancora perfettamente consumabili, ma non più vendibili, utilizzando un metodo di responsabilizzazione e coinvolgimento per le imprese.


Il termine Sharing Economy[1] si riferisce a una serie di esperienze molto differenti tra loro, così come diversi attori lo utilizzano in modo flessibile e non sempre coerente. In linea con l’evoluzione del linguaggio a livello internazionale la Sharing Economy non è un fenomeno di nicchia, al contrario è un movimento crescente di portata globale con milioni di persone che vi partecipano. Al fine di fare chiarezza sulla questione definiamo la Sharing Economy come un sistema che ha lo scopo di facilitare la condivisione di beni, servizi e competenze. Nel termine rientrano una vasta gamma di piattaforme digitali ma anche, in minor misura, attività off-line: si comprendono sia espressioni della Sharing Economy di grande successo, ad esempio Airbnb o BlaBlaCar.com, sia piccole iniziative che si realizzano al di fuori della rete, ad esempio le biblioteche di libri usati o mercatini di seconda mano.

Il dibattito sulla Sharing o Collaborative Economy può essere parzialmente ricondotto al tema più composito della social innovation, generalmente definita come l’insieme delle nuove pratiche e modelli che rispondono alle sfide sociali innovando le relazioni e forme di collaborazione. Appare evidente che l’economia collaborativa, per lo meno laddove venga impiegata per dar risposta a reali e rilevanti bisogni sociali, sia senz’altro una forma di innovazione sociale, anche se non l’unica. Si noti tuttavia come le attività economiche che rientrano nella Sharing Economy di fatto non siano una novità: la condivisione, il baratto, il prestito, lo scambio, il noleggio hanno rappresentato le prime forme di rapporti economici; hanno sempre costituito una parte integrante del tessuto sociale ed economico e tuttora ne fanno ancora parte. La grande novità della Sharing Economy è la scala in cui avviene la condivisione e il mezzo utilizzato. La condivisione tradizionalmente avveniva solo tra poche persone, verso le quali si nutrivano spesso rapporti di conoscenza e/o fiducia ed erano limitati perlopiù a persone residenti nelle zone limitrofe mediante accordi stretti di persona. Ora invece la condivisione avviene su una scala molto più ampia, coinvolgendo sconosciuti che abitano a chilometri di distanza e utilizzando tecnologie digitali. Il dibattito nazionale e internazionale sull’economia collaborativa è fortemente accelerato negli ultimi tempi, anche se la scarsa comprensione del fenomeno porta a identificarlo semplicemente con alcuni casi esemplari dal forte impatto mediatico (i già citati Uber ed Airbnb), forse quelli più ambigui e controversi, con minore portata collaborativa e maggiori criticità sociali. Di conseguenza, al disinteresse delle cooperative (che si sentono distanti e diverse da questi soggetti) si unisce spesso anche una certa diffidenza o ostilità, che d’altra parte trova spazio in ampi dibattiti nazionali ed internazionali. Da queste riflessioni più attente, emerge un sentimento di vicinanza e affinità con l’economia collaborativa più civica. Questo sentimento ha portato alcuni osservatori a definirla come forma di “proto-cooperazione” o di “cooperazione 2.0”. Secondo queste visioni, infatti, l’economia collaborativa sarebbe assimilabile, nelle sue forme più democratiche ed orizzontali, a una “versione moderna della cooperazione”. Pur essendo nata all’esterno del movimento cooperativo e avendo assunto forme giuridiche e di governance diverse, è comunque concettualmente vicina in quanto cerca di organizzare risposte a bisogni materiali e sociali attraverso le dinamiche cooperative tra persone. È l’elemento collaborativo e peer-to-peer quello a cui le cooperative vogliono sentirsi più vicine, perché esso richiama direttamente i principi di parità, eguaglianza, e cooperazione.

Una logica non dissimile è quella che ha indotto il legislatore italiano ad introdurre la c.d. legge anti-spreco (L. 166/2016). Una legge che favorisce ed incentiva l’impegno delle imprese volto a ridurre lo spreco di prodotti alimentari ancora perfettamente consumabili, ma non più vendibili, utilizzando un metodo di responsabilizzazione e coinvolgimento per le imprese. Gli sprechi alimentari costano all’Italia 12,5 miliardi che sono persi per il 54 per cento al consumo, per il 21 per cento nella ristorazione, per il 15 per cento nella distribuzione commerciale, per l’8 per cento nell’agricoltura e per il 2 per cento nella trasformazione.

La presente legge persegue la finalità di ridurre gli sprechi per ciascuna delle fasi di produzione, trasformazione, distribuzione e somministrazione di prodotti alimentari, farmaceutici e di altri prodotti. Tra gli obiettivi perseguiti vi è quello di favorire il recupero e la donazione delle eccedenze alimentari a fini di solidarietà sociale, destinandole in via prioritaria all'utilizzo umano, con la conseguente limitazione degli impatti negativi sull'ambiente e sulle risorse naturali mediante attività volte a ridurre la produzione di rifiuti e a promuovere il riuso e il riciclo.

La scelta di politica legislativa, nel solco delle consolidate esperienze internazionali, sembra essere quella di combinare esigenze sociali con esigenze tecnico-economiche. In altri termini l’approvvigionamento delle sostanze alimentari (e di quelle farmaceutiche) si accompagna al paritetico obiettivo di ridurre la produzione di rifiuti soggetti a smaltimento. Dalla lettera dell’art. 2, relativo alle definizioni, per «spreco alimentare» si intende “l'insieme dei prodotti alimentari scartati dalla catena agroalimentare per ragioni commerciali o estetiche ovvero per prossimità della data di scadenza, ancora commestibili e potenzialmente destinabili al consumo umano o animale e che, in assenza di un possibile uso alternativo, sono destinati a essere smaltiti”. A tale definizione, dalla quale si evince, senza troppa difficoltà, il carattere residuale del concetto di spreco, si accompagna quella volutamente onnicomprensiva (l’elencazione non è esaustiva) di «eccedenze alimentari» rappresentata dai “prodotti alimentari, agricoli e agro-alimentari che, fermo restando il mantenimento dei requisiti di igiene e sicurezza del prodotto, sono invenduti o non somministrati per carenza di domanda; ritirati dalla vendita in quanto non conformi ai requisiti aziendali di vendita; rimanenze di attività promozionali; prossimi al raggiungimento della data di scadenza; rimanenze di prove di immissione in commercio di nuovi prodotti; invenduti a causa di danni provocati da eventi meteorologici; invenduti a causa di errori nella programmazione della produzione; non idonei alla commercializzazione per alterazioni dell'imballaggio secondario che non inficiano le idonee condizioni di conservazione."

La procedura di cessione gratuita delle eccedenze alimentari a fini di solidarietà sociali è regolata dal Capo II della presente legge, rubricato “Misure di semplificazione per la cessione gratuita degli alimenti a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi alimentari”. Gli operatori del settore alimentare[2] possono cedere gratuitamente le eccedenze alimentari a soggetti donatari[3], i quali devono destinare, in forma gratuita, le eccedenze alimentari ricevute, idonee al consumo umano, prioritariamente a favore di persone indigenti. Le eccedenze alimentari non idonee al consumo umano possono essere cedute per il sostegno vitale di animali e per la destinazione ad autocompostaggio o a compostaggio di comunità con metodo aerobico. Lascia perplessi la previsione di cui all’art. 3, co. 3, secondo la quale “Gli alimenti che presentano irregolarità di etichettatura che non siano riconducibili alle informazioni relative alla data di scadenza o alle sostanze o prodotti che provocano allergie e intolleranze, possono essere ceduti ai soggetti donatari”. Tale disposizione sembra configurare un’aporia rispetto al sistema configurato ed all’attenzione mossa al concetto di utilizzabilità e sicurezza del prodotto alimentare anche se in eccedenza[4]. Tuttavia, non sembrerebbe contraddire lo spirito della legge se solo si volge lo sguardo al parallelo obiettivo di ridurre la produzione di rifiuti. Ed infatti le cessioni di cui all'articolo 3 sono consentite anche oltre il termine minimo di conservazione, purché' siano garantite l’integrità dell'imballaggio primario e le idonee condizioni di conservazione[5]. Le eccedenze alimentari, nel rispetto dei requisiti di igiene e sicurezza e della data di scadenza, tra l’altro, possono essere ulteriormente trasformate in prodotti destinati in via prioritaria all'alimentazione umana o al sostegno vitale di animali (art.4).

La legge prevede poi una serie di strumenti legislativi ed operativo-organizzativo al fine di favorire la cessione gratuita di prodotti alimentari, farmaceutici e di altri prodotti a fini di solidarietà sociale. In tal senso il Tavolo permanente di coordinamento, di cui al decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 17 dicembre 2012[6] è stato integrato di una serie di prerogative (art. 8), tra le quali si segnalano la formulazione di proposte per lo sviluppo di iniziative di informazione e di sensibilizzazione alla donazione e al recupero di eccedenze alimentari (n. 2); formulazione di proposte per la definizione di provvedimenti relativi a specifici incentivi per i soggetti coinvolti nella donazione, nel recupero e nella distribuzione di derrate alimentari e nella donazione di denaro, beni e servizi (n. 3); promozione di progetti innovativi e studi finalizzati alla limitazione degli sprechi alimentari e all'impiego delle eccedenze alimentari, con particolare riferimento alla loro destinazione agli indigenti (n. 5).

Ancora, al fine di incentivare la promozione, formazione e la definizione di misure preventive in materia di riduzione degli sprechi, il servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale dovrà garantire, nell'ambito delle ore di trasmissione destinate all'informazione, che un adeguato numero delle medesime ore sia finalizzato alla promozione di comportamenti e di misure volti a ridurre gli sprechi alimentari, energetici e di altro genere. Al fine di promuovere modelli di consumo e di acquisto improntati a criteri di solidarietà e di sostenibilità nonché di incentivare il recupero e la redistribuzione per fini di beneficenza, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con i Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, della salute e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, promuove campagne nazionali di comunicazione dei dati raccolti in tema di recupero alimentare e di riduzione degli sprechi, anche al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica e le imprese sulle conseguenze negative degli sprechi alimentari, con particolare attenzione ai temi del diritto al cibo, dell'impatto sull'ambiente e sul consumo di risorse naturali e alle possibili misure per il contrasto degli sprechi medesimi (art. 9).

Con il medesimo intento incentivante si segnala con favore l’integrazione dell’art. 15 del D.P.R. 571/1982 in materia di destinazione dei beni confiscati. Qualora siano stati confiscati prodotti alimentari idonei al consumo umano o animale, l’autorità pubblica ne dispone (è un obbligo non una facoltà, secondo un’interpretazione letterale) la cessione gratuita a enti pubblici ovvero a enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche e solidaristiche e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività d'interesse generale anche mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale nonché attraverso forme di mutualità. Peculiare è, infine, la previsione di cui all’art.17 che in chiusura del testo di legge garantisce una riduzione della tariffa relativa alla tassa sui rifiutialle utenze non domestiche relative ad attività commerciali, industriali, professionali e produttive in genere, che producono o distribuiscono beni alimentari, e che a titolo gratuito cedono, direttamente o indirettamente, tali beni alimentari agli indigenti e alle persone in maggiori condizioni di bisogno ovvero per l'alimentazione animale”. In deroga al Codice Civile le donazioni di cui alla presente legge, come definite dall'articolo 2, comma 1, lettera e), non richiedono la forma scritta per la loro validità e alle stesse non si applicano le disposizioni di cui al titolo V del libro secondo.

Per mera completezza espositiva si segnalano le disposizioni contenute negli artt. 14 e 15 rispettivamente rubricati Distribuzione di articoli e accessori di abbigliamento usati a fini di solidarietà sociale e Modifiche al decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, in materia di raccolta di medicinali non utilizzati o scaduti e donazione di medicinali.
In particolare l’art.14 si riferisce a beni eterogenei rispetto all’intero impianto della legge, relativo alle attività di donazione e di distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi. Si considerano cessioni a titolo gratuito di articoli e di accessori di abbigliamento usati quelle in cui i medesimi articoli ed accessori siano stati conferiti dai privati direttamente presso le sedi operative dei soggetti donatari (come definiti dall’art. 2). I beni che non sono destinati a donazione in conformità a quanto previsto o che non sono ritenuti idonei ad un successivo utilizzo sono gestiti in conformità alla normativa sui rifiuti di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (T.U. Ambiente).
Diversamente, l’art. 15 in materia di medicinali non utilizzati o scaduti è ancora inattuato essendo il Ministro della salute delegato ad emanare un decreto nel quale saranno individuate le modalità per la donazione di medicinali non utilizzati a organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) e l'utilizzazione dei medesimi medicinali da parte di queste, in confezioni integre, correttamente conservati e ancora nel periodo di validità, in modo tale da garantire la qualità, la sicurezza e l'efficacia originarie, con esclusione dei medicinali da conservare in frigorifero a temperature controllate, dei medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope e dei medicinali dispensabili solo in strutture ospedaliere. Con il medesimo decreto saranno definiti i requisiti dei locali e delle attrezzature idonei a garantirne la corretta conservazione e le procedure volte alla tracciabilità dei lotti dei medicinali ricevuti e distribuiti.

La produzione di cibo ed il sistema agricolo globale si trovano ad affrontare molteplici sfide: dover produrre più cibo per soddisfare una maggiore domanda di una popolazione mondiale in aumento in uno scenario connotato da una minore disponibilità di terreni, di acqua ed energia, nonché da un incremento delle temperature derivanti dal cambiamento climatico. In questo contesto è quindi imperativo per tutti noi lavorare in modo collaborativo ed utilizzare le risorse in modo più efficiente. Ridurre i rifiuti alimentari rappresenta un processo in grado di dare un importante contributo all’obiettivo di uno sviluppo sostenibile. I produttori di cibo e bevande, dettaglianti e grossisti in Europa stanno lavorando attivamente per ridurre i rifiuti alimentari nelle loro operazioni e lungo la catena alimentare attraverso la costituzione di partenariati innovativi. Sia FoodDrinkEurope e EuroCommerce sono fermamente impegnati a sostenere l'attuazione dell’obiettivo di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite per dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030.

Le donazioni di alimenti sono uno strumento fondamentale con cui l'Europa può ridurre lo spreco alimentare e, al tempo stesso, alleviare povertà alimentare ed esclusione sociale. Ogni anno nell'Unione europea vengono sprecate circa 90 milioni di tonnellate di cibo (stima 2006), mentre 55 milioni di persone versano in condizioni di povertà alimentare. È assolutamente necessario un quadro legislativo europeo più armonizzato in materia di donazione di alimenti così da facilitare l'accesso degli indigenti alle risorse alimentari.
Questa legge, la 166/2016, è destinata ad essere d’esempio nell’Unione Europea, che proprio in questo periodo sta definendo, grazie all’attività della FEBA, le Linee-guida[7] sulla donazione di cibo: non è un caso, infatti, che la bozza avviata alla consultazione dall’UE in queste settimane riprenda buona parte del contenuto della Legge italiana.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Ex multis, Cannon, S., & Summers, L. H. (2014) How Uber and the Sharing Economy Can Win over Regulators. Harvard business review, 13; Capeci F. (2014) Sharing Economy: da moda a modello; Cicero S., (2014) La rivoluzione della Sharing Economy al bivio: reale innovazione sociale o super monopoli?. Che futuro. Reperibile al sito: http://www.chefuturo.it/2014/10/la-rivoluzione-della-sharing-economy-al-bivio-reale-innovazione-sociale-o-supermonopoli/; Ipsos Public Affairs , (2014) “La Sharing Economy in Italia”, reperibile al link: http://www.collaboriamo.org/media/2014/07/Sharing_Economy_in_Italia.pdf.
[2] Gli «operatori del settore alimentare» sono i soggetti pubblici o privati, operanti con o senza fini di lucro, che svolgono attività connesse ad una delle fasi di produzione, confezionamento, trasformazione, distribuzione e somministrazione degli alimenti.
[3] I «soggetti donatari» sono gli enti pubblici nonché' gli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche e solidaristiche e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività d'interesse generale anche mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale nonché' attraverso forme di mutualità, compresi i soggetti di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 46.
[4] La data di scadenza sostituisce il termine minimo di conservazione nel caso di alimenti molto deperibili dal punto di vista microbiologico oltre la quale essi sono considerati a rischio e non possono essere trasferiti ne' consumati.
[5] Ai fini della cessione di cui agli articoli 3 e 4, gli operatori del settore alimentare operano una selezione degli alimenti in base ai requisiti di qualità e igienico-sanitari, nel rispetto delle norme vigenti. In particolare devono prevedere corrette prassi operative al fine di garantire la sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti, in conformità a quanto stabilito dal regolamento (CE) 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, e dall'articolo 1, comma 236, della legge 27 dicembre 2013, n. 14.
[6] il Tavolo è composto da: 1) tre rappresentanti del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ad uno dei quali e' attribuito il compito di presiedere i lavori; 2) due rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali; 3) un rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze; 4) un rappresentante del Ministero della salute; 5) due rappresentanti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di cui uno facente parte del Comitato tecnico scientifico per l'implementazione e lo sviluppo del Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti; 6) un rappresentante del Ministero dello sviluppo economico; 7) quattro rappresentanti designati dalle associazioni comparativamente più rappresentative della distribuzione; 8) un rappresentante di ognuno degli enti ed organismi caritativi iscritti nell'Albo istituito presso l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) ai fini dell'assegnazione dei prodotti alimentari; 9) tre rappresentanti designati dalle associazioni comparativamente piu' rappresentative della trasformazione, anche artigianale, e dell'industria agroalimentare; 10) due rappresentanti designati dalle associazioni comparativamente più rappresentative della somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, di cui uno in rappresentanza della ristorazione collettiva; 11) due rappresentanti designati dalle associazioni agricole; 12) due rappresentanti designati dalle regioni e dalle province autonome; 13) due rappresentanti dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI); 14) due rappresentanti designati dalle associazioni comparativamente più rappresentative dei mercati agroalimentari all'ingrosso; 15) un rappresentante della cooperazione agricola.
[7] Lo scopo delle linee guida è principalmente quello di definire un sistema di donazione uniforme ai membri FEBA-Banco alimentare ed ai suoi partner, che sono essenzialmente senza scopo di lucro. Si riconosce però che produttori, rivenditori e grossisti possono altri metodi e canali per gestire le eccedenze alimentari in deroga alle previsioni di principio.