• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Ven, 4 Nov 2016

Il futuro economico e finanziario post Brexit

Modifica pagina

Pierluigi Montella


Una riflessione sul futuro delle imprese all´indomani del voto sulla Brexit, accompagnato da alcuni spunti per un dibattito sulla disciplina delle autorizzazioni all´esercizio dell’attività bancaria quando (e se!) il Regno Unito diventerà un Paese extra UE.


Sono passate ormai molte settimane da quei frenetici momenti che hanno visto materializzarsi quello che per molti è considerato il primo di una lunga serie di atti di ribellione di fronte alla sempre più ampia cessione di poteri a quell’organismo sovranazionale conosciuto come Unione Europea; per molti altri, invece, ha rappresentato un campanello d’allarme che nulla di nuovo potrebbe portare, se non lo sgretolamento dell’Europa come l’abbiamo conosciuta e la conseguente deregolamentazione di settori i quali, se oggi abbiamo imparato a conoscerli come univocamente regolamentati, potrebbero poi subire una pesante involuzione che nulla gioverebbe al sistema attuale.

Gli studiosi Dirk Shoenmaker, titolare della cattedra di “Banking and Finance” presso l’Università di Rotterdam e Filippo Annunziata, Professore associato di Diritto dei mercati finanziari all'Università “Bocconi” di Milano, hanno analizzato quelle che sono le ripercussioni della perdita del cd. passaporto europeo per le banche e le società finanziarie inglesi.

In un articolo apparso sul sito bruegel.org il 28 giugno[1] (qualche giorno dopo il referendum sull’uscita dall’UE), il Professor Shoenmaker, ponendo le basi del suo ragionamento analizzando, tra le altre fonti normative, la direttiva sui requisiti patrimoniali (CRD IV 2013/36/UE) per il settore bancario e la direttiva sui mercati degli strumenti finanziari (MiFID, 2004/39/CE) per i servizi di investimento, molto lucidamente deduce che la perdita del Passaporto europeo contribuirà alla perdita di attrattiva, per Londra, di centro finanziario globale e di “porta” di ingresso per il mercato comune europeo. In particolar modo, prima dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea (e formalmente anche adesso, dato che il Premier May ha annunciato che non saranno avviate le procedure per l’uscita formale fino al marzo del 2017), le banche inglesi, previa richiesta al proprio home supervisor e semplice comunicazione all’home supervisor del Paese ospite, potevano fornire i propri servizi creditizi ed aprire filiali negli Stati appartenenti all’Unione Europea senza alcun problema specifico[2]. Adesso, invece:

« So, if the UK were to leave the EEA, UK licensed banks (either UK head-quartered or foreign-headquartered) would need to obtain an extra licence from the host supervisor in an EEA member state in order to offer financial services in that member state. »[3]

Che, in sintesi, implica la necessità, per le banche inglesi, di dover ottenere speciali licenze per poter continuare ad operare nei Paesi UE una volta ufficializzata legalmente l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Inutile dire che varrà anche il reciproco: la più grande banca europea presente a Londra è la Deutsche Bank, la quale ricava circa il 19% dei suoi ricavi netti proprio dagli affari che fa nel Regno Unito (fonte: Deutsche Bank, Annual Report 2015). Ebbene, quest’ultima banca insieme a tutte le altre banche con sedi legali fuori dal Regno Unito dovranno ottenere una speciale licenza per operare nei territori governati da Sua Maestà.

Se volgiamo lo sguardo a casa nostra, anche il Professor Annunziata, nel suo articolo apparso il 28 giugno su “lavoce.info”[4], profetizzava un pericolo rappresentato dalla perdita del Passaporto europeo da parte delle imprese inglesi (leggasi, ovviamente, anche le banche) che non consentirebbero più, in alcun modo, di poter esercitare, con la stessa facilità di prima, le loro attività all’interno della City e nel resto del Regno Unito e non è neanche scontato che possa trovarsi velocemente una soluzione politica per consentire quelle attività che prima venivano liberamente prestate in virtù della libertà di stabilimento e della libertà della prestazione dei servizi vigenti all’interno del Mercato Unico europeo.

Uno spunto interessante e che mostra un punto di vista finora abbastanza assente dal dibattito pubblico va a concernere la possibilità che le pesanti ripercussioni avute dalla scelta sostanzialmente e formalmente politica da parte del Regno Unito si avrebbero anche sul piano delle stesse operazioni finanziarie così come oggi le consociamo. Vale a dire:

«Con Brexit, la legge inglese sarà certamente utilizzabile quale norma regolatrice dei contratti, ma non sarà più necessariamente quella di riferimento. Per quanto asseritamente più “avanzato” o più “efficiente” il diritto inglese possa apparire in alcuni ambiti (ad esempio, derivati, garanzie finanziarie od operazioni di cartolarizzazione), ciò non sarà più sufficiente. La scelta della legge regolatrice dei contratti è, infatti, alla fine guidata da criteri che attengono anche, o soprattutto, alla localizzazione delle operazioni. Si pensi, ad esempio, al settore della gestione collettiva finanziaria: in Europa, la parte preponderante dell’industria dei fondi comuni aperti (regolati dalla direttiva Ucits – Undertakings for Collective Investment in Transferable Securities) ha sede in Lussemburgo, e – ovviamente – è il diritto lussemburghese che regola tali prodotti finanziari.[…] Negli ultimi decenni, il tumultuoso sviluppo della disciplina si è mosso sotto l’egemonia di schemi provenienti dall’esperienza inglese: la disciplina MiFID (e, prima ancora, quella sui servizi di investimento del 1993), quella sugli abusi di mercato, i prospetti informativi, i derivati, le garanzie finanziarie, il rating e – sebbene in misura minore – anche la gestione collettiva (direttive Ucits e Aifmd) sono soltanto alcuni degli esempi più evidenti. Molto spesso, i sistemi giuridici dell’Europa continentale hanno dovuto compiere enormi sforzi di adattamento per metabolizzare istituti alieni alla propria tradizione, ma entrati ormai a far parte del diritto europeo. Con Brexit, il Regno Unito non avrà più la capacità di plasmare le stesse linee di fondo, le strutture portanti della securities law europea.»[5]

È di lapalissiana evidenza quanto Annunziata esprime con le sue parole: una volta fuori dall’Europa, il regno Unito non potrà più “dettar legge” costringendo i paesi di civil law a recepire istituti avulsi dalla propria tradizione giuridica, perché ormai la piazza affari londinese non sarà più quel “luogo di ritrovo”, finanziariamente inteso, che è stato fino ad oggi. Si potrà sperare, allora, come giustamente lo studioso stesso sottolinea, di poter plasmare la cd. lex mercatoria europea con il diritto di un altro Paese membro.

Staremo a vedere, insomma, cosa succederà a partire dal prossimo marzo, mesi in cui, secondo le parole del nuovo Premier britannico, si avvieranno ufficialmente i negoziati per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

Note e riferimenti bibliografici
[1] Dirk Shoenmaker, “Losing eu passport would damage city of London”, in http://bruegel.org/2016/06/losing-eu-passport-would-damage-city-of-london/
[2] Cfr. Titolo III, IV e VII della CRD IV 2013/36 / UE.
[3] Shoenmaker D., op. cit.
[4]Filippo Annunziata, “Mercati finanziari, un futuro meno londinese e più europeo”, in  http://www.lavoce.info/archives/41826/mercati-finanziari-un-futuro-meno-londinese-e-piu-europeo/
[5] Annunziata F., ibidem