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Pubbl. Mer, 9 Nov 2016

Il principio di vicinanza della prova nel diritto bancario

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Lucio Orlando


ll principio di prossimità o vicinanza della prova, in quanto eccezionale, deroga al canonico regime della sua ripartizione, deve trovare una pregnante legittimazione che non può semplicisticamente esaurirsi nella diversità di forza economica dei contendenti ma esige l’impossibilità della sua acquisizione simmetrica


Secondo il principio di elaborazione giurisprudenziale di c.d. "vicinanza della prova", l’onere della prova deve essere ripartito tenendo conto in concreto della possibilità per l’uno o per l’altro dei contendenti di provare circostanze che ricadono nelle rispettive sfere d’azione, per cui è ragionevole gravare dell’onere probatorio la parte a cui è più vicino il fatto da provare.

Nel caso specifico dei rapporti bancari, la parte a cui è più vicino il fatto da provare è tipicamente l'istituto bancario. Nelle ipotesi in cui la prova non possa esser data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare viene invocato, come nel caso di perdita, mancanza o insufficienza di dati in un documento, quale, ad esempio, le risultanze dei conti correnti, trova applicazione la regola di elaborazione giurisprudenziale della “vicinanza alla prova”. 
Secondo la Cassazione, però, l’onere della prova ex art. 2697 c.c. non subisce deroghe né per effetto della natura dell’azione (accertamento negativo) proposta dal correntista né avuto riguardo al c.d. principio di vicinanza della prova: “l’onere probatorio gravante, a norma dell‘art. 2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo; tuttavia, in tal caso la relativa prova può esser data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, od anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo” (Cass. 7.5.2015, n. 9201; conf. Cass. n. 18487/2003; Cass. n. 23229/2004; Cass. n. 5162/2008; Cass. n. 7962/2009; Cass., S.U., n. 18046/2010; Cass. n. 9099/2012; Cass. n. 16917/2012). 

Il fondamento del principio della vicinanza alla prova, va ricercato nella esplicitazione dei doveri di correttezza e buona fede nell'adempimento delle obbligazioni nonché, sotto il profilo processuale, è espressione del principio costituzionale del “giusto processo” e dei doveri di lealtà e probità di cui all'art. 88 c.p.c., nonché del principio generale stabilito dal 2° co. dell'art. 116 c.p.c. E proprio in base a questa riflessione, di recente la Suprema Corte ha ribadito che “il principio di prossimità o vicinanza della prova, in quanto eccezionale deroga al canonico regime della sua ripartizione, secondo il principio ancor oggi vigente che impone (incumbit) un onus probandi ci qui dicit non ci qui negat, deve trovare una pregnante legittimazione che non può semplicisticamente esaurirsi nella diversità di forza economica dei contendenti ma esige l’impossibilità della sua acquisizione simmetrica, che nella specie è negata proprio dall’obbligo richiamato dall’art. 117 TUB, secondo cui, in materia bancaria, I contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti” (Cass. n. 6511/2016; Cass. n. 17923/2016).