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Pubbl. Mar, 30 Ago 2016

Licenziamento discriminatorio della lavoratrice madre: il giudizio della Cassazione

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Mattia De Lillo


La Corte di Cassazione, con la sentenza del 30 Giugno 2016, ha accolto il ricorso proposto da una dipendente neo-mamma, riaffermando con forza la tutela della donna e della maternità in ambito lavorativo


Il 30 Giugno 2016 la Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione ha stabilito, con la sentenza n. 13455 [1], la nullità del licenziamento della lavoratrice madre che non si presenta nella nuova sede di lavoro.

Il datore di lavoro, nella memoria difensiva, aveva giustificato il licenziamento della lavoratrice con l’assenza prolungata di essa dal luogo di lavoro dove era stata trasferita temporaneamente per ragioni formative.

La Sentenza della Cassazione accoglie il ricorso presentato dalla lavoratrice licenziata, cassando la sentenza della Corte d’Appello di Venezia che aveva originariamente dato ragione al datore di lavoro.

Il collegio giudicante ha riportato come base giuridica il T.U. sulla maternità (D.Lgs. 151/2001) [2] citando, nello specifico, l’art. 56 co. 1, per cui:

“Al termine dei periodi di divieto di lavoro previsti dal Capo II e III, le lavoratrici hanno diritto di conservare il posto dl lavoro e, salvo che espressamente vi rinuncino, dl rientrare nella stessa unita’ produttiva ove erano occupate all’inizio del periodo di gravidanza o in altra ubicata nel medesimo comune”

Suddetto decreto è inoltre espressione dei principi costituzionali espressamente previsti agli articoli 31 e 37 della Costituzione, riguardanti rispettivamente la protezione della maternità e della donna lavoratrice.
Tali principi, unitamente al D.Lgs. 151/2001, costituiscono un sistema di garanzie finalizzate alla tutela dell’essenziale funzione familiare della donna.

La questione sarà rinviata alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione.