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La Cassazione sul recupero del riposo giornaliero, orario di lavoro e tutela della salute
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Pubbl. Mar, 23 Dic 2025

La Cassazione sul recupero del riposo giornaliero, orario di lavoro e tutela della salute

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Giuseppe Anfuso
Laurea in GiurisprudenzaUniversità Ca´ Foscari di Venezia



La sentenza della Cassazione civile, Sezione lavoro, 23 ottobre 2023, n. 29344, precisa che, nel settore della vigilanza privata, le ore di riposo giornaliero compresse non possono essere compensate mediante permessi retribuiti, ma devono essere recuperate tramite la concessione di intervalli di riposo più lunghi tra le prestazioni. La Corte valorizza la distinzione tra “periodo di riposo” e “orario di lavoro”, desunta dal diritto europeo e dal d.lgs n. 66/2003, e afferma che la funzione della disciplina sul riposo è la protezione della salute del lavoratore, non l’attribuzione di vantaggi economici.


ENG The Italian Supreme Court (Labour Section), in judgment no. 29344 of 23 October 2023, held that, in the private security sector, compressed daily rest hours cannot be compensated through paid leave. Such hours must instead be recovered by granting longer rest intervals between work shifts. The Court relies on the EU-law-based distinction between “rest period” and “working time” and stresses that the primary aim of rest rules is the protection of workers’ health rather than the granting of economic benefits.

Sommario: 1. Il settore della vigilanza privata e la centralità del riposo giornaliero; 2. L’art. 72 CCNL vigilanza privata: l’oggetto del contrasto interpretativo; 3. La lettura della Cassazione: recupero del riposo e distinzione riposo/orario di lavoro; 4. Il quadro normativo multilivello: direttive europee, d.lgs n. 66/2003 e autonomia collettiva. 5. Effetti sistematici nel settore della vigilanza privata: organizzazione del lavoro e onere probatorio; 6. Considerazioni conclusive: effettività della tutela della salute e responsabilità datoriale.

1. Il settore della vigilanza privata e la centralità del riposo giornaliero

La sentenza della Cassazione civile, Sezione lavoro, 23 ottobre 2023, n. 29344, interviene su una questione applicativa di rilievo quotidiano per gli istituti di vigilanza privata: le modalità di recupero del riposo giornaliero compresso e il rapporto tra riposo e orario di lavoro1. La pronuncia prende le mosse dall’azione proposta da una guardia particolare giurata, che lamentava la mancata fruizione dei recuperi previsti dall’art. 72 dei CCNL del settore (versioni 2004 e 2013), invocando il risarcimento del danno da inadempimento contrattuale2.

La pretesa del lavoratore si fondava sull’assunto che la compressione delle undici ore minime di riposo consecutivo comportasse il diritto a permessi retribuiti corrispondenti, con conseguente riduzione dell’orario di lavoro complessivo.

Il contesto di riferimento è quello di un comparto caratterizzato da esigenze organizzative e di servizio particolarmente stringenti (turnazioni, copertura h24, servizi armati), che favoriscono situazioni di compressione del riposo giornaliero. Proprio in tale ambito la giurisprudenza di legittimità ha negato che l’attività delle guardie giurate possa considerarsi, in via aprioristica, ontologicamente discontinua o di mera attesa, affermando la necessità di un accertamento concreto delle modalità della prestazione3.

2. L’art. 72 CCNL vigilanza privata: l’oggetto del contrasto interpretativo

L’art. 72 del CCNL per gli istituti e le imprese di vigilanza privata e i servizi fiduciari stabilisce che, qualora il lavoratore fruisca di un riposo giornaliero inferiore alle undici ore consecutive, le ore mancanti devono essere recuperate obbligatoriamente entro i trenta giorni successivi. La clausola non specifica, tuttavia, le modalità di recupero, limitandosi a enunciare un obbligo di carattere generale.

Da tale lacuna prende avvio il contrasto interpretativo: (i) da un lato, il lavoratore sostiene che il recupero debba tradursi in permessi retribuiti, con effetti di natura economico-compensativa; (ii) dall’altro, il datore di lavoro sostiene che l’adempimento dell’obbligo di recupero consista nel riconoscimento di intervalli di riposo più ampi tra le prestazioni, senza riduzione dell’orario di lavoro contrattuale.

La Cassazione è chiamata a stabilire se il recupero del riposo costituisca un istituto assimilabile ai permessi retribuiti (e quindi incidente sull’assetto economico del rapporto) oppure un meccanismo strettamente funzionale alla reintegrazione dell’equilibrio psicofisico del lavoratore, privo di autonoma dimensione retributiva.

3. La lettura della Cassazione: recupero del riposo e distinzione riposo/orario di lavoro

La Corte di cassazione risolve il nodo ermeneutico attribuendo al termine “recupero” un significato coerente con la funzione protettiva della disciplina dei riposi. Secondo la Corte, le parti collettive hanno voluto evitare che la compressione del riposo giornaliero al di sotto delle undici ore restasse priva di conseguenze, imponendo che le ore perdute fossero restituite al lavoratore in forma di successivo riposo aggiuntivo.

La Cassazione esclude che il recupero possa essere letto come attribuzione di permessi retribuiti, evidenziando che l’istituto non attiene all’orario di lavoro, bensì all’assetto dei periodi di riposo. Il punto qualificante della motivazione è la valorizzazione della distinzione tra “orario di lavoro” e “periodo di riposo”, mutuata dalle direttive europee sull’organizzazione dell’orario e recepita dal d.lgs n. 66/20034.

La disciplina dei riposi minimi ha, per la Corte, una funzione specifica di protezione della salute e della sicurezza del lavoratore: ciò che rileva è l’assicurazione di un adeguato intervallo libero da qualsiasi obbligo lavorativo, idoneo a consentire il recupero delle energie psicofisiche. La riduzione dell’orario di lavoro, o la corresponsione di un trattamento economico correlato, non costituisce lo scopo proprio della normativa, ma un eventuale effetto riflesso di scelte organizzative aziendali.

L’impostazione viene ribadita anche con riferimento alla disciplina delle pause di lavoro, con riguardo all’art. 74 del medesimo CCNL: la Cassazione, con l’ordinanza n. 10073 del 15 aprile 2024, esclude che la mancata fruizione delle pause possa essere remunerata come prestazione lavorativa aggiuntiva, ritenendo che le conseguenze debbano collocarsi sul piano risarcitorio e non su quello retributivo5. In parallelo, l’ordinanza n. 10070 del 15 aprile 2024 conferma la centralità della funzione di protezione della salute nella disciplina contrattuale dei tempi di riposo e di pausa6.

4. Il quadro normativo multilivello: direttive europee, d.lgs n. 66/2003 e autonomia collettiva

La decisione si inserisce in un contesto normativo complesso, nel quale si intrecciano fonti europee, disciplina legislativa interna e contrattazione collettiva.

Sul piano sovranazionale, la direttiva 93/104/CE, poi rifusa nella direttiva 2003/88/CE, ha fissato standard minimi in tema di orario di lavoro, riposo giornaliero, riposo settimanale e pause. Il legislatore interno ha dato attuazione a tali principi con il d.lgs 8 aprile 2003, n. 66, che riconosce al lavoratore il diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore.

L’art. 2, comma 3, del d.lgs n. 66/2003, come modificato dall’art. 41, comma 3, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, ha escluso dall’ambito applicativo del decreto gli addetti ai servizi di vigilanza privata, in considerazione delle peculiarità organizzative del settore7. Su questo punto la Cassazione, con la sentenza n. 6777 del 19 marzo 2018, ha precisato che l’esclusione non trova fondamento nella pretesa discontinuità ontologica delle mansioni di vigilanza, ma nelle specifiche esigenze operative che caratterizzano tali servizi, da gestire attraverso la contrattazione collettiva.

L’art. 17 del d.lgs n. 66/2003 attribuisce, infatti, alle parti sociali la possibilità di concordare deroghe ai limiti ordinari di orario e di riposo, nel rispetto delle finalità di tutela poste dalla normativa sovraordinata8. Il CCNL di settore, e in particolare l’art. 72, si collocano in questo spazio di autonomia, definendo un meccanismo di recupero delle ore di riposo non fruite che deve essere interpretato in coerenza con il sistema europeo delle tutele.

Sul piano interpretativo, la più recente giurisprudenza interna, anche su impulso del diritto dell’Unione, ha ribadito che le nozioni di “orario di lavoro” e “periodo di riposo” sono reciprocamente esclusive: un determinato segmento temporale non può essere contemporaneamente qualificato come lavoro e come riposo. La distinzione emerge nella giurisprudenza della Cassazione in tema di qualificazione dei tempi di disponibilità e trova conferme nella giurisprudenza amministrativa, ad esempio nella sentenza del Consiglio di Stato n. 7933 del 2019, che richiama espressamente gli standard europei9.

In questo quadro, la lettura dell’art. 72 CCNL proposta dalla Cassazione appare allineata alla logica sistematica delle fonti: il recupero delle ore di riposo giornaliero compresso non è un “tempo di lavoro retribuito”, bensì un tempo aggiuntivo di non lavoro, destinato a ripristinare l’equilibrio fisico e psichico del dipendente.

5. Effetti sistematici nel settore della vigilanza privata: organizzazione del lavoro e onere probatorio

La pronuncia produce conseguenze rilevanti sul piano organizzativo per le imprese di vigilanza privata. La Suprema Corte impone ai datori di lavoro di strutturare turni e rotazioni in modo tale da garantire, nel periodo di riferimento, il recupero effettivo delle ore di riposo non fruite nella misura minima di undici ore consecutive.

La Corte valorizza il canone di interpretazione secondo buona fede della clausola collettiva: il datore di lavoro deve adottare modalità di recupero che non risultino, in concreto, penalizzanti per il lavoratore e che assicurino un effettivo beneficio sul piano del recupero psicofisico. Non è sufficiente predisporre, in astratto, meccanismi di riposo compensativo; occorre che tali misure siano realisticamente fruibili, tenendo conto delle condizioni del singolo contesto produttivo (turnazioni, servizi notturni, reperibilità).

In questo senso risulta significativa la decisione del Tribunale di Napoli, sezione lavoro, 20 marzo 2025, n. 2256, che, in relazione alla previsione contrattuale sulla conversione delle ore lavorate oltre il limite delle 48 ore settimanali in permessi accantonati in un “conto individuale”, interpreta la clausola nel senso di garantire al lavoratore riposi compensativi effettivi e non meramente teorici10.

Sul versante processuale, la giurisprudenza successiva ha precisato l’allocazione dell’onere probatorio. L’ordinanza della Cassazione, Sezione lavoro, 2 aprile 2024, n. 8626, ha chiarito che il lavoratore deve allegare e provare lo svolgimento di una prestazione superiore a sei ore senza fruire delle pause o dei riposi dovuti, mentre incombe sul datore di lavoro dimostrare l’effettiva concessione e fruizione dei riposi compensativi11.

La stessa logica probatoria è stata ribadita con l’ordinanza n. 10653 del 23 aprile 2025, che ha riconosciuto il diritto del lavoratore al risarcimento del danno da usura psicofisica in presenza di un superamento sistematico dei limiti di orario fissati dalla contrattazione, valorizzando l’inerzia datoriale nell’attuazione di misure correttive effettive12.

6. Considerazioni conclusive: effettività della tutela della salute e responsabilità datoriale

La sentenza n. 29344 del 2023 si colloca in un orientamento giurisprudenziale che interpreta in chiave sostanziale la disciplina dell’orario di lavoro e dei riposi nel settore della vigilanza privata. La Corte ribadisce che il fulcro del sistema non è la remunerazione del tempo, ma la salvaguardia della salute e della sicurezza del lavoratore, costituenti beni primari di rango costituzionale.

La distinzione tra periodo di riposo e orario di lavoro, di matrice europea, diviene criterio guida per interpretare le clausole contrattuali collettive, imponendo di privilegiare soluzioni che assicurino un recupero effettivo delle energie psicofisiche rispetto a letture meramente compensative di tipo economico. In tale prospettiva, la responsabilità datoriale si sposta dal piano dell’adempimento formale delle previsioni contrattuali a quello dell’effettività delle tutele concretamente garantite.

La giurisprudenza più recente della Cassazione ha sottolineato che il mancato rispetto dei limiti di orario e di riposo, soprattutto quando la prestazione ecceda in modo sistematico le soglie fissate dalla contrattazione collettiva, può integrare un danno da usura psicofisica autonomamente risarcibile. L’ordinanza n. 18390 del 5 luglio 2024, in particolare, richiama l’esigenza di valutare il pregiudizio alla salute del lavoratore alla luce della complessiva organizzazione del lavoro, andando oltre il mero profilo retributivo13.

In tale cornice, la pronuncia n. 29344/2023 fornisce alle imprese di vigilanza privata e agli operatori del diritto un criterio chiaro: il recupero del riposo giornaliero compresso non può essere monetizzato né trasformato in permesso retribuito, ma deve essere pianificato come tempo effettivo di non lavoro. La contrattazione collettiva mantiene un ruolo centrale, ma le sue clausole devono essere lette alla luce dei principi costituzionali e del diritto europeo, in funzione di una tutela sostanziale della persona che lavora.


Note e riferimenti bibliografici

1. Cassazione civile, Sez. lavoro, sentenza 23 ottobre 2023, n. 29344. 

2. CCNL per i dipendenti da istituti di vigilanza privata e servizi fiduciari, 1 febbraio 2004 e 2 maggio 2013, art. 72. 

3. Cassazione civile, Sez. lavoro, sentenza 29 luglio 1995, n. 8337; Cassazione civile, Sez. lavoro, sentenza 19 marzo 2018, n. 6777.

4. Direttiva 93/104/CE del Consiglio, 23 novembre 1993; direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 4 novembre 2003; decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, sull’organizzazione dell’orario di lavoro.

5. Cassazione civile, Sez. lavoro, ordinanza 15 aprile 2024, n. 10073.

6. Cassazione civile, Sez. lavoro, ordinanza 15 aprile 2024, n. 10070.

7. Art. 2, comma 3, d.lgs 8 aprile 2003, n. 66, come modificato dall’art. 41, comma 3, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133.

8. Art. 17 d.lgs 8 aprile 2003, n. 66.

9. Cassazione civile, Sez. lavoro, sentenza 10 ottobre 2023, n. 28320.

10. Tribunale di Napoli, sezione lavoro, sentenza 20 marzo 2025, n. 2256.

11. Cassazione civile, Sez. lavoro, ordinanza 2 aprile 2024, n. 8626.

12. Cassazione civile, Sez. lavoro, ordinanza 23 aprile 2025, n. 10653.

13. Cassazione civile, Sez. lavoro, ordinanza 5 luglio 2024, n. 18390.