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Pubbl. Ven, 30 Gen 2015

Jobs act: una riforma per i lavoratori?

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Alessia Gargione


Analizziamo i punti principali del jobs act, che promettono di rivoluzionare la disciplina del lavoro nei prossimi mesi.


Il 3 dicembre 2014 è passata al Senato la fiducia sul "Jobs Act". Si tratta di un disegno di legge delega sulla riforma del mercato del lavoro. Già autorizzato dal Sanato l'8 ottobre con voto di fiducia, il governo si è ripresentato a Palazzo Madama per l'approvazione del provvedimento come modificato della Camera il 25 novembre 2014.

Dall’inizio di gennaio 2015 dovrebbe entrare in vigore il primo decreto delegato, che dovrebbe riguardare i contratti unici a tutele crescenti e a tempo indeterminato e la semplificazione delle norme sui licenziamenti e sugli indennizzi. Il resto dei provvedimenti (per esempio le norme sulla cassa integrazione) entreranno in vigore presumibilmente nei mesi successivi.

Il fine che si propone il Governo con tale disegno di legge di riforma del lavoro è quello di introdurre qualche garanzia in più per i giovani precari ed, eliminando l'articolo 18, di favorire la disciplina dei licenziamenti per dare agli imprenditori una ragione in più per assumere nuovo personale, favorendo così l'occupazione. La proposta però ha suscitato parecchie critiche nonché l'ira dei sindacati ed ha provocato proteste e manifestazioni diffuse in tutto il Paese.

In concreto il testo della legge delega approvato si fonda su punti sostanziali per la dignità del lavoratore. Non sono in pochi, tuttavia, a ritenere che le indicazioni date al governo siano estremamente generiche (non viene menzionato neanche il tanto discusso articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, L. n. 300/1970), al punto tale da far apparire la delega come "un contenitore vuoto". Il rischio è quello di aver ristretto eccessivamente i margini di manovra dell'esecutivo, che potrebbe facilmente cadere nell'eccesso di delega, violando così l'art. 76 Cost.

Procedendo con ordine, sembra doveroso spiegare il significato di "Jobs Act". In realtà il termine "Jobs Act" non è altro che una la parola-slogan, con un forte impatto mediatico, che dovrebbe indicare l'emanazione di un piano per il lavoro. A riprova di ciò, nella legge delega non vi è stato spazio per tale anglicismo. Si parla piuttosto di "Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro".

Gli elementi chiave della delega per promulgazione del piano per il lavoro sono:

  • Riordino delle tipologie di contratto già esistenti e introduzione del contratto a tutele crescenti.

Tutti i nuovi dipendenti verranno assunti con un contratto unico a tempo indeterminato, il quale prevede tutele crescenti in base all’anzianità di servizio. Aumenteranno così le garanzie in base all'anzianità aziendale e anche il probabile indennizzo in caso di licenziamento disciplinare. L'obiettivo è di fare sì che questa diventi la modalità base di assunzione che vada a rimpiazzare tutti i contratti atipici e  limiti l'uso di altre forme contrattuali come i contratti di collaborazione a progetto (co. co. pro. , che rimarranno in vigore solo “fino a esaurimento”).

  • Superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per i licenziamenti illegittimi.

Le nuove regole escludono il reintegro del lavoratore e prevedono un risarcimento economico che aumenta con l’anzianità di servizio; inoltre prevedono termini certi per impugnare il licenziamento. La disciplina dei licenziamenti discriminatori rimarrà inalterata, comportando, ove accertato dal giudice, il diritto al reintegro. Viene cancellato invece tale diritto per i licenziamenti economici, che riguardano l'attività produttiva o l'organizzazione del lavoro, prevedendo in tali casi solo un indennizzo fino ad un massimo di 24 mensilità e la possibilità di reintegro solo nel caso in cui i motivi economici siano «manifestamente infondati». In pratica le aziende in difficoltà potrebbero «pagare» per mandar via il lavoratore senza rischiare il reintegro con un’incognita però che, davanti al giudice, il lavoratore dimostri che si è trattato di un licenziamento se non discriminatorio almeno disciplinare e tentando così la strada del reintegro.

  • Possibilità per un’impresa di riorganizzare e ristrutturare le mansioni.

Sarà più semplice far passare il lavoratore da una mansione all'altra, senza l’obbligo di adibire i propri lavoratori ai compiti per i quali sono stati assunti (o per incarichi superiori), ma con l’obiettivo di tutelare il posto di lavoro e la professionalità. Si apre così la strada al c.d. demansionamento, cioè all’assegnazione al lavoratore di compiti di livello più basso rispetto a quelli svolti in precedenza, possibile “in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale” salvaguardando però “le condizioni economiche dei lavoratori”.

  • Nuove regole per i controlli a distanza delle attività produttive.

Nei luoghi di lavoro si potranno utilizzare (“tenendo conto dell’evoluzione tecnologica”) dispositivi elettronici per eseguire controlli, come per es. telecamere, ma solo "sugli impianti e sugli strumenti di lavoro”. Controlli fino ad oggi vietati dallo Statuto dei lavoratori.

  • Riforma dell’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi).

Universalizzazione del sussidio di disoccupazione che sarà rapportato a quanti contributi il lavoratore ha versato, estendendolo ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (almeno finché queste figure professionali non saranno definitivamente cancellate dal contratto a tutele crescenti). La nuova tutela sarà estesa a circa 300mila lavoratori, che comprendono soprattutto quelli con carriere molto discontinue.

  • Eliminazione della cassa integrazione per i dipendenti in caso di cessazione definitiva di attività.

Nel caso in cui l’attività aziendale (o una sua parte) venga cessata definitivamente e non esistano concrete possibilità di proseguimento, non sarà più possibile accedere alla cassa integrazione guadagni. Saranno introdotti nuovi limiti di durata sia per la cassa integrazione ordinaria (che ora è di due anni) sia per quella straordinaria (che è di quattro).

  • Indennità di maternità.

Sarà estesa l'indennità di maternità alle lavoratrici precarie e alle donne lavoratrici autonome che hanno figli disabili non autosufficienti. Attraverso contratti di solidarietà "attivi" si dovrebbe permettere la conciliazione al meglio dei tempi di lavoro e di vita. Si promuoverà, infine, il telelavoro.

  • Riforma degli ammortizzatori sociali.

Si prevede anche una riscrittura delle regole per gli ammortizzatori sociali, interventi messi in campo dallo Stato per aiutare chi perde il posto di lavoro. Capitolo spinoso, essendo l'unico ambito della riforma in cui lo Stato è chiamato a stanziare fondi aggiuntivi. L’obiettivo è rendere più stringenti i requisiti di accesso ed estendere la rete di sicurezza a circa 12 milioni di lavoratori. Come avviene oggi con la pensione, anche il sussidio di disoccupazione diventerebbe proporzionale all’anzianità contributiva.

Le direttrici esposte sono quelle in cui si dovrebbe muovere il Governo, tuttavia bisognerà attendere l'emanazione dei provvedimenti per avere reale contezza delle riforme apportate nel diritto del lavoro, per ora non c'è nulla di definitivo.