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Pubbl. Gio, 21 Lug 2016

La regolamentazione della legge sulle unioni civili

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Francesco Rizzello


Analisi dei tratti salienti della controversa legge sulle le unioni civili tra persone dello stesso sesso.


Il 5 giugno 2016 entra in vigore la controversa legge "Cirinnà" (l. 20 maggio 2016, n° 76), recante disposizioni in tema di unioni civili e convivenze tra persone dello stesso sesso, così concludendosi un travagliato iter lungo il percorso del quale si è potuto assistere a diversi scontri attorno alla questione, sia in seno alle rappresentanze politiche, sia nell'ambito dell'opinione pubblica. La funzione del presente articolo è quella di fornire un quadro riassuntivo della summenzionata legge, e al contempo di porre a confronto i tratti salienti dell'originario disegno di legge che pervenne in Senato, il quale costituisce il punto di partenza rispetto al testo di legge definitivamente approvato, con quelli della legge definitivamente approvata. Sono intervenuti, infatti, nel corso dei lavori svolti dalle due Camere, numerosi emendamenti e modifiche che, pur non sfregiando l'intento del disegno di legge, hanno alterato diversi equilibri all'interno di esso.
A seguito dell'approvazione, l'attenzione dei media e della pubblica opinione si è inoltre incentrata sugli eventuali risvolti penalistici della legge in esame; di notevole rilievo, in proposito, uno studio pubblicato in merito alla questione dal Prof. Gian Luigi Gatta, professore ordinario di diritto penale presso l'Università degli Studi di Milano, su un noto portale di informazione giuridica1

Istituzione delle unioni civili e modalità di costituzione

All'art. 1, co. 1 si dispone che "la presente legge istituisce l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione...". Lo scopo precipuo rimane intatto, e viene espressamente ribadita la qualificazione di "specifica formazione sociale", pertanto riconoscendo, (art. 2 Cost.) e ponendo a fondamento di tale istituto le garanzie derivanti dal principio di uguaglianza (art. 3 Cost.). 
Al co. 2 viene descritta la modalità di costituzione di una tale unione, consistente nella dichiarazione resa innanzi al pubblico ufficiale (ufficiale di stato civile) ed alla presenza di due testimoni.

Cause impeditive

Esse sono di quattro tipi, e l'elencazione rimane invariata rispetto a quella figurante nel disegno di legge:

a) sussistenza, per una delle parti, di un vincolo matrimoniale o di un'unione civile tra persone dello stesso sesso;
b) interdizione di una delle parti per infermità di mente;
c) legami di parentela, affinità, adozione, affiliazione;
d) la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l'altra
    parte

Ai sensi del co. 5, la presenza di una delle cause impeditive comporta la nullità dell'unione civile tra persone dello stesso sesso.

Assunzione del cognome di una parte

Il co. 10 permette che le parti, mediante dichiarazione all'ufficiale di stato civile, possano stabilire di assumere, per la durata dell'unione civile, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La parte può anteporre o postporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso, facendone dichiarazione all'uficiale di stato civile.

L'assenza dell'obbligo di fedeltà

"Con la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall'unione civile deriva l'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale e alla coabitazione. 
Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni
" (co. 11).
Nel disegno di legge figurava originariamente la formulazione: "dall'unione civile deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà...".
È questa una delle norme che ha provocato le maggiori critiche alla legge. Per capire perché, bisogna leggere il co. 20 dell'art. 1, il quale reca la seguente disposizione: "al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni contenenti le parole "coniuge", "coniugi" o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso...". La critica consiste nella constatazione per cui, qualora l'estensione operi esclusivamente al fine di assicurare un'effettiva tutela e un pieno adempimento degli obblighi, non si potrebbe ipotizzare un'estensione di effetti penalistici in malam partem; per tale via non sarebbe configurabile il reato di bigamia ex art. 556 c.p. (co.1: "chiunque, essendo legato da matrimonio avente effetti civili, ne contrae un altro, pure avente effetti civili, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Alla stessa pena soggiace chi, non essendo coniugato, contrae matrimonio con persona legata da matrimonio avente effetti civili".) Coloro che invece fondano la possibile non estensibilità della norma sul dato dell'assenza dell'obbligo di fedeltà, muovono una critica erronea. 
Il reato di bigamia sussiste qualora si realizzano tutti i presupposti previsti dalla norma che lo prevede: nulla ha a che vedere con i comportamenti connotati da un carattere di infedeltà, i quali hanno sfondo solitamente sessuale, ma i quali possono anche consistere in una infedeltà spirituale nei confronti del coniuge.
In parole povere, bigamia non è un sinonimo di infedeltà, e l'infedeltà non integra in alcun modo il reato di bigamia.
Gli ulteriori obblighi previsti in capo ai contraenti unione civile tra persone dello stesso sesso sono sostanzialmente identici a quelli previsti per la moglie e il coniuge ai sensi dell'art. 143 c.c.

Il Comitato per la legislazione ha, in data 12 aprile 2016, preso posizione riguardo al summenzionato co. 20, osservando che: "al comma 20, che, con norma che sembrerebbe avere carattere generale, estende alle parti delle unioni civili i diritti e i doveri derivanti dal rapporto di coniugio ad eccezione di quelli disciplinati nel codice civile e non espressamente richiamati nella legge n. 184 del 1983 in materia di adozioni, parrebbe opportuno precisare se con il suddetto rinvio si intenda richiamare anche le norme in malam partem derivanti dalla qualità di coniuge (a mero titolo esemplificativo, si consideri l'articolo 557 del codice penale, che, nel caso di omicidio, prevede un aumento di pena se il reato è stato commesso contro il coniuge, ovvero le diverse normative che pongono quale cause di incompatibilità nell'esercizio di una professione o della funzione assegnata il rapporto di coniugio con un'altra parte) e, in caso affermativo, individuare le suddette norme in maniera puntuale".

L'occasione per puntualizzare i riferimenti normativi è costituita dalla disposizione del co. 28 dell'art. 1, lett. c), in base alla quale il Governo, entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge Cirinnà, dovrà adottare uno o più decreti legislativi in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso.

In assenza degli attesi chiarimenti normativi, spetta all'interprete l'arduo compito di decidere, di volta in volta e a seconda della fattispecie che si esamina, se applicare le disposizioni generali o meno anche alla fattispecie costituita dai soggetti legati da una unione civile tra persone dello stesso sesso.

Infine, è più che opportuno ricordare che la legge penale, ancor più di altri complessi normativi, deve informarsi al criterio di precisione, inevitabile corollario del principio di legalità ex art. 25, co. 2 Cost.: "Nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso".
 

Stepchild adoption

La modifica più incisiva apportata al disegno legge depositato in Senato è quella che comporta l'impossibilità per le coppie che contraggono un'unione civile tra persone dello stesso sesso di adottare il figlio del partner (la "stepchild adoption" consiste proprio nella possibilità, per il figlio, di essere adottato dal partner del proprio genitore). L'art. 5 del disegno legge, il quale introduceva l'istituto, è stato infatti stralciato. Alle unioni civili tra persone dello stesso sesso non si applicano, inoltre, le disposizioni contenute nella legge sulle adozioni (l. n° 184/1983, "Diritto del minore ad una famiglia"). Tuttavia, la legge "Cirinnà" prevede che "resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti", al fine di consentire l'intervento e l'evoluzione giurisprudenziale in tale ambito. 
In materia è peraltro già intervenuta una pronuncia della Prima Sezione della Corte di Cassazione (n° 12962/2016).

 

 

Riferimenti bibliografici

1Prof. Gian Luigi Gatta, "Unioni civili tra persone dello stesso sesso e convivenze di fatto: i profili penalistici della legge Cirinnà", da Penalecontemporaneo.it del 11/05/2016