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Pubbl. Ven, 30 Gen 2015

Voto di scambio politico-mafioso: cos´è e quando si configura

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Matteo Consiglio


Quando la politica entra in contatto con le associazioni mafiose. Il voto di scambio.


Il reato di scambio elettorale politico-mafioso fu introdotto nel 1992 all’interno del codice penale, a seguito delle stragi di Capaci e via D’Amelio in cui rispettivamente persero la vita i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. L’introduzione della penalizzazione del voto di scambio fu considerato un passaggio necessario, anche se poco tempistico, in funzione dell’introduzione dei reati associativi mafiosi, con cui si volle stigmatizzare l’esistenza di connivenze tra politica e mafia, che proprio Falcone e Borsellino avevano teorizzato. L’intento, in buona sostanza, era quello di cercare di prevenire qualsiasi tipo di rapporto tra lo Stato e le associazioni mafiose. Difatti l’art. 416 ter doveva e deve, come si vedrà, nella nuova formulazione, essere letto in combinato disposto con l’art. 416 co3 bis c.p,  ai sensi del quale viene definita associazione di stampo mafioso, oltre i casi che non sono qui in commento, quell’associazione che opera “…al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”.
L’ormai vecchio e modificato articolo 416 ter c.p. prevedeva che le pene stabilite per reati di associazione mafiosa si sarebbero applicate anche “a chi ottiene la promessa di voti (…) in cambio dell’erogazione di denaro”.
Con questa norma, il legislatore intendeva attribuire una specifica rilevanza al fenomeno del c.d. voto di scambio che si prefigurava nel caso in cui, dietro l’erogazione di una somma di denaro all’organizzazione mafiosa, si fossero promessi, in cambio, voti politici. L’elemento costitutivo della fattispecie criminosa era il ricorso all’intimidazione ovvero alla prevaricazione mafiosa, così come previsto dal terzo comma dell’art. 416 bis di cui sopra, al fine, appunto, di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto e al fine di falsare il risultato elettorale.
Ben presto, però, questa norma fu elusa nei fatti in quanto accadeva che lo scambio di voti non avvenisse attraverso il denaro, ma ad esempio con l’assunzione di lavoratori o la concessione di appalti pubblici, tema mai così attuale in relazione al caso "Mafia Capitale".

Molte furono, in giurisprudenza e tra gli studiosi del diritto, le critiche a quest’articolo del codice penale. Infatti, la stessa giurisprudenza nelle sue varie decisioni ha tentato di ridefinire la fattispecie a tal punto di essere additata talvolta di travalicare i limiti dell’interpretazione estensiva, limite imposto in ambito penalistico, in forza delle norme costituzionali. Un primo orientamento giurisprudenziale era nel senso di sanzionare oltre l’erogazione di denaro anche l’erogazione di ogni altra utilità verso la promessa del procacciamento di voti. Un altro orientamento giurisprudenziale, non giustificabile secondo la maggior parte della dottrina, proponeva un'interpretazione sistematica della fattispecie, attraverso il combinato disposto tra il reato di scambio elettorale politico-mafioso con le norme sul concorso esterno. Il concorso esterno in associazione di tipo mafioso si realizza con l’apporto di un contributo effettivo al conseguimento degli scopi illeciti di un’associazione di stampo mafioso senza però prender mai parte al sodalizio mafioso. Questo comportava che sui candidati ad elezioni politiche che fossero indagati e poi imputati per scambio elettorale politico-mafioso pendesse anche l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Come su detto, quest’ultimo orientamento, seppur sostenuto da parte della giurisprudenza, non sembra essere giustificato dalla maggior parte della dottrina in quanto per il concorso esterno è necessaria la sussistenza del requisito del rafforzamento dell’associazione, mentre per la configurabilità del reato di scambio elettorale politico-mafioso è sufficiente dimostrare l’accordo a prescindere dall’eventuale rafforzamento dell’associazione.

Questo continuo affannarsi nella ricerca di una miglior interpretazione ermeneutica dell’art. 416 ter c.c. ha portato il legislatore a predisporre una riforma della stessa norma, operata con legge n. 62 del 18 aprile 2014.
Il nuovo articolo 416 ter c.p.
 dispone che “Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell'articolo 416-bis in cambio dell'erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. La stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma.”
Innovativi e di fondamentale importanza, sono:

  • l’inciso “di altra utilità”, in quanto risolve tutti i problemi sussistenti in relazione all’oggetto dello scambio non più di denaro vs. voti ma di denaro e di ogni altra utilità vs. voti, come possono essere la concessione di appalti pubblici o l’assunzione;
  • il contenuto della prestazione del politico candidato che deve consistere nell’erogazione (fin qui nulla quaestio) o nella promessa di erogazione di denaro o altra utilità (elemento innovativo). Sono stati così ampliati i fatti punibili;
  • la risoluzione del problema relativo ai soggetti attivi in quanto con il nuovo art. 416 ter c.p., potranno essere ritenuti colpevoli anche coloro per mezzo dei quali i voti sono “procurati” oltre che per il candidato e l’appartenente all’associazione mafiosa in forza del comma secondo.

Analizzando la nuova disposizione legislativa, la condotta passibile di incriminazione è quella dell’accettazione della promessa di procurare voti mediante le modalità previste per i reati a stampo mafioso verso la dazione in cambio di denaro od ogni altra utilità. Diventa inoltre passibile di incrimiazione, anche, la condotta che prevede la promessa di procacciare voti mediante le modalità previste per i reati di stampo mafioso.
Il testo così varato è un accettabile punto di approdo nel quale sono evidenti le differenze con la precedente formulazione dell’art. 416 ter c.p.
Cantone, Presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione, sembra essere d'accordo con la proposta di Franco Roberti, Procuratore Nazionale Antimafia, di inserire la corruzione, quale nuovo elemento, tra le modalità tipiche di commissione del reato di associazione mafiosa senza però eliminare il momento intimidatorio, ritenuto elemento fondamentale.
Sembra, quindi, prospettarsi all’orizzonte una nuova eventuale modifica legislativa della fattispecie di reato di associazione mafiosa, in forza della quale potrebbe inserirsi la corruzione, tra le modalità attraverso le quali riconoscere tale figura criminosa, mantenendo sempre fermo, però, il requisito dell’intimidazione quale carattere necessario per l'integrazione della medesima.