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Pubbl. Gio, 29 Gen 2015

Facebook: ”post” e ”like”, quando sono offensivi e punibili?

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Ambra Di Muro


Siamo proprio sicuri che ciò che scriviamo su Facebook sia sempre lecito e non costituisca piuttosto un reato? Scopriamo insieme quando ciò si verifica.


Diffusa è la convinzione che ciò che scriviamo o "postiamo" sui social network non possa esser oggetto di altrui sindacato e ci esoneri da ogni responsabilità di sorta. Capita così di imbattersi frequentemente in contenuti dal tenore offensivo, "postati" e dati in pasto alla rete, ove poi è di fatto inevitabile la diffusione virale. Vale la pena ricordare che lo scorso 22 settembre*, la Corte di Cassazione, pronunciandosi in ordine ad una vicenda integrante il reato di molestia alle persone (art. 660 c.p.) realizzato tramite social network, ha stigmatizzato la natura stessa di luogo virtuale aperto all'accesso di chiunque utilizzi la rete, di un social network o community quale Facebook.

A fronte di tali nuove forme aggregative, che esulano dall'inquadramento nella nozione tradizionale di comunità sociale, è possibile parlare di "piazza immateriale", nella quale le interazioni tra utenti sono potenzialmente infinite (proprio come le potenziali condotte illecite). Tale orientamento della Corte, che consolida l'equiparazione dei luoghi "virtuali" a quelli fisici, si inserisce  in quel filone interpretativo che, sin dall'avvento dei social network, ha rilevato quanto un loro uso distorto, attraverso la massiccia ed incontrollata diffusione dei contenuti, potesse essere astrattamente lesivo di diritti e valori costituzionalmente assistiti quali la reputazione, l'onore (1)  ed il decoro personale.
Questi ultimi rappresentano una estrinsecazione del diritto all'integrità morale, a sua volta ascrivibile alla categoria dei diritti della personalità, inviolabili e protetti in virtù del disposto dell'art. 2 della Carta Costituzionale.
A tale categoria fa da contraltare un altro diritto fondamentale dell'individuo, sancito dall'art. 21 della Costituzione, quello a manifestare liberamente il proprio pensiero. Il discrimen tra legittimo esercizio di tale diritto ed illecita lesione dell'altrui reputazione marca la distinzione delle opinioni personali o critiche da condotte integranti i reati di diffamazione ed ingiuria.
E' pacifico per la giurisprudenza ritenere le opinioni personali manifestazioni legittime del proprio pensiero e/o del diritto di critica, se esternate con modalità non denigratorie ed insinuanti e, ad ogni modo, scevre da intenti offensivi.
L'esercizio della libertà di espressione incontra un limite ove si caratterizzi per il suo tenore denigratorio, offensivo ed ingiurioso. In tale eventualità, essa non può ricevere tutela da parte dell'ordinamento ma deve essere sanzionata, anche se tali esternazioni avvengano in "piazze immateriali" come i social network.
Gli utenti di Facebook - per citare il social per antonomasia - che, trascendendo nei toni veicolino insulti ed epiteti di ogni sorta, si rendono (talora inconsapevolmente) autori di illeciti penali quali l'ingiuria e la diffamazione, perseguibili tanto in sede penale (a seguito di esperimento di querela) quanto in sede civile (per richiedere la condanna dell'autore al risarcimento del danno).

Quando i comportamenti dell'utente di un social possono integrare il reato di ingiuria?
Per poter rispondere a questo interrogativo è necessario ricostruire preliminarmente la struttura di tale reato che, disciplinato nell'art. 594 del c.p., sanziona la condotta di chiunque offenda l'onore o il decoro di una persona presente (con reclusione fino a sei mesi o multa fino a 516 euro), anche "mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa", prevedendosi un'aggravante ove "l'offesa sia commessa in presenza di più persone".
Quanto al requisito della presenza dell'offeso l'opinione prevalente in dottrina è nel senso di considerare necessaria non soltanto l'esistenza di un rapporto di contiguità spaziale tra autore del fatto e l'offeso, ma anche la percezione diretta che quest'ultimo abbia dell'offesa medesima.
La casistica giurisprudenziale recente rivela che la commissione, per via telematica o informatica, di reati contro l'onore sia esponenzialmente cresciuta. Così, un ex fidanzato che, tramite Facebook, invii mail o messaggi privati o chat di tenore eloquentemente offensivo dell'onore e della reputazione della sua ex, commette ingiuria (2).

Quando, invece, i contenuti che "postiamo" sono diffamatori?
Occorreanche in questo caso, ricostruire la struttura del reato di diffamazione. Trattasi di una fattispecie che replica l'impianto del reato d'ingiuria ma, ulteriormente rispetto a questo, l'art. 595 del c.p. richiede che l'offesa dell'altrui reputazione sia veicolata in assenza dell' offeso e con comunicazioni indirizzate a più persone (prevedendosi  la pena della reclusione fino a un anno o la multa fino a euro 1.032).
Il fatto che il soggetto offeso non sia "presente" implica che egli non abbia possibilità di replica rispetto ai contenuti diffamatori e, per ciò stesso, tale reato è sanzionato più gravemente rispetto all'ingiuria. Per altro, la diffamazione è aggravata se "l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità" ed, a tal proposito, è ormai pacifico che l'uso di internet integri questa ipotesi, per "la particolare diffusività del mezzo usato per propagare il messaggio denigratorio".
La casistica giurisprudenziale è assai variegata.
Sono state considerate diffamatorie le condotte dell' utente che su Facebook abbia:

  • Pubblicato contenuti denigratori ed infamanti, epiteti e "battute pesanti"notizie riservate la cui diffusione sia pregiudizievole per la persona offesa [a tal proposito, la Cassazione (3) ha recentemente chiarito che "perchè si configuri il reato è sufficiente che il soggetto la cui reputazione sia stata lesa sia individuabile da parte di un numero limitato di persone, indipendentemente dalla indicazione nominativa"];
  • Pubblicato fotografie ritraenti la vittima, la cui divulgazione abbia ripercussioni potenzialmente negative per la sua reputazione;
  • Apprezzato contenuti offensivi. In sostanza un "like" ad un post diffamatorio può integrare il reato in concorso con l'autore del suo contenuto. Egualmente si dica per le condivisioni degli insulti [recentemente sono stati molteplici i casi di rinvio a giudizio  per concorso in diffamazione aggravata da parte di magistrati che hanno inteso stigmatizzare la rilevanza dell'offesa alla reputazione della vittima: essa aumenta in proporzione al numero di utenti che apprezzano i post denigratori].

In definitiva, occorre tenere una condotta responsabile, consapevoli che, anche sui social network... scripta manent!

* n. 37596/2014.

(1) "Il diritto all’onore è un diritto della personalità che si ritiene comprendere sia la dignità soggettiva, propria di ogni essere umano, sia la stima oggettiva proveniente dall’ambiente sociale. (..) L’o. riceve una tutela sia inibitoria (diretta a far cessare la condotta lesiva posta in essere da terzi) sia risarcitoria (volta al ristoro delle conseguenze pregiudizievoli eventualmente subite dal soggetto leso)." [Enciclopedia Treccani].

2) Il caso citato si è concluso con la condanna dell'autore del fatto ingiurioso al risarcimento del danno. La sentenza de qua, n.770 del 2010, pronunciata dal Tribunale di Monza, è stata la prima in Italia ad occuparsi dei reati contro l'onore commessi tramite Facebook. 

3) Corte di Cassazione, sentenza n. 13604/2014.