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Pubbl. Mar, 31 Mag 2016

Fallimento: esclusa la responsabilità dell’amministratore di fatto.

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Giuseppina Landi


La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6813 del 22 febbraio 2016, ha stravolto i precedenti orientamenti giurisprudenziali fatti propri in relazione alla ascrivibilità dei reati previsti in tema di fallimento ed altre procedure concorsuali all´amministratore di fatto.


La Suprema Corte, con la sentenza in commento, si è pronunciata in merito all’applicabilità delle misure cautelari con riferimento ai reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale e ai reati di bancarotta impropria commessi nella qualità di amministratore di fatto, nell’ipotesi di società dichiarata fallita. Nella specie, la  V sezione Penale, annullando senza rinvio l’ordinanza impugnata, ha dichiarato cessata la misura cautelare, non ricorrendo gli elementi concreti per attribuire all’imputato la qualifica soggettiva di amministratore di fatto.

La Cassazione ha ritenuto che il coinvolgimento dell’imputato in una singola operazione distrattiva non sia, in assenza di indici sintomatici ulteriori, sufficiente di per sé a giustificare l’attribuzione di tale qualifica ad un soggetto formalmente estraneo alla gestione della società.

La sentenza che si annota, se pur ripercorrendo l’iter logico che aveva portato il Riesame a confermare la misura cautelare nei confronti di G., attribuendogli la qualifica di amministratore di fatto e, come tale, autore del reato, stravolge l’orientamento precedente e annulla l’ordinanza impugnata senza rinvio dichiarando cessata la misura cautelare.

Il nuovo orientamento chiarisce i caratteri e le condizioni essenziali che devono sussistere per configurare la qualifica di amministratore di fatto, per cui una singola operazione distrattiva in un'attività gestoria episodica ed occasionale non può integrare i reati di bancarotta, tanto più quando non ricorrono i caratteri propri per la qualifica dello stesso imputato amministratore di fatto.

Dunque, viene chiarito che, affinché si abbia la qualifica di amministratore di fatto della società fallita, sono necessari ulteriori elementi qualificanti come, ad esempio, il suo inserimento organico nella stessa con funzioni direttive. In caso contrario non è possibile attribuire tale qualifica.

Quella in commento è, evidentemente, una sentenza innovativa che si contrappone ad una giurisprudenza finora consolidata.

Per consolidato orientamento, infatti, in tema di reati fallimentari, il soggetto che assume la qualifica di amministratore di fatto ex art. 2639 c.c. è gravato dei doveri a cui è soggetto l’amministratore di diritto, egli assume la responsabilità penale per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui ascrivibili. (v. Cass. Pen. n. 39593 del 2011).

 La Suprema Corte, ancora, richiamando l’art. 2639 c.c. in ambito di reati socetari, ha sempre attribuito rilevanza al mero esercizio di fatto di funzioni, ribadendo più volte l’equiparazione tra amministratore di diritto e di fatto purchè quest’ultimo abbia esercitato i poteri tipici inerenti alla qualifica in modo significativo. ( Cass. Pen. n. 45671 del 2013).

La sentenza in commento, per tutte le considerazioni svolte, apre una nuova prospettiva di lettura in ordine alla qualifica di amministratore di fatto, relativamente alla ascrivibilità dei reati contemplati dalla Legge Fallimentare.