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Pubbl. Ven, 13 Mag 2016

Arresti domiciliari: possibilità per l’imputato di assentarsi dal luogo di arresto per fare visita al figlio minorenne

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Samuele Miedico


Con la sentenza n. 16964/2016, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla possibilità dell’indagato, sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, di essere autorizzato ad allontanarsi dal domicilio in cui la misura viene eseguita, per fare visita ad un figlio minorenne, nei momenti stabiliti all’atto della separazione coniugale.


Come noto, gli arresti domiciliari impongono all’imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora ovvero da un luogo pubblico di cura o di privata assistenza. È tuttavia possibile, in base al terzo comma dell’art. 284 c.p.p., una attenuazione del rigore della misura, in quanto l’imputato può essere autorizzato ad assentarsi dal luogo di arresto, per il tempo strettamente necessario, se esso “non può altrimenti provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita ovvero versa in situazione di assoluta indigenza”.

Ebbene, con la sentenza n.16964/2016, la Cassazione ha affermato che la nozione di “indispensabili esigenze di vita” deve essere intesa non in senso meramente materiale o economico, bensì tenendo conto della necessità di tutelare i diritti inviolabili della persona individuati dall’art. 2 Cost..

Il caso in esame.

La seconda sezione penale della Corte di Cassazione è stata chiamata ad esprimersi in merito per effetto del ricorso avverso una ordinanza sfavorevole pronunciata dal Tribunale di Palermo in data 16/10/2015 che, in funzione di giudice del riesame, aveva rigettato un appello dell'interessato, sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, contro la decisione emessa in data 22/09/2015 dalla Corte di Assise di Appello. Con tale ordinanza, era stata negata allo stesso soggetto l'autorizzazione ad allontanarsi dal proprio domicilio durante i fine settimana, nell'arco temporale previsto dal provvedimento di separazione legale, per potersi incontrare con la figlia minore.

La Corte di Assise di Appello, nel giustificare il proprio diniego, aveva evidenziato che siffatto tipo di allontanamento non rientrava nella previsione di cui all'art. 284, comma 3, c.p.p., presupponendo che detta norma facesse riferimento ad esigenze di natura meramente materiali. In particolare, le “indispensabili esigenze di vita” vengono, in tal senso, intese “come esigenze di approvvigionamento del detenuto di beni primari per la vita e per la salute”.

La Suprema Corte, dal canto suo, ha ritenuto non condivisibili le conclusioni del Tribunale di Palermo, poiché, a parere della Cassazione, non può escludersi che “le indispensabili esigenze di vita” di cui al terzo comma dell'art. 284 c.p.p. possano riguardare non solo bisogni materiali, ma altresì spirituali, nel cui ambito può rientrare anche il rapporto con un figlio minorenne per il limitato arco temporale, solitamente coincidente con il fine settimana, previsto dall'atto di separazione consensuale.

Secondo gli Ermellini, infatti, la “situazione di assoluta indigenza” deve essere intesa in riferimento alle necessità primarie dell’individuo o dei familiari a suo carico e, dunque, in base ad una concezione strettamente “pauperistica”.  

Le “indispensabili esigenze di vita”, invece, non vanno interpretate solo in termini precipuamente economici, venendo in rilievo anche i diritti inviolabili dell'uomo che la Costituzione tutela sia come singolo che nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità, in conformità a quanto previsto dall'art. 2 (intesa come norma volta ad assicurare all’individuo l’esplicazione della propria personalità nelle formazioni sociali e familiari, salve le limitazioni ragionevolmente imposte a causa della singola e concreta condizione carceraria). Se così non fosse, infatti, sarebbe stato sufficiente menzionare unicamente l’assoluta indigenza quale causa di giustificazione dell’autorizzazione ad allontanarsi.

Pertanto, stanti le difficoltà dell’imputato, già costretto ad allontanarsi dal nucleo familiare in quanto collaboratore di giustizia e, altresì, separato dal coniuge, di mantenere contatti con la figlia minore, tale necessità è stata ritenuta dalla Corte come espressione del diritto ad espletare le funzioni genitoriali e di coltivare uno dei rapporti fondamentali nella vita di relazione familiare, da riconoscersi e favorirsi in virtù del principio di solidarietà espresso dalla seconda parte dell’art. 2 della Costituzione.

La Corte ritiene quindi che, in linea di continuità con l'orientamento secondo il quale è principio di civiltà che a colui che subisce una restrizione carceraria sia riconosciuta la titolarità di situazioni soggettive attive e teso a garantire quella parte di diritti della personalità che neppure la pena detentiva deve e può intaccare, il diritto al mantenimento di relazioni familiari e sociali sia comprimibile solo ove ricorrano specifiche e motivate esigenze di sicurezza pubblica o, per i detenuti in attesa di giudizio, d'ordine processuale.

In aggiunta a ciò, gli Ermellini affermano che deve essere preso in considerazione l’art. 277 c.p.p., il quale recita che “le modalità di esecuzione delle misure devono salvaguardare i diritti della persona ad esse sottoposta, il cui esercizio non sia incompatibile con le esigenze cautelari del caso concreto”. Pertanto, il rispetto dei diritti della persona viene subordinato alla loro compatibilità con le esigenze cautelari, con la conseguenza che potrà ritenersi legittima una limitazione di essi, nei confronti di una persona sottoposta agli arresti domiciliari, quando detta limitazione non dia luogo ad una loro totale soppressione e sia comunque finalizzata a garantire le esigenze cautelati.

In definitiva per la Suprema Corte, i diritti della persona, quali espressione delle “indispensabili esigenze di vita”, debbono essere ritenuti prevalenti, se ed in quanto compatibili con le esigenze cautelati relative al caso concreto.

Riflessioni critiche.

L’aspetto più rilevante della pronuncia in commento riguarderebbe il fatto che, lentamente ma progressivamente, i diritti dell’imputato sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari vengono estesi, oltre che ai meri bisogni materiali ed economici, anche agli aspetti spirituali, ed in particolare al diritto di mantenere i rapporti con gli altri membri della famiglia.

Se è vero tutto ciò, bisogna comunque porre attenzione ad un rischio-limite: evitare lo svuotamento della portata dell’art. 284 c.p.p., possibile mediante un riconoscimento incondizionato dei bisogni spirituali come meritevoli di tutela e prevalenti rispetto a qualsiasi esigenza cautelare.

 

FONTI E BIBLIOGRAFIA

(1) Cass. n. 16964/2016

- P. Tonini Manuale di Procedura Penale, XVI Edizione, 2015, Giuffrè Editore