Pubbl. Gio, 19 Mag 2016
I reati aggravati dall´evento
Modifica paginaReati aggravati dall’evento e loro inquadramento giuridico. Brevi riflessioni critiche sulla recente ipotesi di “morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale”, introdotta dalla tanto attesa riforma dei reati ambientali.
Indice: 1. Reati aggravati dall’evento. Disciplina. - 2. Confronto con istituti affini. L’aberratio delicti ex art. 83 c.p e l’art. 586 c.p. - Una recente e controversa ipotesi di reato aggravato dall’evento: l’art. 452 ter c.p.
1. Reati aggravati dall’evento. Disciplina.
Si definiscono come “reati aggravati dall’evento” i reati per i quali è previsto un aumento di pena per il verificarsi di un evento ulteriore rispetto al fatto che già di per sé costituisce reato.
Tale fenomeno si riscontra soprattutto nell’ambito dei reati commissivi dolosi, ma non mancano ipotesi di reati omissivi (art. 593, ult. Comma c.p), delitti colposi (art. 452 c.p) e contravvenzioni (art. 689, 2° comma c.p).
Tradizionalmente, si individuano tre categorie.
In un primo gruppo, rientrano quei reati in cui l’evento ulteriore deve essere necessariamente non voluto (nemmeno a titolo di dolo eventuale), in quanto, se fosse voluto, si applicherebbe una diversa fattispecie penale (si potrebbero citare, a titolo di esempio, i reati di maltrattamenti in famiglia o di aborto non consentito, che si trasformano nei reati di lesioni personali o di omicidio se i rispettivi eventi ulteriori sono voluti).
In un secondo gruppo, troviamo quei reati rispetto ai quali è indifferente che l’evento aggravante sia voluto o meno.
In un terzo gruppo, infine, sono ricompresi quei reati nei quali l’aumento della pena è subordinato al verificarsi di un evento ulteriore e necessariamente voluto, come nel caso del reato di fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e mutilazione fraudolenta della propria persona, per il quale è previsto un aumento della pena nel caso in cui il colpevole consegua effettivamente l’indennizzo di una assicurazione o comunque un vantaggio derivante da un contratto di assicurazione.
Il principale problema che la dottrina e la giurisprudenza hanno dovuto affrontare, in mancanza di una espressa presa di posizione del legislatore sul punto, è quello relativo alla natura giuridica di tali reati.
In particolare, il dibattito si è incentrato sulla categoria dei reati aggravati da un evento non voluto, che sembrerebbero, a primo acchito, rappresentare l’espressione più emblematica del brocardo latino “qui in re illicita versatur tenetur etiam pro casu”. In altre parole, chi commette un illecito, risponde anche per tutte le conseguenze che si siano verificate accidentalmente.
Posta in questi termini, tuttavia, la categoria dei reati aggravati dall’evento configurerebbe un’inammissibile ipotesi di responsabilità oggettiva penale, con la conseguenza che l’evento sarebbe attribuibile all’agente in virtù del semplice nesso di causalità materiale.
Proprio questa era, in effetti, la tesi prevalente all’epoca della emanazione del Codice Rocco.
L’entrata in vigore della Costituzione, tuttavia, ha necessariamente imposto una diversa chiave di lettura, ispirata al fondamentale principio di personalità della responsabilità penale.
La responsabilità penale, secondo il dettato della Carta Costituzionale, è personale e ciò impone che sia ravvisabile una colpevolezza, intesa non in senso meramente psichico, ma normativo, da concepire come giudizio di rimproverabilità per l’atteggiamento antidoveroso della volontà che era possibile non assumere.
Il dibattito sulla natura giuridica dei reati aggravati dall’evento si è dunque spostato sull’inquadramento degli stessi tra le figure del reato circostanziato o tra le fattispecie autonome di reato.
In particolare, taluni ritengono che tali reati presentino le note strutturali del delitto preterintenzionale delineato dall’art. 43 c.p, ricorrendo gli elementi del delitto doloso seguito da un evento ulteriore non voluto.
Altra dottrina[1], invece, riconduce i reati aggravati dall’evento alla categoria dei reati circostanziati, con la precisazione che, rispetto agli eventi futuri, in luogo della conoscenza o conoscibilità del fatto che integra la circostanza (richiesta in via generale per le circostanze aggravanti), si richiede invece la rappresentazione o rappresentabilità, la previsione o la prevedibilità.
L’inquadramento nell’una o nell’altra categoria non è questione puramente dogmatica, ma foriera di conseguenze pratiche di un certo tenore.
L’inquadramento nella categoria delle circostanze aggravanti comporta infatti l’applicabilità ai reati aggravati dall’evento della regola del bilanciamento di cui all’art. 69 c.p, con la possibilità che si verifichino risultati incongruenti, per evitare i quali non resta che affidarsi alla cautela e al buon senso del giudice.
2. Confronto con istituti affini. L’aberratio delicti ex art. 83 c.p e l’art. 586 c.p.
Ipotesi per certi versi simile a quella dei reati aggravati dall’evento è quella dell’aberratio delicti, che ricorre quando l’agente, per un errore nell’uso dei mezzi di esecuzione o per altra causa, finisce per realizzare un reato diverso rispetto a quello che intendeva commettere.
Anche in questo caso abbiamo quindi una condotta seguita da conseguenze diverse da quelle volute.
Il codice penale disciplina tale evenienza all’art. 83 , stabilendo che il “colpevole risponde, a titolo di colpa, dell’evento non voluto, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”.
A che titolo viene pertanto imputato il reato diverso?
Trattandosi di un reato non voluto, è sicuramente da escludere che sia addebitabile a titolo di dolo.
L’unica alternativa sembrerebbe pertanto quella dell’imputazione a titolo di colpa, con la conseguenza che il reato diverso sarebbe attribuibile solo nel caso in cui il giudice accerti nel caso concreto la colpa rispetto all’evento non voluto.
Autorevole dottrina[2], tuttavia, ritiene più aderente alla voluntas legis originaria l’attribuzione del reato diverso a titolo di responsabilità oggettiva, intendendo l’inciso “a titolo di colpa” come sinonimo dell’espressione “come se fosse colposo”. Secondo questa tesi, pertanto, il riferimento alla colpa andrebbe inteso solo come riferimento al piano del trattamento punitivo, nel senso che si applicherebbe il regime sanzionatorio previsto per il corrispondente delitto colposo.
Come è ovvio, infatti, affinché il reato diverso sia attribuibile al soggetto agente, è necessario che il legislatore ne sanzioni espressamente la realizzazione nella forma colposa.
L’art. 83, 2° comma c.p prende poi in considerazione l’ipotesi in cui il soggetto agente realizzi sia l’evento non voluto che quello voluto mediante la stessa condotta, stabilendo come conseguenza l’applicazione delle regole sul concorso di reati.
Ipotesi affine a quella dell’aberratio delicti è quella contemplata dall’art. 586 c.p, a tenore del quale si applicano le disposizioni di cui all’art. 83 c.p per l’ipotesi in cui, da un fatto previsto come delitto doloso, derivi come conseguenza non voluta la morte o la lesione di una persona, con applicazione di un regime sanzionatorio più gravoso rispetto a quello previsto dagli artt. 589 e 590 c.p.
Tanto nell’ipotesi di cui all’art. 83 c.p, quanto in quella di cui all’art. 586 c.p si ha infatti la realizzazione di una condotta sorretta dal dolo seguita da un evento non voluto, che nella seconda ipotesi è la morte o la lesione.
Come sottolineato da attenta dottrina[3], tuttavia, le due ipotesi divergono per alcuni aspetti.
In primo luogo, la norma di cui all’art. 586 c.p non richiede, perché possa imputarsi la responsabilità per l’evento non voluto, un’indagine sull’errore nell’uso dei mezzi o sull’altra causa.
In secondo luogo, nell’ipotesi di cui all’art. 586 c.p, il reato presupposto deve essere un delitto diverso da quello di percosse o lesioni, ricorrendo altrimenti l’ipotesi di cui all’art. 584 c.p.
Infine, l’art. 586 prevede un aumento di pena, non contemplato invece dall’art. 83 c.p.
Fortemente controversa è poi la natura dell’elemento soggettivo del reato.
Secondo una prima tesi, sarebbe sufficiente una pura e semplice causalità materiale. Sarebbe in altre parole sufficiente accertare la sussistenza del nesso causale tra la condotta e l’evento, senza la necessità di indagare gli elementi psicologici del dolo o della colpa con riferimento alla morte o alla lesione.
Una seconda tesi, maggiormente rispettosa del principio di colpevolezza di cui all’art. 27 Cost., richiede invece che l’evento non voluto sia almeno prevedibile in concreto, rendendo dunque necessario verificare se il reato doloso di base comportasse nella pratica un rischio preventivabile per i beni della vita e della incolumità personale.
Una terza tesi ancora, infine, ritiene che sia necessaria la verifica della sussistenza della colpa anche con riferimento agli eventi non voluti.
La questione è stata infine affrontata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione[4], con riferimento alla responsabilità dello spacciatore non immediato per la morte del tossicodipendente a seguito dell’assunzione dello stupefacente.
La Suprema Corte ha dunque affermato che “nell’ipotesi di morte verificatasi in conseguenza dell’assunzione di sostanza stupefacente, la responsabilità penale dello spacciatore ai sensi dell’art. 586 cod. pen. per l’evento morte non voluto richiede che sia accertato non solo il nesso di causalità tra cessione e morte, non interrotto da cause eccezionali sopravvenute, ma anche che la morte sia in concreto rimproverabile allo spacciatore e che quindi sia accertata in capo allo stesso la presenza dell’elemento soggettivo della colpa in concreto, ancorata alla violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma penale che incrimina il reato base) e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità in concreto del rischio per il bene della vita del soggetto che assume la sostanza, valutate dal punto di vista di un razionale agente modello che si trovi nella concreta situazione dell’agente reale ed alla stregua di tutte le circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale.[5]”
3. Una recente e controversa ipotesi di reato aggravato dall’evento: l’art. 452 ter c.p.
Un’ipotesi interessante di reato aggravato dall’evento, costruita sulla falsariga dell’art. 586 c.p e introdotta solo di recente con la legge 68/2015 è quella di cui all’art. 452 ter c.p.
Art. 452 ter c.p - Morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale
Se da uno dei fatti di cui all'articolo 452-bis deriva, quale conseguenza non voluta dal reo, una lesione personale, ad eccezione delle ipotesi in cui la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni, si applica la pena della reclusione da due anni e sei mesi a sette anni; se ne deriva una lesione grave, la pena della reclusione da tre a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la pena della reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva la morte, la pena della reclusione da cinque a dieci anni.
Nel caso di morte di più persone, di lesioni di più persone, ovvero di morte di una o più persone e lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per l'ipotesi più grave, aumentata fino al triplo, ma la pena della reclusione non può superare gli anni venti.
È stata dunque inserita una fattispecie di reato di inquinamento ambientale aggravato dall’evento di morte o lesioni, con pene diverse graduate in base alla gravità delle conseguenze.
L’introduzione di questa e di altre fattispecie è senza dubbio encomiabile e risponde alla volontà del legislatore di fornire una tutela penale a fatti davvero drammatici, fra i quali si può citare, tra tutti, il caso emblematico dei decessi e delle patologie imputabili all’inalazione delle polveri di amianto da parte dei dipendenti degli stabilimenti in cui veniva prodotto e dei soggetti residenti nei pressi degli stessi.
Si trattava di fatti ignorati dal legislatore penale e che la giurisprudenza aveva cercato di tutelare attraverso l’applicazione del reato di disastro innominato ex art. 434 c.p.
Sebbene sia quindi apprezzabile una esplicita presa di posizione sul punto da parte del legislatore, la fattispecie si espone cionondimeno a taluni rilievi critici.
In primo luogo,è stato osservato[6] che suscita delle perplessità la scelta del legislatore di non prevedere una previsione analoga con riferimento al più grave reato di disastro, che si riferisce a ipotesi di inquinamento ben più gravi e potenzialmente più dannosi per l’incolumità fisica delle persone.
Non si comprende, in altre parole, la ragione per la quale il legislatore non abbia voluto prevedere una sanzione specifica per le conseguenze mortali o lesive che possono derivare da una “alterazione irreversibile dell’ambiente” o da una “l'alterazione dell'equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali”, limitandosi invece a sanzionare solo quelle frutto di una “compromissione o di un deterioramento”.
Tale scelta appare ancora più incomprensibile e irragionevole se si tiene in considerazione un’ulteriore circostanza.
L’art. 452-quater c.p stabilisce che costituisce disastro ambientale non solo l’alterazione irreversibile dell’equilibrio dell’ecosistema o l’alterazione reversibile ma onerosa e complessa da realizzare, ma anche “l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo”. Da ciò conseguirebbe che il meno grave reato di inquinamento ambientale si dovrebbe applicare solo laddove la condotta non abbia cagionato un’offesa (anche nei termini di un’esposizione a pericolo) alla pubblica incolumità.
Pertanto, il legislatore avrebbe previsto un trattamento sanzionatorio più elevato per il caso in cui dalla condotta di inquinamento sia derivato l’ulteriore evento della morte o lesioni di una o più persone, mentre una simile conseguenza in termini di aggravamento della pena non è stata prevista per il caso di disastro ambientale, che si verifica, tra le altre cose, tutte le volte in cui l’inquinamento abbia arrecato un’offesa al bene della pubblica incolumità.
Un ulteriore rilievo critico riguarda poi l’elemento psicologico.
Il fatto doloso dell’inquinamento ambientale potrebbe significare la previsione e l’accettazione delle ulteriori conseguenze, con il risultato che l’evento ulteriore della morte o della lesione potrebbe essere imputato anche a titolo di dolo eventuale.
Tale aspetto rappresenterebbe un’irragionevole divergenza rispetto alla disciplina di cui all’art. 586 c.p, rispetto al quale l’evento morte o la lesione deve porsi come evento non voluto nemmeno in via eventuale e indiretta dall’agente, diversamente configurandosi un vero e proprio concorso di reati tra il delitto inizialmente preso di mira e il delitto realizzato come conseguenza del primo.
Note e riferimenti bibliografici
[1] G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale, Parte generale, sesta edizione, 2009, pag.650 e seg.
[2] G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale - Parte generale, sesta edizione, 2009, pag.394 e seg.
[3] R. GAROFOLI, Compendio di diritto penale - Parte generale, 2014, pag. 395 e seg.
[4] Cass. S. U. pen. sent. 29/05/2009 n. 22676.
[5] Massimario Altalex: http://www.altalex.com/documents/massimario/2009/07/08/spacciatore-droga-sostanza-stupefacente-morte-collegamento-psicologico.
[6] Rel. N. III/04/2015 dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione (settore penale), intitolata “Novità legislative: Legge n. 68 del 22 maggio 2015, recante “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, maggio 2015.