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Pubbl. Mar, 7 Giu 2016

La responsabilità extracontrattuale

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Francesco Rizzello


Dopo aver trattato la responsabilità contrattuale, ci si appresta ad esaminare quella extracontrattuale. Lo scopo dell´articolo è quello di analizzare la responsabilità aquiliana nei suoi tratti più salienti.



Premesse e tipologie

Il Titolo IX del Libro Quarto "Delle obbligazioni" del Codice Civile si apre con la norma cardine in ambito di responsabilità extracontrattuale, l'art. 2043 c.c. 

"Qualunque fatto doloso, o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno".


Il primo aspetto che emerge è il principio di atipicità degli atti illeciti, ossia la mancanza di una previsione che elenchi tassativamente le fattispecie che costituiscano la responsabilità aquiliana. Tale principio è strettamente correlato al concetto di "danno ingiusto", in quanto spetterà di volta in volta all'interprete stabilire quali comportamenti vadano ad integrare il presupposto dell'ingiustizia del danno.
Si giunge alla qualificazione attraverso un'attività valutativo-comparativa, la quale terrà conto, da un lato, dell'interesse minacciato da un determinato tipo di condotta, e dall'altro, dell'interesse che l'agente con quella determinata condotta realizza o vuole realizzare.

Nonostante, come si è già detto, la figura dell'illecito aquiliano sia retta dal principio di atipicità, le condotte illecite che danno luogo a risarcimento per fatto illecito possono essere raggruppate in una serie di macro-categorie, a partire dagli illeciti contro la persona. In questa categoria rientrano agli atti lesivi della vita, dell'integrità fisica, della salute e della libertà altrui. È importante, peraltro, non escludere dal novero delle condotte in questione quelle che realizzano un danno attraverso comportamenti immateriali. Possono, infatti, rientrare nell'ambito degli illeciti contro la persona anche le parole usate al fine di insultare e causare turbamento al destinatario, come anche gli atti che indirettamente causino shock ed infermità nell'osservatore, e via dicendo. Nel caso di uccisione di una persona, vi è l'attribuzione del diritto di risarcimento ai familiari e al convivente compagno di vita. Vi sarà risarcimento del danno patrimoniale, se la vittima li manteneva (in adempimento di un obbligo giuridico o non), e in ogni caso del danno non patrimoniale per il dolore derivante dalla perdita della persona cara.

Vi sono poi gli illeciti contro l'onore, la riservatezza e la verità personale. La diffamazione consiste nella comunicazione di notizie, opinioni, voci, che offendono la reputazione altrui, A differenza del diritto penale, ove vi è responsabilità, in caso di diffamazione, solo se la comunicazione diffamatoria è posta in essere con l'intento di offendere, nel diritto civile si ha responsabilità anche qualora la condotta sia la conseguenza di colpa in capo all'agente ("qualsiasi fatto doloso, o colposo").
Peraltro, se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la verità del fatto stesso non costituisce, come unico fattore, causa di giustificazione. Occorre, infatti, che la divulgazione del fatto vero risponda a un interesse apprezzabile; ed è perciò che costituiscono cause di giustificazione l'esercizio della cronaca e della critica su fatti di pubblico interesse e la comunicazione di notizie nello svolgimento di un rapporto professionale, purché i fatti resi noti siano veri, o ritenuti tali basandosi su di un accertamento improntanto ai canoni della serietà e della diligenza, e i giudizi di cui la notizia è corredata siano proporzionati allo scopo che li giustifica (in tal senso: Cass. civ. n. 22190/09; 11259/07; 2752/07; 1205/07). Dalle considerazioni appena svolte deriva che vi sarà illecito qualora la divulgazione avvenga esclusivamente al fine di ridicolizzare, umiliare o, più generalmente, di esporre una persona all'opinione pubblica.
La diffusione di notizie non vere sul contro di una persona, anche se di carattere non diffamatorio, costituisce una lesione del diritto di ciascuno all'identità e verità personale, se in questo modo è leso un interesse di sufficiente rilevanza ideale o patrimoniale. Il risarcimento del danno non patrimoniale, in questi casi, è limitato alle ipotesi in cui la falsa notizia provenga da una banca dati (art. 29, comma 9, l. 31 dicembre 1996, n. 675). Si ricordi, a proposito, che ex art. 2059 c.c., il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nei casi espressamente previsti dalla legge.

"Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge." 

Inoltre, ognuno gode di un diritto alla riservatezza della vita privata, all'immagine (art. 10 c.c.) e un diritto generale alla riservatezza di matrice giurisprudenziale.  

"Qualora l'immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l'esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l'autorità giudiziaria, su richiesta dell'interessato, può disporre che cessi l'abuso, salvo il risarcimento del danno."


Ulteriori ipotesi raggruppabili in categorie danti luogo a responsabilità extracontrattuale sono le lesioni di diritti reali, i danni all'ambiente, il pregiudizio a posizioni contrattuali (vi è, ad esempio, responsabilità del terzo quando, mosso dall'intento specifico di danneggiare il creditore, induca il debitore all'inadempimento mediante incentivi impropri o cooperi con lui attivamente in una manovra fraudolenta a danno del creditore), la concorrenza sleale e gli illeciti contro l'impresa, la falsa informazione (ma trattandosi di informazione di cortesia la responsabilità è limitata alle ipotesi di dolo o colpa grave), la responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte e la responsabilità per omissione (la quale diviene illecita, solitamente non essendolo, quando costituisca violazione di uno specifico dovere giuridico di agire: ciò può derivare dalla legge, da un contratto o da un precedente comportamento attivo).

Cause di giustificazione

Esse tengono immune l'agente da una qualsiasi conseguenza giuridica della propria condotta, operano quindi su ogni livello dell'ordinamento (non si avrà, pertanto, responsabilità civile, né penale, né di alcun altro tipo).
Anzitutto vi è l'esercizio di un diritto (art. 51 c.p., in particolare, il comma primo), clausola generale ed indeterminata, la cui applicabilità alla fattispecie concreta è rimessa di volta in volta all'interprete.

"L'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità."

Vi sono anche delle cause tipiche di giustificazione: il consenso dell'avente diritto, la legittima difesa e lo stato di necessità.
In base alla prima, non è responsabile chi lede un diritto con il consenso della persona che può validamente disporne (art. 50 c.p.).
Da tenere presente in questo contesto il dato per cui i diritti personali alla vita, alla salute, all'integrità fisica, all'onere e i diritti fondamentali di libertà non sono disponibili.
Per quanto riguarda la seconda, non è responsabile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporizionata all'offesa (artt. 2044 c.c., 52 c.p.).
Mentre rientrano nella terza categoria le condotte dannose nascenti dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, se il pericolo non è stato da lui volontariamente causato, né era altrimenti evitabile.

Il dolo 

Esso consiste nella coscienza e nella volontà di cagionare l'evento dannoso. Dev'essere inoltre conosciuto il carattere ingiustamente dannoso dell'evento; non è invece necessario che il dolo rappresenti lo scopo specifico a cui è improntanto l'atto, ma è sufficiente che il risultato sia stato previsto ed accettato dall'agente come conseguenza certa (o quasi certa) del suo operato. Si agisce, inoltre, ed ovviamente, sempre dolosamente anche nell'erronea convinzione che il comportamento connotato da dolo non sia vietato (si veda l'art. 5 c.p.).

La colpa

Si è in presenza di fatto colposo quando l'evento che ha cagionato danno non è voluto dall'agente e si è verificato a causa di negligenza, imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
Il criterio di valutazione del comportamento posto in essere dall'agente è costituito dalla diligenza dovuta secondo le circostanze e non coincide con la diligenza media o usuale. Nel valutare la colpa dell'agente si fa riferimento a ciò che avrebbe potuto prevedere, al suo posto, una persona dotata delle cognizioni generali che sono oggetto di comune conoscenza nel ceto sociale e nel gruppo professionale di cui l'agente fa parte.

La capacità di intendere e di volere

Il presupposto perché si possa avere l'illecito aquiliano è la sussistenza della capacità di intendere e di volere in capo all'agente, da intendersi non quale capacità legale, bensì capacità naturale. Essa difetta in coloro che non sono sufficientemente maturi, ovvero affetti da malattia mentale o altre minorazioni o stati ipnotici; può inoltre derivare da ubriachezza o intossicazione in seguito all'assunzione di sostanze stupefacenti. Essenziale precisare che, qualora lo stato d'incapacità derivi da colpa dell'agente, questi è responsabile.