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Pubbl. Mar, 10 Mag 2016

Le stanze del buco: tra approccio medico ed approccio culturale

Salvatore Aromando


Origini, ascesa e risultati di una realtà presente a livello europeo ed extraeuropeo


Le stanze del buco sono spazi in cui è possibile consumare droga e dare assistenza medica a chi ne fa uso. Al contrario di quanto pensa l'opinione pubblica, questi spazi non hanno la pretesa di incentivare le persone che fanno uso di queste sostanze a continuare col proprio vizio, al contrario, partendo dal presupposto che sarebbe illusoria una società senza consumo di droga, questi spazi affrontano la questione educando chi ne dipende e i loro familiari. In vari paesi queste sale sono delle vere e proprie realtà tutelate. Tuttavia, risultano ancora oggi oggetto di critiche legate, nella maggior parte dei casi, alla concezione sociale della tossicodipendenza.

Le stanze del buco sono spazi in cui è possibile consumare droga e dare assistenza medica a chi ne fa uso. Al contrario di quanto pensa l'opinione pubblica, questi spazi non hanno la pretesa di incentivare le persone che fanno uso di queste sostanze a continuare col proprio vizio, al contrario, partendo dal presupposto che sarebbe illusoria una società senza consumo di droga, questi spazi affrontano la questione educando chi ne dipende e i loro familiari. In vari paesi queste sale sono delle vere e proprie realtà tutelate. Tuttavia, risultano ancora oggi oggetto di critiche legate, nella maggior parte dei casi, alla concezione sociale della tossicodipendenza.

Le stanze del buco sono un modello sostenibile in crescita. Per capire come e quando siano nati questi spazi, bisogna tornare indietro nel tempo: nella Svizzera degli anni Novanta. Pur essendo la nazione elvetica un'oasi felice dal punto di vista economico, presentava problemi di carattere sociale. La Svizzera di quegli anni si trovava di fronte ad una crisi sanitaria senza precedenti: l'HIV e il consumo di droghe raggiungevano quote preoccupanti. Platzspitz, Needlepark e Letten erano diventati gli spazi a cielo aperto dove avveniva il consumo dell'eroina. L'allora governo svizzero, che in un primo momento non comprese la gravità della situazione, decise di risolvere il problema in questione con una soluzione inusuale: il Binario 9.

Poco distante dalla stazione dei treni, Binario 9 diventò il primo spazio chiuso in cui i tossicodipendenti potevano consumare droghe in maniera controllata e sicura. L'ex Presidente della Confederazione Svizzera e membro della "Commissione Globale per le politiche sulla droga", Ruth Dreifuss, affrontò la questione proponendo un nuovo percorso che, gradualmente, potesse risolvere la situazione, ossia, la riduzione dei rischi. La scelta di optare per questa alternativa anziché liberalizzare o reprimere il consumo di droghe, permetteva di affrontare il problema in maniera pratica offrendo, attraverso uno spazio controllato, la dovuta assistenza. Per i tossicodipendenti questo spazio rappresentava uno strumento che potesse renderli coscienti e responsabili riguardo all'uso di sostanze stupefacenti.

Il presupposto base di questa politica prevede la riduzione dei danni provocati dall'eroina, che viene iniettata per via endovenosa, in condizioni igieniche ottimali.

In relazione a queste stanze, Daniele Zullino, capo dell'ambulatorio dell'ospedale di Ginevra spiega che "il principio di base è che l'eroinomane deve poter sopravvivere prima di decidere di voler smettere". Pur facendo leva sulla psicologia del paziente, le stanze del buco risultano per l'opinione pubblica una realtà ancora atipica, dal momento in cui sembra assurdo curare un drogato con la droga stessa. A questo interrogativo, Zullino risponde difendendo l'operato proposto da questa politica: "Chi viene da noi è sotto controllo costante, migliora il suo stato di salute psicofisica, elimina il rischio di contrarre il virus dell'HIV o l'epatite, è in contatto con i medici che cercano di portarlo sulla strada dell'astinenza. Non solo: difficilmente spaccherà vetrine per rapinare qualche negozio o scipperà qualche vecchietta con la quasi certezza di finire dietro le sbarre".

Dal punto di vista giuridico, in Svizzera, è considerato illegale il possesso e il consumo di droghe leggere e pesanti. L'unica eccezione sono, per l'appunto, i luoghi in cui il consumo è controllato: è a questa categoria che appartengono le stanze del buco.

Seppur visto con reticenza dall'Organizzazione mondiale della Sanità, il modello elvetico è stato introdotto e/o sperimentato in vari stati. Tra questi, possiamo citare: Germania, Spagna, Olanda, Danimarca, Gran Bretagna, Portogallo e Canada.

Ascesa internazionale delle stanze del buco

Le nazioni che per prime e a livello mondiale hanno beneficiato di questo metodo sono state Germania ed Olanda. Le Fixerstuben, presenti nella Repubblica Federale dal 1994, hanno contribuito significativamente alla riduzione del consumo degli oppiacei seppur in assenza di una normativa univoca. La politica sanitaria relativa alle stanze del buco tedesche è affidata ai Bundeslaender (ovvero le Regioni-Stato) e non al governo centrale. Conseguenza a tutto ciò sono i continui dibattiti tra i principali partiti tedeschi sul tema. Da un lato, l'ala conservatrice chiede di adottare un approccio fermo sul consumo di queste sostanze, dall'altra i socialdemocratici auspicano ad un approccio più tollerante. Ad oggi sono presenti in Germania centinaia stanze del buco e il ricorso alle sostanze sopra citate è regolamentato dal paragrafo 31 delle legge sugli stupefacenti, dove si "autorizza chi porta con sé droghe pesanti in quantità moderata e chiaramente destinabile al solo uso personale e non allo spaccio a consumarle in locali igienici sotto controllo medico".

Del 1994 è anche l'apertura della prima stanza del buco olandese, ma bisogna aspettare il 1996 per una regolarizzazione giuridica di questi spazi grazie al College van Procureur Generaal. Le linee guida dell'organo olandese prevedevano e tuttora prevedono criteri di ordine pubblico come la cooperazione tra varie cariche istituzionali (per esempio sindaci), polizia e popolazione locale.

La diffusione vera e propria di questi spazi, però, si ha soltanto negli anni 2000 ed avviene sia a livello europeo che extraeuropeo. Villa de Vallecas fa rivivere alla Spagna e agli spagnoli quel clima di degrado che era sorto nel decennio precedente in Svizzera. Nei primi anni 2000, il distretto madrileno era un mercato della droga a cielo aperto. Come accadde per il Binario 9, il luogo di spaccio spagnolo fu riabilitato ed ha permesso l'implementazione del servizio in questione per tutto l'arco della giornata e per tutto l'arco della settimana. Nuove "narcosalas" o "salas de consumo supervisado" sono state aperte a Barcellona e Bilbao. Tuttavia, a causa della crisi, nella cittadina catalana è stato chiuso nel 2003 lo spazio situato a Can Tunis ma, è stato possibile dar vita ad una nuova area per il consumo sorvegliato di droghe nella zona vecchia della città. Altra narcosala spagnola chiusa a causa della crisi è quella situata a Las Baranquillas (fu aperta nel 2000 ed è stata chiusa nel 2011).

Fuori dallo spazio europeo, chi è ricorso alle stanze del buco sono stati Australia e Canada. La prima, per far sì che questi spazi fossero tutelati dal punto di vista legale, ha dovuto affrontare soprattutto ostacoli di carattere burocratico. Gli ostacoli in questione giravano intorno alle licenze che l'MSIC (Medically Supervised Injecting Centre) doveva ottenere dalla camera di commercio del New South Wales per poter aprire legalmente sedici narcosale a Kings Cross, un area di Sidney. Con il ricorso al Drug Summit Legislative Response Act del 1999, misura emanata dal Parlamento del New South Wales, l'MSIC riuscì ad ottenere dalle autorità competenti (ovvero NSW Health e servizio di polizia) i permessi necessari all'apertura di questi spazi, legalmente aperti nel maggio del 2001. In una prima fase, le licenze avevano una durata che andava dai tre ai sei mesi, periodo nel quale l'operato del MSIC veniva monitorato dall'Università del New South Wales che, autorizzata dal governo australiano, valutava l'impatto delle sale in questione a livello sanitario, riportando i risultati al Government Monitoring Committee. Nel 2002, il periodo della licenza è stato esteso a dodici mesi. Nel 2003 viene creata in Canada, per la precisione a Vancouver, la prima SIS (Supervised Injecting Site), sulla base di un progetto pilota di carattere scientifico, possibile grazie al Canadian Controlled Drugs and Substances Act, Section 56.

Alle nazioni finora citate bisogna contrappore quelle nelle quali il dibattito sull'istituzione di questi locali è stato ampio ed ha portato a risultati positivi o negativi.

In Danimarca, per esempio, fu possibile l'apertura della prima stanza del buco grazie all'imprenditore Michael Lodberg Olsen, il quale, girando con un furgone che fungeva da stanza del buco mobile, è riuscito a coinvolgere gli stessi tossicodipendenti e gli abitanti di Copenaghen tanto che la capitale danese fece pressione sul governo con il fine di modificare la legge nazionale.

Il dibattito sulle sale arriva anche Italia grazie al partito dei Radicali nel 2012 e al Movimento 5 Stelle nel 2014 ma senza alcun esito positivo.

In Francia, seppure l'idea di questi spazi era stata osteggiata dal governo e dalla stessa opinione pubblica, è stato possibile, dopo un dialogo politico e un iter legislativo non indifferente, l'apertura della prima stanza del buco francese. La prima "Salle de shoot" è stata aperta nel gennaio di quest'anno nel X arrondissement di Parigi, all’interno dell’ospedale Lariboisière. Le titubanze dello stato francese sulle sale in questione erano dettate da motivi di carattere legislativo ed etico. Dal punto di vista legislativo, la Francia ha dovuto modificare la legge inerente al consumo degli stupefacenti, poiché il consumo di droga è illegale e, di conseguenza, per usufruirne per scopi medici, era necessaria una legge ad hoc. Una volta realizzata la legge in questione, è stato stabilito che questi luoghi dovevano essere aperti all'interno di strutture ospedaliere. Dal punto di vista etico, lo stato transalpino era ed è tuttora caratterizzato da opinioni contrastanti sul tema. Se da una parte il ministro della Sanità Marisol Tourine sostiene che "l’obiettivo delle stanze del buco non è quello di far uscire i drogati dall’incubo della dipendenza, ma farsi carico di situazioni che esistono, che lo si voglia o meno", senza però "banalizzare né facilitare la consumazione della droga"; dall'altra, il parlamentare dell'Ump Yannick Moureau afferma che "per lavarsi la coscienza, il governo fornisce una risposta falsa a un problema vero". Nell'intervista rilasciata alla testata giornalistica italiana tempi.it, il parlamentare sostiene che la pecca del governo francese è stata quella di non "considerare il problema alla radice e adottare politiche ambiziose per spingere le persone dipendenti alla guarigione, cioè a smettere di drogarsi e si accontenta di nascondere queste persone nelle 'stanze del buco', con gran sperpero di denaro pubblico. Legalizzandole, il governo dà ai drogati un’idea di fatalismo e al resto della società di lassismo. È possibile uscire dalla dipendenza dalla droga ma le stanze del buco non portano a questo risultato". Pertanto, secondo Moureau, ricorrere alle stanze del buco vuol dire abbandonare (seppur attraverso una struttura pubblica) l'individuo che fa uso di queste sostanze. Attraverso l'ascesa internazionale ed anche nazionale di queste strutture, appare evidente, e per certi versi risulta strano, il fatto che si possa curare tossicodipendenza attraverso la droga stessa.

Considerazioni finali: sulle stanze del buco influisce maggiormente l'approccio medico o l'approccio culturale?

Dal punto di vista sociale e politico, le stanze del buco offrono una gamma piuttosto variegata di linee di pensiero ed opinioni. Tuttavia, queste raramente offrono una concezione contestualizzata e ponderata della finalità offerta da questi spazi. Curare un tossicodipendente con la droga stessa può presentare sia aspetti positivi che negativi, legati gli uni agli altri dalla psicologia dell'individuo. Il punto di partenza della sanità elvetica è stato quello di aiutare il paziente, seppur in modo controverso, a fare un uso consapevole della sostanza stupefacente, analizzando il prima, il durante e il dopo del rapporto con la droga. Volente o nolente, fare leva sull'aspetto psicologico porta con sé un'incognita legata al risultato che questa cura determina sul paziente. Pertanto, una serie di domande sorgono spontanee: è la direzione giusta questo metodo? Ha effettivamente dei vantaggi sul tossicodipendente? Perché viene reputato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità un metodo non consono per curare il drogato? Perché esperti del settore, autorità ed opinione pubblica sono divisi riguardo alle finalità della cura? Aiuta o abbandona il tossicomane?

Trovare risposte omogenee su questo tema risulterà utopico, ma un punto di partenza per comprendere la totalità di questa iniziativa, nata alla fine degli anni Ottanta, può portare sia favorevoli che contrari a comprendere che l'aspetto controverso delle stanze del buco lega intrinsecamente e indissolubilmente il campo della medicina e il concetto di cultura insito in ogni singolo individuo e in ogni nazione.

 

Fonti:

da "Il Giornale.it", Viaggio nella «stanza del buco» dove la morte la regala lo Stato

da "swissinfo.ch", Eroina: il modello svizzero funziona

da "la Repubblica", In Germania le prime furono aperte dodici fa

da "The Post Internazionale", Le stanze del buco

da "Tempi", Francia, la stanza del buco è legge: la prima aprirà a Parigi nel 2016. «Risposta falsa a un problema vero»

da "Il Fatto Quotidiano", A Parigi la prima “stanza del buco” per ridurre la delinquenza in strada