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Pubbl. Ven, 11 Mar 2016

Le persone intersessuali in Italia: gli esclusi dal diritto.

Gian Marco Lenzi


La disciplina delle persone intersessuali tra oscurantismo e normalizzazione giuridica.


Il diritto ci tutela tutti o solo se siamo previsti, identificati in una categoria, uno standard, una "normalità giuridica"?

Il diritto ci tutela tutti o solo se siamo previsti, identificati in una categoria, uno standard, una "normalità giuridica"?

Queste domanda, così a-tipica, ci porta razionalmente a propendere per un cauto "no", ritenendo, al giorno d'oggi, impossibile individuare soggetti "esclusi dal diritto" proprio nei nostri "Stati di diritto", sistematici per antonomasia: la maggior parte di noi pensa che il diritto sia fatto appositamente per l'essere umano in sé. Ci pare, dunque, piuttosto strano individuare categorie "di esclusi", aldilà dei soggetti che sono tradizionalmente svantaggiati nella redistribuzione dei diritti sociali che, però, negli ultimi anni, stanno faticamente ottenendo (mi riferisco ad esempio, al tema attualissimo delle coppie di fatto). La domanda sembra poi una di quei quesiti filosofici di nessun importanza per la realtà, che così poco interessano chi di diritto, e non di filosofia, vive.

Ma qui, aldilà delle disquisizioni filosofiche il "caso" di cui mi accingo parlare è molto più reale e attuale dei concetti e dei quesiti, sopra esposti. Va però tenuta a mente questa domanda, e i concetti che la accompagnano, (normalità, categoria, esclusione) perchè sarà il fil rouge di questo articolo; ma procediamo per gradi, partendo, come da buon uso del giornalismo, dal titolo di questo articolo: chi sono le persone intersessuali?

La condizione definita intersex, di cui ancora oggi si discute troppo poco, è quella che racchiude diverse condizioni anomale nel processo che porta allo sviluppo sessuale del corpo umano: è infatti l'azione di alcuni ormoni sessuali e di alcuni caratteri codificati nei cromosomi a imprimere al feto le caratteristiche femminili piuttosto che maschili alla nascita, che si protraggono poi per tutta la durata dello sviluppo della persona, quindi fino alla pubertà e alla piena definizione dei caratteri sessuali secondari. Nelle persone intersessuali c'è una discordanza degli organi sessuali rispetto al resto del corpo.

In medicina si tende a definire tale condizione come “Disorders of sex development”, cioè una vera e propria anomalia o malattia cromosomica o genetica. All'interno di questa definizione confluiscono diverse condizioni anche molto distanti tra loro. Ad esempio, si parla di ermafroditismo quando sono presenti nella persona entrambi i caratteri sessuali; altra condizione che rientra nella definizione di cui sopra è quella che vede, ad esempio, la compresenza di organi sessuali esterni maschili con utero e ovaie.
Le persone intersessuali rappresentano una fetta molto ampia della popolazione mondiale, ovvero circa il 2%, dato da leggersi per difetto, in quanto una stima precisa risulta ad oggi difficile poiché molte persone intersessuali scoprono questa condizione solo in età adulta o a seguito di visite mediche approfondite. Inoltre, ancora si dibatte sul livello di adeguatezza che i caratteri sessuali primari devono possedere per essere ritenuti “normali” o meno.

Questa condizione naturale, proprio perché presente in natura, viene “nascosta” e corretta dalla società, che nelle regole burocratiche piuttosto che negli schemi sociali ci abitua fin da piccoli a distinguere il mondo in base al binomio maschile/femminile, portando alla percezione di diverso, anomalo, strano tutto ciò che non vi rientra. 

In particolare in Italia, i bambini appena nati che nascono con genitali ambigui vengono sottoposti a interventi chirurgici anche a poche ore dal parto, per riportare alla “normalità” una condizione che, secondo il parere di alcuni tra medici e specialisti, comporterebbe altrimenti seri problemi nello sviluppo del bambino, non solo dal punto di vista fisico ma anche psicologico e sociale. Sono così alcuni medici, ovvero proprio coloro sui quali il genitore fa affidamento, a consigliare tale intervento sul neonato, sminuendo le conseguenze di un'operazione chirurgica per il bambino. Sono le stesse norme previste nel D.P.R. n.396/2000 agli artt.29 e 30 a prevedere che "la dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l'eventuale volontà della madre di non essere nominata, entro 3 giorni dal parto presso la Direzione sanitaria dell'Ospedale o della casa di cura dove è avvenuto il parto oppure entro 10 giorni presso l'Ufficio di Stato Civile del Comune nel quale il bambino è nato o del comune di residenza dei genitori”.

Dobbiamo soffermarci sul dettato dell'art.29, che prevede come nella dichiarazione di nascita sia richiesta esplicitamente anche l'indicazione del “sesso del bambino”, quindi viene richiesto di identificare subito se il nuovo nato è maschio o femmina. Tutto questo è dovuto al fatto che le norme impongono di associare un sesso anagrafico al bambino e un nome ad esso corrispondente (art.35 del D.P.R. citato sopra: “Il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso”). Entro pochi giorni tali dati sono inviati automaticamente all'Agenzia delle Entrate che predispone la creazione del codice fiscale, obbligatorio per legge.
Lo stesso art.31 dello stesso D.P.R. prevede che “se la dichiarazione di nascita è fatta dopo più di dieci giorni dall'evento, il dichiarante deve indicare le ragioni del ritardo. In tal caso l'ufficiale dello stato civile procede alla formazione tardiva dell'atto di nascita e ne dà segnalazione al procuratore della Repubblica. Nel caso in cui il dichiarante non produca la documentazione richiesta di cui all' art.30, commi 2 e 3, o non indichi le ragioni del ritardo, la dichiarazione può essere ricevuta solo in forza di decreto dato con il procedimento della rettificazione. A tal fine l'ufficiale dello stato civile informa senza indugio il procuratore della Repubblica per promuovere il relativo giudizio”.

Sono quindi le procedure previste dalla legge ad imporre una immediata identificazione sessuale, anche laddove questa risulti poco agevole. Non si prevede, infatti, un'indicazione per i casi in cui il carattere sessuale non sia ben catalogabile come maschile o femminile, imponendo ai genitori una scelta a volte frettolosa e poco ragionata sulle effettive necessità di un intervento chirurgico su neonati che, per definizione, non sono ancora in grado di compiere scelte libere e consapevoli, e quindi di autodeterminarsi su una questione così fondamentale per la propria esistenza come quella sessuale.

Molti medici prospettano ai neo-genitori uno scenario spaventoso per i figli, se questi non verranno operati immediatamente per riportare alla normalità una condizione che di per se, voglio ribadirlo con forza, è assolutamente naturale. Poco ci si è domandati su quali siano invece le conseguenze che può avere in una persona intersessuale scoprire, magari in età già adulta, di essere stata operata da piccola, di aver subito un'ingerenza così pesante nella propria vita e sfera privata, quando non era in grado di effettuare alcuna scelta o non era in grado di opporsi alla scelta presa da altri per lei.

Inoltre, molte persone intersessuali che da neonate hanno affrontato un'operazione chirurgica, con la conseguenza di doversi sottoporre continuativamente ad assunzioni importanti di ormoni per “dominare” il carattere che si è deciso di nascondere, che appunto è stato eliminato fisicamente come organo ma che è ancora presente ed è ineliminabile nel carattere genetico e cromosomico della persona, hanno affermato di aver sofferto sia a livello psicologico che fisico, non provando in alcun modo il benessere che tanti specialisti sostengono. In questi casi sembra che vengano dimenticati i diritti della persona ad autodeterminarsi (artt.2 e 3 della Costituzione italiana), scegliendo con consapevolezza una volta adeguatamente informata se effettuare o meno un'operazione chirurgica, piuttosto che sul diritto alla salute e a uno stato di benessere psico-fisico (art. 32 Costituzione) che a mio avviso mal si conciliano con le procedure di identificazione e catalogazione in determinate categorie previste nella nostra società.

Sarebbe auspicabile la previsione, come per altro già presente in alcune strutture sanitarie, di schede nelle quali è possibile indicare l'eventuale ambiguità dei genitali. Infatti l'assegnazione del sesso anagrafico è circoscritta alla scelta tra due caselle: maschile/femminile; mentre sono tre le opzioni che troviamo riguardanti la descrizione dei genitali: genitali maschili/femminili/ambigui. Tale previsione dovrebbe essere presente anche negli atti successivi riguardanti la creazione del codice fiscale e non solo, così da permettere al bambino appena nato di poter crescere e solo una volta raggiunta la maturità cognitiva, di poter decidere autonomamente su ciò che lo riguarda e lo determina come persona, rispettando la sua libertà di individuo. 

Il fatto che si definisca “normale” un genitale maschile solo se questo è in grado di penetrare la vagina e viceversa, si definisca allo stesso modo l'organo genitale femminile solo se dimostra una profondità tale da accogliere l'organo maschile, ci fa capire come la distinzione si basi su un modello esclusivamente eterosessuale, non tenendo in alcuna considerazione tutte le condizioni diverse da questa.

Questo è il quadro sconfortante della (non) disciplina giuridica delle persone intersessuali; un quadro che per precisione analitica dei freddi dati, trascura e non rende giustizia alla sofferenza di queste persone in una vita di diversità, di imposizione e di rinuncia in particolar modo a trovare e a capire sè stessi. Allora, siamo pronti a rispondere alla domanda inziale, avendo trovato non un filo ma una matassa rossa di concetti di normalità, categoria, scelta negata, che ci ha accompagnato durante tutta la trattazione. Che cosa succede quando non si è previsti dal diritto?

Semplice! si è costretti ad adeguarsi, ad essere quello che già è previsto, nelle categorie stabilite da qualcun altro: la mia volontà è spezzata dalle forme imposte, dalle categorie previste, dall'imposizione procedimentali. Per essere infine qualcosa di compreso e accettato dagli altri (e in questo il diritto e i diritti sono lo specchi perfetto della società), per stare dentro alla comunità dei normali, devo sacrificarmi o fuggire.

La cosa più sorprendente è che questa rinuncia a avviene per causa di una serie di procedimenti (ad esempio, la creazione codice fiscale personale) all'apparenza innocui e neutri rispetto a ogni individuo; ma questa è forse la più banale e antiche delle tragedie del diritto: la sua formalità e freddezza è la più sconcertante delle rinunce all'essere pienamente sé stessi, come vivi nella propria e perfetta unicità.

 

BIBLIOGRAFIA

- Lorenzetti A. “Frontiere del corpo, frontiere del diritto: intersessualità e tutela della persona” in BioLaw Journal-Rivista di BioDiritto, n.2/2015.

- Lorenzetti A. "La problematica dimensione delle scelte dei genitori sull prole: il caso dell intersessualismo", Gruppo di Pisa- Dibattito aperto sul diritto e la giustizia costituzionale, 2013, Pisa.

- Appunti delle lezioni corso L.I.F.E. (Linguaggio, informazione, formazione, essere) organizzato dall' Arcigay Leonardo da Vinci di Grosseto e dal Cesvot delegazione di Grosseto, Ottobre- Novembre 2015, con la presenza di molti studiosi e attivisti del movimento LGBTQ