Pubbl. Lun, 14 Mar 2016
Illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore per aver partecipato alla Messa
Modifica paginaL´indebita ingerenza del dovere lavorativo nella vita religiosa del dipendente e la soluzione di bilanciamento della Suprema Corte di Cassazione
Come si suol dire, il primo amore non si dimentica mai. Col presente articolo, il Vostro autore torna a trattare uno dei temi a lui più cari, ossia il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore dipendente.
Questa volta, visto lo sfondo thriller del presente articolo, non voglio anticiparVi niente e, pertanto, punto di partenza è la vicenda: un dipendente sessantenne dell´ufficio postale di Peschiera Borromeo (provincia di Milano), rifiutava di svolgere il turno domenicale di lavoro, dimostrando volontà favorevole a lavorare nei giorni successivi al fine di compensare l’assenza. Nel caso di specie, peraltro, dopo sei giornate consecutive di lavoro, il dipendente invocava anche il sacrosanto diritto al riposo settimanale, in ossequio a quanto disposto dall´art. 9 d.lgs. n. 66 dell´8 aprile 2003.
Il caso è il seguente: nel 1999 l´azienda pubblica aveva introdotto in via sperimentale il turno domenicale nel Centro meccanizzato di Peschiera Borromeo, estendendo in seguito tale turno anche ad altri reparti senza, tuttavia, raggiungere un accordo sindacale. La situazione - come sottolineerà la sentenza in commento - aveva generato proteste da parte dei lavoratori cattolici, i quali intendevano la domenica «come momento religioso e di pratica di fede». Alcuni sindacati avevano contestato l´imposizione del turno domenicale ed il lavoratore dipendente Luigi L., nel 2004, aveva aderito a questa iniziativa comunicando al datore la volontà di non lavorare durante le giornate festive domenicali e cristiane.
In ossequio a quanto da lui ritenuto legittimo, per tre domeniche (16 gennaio, 13 febbraio e 3 aprile 2005) il dipendente si era assentato dal lavoro dando, in ogni caso, disponibilità a recuperare. Poste, tuttavia, lo aveva multato, comminandogli la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per un giorno.
Il lavoratore, ritenendo sproporzionata la sanzione, aveva spiegato ricorso presso il Tribunale competente. Sia in primo grado, sia in secondo, i giudici avevano ritenuto «sproporzionate» le sanzioni a causa della condotta «equivoca» tenuta da Poste che aveva indotto i dipendenti a ritenere che ci sarebbe stato un atteggiamento di «tolleranza» riguardo alla mancata prestazione del lavoro domenicale. Inoltre è stata positivamente valutata la disponibilità del dipendente a lavorare nei giorni successivi, una condotta che «seppur priva di valore scriminante, esprime un atteggiamento collaborativo per compensare l´assenza». Infine, i giudici hanno dato atto del fatto che «esisteva una iniziativa sindacale in corso ed una richiesta individuale di non assegnazione a turni domenicali per motivi di religiosi (esercizio del diritto di culto), circostanze di cui Poste era a piena conoscenza e che portarono nel periodo immediatamente successivo alla soppressione del turno domenicale».
Le Poste presentavano ricorso in Cassazione, al fine di ottenere l'accertamento della legittimità della sanzione irrogata al lavoratore: secondo gli Ermellini, tuttavia, gli «indici valorizzati» dai giudici di merito sono «conformi ai valori dell´ordinamento, esistenti nella realtà sociale» e, pertanto, la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Milano il 17 settembre 2010 non merita obiezioni.
Ed infatti, vero è che l´art. 2104 cod. civ. impone al lavoratore di conformarsi alle direttive impartite dall’azienda, tuttavia, secondo la Cassazione, non può non tenersi conto del diritto sussistente in capo ai dipendenti di astenersi dal lavoro il giorno di domenica, destinato, almeno per quanto riguarda la religione cattolica ben permeata all´interno del nostro territorio, alle pratiche religiose, connotando di particolare rilievo e giustificazione il rifiuto della prestazione in quel giorno così particolare.
Nel giudizio relativo alla proporzione tra la giustificatezza della sanzione comminata ed il comportamento concretamente tenuto dal dipendente non può prescindersi dal valutare l’atteggiamento da questi assunto prima e dopo la condotta contestata. In particolar modo, l’assenza di precedenti sanzioni disciplinari ed un comportamento da sempre integerrimo (trattasi di lavoratore sessantenne, quindi in servizio da molti anni!) rendono la possibilità di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, alla prima violazione delle direttive del datore di lavoro, poco giustificabile.
Occorre, tuttavia, pur sempre considerare anche l’intensità della violazione commessa. In merito a ciò, i giudici hanno inteso valorizzare la precedente richiesta del dipendente di non essere assegnato a turni domenicali per motivi religiosi (esercizio del diritto di culto): una motivazione ritenuta plausibile.
“Provvidenziale” – è il caso di dirlo – la fede del lavoratore verso i precetti del cattolicesimo ed, in particolare, il rispetto del terzo comandamento (“ricordati di santificare le feste”): nel caso, infatti, in cui il datore di lavoro ordini al dipendente di lavorare la domenica e questi si rifiuti per partecipare alla santa messa, la sanzione del licenziamento (così come anche la sospensione dal servizio e dalla retribuzione) è illegittima in quanto sproporzionata.
Ciò, in sintesi, è quanto emerso dalla recentissima sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, n. 3416 del 22.02.2016.