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Pubbl. Mar, 16 Feb 2016

Cyberterrorismo: costituisce apologia pubblicare un documento che inneggia all´ISIS

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Simone Luca


Con la sentenza n. 47489/2015, la Cassazione ha stabilito che costituisce apologia pubblicare su internet un documento che appoggia apertamente l´ISIS. Ma vediamo i dettagli della pronuncia.


La decisione della Corte di Cassazione n. 47489/2015

La Corte di Cassazione, con la sentenza 1 dicembre 2015, n. 47489, ha statuito che la diffusione sulla reta internet di un documento di propaganda dell’organizzazione terroristica denominata Stato Islamico, costituisce apologia di associazione con finalità di terrorismo (art. 414, comma 4, c.p., in relazione all’art. 270 bis c.p.).

In particolare, la vicenda in questione riguardava la pubblicazione su due siti internet di un documento in italiano (circostanza che non era mai avvenuta in precedenza) che invitava a supportare il “Califfato islamico” , esaltandone la sua diffusione ed espansione: “Vi prometto che, con il permesso di Allah, questa sarà la ultima vostra campagna. Verrà annientata e sconfitta come successe con tutte le vostre ultime campagne. Eccetto per cui questa volta saremo noi ad assaltarvi e non ci assalterete mai più. Se non saremo noi a raggiungervi saranno i nostri figli o i nostri nipoti”.

La Cassazione ha ritenuto che siffatto documento non si limitava a sollecitare una mera adesione ideologica allo Stato islamico, la cui natura terroristica è stata comunque riconosciuta da diversi provvedimenti internazionali, ma inneggiava concretamente “la natura combattente e di conquista violenta da parte dell’organizzazione (cioè l’esecuzione di atti di terrorismo)” ed “esaltava la sua diffusione ed espansione, anche con l’uso delle armi”.

In particolare, nel documento si legge, non solo che l’adesione al Califfato è obbligatoria in base ad un’interpretazione “corretta” della religione (“sappi che non hai diritto di opporre l’autorità di un Califfo scelto su una metodologia corretta”), ma anche un esplicito invito ad aderirvi: “fratello e sorella in Allah, non è forse giunto il momento di supportare l’Ummah? Non è forse giunto il momento di supportare il loro Califfato? Accorri al supporto del Califfato Islamico!”.

Si aggiunge, inoltre, che tale scritto in italiano era diretto a coinvolgere ed a suscitare interesse a soggetti radicati sul territorio nazionale e la pericolosità della diffusione era insita nella pubblicazione sul web, in grado quindi di raggiungere un numero indeterminato di persone.

Il reato di apologia, breve analisi e spunti di riflessione sull’incidenza dei reati c.d. di sospetto nella libertà di manifestazione del pensiero.

Il reato di istigazione e di apologia, tutela l’ordine pubblico da quelle condotte che, per la loro forza di eccitazione e di rafforzamento di propositi criminosi, possano stimolare nel pubblico la commissione di delitti.

Si ritiene che trattasi di reato di pericolo concreto, così come affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 65 del 1970[1]. Pertanto, è necessario verificare in ogni singola fattispecie concreta che la condotta di istigazione o l’attività dell’apologeta sia idonea, attraverso un giudizio ex ante, a provocare delitti[2].

In particolare, parte della giurisprudenza afferma che non è sufficiente, ai fini dell’integrazione del reato in questione, “l’esternazione di un giudizio positivo su un episodio criminoso, per quanto odioso e riprovevole possa apparire alla generalità delle persone”; infatti, è necessario che dall’attività dell’apologeta derivi il “rischio non teorico, ma effettivo, della consumazione di altri reati[3], o ancora che la condotta sia idonea a provocare “attualmente e concretamente […] il pericolo di adesione al programma illecito[4].

La sentenza in commento aderisce a siffatto orientamento e, stante il particolare momento storico, ha ritenuto che il documento in questione avesse tale attitudine.

Tuttavia, occorre specificare che la giurisprudenza tradizionale sosteneva che la natura del reato fosse di pericolo presunto, non essendo richiesta una concreta situazione di pericolo della commissione di ulteriori delitti[5].

La maggiore preoccupazione di questo secondo orientamento, era quella di riuscire a provare la concretezza del pericolo. Eppure, considerare tali fattispecie come reati di pericolo presunto potrebbe far sorgere il rischio di punire condotte che non superano quel livello minimo di offensività e che si estrinsecherebbero in mere manifestazioni del pensiero, tutelate invece dall’art. 21 della Costituzione.

Entrambe le condotte devono avvenire pubblicamente, requisito assolutamente indispensabile affinché possa considerarsi realizzata la fattispecie in questione. D’altronde, se così non fosse non potrebbe dirsi verificato quell’allarme sociale in grado di incidere e pregiudicare l’ordine pubblico.

Occorre, tuttavia, specificare che la condotta di istigazione si differenzia da quella di apologia. Quest’ultima, che ha ad oggetto esclusivamente un delitto con esclusione delle contravvenzioni, si estrinseca nell’apprezzamento generale di un fatto delittuoso, in grado di turbare la sicurezza e la tranquillità sociale; mentre, la condotta istigatrice (nella quale rientrano anche le contravvenzioni) si configura quando si incita altri a compiere determinati fatti delittuosi[6].

Sotto tale punto di vista, la dottrina non ha mancato di rilevare che l’apologia, affinché rientri nei canoni di legalità, deve avere le concrete possibilità che il fatto elogiato venga reiterato, tenuto conto delle caratteristiche dei destinatari nonché del particolare momento storico e politico. In tali termini, si è parlato di apologia come una forma di istigazione indiretta[7].

Tuttavia, non è mancato chi ha rilevato che parlare di istigazione indiretta per il delitto di apologia non è del tutto corretto. Infatti, se si prende a riferimento la differenza che sussiste tra la condotta di apologia e quella di istigazione, ovvero la prima consistente nell’esaltare o giustificare un determinato fatto o azione, mentre la seconda si estrinseca nel voler generare in altri un proposito criminoso, ne deriva che configurando l’elemento soggettivo dell’apologia nell’alveo del dolo istigatorio , si raffigura il reato di apologia come un doppione del delitto di istigazione[8].

La giurisprudenza prevalente, dal canto suo, afferma che nel delitto di apologia il dolo è generico, consistente nella coscienza e volontà del soggetto di fare l’apologia di uno o più delitti[9]. Mentre, altra parte della dottrina[10] e della giurisprudenza[11] ritiene che si è innanzi ad una particolare forma di dolo specifico, definitivo “dolo istigatorio”.

Dunque, se la distinzione tra la condotta di istigazione e quella di apologia è di facile individuazione, difficilmente è possibile tracciare la linea di demarcazione che sussiste tra l’apologia e la propaganda, consistente in una manifestazione del pensiero quale diritto costituzionalmente tutelato.

La giurisprudenza ha già, comunque, avuto modo di precisare che la libertà di manifestazione del pensiero non può di certo ritenersi assoluta, ma essa trova il limite nella necessità di proteggere ulteriori beni costituzionalmente protetti, nonché nell’esigenza di tutelare la pace sociale e la sicurezza pubblica[12].

A ben vedere, è proprio l’uso della manifestazione del pensiero che può integrare il reato di istigazione o di apologia, che si concretizza rispettivamente nel far sorgere un proposito criminoso o nel dare un giudizio di valore positivo.

Da un punto di vista comparatistico, il Tribunale Costituzionale spagnolo (sentenza n. 235/2007), nel verificare la portata del diritto di poter manifestare liberamente il proprio pensiero, afferma che tale libertà non garantisce “un diritto a esprimere e diffondere una determinata concezione della storia o del mondo con il deliberato convincimento di disprezzare o discriminare persone o gruppi in ragione di quale circostanza personale, etnica o sociale[13].

In tal senso è difficile scindere giudizi di valore da dati obiettivi dai quali dovrebbe ricavarsi la sussistenza di un pericolo concreto, secondo l’interpretazione maggiormente accolta dalla nostra giurisprudenza.

Se nel documento oggetto della sentenza in commento vi è un chiaro invito all’adesione al Califfato Islamico, e dunque in effetti si rintraccia una condotta consistente in quella esaltazione suggestiva richiesta dalla norma penale, tuttavia il rischio che nei reati c.d. di opinione (come quello di apologia) possano essere compresse libertà costituzionalmente garantite è sempre presente.

Non si dimentichi, che tali fattispecie incriminatrici provengono da quella ideologia repressiva degli anni ’30, volta a contrastare ogni possibile dissenso ideologico o manifestazione critica del pensiero, soprattutto in sede politica. Proprio per tale ragione si è reso necessario l’intervento della Consulta, la quale ha cercato di dare un’interpretazione costituzionalmente orientata al delitto di apologia, seppur con tutti i limiti e le criticità ancora presenti.

 

Note e riferimenti bibliografici


[1] In particolare, la Corte Costituzionale rifiuta l’interpretazione dettata dalle Sezioni Unite del 18 novembre 1958, la quale perveniva ad una lettura così severa del reato di apologia che consentiva, non solo la punibilità di mere rievocazioni storiche, ma anche un possibile “controllo politico delle opposizioni”. Cfr., Fiore Carlo, i reati di opinione, CEDAM, 1972.

[2] In tal senso, si è espressa recentemente Cass., 23 aprile 2012, n. 25833.

[3] Cass., 5 maggio 1999, n. 8779.

[4] Cass., 3 novembre 1997, n. 10641.

[5] Cfr., Cass., 18 novembre 1975, n. 10804, Cass., 27 ottobre 1994, n. 2997.

[6] Cfr., Cass., 6 aprile 1971, n. 1981.

[7] Cfr. MANZINI, Trattato di diritto penale, vol. IV, Utet, p. 305; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, vol. II, Giuffrè, p. 233; NUVOLONE, I reati della stampa, Giuffrè; OLIVIERO, Apologia e istigazione (reati di), cit., p. 30. Anche nei lavori preparatori del Codice si trovano riferimenti in tal senso, cfr. Relazione Ministeriale al progetto definitivo.

[8] Napoleoni, “Horror vacui” e false interpretazioni in tema di apologia di delitto, in Giurisprudenza di merito, 1981, Fronza, Brevi note sulla teoria della “istigazione indiretta” in tema di apologia, in Giurisprudenza di merito, 2003.

[9] Cfr. Cass., 11 giugno 1986 n. 13534; Cass., 5 luglio 1985, n. 2252.

[10] Fiandaca-Musco.

[11] Cass., 23 gennaio 1979, n. 5380.

[12] Cass., 18 marzo 1983.

[13] Sulla scorta di siffatta interpretazione, il Tribunale Penale numero 23 di Barcellona, il 17 giugno 2010, ha condannato un ventitreenne per il delitto di apologia al nazismo, avendo diffuso via web contenuti di stampo nazista e xenofobo.