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Pubbl. Ven, 5 Feb 2016

Prada chiude un sito contraffatto

Ivan Allegranti


È di pochi giorni fa la notizia che vede impegnata la griffe italiana nella chiusura di un sito che vendeva merce contraffatta. Ma il consumatore finale può essere inteso come reo per aver acquistato un articolo falso?


Da anni il fenomeno della vendita di merci contraffatte dilaga in Italia e soprattutto all'estero, danneggiando (a volte molto pesantemente) marchi di moda e tutto il settore del made in Italy, fiore all'occhiello dell'economia nazionale. 

Da anni il fenomeno della vendita di merci contraffatte dilaga in Italia e soprattutto all'estero, danneggiando (a volte molto pesantemente) marchi di moda e tutto il settore del made in Italy, fiore all'occhiello dell'economia nazionale. 

Secondo Coldiretti infatti, il giro di affari del mercato di prodotti contraffatti è di circa 6,5 miliardi di euro e, nel segmento moda, la vendita di abbigliamento ed accessori non originali si aggirerebbe ad un valore pari a 2,2 miliardi di euro. 

Pochi giorni fa, ad essere colpito dalla questa "piaga", è stato il marchio Prada, celebre in tutto il mondo per i suoi accessori di altissima qualità e dall'altissimo tasso di "fashion". 

L'operazione di ricettazione scoperta dalla Guardia di Finanza di Pordenone riguardava la vendita online da un sito, perfetto clone di quello originale Prada.com, in cui era possibile acquistare prodotti della griffe. Una volta appurato il pagamento da parte del cliente su un conto corrente acceso nella Cina meridionale, nella regione del Guandong, i prodotti venivano consegnati internazionalmente da un corriere che, però, partiva da Hong Kong, sovraccaricando così il consumatore di ulteriori costi visti gli altissimi dazi doganali della città cinese. 

Ma poco importava all'utente finale, perché anche a fronte di queste spese successive, comunque costui aveva acquistato il prodotto agli stessi prezzi presenti negli outlet Prada in giro per il mondo e quindi aveva risparmiato molto rispetto a quanto avrebbe speso se avesse comprato in un negozio monomarca della griffe. 

Secondo quanto riportato dalla stessa Guardia di Finanza, questa operazione fraudolenta era talmente perfetta che anche con l'attenzione di un occhio esperto era difficile scovare le intricate imperfezioni che rendono un prodotto non originale. 

A livello giuridico ci troviamo di fronte ad un'ipotesi di ricettazione, disciplinata dall'art. 648 c.p., per cui si prevede che "Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sè o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da 516 euro a 10.329 euro.
La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a 516 euro, se il fatto è di particolare tenuità.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l’autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto."

Da notare è che il reato ex art. 648 c.p. viene integrato, producendo i suoi effetti se e solo se non vi è concorso di reato e, a monte di tali operazioni commerciali, è stato compiuto un ulteriore delitto. Nel nostro caso, è proprio la Corte di Cassazione (Cass. Sez. Un. del 09/05/2001, n. 23427) a prevedere che nel caso di vendita di merce contraffatta si integri il reato di cui sopra, poiché accanto a questo si va ad aggiungere, perché compiuto precedentemente, il delitto disciplinato dall'art. 474 c.p. rubricato “Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi”. 

L'articolo 474 c.p. prevede che “chiunque, fuori dei casi di concorso nei delitti preveduti dall’articolo precedente, introduce nel territorio dello Stato per farne commercio, detiene per vendere, o pone in vendita, o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a lire quattro milioni. Si applica la disposizione dell’ultimo capoverso dell’articolo precedente”. 

Importante è sottolineare il fatto che la fattispecie ex 648 c.p. si perfeziona solo qualora il ricettatore non abbia partecipato al delitto precedentemente compiuto che, a sua volta, deve essere un veicolo affinché il bene entri nella disponibilità del dante causa (consumatore finale). L'art. 474 c.p. invece, inteso come reato di pericolo, mira a tutelare la pubblica fede. Ergo, secondo quanto dichiarato dalla Cassazione, non è necessario che vi siano si tragga in inganno il consumatore, ma il reato sussiste ogniqualvolta lo svolgimento del commercio con marchio contraffatto (Cass. Sez. 5, sent. 15 gennaio - 5 marzo 1999, n. 3028, Derretti). 

Da notare poi che le sanzioni per il reato di ricettazione che, in questo caso, in un aula di tribunale, si troverebbe a subire l'aggravante dell'art. 474cp, non sono affatto lievi per il reo. 

Nella seconda parte del primo comma del 474 infatti, viene sancito che la sanzione per colui che introduce nello Stato italiano (anche per mezzo telematico come è questo caso) incorre in una pena da "uno a quattro anni e con la multa da euro 3.500 a euro 35.000.", mentre l'art. 648 c.p. "la reclusione da due ad otto anni e con la multa da 516 euro a 10.329 euro". 

Tutto questo dal lato del reo, e cioè di coloro che macchinano queste operazioni fraudolente per ingannare il consumatore finale e la pubblica fede. Ma il consumatore che si trova ad acquistare merce contraffatta per uso personale è da ritenersi colpevole?

Prima del 2012, anche il consumatore era ritenuto complice del reato, in quanto, acquistando prodotti contraffatti dava àdito al fenomeno del commercio di merce falsa ex 473 c.p.. È solo da tre anni quindi che le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, con la sentenza dell'8 giugno 2012 n. 22225, hanno distinto la fattispecie della ricettazione ex 648 c.p. dalla contravvenzione dell'acquisto di cose di sospetta provenienza ex art. 712 c.p.

La differenza delineata dalla Corte si concentra sull'aspetto psicologico del soggetto agente che, per l'articolo 648 è certo sulla provenienza delittuosa della cosa ricevuta, acquistata o occultata, mentre per l'articolo 712 è sufficiente il colposo mancato accertamento di quella provenienza così come disciplinato dall'articolo stesso.

In pratica, l'art. 648 c.p. si configura come delitto tout court, mentre l'art. 712, anche se penalmente rilevante, può essere riferito anche alle contravvenzioni, non essendo la norma riferita esclusivamente ai delitti.