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Pubbl. Gio, 28 Gen 2016

Il falso valutativo in bilancio: quali le novità dell’art. 2621 c.c.

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Alessandra Inchingolo


Il quesito sottoposto all’attenzione della Suprema Corte attiene all’indagine sull’applicabilità del delitto di false comunicazioni sociali in relazione alla condotta di cd. “falso valutativo o qualitativo”. E’ opportuno rilevare che la previgente formulazione della norma in commento conferiva rilevanza penale ai “fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazione”, mentre l’attuale disciplina enunciata nella legge n. 69 del 2015, fa riferimento ai “fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero”: in virtù di tale differenza, si è ritenuto che il legislatore abbia di fatto escluso la rilevanza penale, proprio delle condotte di falso valutativo.


La Corte di Cassazione, V sezione Penale, con sentenza n. 890 del 12.01.2016 ha provveduto a definire l’ambito applicativo dell’art. 2621 cod. civ., così come modificato dalla legge 69 del 2015.

La questione sottoposta al vaglio della Cassazione prende le mosse dalla condanna in primo e secondo grado ex artt. 81 c.p. e 2621 c.c. nei confronti di un  amministratore unico di impresa, per aver esposto in modo fraudolento, al fine di ingannare i destinatari sulla reale situazione economica finanziaria e patrimoniale della società, fatti non corrispondenti al vero.

Infatti, il soggetto aveva occultato la qualità di alcuni crediti, consentendo dunque alla società di continuare ad offrire una “falsa, rassicurante, rappresentazione della situazione economica e finanziaria, continuando, in particolare, a mascherare continui, ingiustificati, prelievi dalle casse sociali”.

Il quesito sottoposto all’attenzione della Suprema Corte attiene all’indagine sull’applicabilità del delitto di false comunicazioni sociali in relazione alla condotta di cd. “falso valutativo o qualitativo”. E’opportuno rilevare che la previgente formulazione della norma in commento conferiva rilevanza penale ai “fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazione”, mentre l’attuale disciplina enunciata nella legge n. 69 del 2015, fa riferimento ai “fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero”: in virtù di tale differenza, si è ritenuto che il legislatore abbia di fatto escluso la rilevanza penale, proprio delle condotte di falso valutativo.

Allo scopo di dirimere la controversa vicenda la Corte opera un’accurata indagine sull’art. 2621 c.c.. che è un reato di pericolo, perseguibiile d’ufficio, avente ad oggetto le condotte relative a società non quotate.

In primo luogo la Cassazione analizza la parte in cui la disposizione previgente specificava che i fatti potevano essere rilevanti quando non rispondenti al vero “ancorché oggetto di valutazioni”, e ritiene che la predetta locuzione non consentisse di incidere sull’ambito applicativo della norma. Sotto il profilo materiale, la norma deve essere interpretata in base al contesto in cui è maturata: si fa riferimento, a tal proposito, al fatto che “il principio di materialità è universalmente riconosciuto come criterio-guida nella redazione di un bilancio, delle prassi contabili di tutti i paesi più evoluti, secondo le indicazioni di autorevoli organismi internazionali di settore” e si sostanzia nel fatto che nella redazione del bilancio devono essere indicati i dati informativi essenziali ai fini dell’informazione.

Il medesimo ragionamento deve valere anche per il termine rilevanti, che secondo la direttiva comunitaria 34/2013 ricorre quando “la sua omissione o errata indicazione potrebbe ragionevolmente influenzare le decisioni prese dagli utilizzatori sulla base del bilancio d’impresa” .

Sulla base quindi di tale iter logico, la Corte di Cassazione giunge ad affermare che materialità e rilevanzacostituiscono, allora, facce della stessa medaglia ed entrambe sono necessarie ai fini di una corretta informazione”, dal momento che costituiscono “veicoli di informazioni capaci di orientare, correttamente, le scelte operative e le decisioni strategiche dei destinatari”.

Quanto al fatto, invece, è una nozione duttile che può riferirsi sia al termine bilancio sia ad ogni altra comunicazione di carattere contabile/aziendale che incida sulla rappresentazione della situazione economico-finanziaria della società.

Così ricostruiti i presupposti del delitto di cui all’art. 2621 c.c., la Corte di Cassazione fa rientrare nell’alveo di tale norma le condotte di falso valutativo.

Tuttavia, si osservi che, nella maggior parte dei casi il bilancio si compone di elementi estimativi o valutativi, “frutto di operazione concettuale consistente nell’assegnazione a determinate componenti (positive o negative) di un valore, espresso in grandezza numerica”.

In virtù di ciò, se per fatto si intende il dato informativo e se “materiali” e “rilevanti” sono soltanto i dati oggetto di informazioni essenziali e significative, capaci di influenzare le opzioni degli utilizzatori, anche le valutazioni, qualora non rispondenti al vero, sono in grado di condizionarne, negativamente, le scelte strategiche ed operative. Dunque non si potrebbe escluderle dal novero concettuale delle rappresentazioni, potenzialmente false, di fatti essenziali e rilevanti, in funzione di compiuta e corretta informazione.

Nell’art. 2621 c.c. appunto, le valutazioni espresse in bilancio non raffigurano semplicemente un giudizio di valore, ma devono necessariamente uniformarsi a criteri valutativi già predeterminati o a prassi contabili generalmente riconosciute, guardandosi in tali casi non tanto alla trasposizione dell’informazione societaria, quanto alla corrispondenza dei dati immessi con le prescrizioni di legge.

Al fine di ulteriormente suffragare la propria decisione la Corte di Cassazione osserva che il nuovo articolo 2621 c.c. si inserisce nell’ambito di una più ampia riforma anticorruzione.

Tale asserto assume grande importanza, se si pensa che solitamente le false fatturazioni delle società servono a creare dei fondi in nero proprio per favorire la stipulazione di accordi corruttivi; in quest’ottica risulta assolutamente coerente con la ratio legislativa l’interpretazione volta ad applicare l’articolo in commento anche alle condotte di falso valutativo.

Per queste ragioni la Suprema Corte afferma il seguente principio: “nell’art. 2621 c.c. il riferimento a ”fatti materiali” oggetto di falsa rappresentazione non vale a escludere la rilevanza penale degli enunciati valutativi, che sono anch’essi sintomi di falsità quando violino criteri di valutazione predeterminati. Infatti, qualora intervengano in contesti che implichino accettazione di parametri di valutazione normativamente determinati o, comunque, tecnicamente indiscussi, anche gli enunciati valutativi sono idonei ad assolvere ad una funzione informativa e possono, quindi, dirsi veri o falsi”.

Dunque, la Corte rigetta il ricorso dell’imputato, ritenendo quest’ultimo consapevole della quasi impossibilità di riscossione di taluni crediti in sofferenza, ma ciò nonostante aveva ugualmente omesso di svalutarli, mascherando così la reale situazione economico finanziaria della società.

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