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Pubbl. Ven, 24 Gen 2025
Sottoposto a PEER REVIEW

Morale costituzionale e mutamenti sociali: come cambiare la scuola per cambiare gli italiani

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Vincenzo Telaro
Dottore di ricercaUniversità degli Studi di Catania



Le trasformazioni sociali sembrano porre in crisi i valori morali che hanno caratterizzato fino ad oggi l’Europa e che sono stati a loro volta recepiti nel dettato costituzionale. Ciò potrebbe rappresentare un pericolo per la tenuta costituzionale di molti principi e valori fino ad oggi condivisi dalla comunità sociale. Nel lavoro, dunque, si riflette su tali trasformazioni e sulle possibili soluzioni al problema.


ENG

“Constitutional morality” and social changes: how to change schools to change Italians

Social transformations seem to cause the crisis of moral values that have always characterized Europe. These values have also been enshrined in the Constitution. This could represent a danger for the constitutional stability of many principles and values shared up to now by the social community. In the work, therefore, we reflect on these transformations and on possible solutions to the problem.

Sommario: 1. Mutamento sociale e valori costituzionali: un’introduzione al problema; 2. Morale costituzionale e “fatto” storico; 3. Come ricongiungere la morale sociale con quella costituzionale?; 4. Riflessioni conclusive a mo’ di proposta. La riforma della scuola per un “matrimonio che […] s’ha da fare”.

1. Mutamento sociale e valori costituzionali: un’introduzione al problema

Negli ultimi tempi pare che sia in atto una trasformazione– o meglio, una crisi – dei valori morali che hanno caratterizzato fino ad oggi l’Europa.

Ebbene, chi scrive non è un sociologo, ma uno studioso del diritto costituzionale. Vi sono, tuttavia, studi non giuridici che registrano un importante cambiamento della società italiana[1].

La cronaca, altresì, è quotidianamente colma di notizie riguardanti fatti di criminalità minorile, femminicidi, infanticidi, atti persecutori (c.d. stalking), violenze sessuali di minori e/o di gruppo, e di reati commessi per futili motivi.

A tali notizie, spesso, si accompagnano quelle relative alle sempre più numerose istanze giustizialiste provenienti dalla società che prevalgono sulle opposte esigenze volte a garantire a tutti una difesa, un equo processo e una pena proporzionata al disvalore del fatto e basata sui principi costituzionali ed europei in materia penale[2].

Il Decreto legge “Caivano”[3] in materia di criminalità minorile, il c.d. “codice rosso”[4] per tutelare le vittime di violenze domestiche e di genere, nonché l’introduzione del reato di “atti persecutori”[5], sono alcuni dei tanti esempi della presa d’atto da parte dello Stato italiano di tale mutamento sociale.

Si tratta, però, di interventi in ottica repressiva, anziché preventiva, e non sempre, dunque, sembrano essere efficaci. Il loro funzionamento, infatti, richiederebbe la previa comprensione del disvalore morale del gesto.

Numerose, inoltre, risultano le pericolose richieste di censura del pensiero non in linea il c.d. “politicamente corretto”, che potrebbero limitare, in un prossimo futuro, la libertà di espressione[6].

Le famiglie sono sempre meno unite e al loro interno sembrano ormai in gran parte prevalere le esigenze individualistiche di ciascuno dei suoi membri. Per molti, inoltre, il matrimonio è ormai considerato un istituto superato ed è in crescita il fenomeno di diminuzione delle nascite[7].

A ciò si aggiunga l’avanzata della secolarizzazione, che dimostra un approccio sempre più scettico della popolazione verso il fenomeno religioso[8].

Basti pensare alle crescenti richieste di rimozione del crocifisso dagli edifici pubblici [9].

I giovani disposti a combattere per la difesa della Patria risultano in progressiva diminuzione rispetto al passato [10].

Ciò sembra dare credito alla tesi sostenuta da parte della letteratura storica che, con ricchezza di argomentazioni, afferma l’avvenuta morte della Patria giorno 8 settembre 1943, data della proclamazione dell’armistizio di Cassibile, ossia quando gli italiani, al fine di porre fine ai mali causati al Paese dalla Seconda guerra mondiale, hanno dovuto iniziare ad accettare di sottostare alle “prescrizioni” provenienti dagli Stati – a partire da quel momento – alleati[11].

Molti italiani si allontanano dalla politica[12].

La scuola, altresì, è sempre più disorientata e lasciata da sola dallo Stato e ciò comporta degli effetti deleteri sulla qualità dell’istruzione impartita[13].

All’individualismo della società, infine, sembra contribuire l’avanzata tecnologica, che, spesso, produce l’effetto di alienare i suoi membri dalla cerchia di amici, conoscenti o familiari.

Da tali esempi, dunque, pare emergere una società profondamente diversa rispetto a quella del passato.

Appaiono in crisi alcuni valori, principi e diritti che hanno trovato riscontro positivo nelle Costituzioni europee democratiche e pluraliste del Novecento.

In tali Costituzioni, infatti, accanto alle norme relative all’organizzazione dello Stato, vi è, di solito, una parte dedicata ai principi, ai diritti e ai doveri fondamentali, che rappresentano – o almeno dovrebbe rappresentare – lo specchio fedele della società e con i quali si è cercato di superare i gravi crimini commessi durante l’epoca dei totalitarismi[14], impendendo così l’ingresso nell’ordinamento del diritto “iniquo”, che aveva caratterizzato alcuni Paesi europei prima dell’avvento delle attuali democrazie[15].

Si pensi, ad esempio, alle leggi razziali italiane emanate dal 1938[16].

Ciò avviene anche nella Costituzione italiana, in cui la Parte prima tratta dei diritti e ai doveri dei cittadini, ossia è dedicata a quella che chiameremo la “morale costituzionale”.

Si avverte, però, che termine “morale” è qui inteso perlopiù come derivato dal latino mos, moris, ossia costume e, dunque, non è da confondere con l’etica.

Definizione, tra l’altro, che potrebbe risultare in linea con la concezione del giuspositivismo inclusivo, che ammette la possibilità che i valori morali vengano ad essere considerati criteri giuridici di validità della norma[17].

Ciò posto, sembrano venire meno, in particolare, alcuni fondamentali valori, principi e diritti sanciti nella Costituzione italiana, quali: la solidarietà; il rispetto della vita; la laicità inclusiva, che – a differenza della c.d. laicità alla francese – non impone allo Stato di rimanere estraneo al fattore religioso, ma soltanto di esercitare il suo intervento in modo equidistante verso qualsiasi confessione religiosa; la libertà personale, il diritto alla difesa, la presunzione di innocenza e la rieducazione della pena, nonché il giusto processo; la libertà d’espressione, che in Italia trova il suo unico limite espresso soltanto nel “buon costume”, inteso come inerente alla sfera del pudore sessuale, e negli altri limiti impliciti ricavabili dal testo costituzionale, come l’onore e la reputazione, la riservatezza, l’interesse alla giustizia e la sicurezza dello Stato;  la tutela della famiglia e la storica preferenza espressa da sempre in Europa per la famiglia legittima fondata sul matrimonio; l’istruzione e l’educazione dei minori; il suffragio universale; la Patria[18].

Nei limiti del presente scritto, dunque, occorre chiedersi se il sopra esposto mutamento sociale possa permettere la sopravvivenza della citata “morale costituzionale” ed eventualmente quali possano essere le relative soluzioni per arginare il problema.

2. Morale costituzionale e “fatto” storico

La domanda fondamentale da porsi è se il diritto possa sopravvivere ed essere osservato qualora venga meno la percezione sociale del suo valore.

Come osservato da Aristotele, infatti, la morale non ha radice nell’obbligo imposto, ma nella coscienza. In tal senso, «a nulla servono infatti anche le leggi più utili e approvate da tutti i cittadini se questi non sono educati alla costituzione …Quando manca di disciplina l’individuo, […] ne manca infatti anche lo Stato»[19].

In altri termini, la legge che non trova fondamento nella società, di cui non se ne percepisce il sottostante valore, è destinata a perdere il suo ruolo di guida, divenendo una prescrizione sterile e inutile.

Si potrebbe obiettare, in un’ottica giusnaturalistica, che i principi espressi nella morale costituzionale, in realtà siano espressione di valori insiti nella natura dell’uomo, immutabili, e che la Costituzione si sia limitata a riconoscere[20].

A dimostrazione di ciò vi sarebbe anche l’art. 2 della Costituzione che non “attribuisce” diritti, ma si limita a riconoscerli.

Sul punto, però – sebbene l’idea di naturalità dei diritti inviolabili dell’uomo trovò ampio riscontro nei lavori preparatori della Costituzione[21]–la dottrina maggioritaria ritiene che i diritti sanciti in tale norma siano soltanto quelli che trovino fondamento nella società, in processi storici. Il termine «riconoscere», infatti, va inteso come il contrario di “inventare” o “creare dal nulla”, ma ciò non significa che i diritti fondamentali non possano trovare fondamento nella società[22].

La tesi giusnaturalistica, infatti, sembra non convincere.

Come dimostrato da Bobbio, i diritti umani – con un ragionamento estensibile anche ai principi e valori costituzionali – non sono mai insiti nella natura dell’uomo, ma risultano essere espressione della società a cui si applicano[23]. In altri termini, sono “diritti storici”.

Bobbio, a tal proposito, riporta a sostegno della sua tesi molteplici argomentazioni, tra le quali merita particolare rilievo quella in cui si evidenzia che la definizione di diritto umano appare tautologica, poiché nel corso del tempo è riuscita ad inglobare, ad esempio, dapprima solo i diritti civili e politici, poi anche quelli sociali ed economici[24]. In passato, inoltre, si tutelava l’uomo generico, mentre, dopo la fine della Seconda guerra mondiale trovano tutela anche i singoli status dell’uomo: donna, bambino, ammalato e così via[25].

Lo stesso concetto di “uomo”, tra l’altro, è stato posto in discussione nel corso della storia.

Per i romani, ad esempio, gli schiavi erano delle res[26].

Nel XV e XVI secolo, dopo la scoperta dell’America, ci si chiese se gli indios fossero bestie oppure – secondo la teoria cristiana sostenuta dal domenicano di Francisco de Vitoria – uomini soggetti di diritto[27].

Si consideri, inoltre, come gli stessi diritti di libertà non siano stati soggetti nel corso del tempo ad una stessa ed identica interpretazione, a causa della percezione sociale che di essi si aveva in passato.

Aristotele, ad esempio, considerava la schiavitù come un fenomeno naturale[28].  Per lungo tempo la donna è stata ritenuta inferiore all’uomo e, dunque, limitata nelle sue libertà[29]. Nel medioevo il cristianesimo riteneva la condizione di povertà e sottomissione al Signore, Re o Imperatore un male necessario per espiare il peccato[30].

Si pensi, inoltre, alla differente concezione dei diritti umani presente attualmente in alcuni Paesi distanti dall’Europa[31].

Quanto detto, dunque, dimostra la natura storica dei diritti umani.

Si badi, però, che qui non si vuole condividere l’idea kelseniana di norma che trova fondamento in un dogma, la grundnorm, ossia valida per il sol fatto che risulti vigente nell’ordinamento e prodotta in conformità ad una norma superiore[32], ma esattamente il contrario: si vuole porre in luce che il diritto è sì quello ritenuto meritevole di tutela da parte dello Stato, ma a sua volta, per essere efficace, deve trovare necessariamente fondamento nella società in un determinato periodo storico, capace di percepirne il valore sottostante.

La norma, infatti, richiamando l’insegnamento di Santi Romano, è soltanto una parte dell’ordinamento giuridico, comprensivo dei vari aspetti della società[33].

Quella qui sostenuta, pertanto, è una posizione maggiormente in linea con la concezione filosofica analitica di Bobbio[34] e con la rule of recognition di Hart, rilevata dal comportamento del gruppo sociale[35].

3. Come ricongiungere la morale sociale con quella costituzionale?

Nel corso della trattazione si è evidenziato come risulti preferibile la tesi che sostiene il fondamento positivo della “morale costituzionale”.

Ciò, tuttavia, significa che, se il processo di mutamento sociale in corso dovesse trovare ampio seguito, probabilmente molti principi, diritti e valori costituzionali potrebbero rischiare di perdere il loro ruolo di fondamento ultimo dell’ordinamento giuridico.

Quanto detto potrebbe risultare molto pericoloso, poiché capace di vanificare secoli di lotte per le libertà e per il riconoscimento dei diritti fondamentali.

Sebbene, infatti, dal mutamento e dalla conseguente inosservanza di alcuni valori o istituti giuridici – come il matrimonio e la sottostante concezione valoriale che ad esso si è soliti attribuire – non derivi alcun danno per la società e non occorra, quindi, impedire che ciò avvenga, dal mutamento di altri – come la libertà di espressione, la libertà personale e i principi costituzionali in materia penale, il rispetto della vita altrui, quelli dettati in tema di istruzione ed educazione dei minori, di difesa della Patria e di solidarietà politica e sociale – potrebbero derivare delle conseguenze pregiudizievoli per i consociati.

Ebbene, con riguardo al secondo caso, risultano necessarie delle riforme che riportino il cittadino del domani nella “giusta” direzione valoriale, ossia quella che emerge nelle moderne Costituzioni europee.

Ciò, a parere di chi qui scrive, vale anche per il crescente fenomeno della secolarizzazione della società occidentale, perché, ci si creda o meno, i precetti religiosi, soprattutto quelli cristiani, essendo la fede predominante in Occidente – nonostante, talvolta, la loro errata interpretazione abbia portato a conseguenze non sempre benevole[36] –hanno rappresentato a lungo un importante freno inibitore nei confronti di istinti primordiali-criminali per gran parte dei membri della società.

Una riforma, dunque, necessaria da operare al riguardo, appare essere quella della scuola, capace di agire in un’ottica preventiva.

D’altronde, «doctrina [..] vim promovet insitam rectique cultus pectora roborant; utcumque defecere mores, indecorant bene nata culpae»[37].

Come sottolineato in sede di lavori preparatori della Costituzione, infatti, l’educazione dei giovani è compito, oltre che delle famiglie, dello Stato[38].

Con ciò il Costituente non ha ovviamente voluto fornire fondamento positivo ad una nuova “opera nazionale balilla” di matrice fascista – così come sottolineato durante i lavori preparatori – ma ha soltanto voluto prendere atto che l’educazione delle famiglie, spesso, può risultare insufficiente per mancanza di mezzi economici, sociali o culturali e, quindi, risulta necessario il ruolo di integrazione-supplenza dello Stato[39].

Nel paragrafo che segue, quindi, ci si concentrerà meglio su tale idea, con la speranza che dall’idea possa nascere in un prossimo futuro qualche “fatto” concreto.

4. Riflessioni conclusive a mo’ di proposta. La riforma della scuola per un “matrimonio che […] s’ha da fare”

La scuola, nel corso degli ultimi decenni, è stata sottoposta ad un processo di riforme, con le quali è stata riconosciuta maggiore autonomia didattica agli istituti scolastici, sono stati introdotti degli strumenti al fine di permettere la partecipazione degli studenti e delle famiglie nell’assunzione delle maggiori decisioni riguardanti la vita scolastica ed è stato dato ampio spazio alle materie scientifiche e allo studio delle lingue straniere, diminuendo le ore dedicate in passato allo studio delle materie umanistiche[40].

Orbene, la maggiore autonomia didattica riconosciuta agli Istituti scolastici sembra aver fatto venir meno l’importante ruolo di ausilio da essi svolto in passato nella affermazione di un’unica identità nazionale degli studenti, divenendo sempre più una scuola che agisce localmente, nel territorio in cui opera.

Nell’ambito della medesima provincia o comune, addirittura, le scuole sono diverse tra loro – anche quelle appartenenti al medesimo indirizzo di studio – poiché propongono una didattica diversificata e dei piani dell’offerta normativa (POF) modellati sui singoli istituti scolastici.

Ciò fa comprendere come la “qualità” di una scuola rispetto ad un’altra, oggi, dipenda dalla situazione territoriale di riferimento, dalla bravura (o dalla non bravura) del Dirigente Scolastico e dei soggetti che lo coadiuvano, dalla partecipazione più o meno assidua nell’assunzione delle decisioni scolastiche del corpo insegnanti, delle famiglie e degli studenti.

La democratizzazione della scuola, ossia la partecipazione di soggetti diversi dagli organi istituzionali nell’assunzione delle decisioni, inoltre, ha comportato un ridimensionamento dei poteri dello Stato in ambito scolastico e, molto spesso, ha creato soltanto docenti burocrati e confusione, a discapito della qualità della didattica da garantire alle nuove generazioni.

La riduzione delle ore dedicata alle materie umanistiche, infine, sembra aver comportato il venir meno dello studio di quei valori in cui si rispecchia la società italiana.

Se le materie scientifiche, l’informatica e lo studio delle lingue straniere, infatti, possono maggiormente aiutare lo studente ad inserirsi nel futuro mondo del lavoro, sono soltanto le materie umanistiche che aiuteranno lo studente ad avere una identità, dei precetti morali, a conoscere il passato e a ragionare in termini astratti in ordine ai più svariati temi del presente e del futuro.

In altri termini, se lo studio delle scienze, dell’informatica e delle lingue straniere aiuteranno lo studente a lavorare in futuro, con lo studio delle materie umanistiche – e, in particolare, della storia, della filosofia, della letteratura italiana, della geografia e delle lingue antiche – lo studente imparerà a “vivere”.

Il futuro cittadino soltanto così potrà rispecchiarsi nei valori fondanti della società e potrà diventare, ad esempio, un giudice, un medico, un insegnante o uno scienziato, con un’etica.

Ad esempio, la risposta alle attuali perplessità espresse in merito ai limiti etici da porre allo sviluppo dell’intelligenza artificiale non potrà che dipendere dalla formazione valoriale impartita ai singoli scienziati che se ne occuperanno.

D’altro canto, nessuna norma dell’ordinamento italiano, nemmeno a livello costituzionale, artt. 33-34 Cost.[41], richiede che la scuola debba aiutare lo studente nell’inserimento nel futuro contesto lavorativo.

La scuola, in base alla Costituzione e alla legge, deve servire ad istruire (o, come è in voga nel linguaggio pedagogico più moderno, a formare) le nuove generazioni.

Sarebbe necessario, dunque, una riforma scolastica volta ad accentrare nuovamente i poteri decisionali sulla scuola, al livellamento dell’offerta didattica e formativa tra i vari istituti presenti nel territorio nazionale e all’aumento delle ore di lezioni dedicate allo studio delle materie umanistiche. Soltanto così, infatti, potrà essere possibile ricostruire una società che si rispecchi nuovamente nei valori, principi e diritti sanciti nella Costituzione.

In caso contrario, potrebbero risultare in futuro sterili disposizioni prive di qualsiasi rilievo effettivo.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Per una panoramica d’insieme si veda F. Biolcati, G. Rovati, P. Segatti (a cura di), Come cambiano gli italiani. Valori e atteggiamenti dagli anni Ottanta a oggi, Il Mulino, Bologna, 2020.

[2] In particolare, ci si riferisce ai principi e diritti sanciti agli artt. 13, 24, 27 e 111 della Costituzione, agli artt. 5 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) del 1950 e agli artt. 6 e 47-49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE) del 2000.

[3] D.l. 15 settembre 2023, n. 123 conv. con modif. in l. 15 novembre 2023, n. 15. Per un commento, per tutti, S. Bernardi, Convertito in legge il D.L. “Caivano” in tema di contrasto al disagio e alla criminalità e alla criminalità minorili: una panoramica dei numerosi profili d’interesse per il penalista, in Sist. pen., 15 novembre 2023.

[4] L. 19 luglio 2019, n. 69. Per una panoramica d’insieme, per tutti, D. Russo, Emergenza “codice rosso”. A proposito della lege 19 luglio 2019, n. 69 in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, in Sist. pen., n. 1, 2020, 5 ss.

[5] Art. 612-bis c.p. introdotto con d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. con mod. in l. 23 aprile 2009, n. 38. In tema cfr. F. Macrì, Atti persecutori (Art. 612 bis), in A. Manna, M. Papa, S. Canestrari, A. Cadoppi (a cura di), Trattato di diritto penale. Parte speciale, Vol. IX, Utet giuridica, Torino, 2011, 351-378.

[6] Sul punto, per una ricostruzione storica, cfr. E. Capuozzi, Politicamente corretto. Storia di un’ideologia, Marsilio, Venezia, 2018.  Per una visione antropologica, invece, J. Friendman, Politicamente corretto. Il conformismo morale come regime, Meltemi, Milano, 2018.

[7] Cfr. S. Mazzucchelli, Fare famiglia: un cammino a piccoli passi, in F. Biolcati, G. Rovati, P. Segatti (a cura di), Come cambiano gli italiani. Valori e atteggiamenti dagli anni Ottanta a oggi, Il Mulino, Bologna, 2020, 97-113; C. Brunori, A. Maineri, G. Borghesan, R. Luijkx, I cambiamenti strutturali: l’Italia dagli anni Ottanta a oggi, in F. Biolcati, G. Rovati, P. Segatti (a cura di), Come cambiano gli italiani. Valori e atteggiamenti dagli anni Ottanta a oggi, Il Mulino, Bologna, 2020, 35-60

[8] Cfr. R. Bichi, G. Rovati, La religiosità dopo la secolarizzazione, in F. Biolcati, G. Rovati, P. Segatti (a cura di), Come cambiano gli italiani. Valori e atteggiamenti dagli anni Ottanta a oggi, Il Mulino, Bologna, 2020, 115-140; nonché C. Brunori, A. Maineri, G. Borghesan, R. Luijkx, I cambiamenti, cit., spec.41-45.

[9] Per tutti, F. Vari, Ancora sull’esposizione del Crocifisso nei locali scolastici, in Federalismi.it, n. 4, 2022, 953 ss.

[10] Sul punto cfr. P. Segatti, S. Guglielmi, Pro patria mori? La disponibilità (verbale) a combattere per il proprio paese, in F. Biolcati, G. Rovati, P. Segatti (a cura di), Come cambiano gli italiani. Valori e atteggiamenti dagli anni Ottanta a oggi, Il Mulino, Bologna, 2020, 215-239.

[11] E. Galli della Loggia, La morte della patria, Laterza, Roma-Bari, 2015. Sul punto, per i fini che a noi interessano, si noti che la stessa tutela dei diritti dell’uomo nell’ordinamento italiano fu una clausola “imposta” all’art. 15 del Trattato di Pace con l’Italia firmato a Parigi il 10 febbraio 1947. Si noti, inoltre, che il termine alleati era anche generalmente utilizzato per indicare le fazioni militari che si opponevano agli Stati nazifascisti e, quindi, ancora prima dell’8 settembre 1943.

[12] Cfr. L. Pesenti, La grande ritirata: forme di partecipazione tra individualismo e post-politica, in F. Biolcati, G. Rovati, P. Segatti (a cura di), Come cambiano gli italiani. Valori e atteggiamenti dagli anni Ottanta a oggi, Il Mulino, Bologna, 2020, 197-213.

[13] In tema si vedano le interessanti e condivisibili considerazioni di E. Galli della Loggia, L’aula vuota. Come l’Italia ha distrutto la sua scuola, Marsilio, Venezia, 2019.

[14] Per una visione filosofica–politica dello Stato totalitario H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino, 2009. Per un punto di vista storico cfr. E. Collotti, Hitler e il Nazismo. Lo Stato totalitario, il furore della guerra, il declino, Giunti, Firenze, 2019; E. Gentile, Il fascismo in tre capitoli, Laterza, Bari–Roma, 2023, il quale tratta anche dell’ex URSS e della Germania. Nella letteratura giuridica cfr. G. Amato, F. Clementi, Forme di Stato e forme di governo, Il Mulino, Bologna, 2012, 71 ss. e 87 ss.; G. P. Trifone, Dallo Stato di diritto al diritto dello Stato. Giusformalismo e fascismo, Giappichelli, Torino, 2019.

[15] Sulla crisi del giuspositivismo M. Torre, Il diritto contro se stesso. Saggio sul positivismo giuridico e la sua crisi, Olschki, Firenze, 2019.

[16] In tema cfr. G. Speciale, L’eredità delle leggi razziali del 1938. Nuove indagini sul passato, in G. Resta, V. Zeno–Zencovich (a cura di)., Leggi razziali. Passato–Presente, Roma TrE–Press, Roma, 129 ss.; P. Caretti, Il “corpus” delle leggi razziali, in G. Speciale (a cura di), Le leggi antiebraiche nell’ordinamento italiano. Razza Diritto Esperienze, Pàtron, Bologna, 2013, 74 ss.

[17] In tema è sufficiente qui rimandare a C. Faralli, Le grandi correnti della filosofia del diritto. Dai Greci alle prospettive contemporanee, Giappichelli, Torino, 2022, spec. 130 ss.

[18] Per maggiori approfondimenti cfr.  artt. 2, 7, 8, 13, 19, 20, 21, 24, 27, 29-31, 33-34, 48 e 52, 111 Cost. in V. Crisafulli, L. Paladin, S. Bartole, R. Bin (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, Cedam, Padova, 2008.

[19] Aristotele, Politica, V, 9, 1310 a. In tema pure G. Fassò, Storia della filosofia del diritto, Vol. I, Laterza, Bari-Roma, 2001, 72.

[20] Sul giusnaturalismo cfr. C. Faralli, Le grandi, cit., 9-45.

[21] In particolare, nelle sedute del 9 e 11 settembre 1946 e del 5, 13, 17 e 24 marzo 1947, in www.nascitacostituzione.it. Voci critiche al riguardo, tuttavia, emersero nella seduta del 15 marzo 1947, in www.nascitacostituzione.it.

[22] Per una panoramica delle tesi al riguardo si veda, per tutti, G. Di Cosimo, Art. 2, in V. Crisafulli, L. Paladin, S. Bartole, R. Bin (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, a cura di, Cedam, Padova, 2008, 10 ss.

[23] N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1992, 5 ss.

[24] Ivi, 8 ss.

[25] Ivi, 61 ss.

[26] Per tutti R. Ortu, Schiavi e mercanti di schiavi in Roma antica, Giappichelli, Torino, 2012.

[27] Sul dibattito cfr. C. Focarelli, La persona umana nel diritto internazionale, Il Mulino, Bologna, 2013, 26 ss. e bibliografia ivi citata.

[28] Aristotele, Politica, I, 2, 1252 a.1253. Cfr. pure G. Zanetti, Eguaglianza, in A. Barbera (a cura di)., Le basi filosofiche del costituzionalismo, Laterza, Bari–Roma, 1997, 43 ss.

[29] Per tutti A. Facchi, O. Giolo, Una storia dei diritti delle donne, Il Mulino, Bologna, 2023; E. Cantarella, L’ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nell’antichità greca e romana, Feltrinelli, Milano, 2013.

[30] Cfr. J. Le Goffe, Il Medioevo. Alle origini dell’identità europea, Laterza, Bari–Roma, 2023, 25 ss.; N. Matteucci, Organizzazione del potere e libertà. Storia del costituzionalismo moderno, Il Mulino, Bologna, 2016, 25 ss.

[31] Si pensi, ad esempio, ai Paesi orientali. In tema M. Mazza, Trattato di diritto pubblico comparato. I sistemi del lontano Oriente, Cedam, Padova, 2019.

[32] H. Kelsen, Lineamenti di dottrina pura del diritto, ristampa a cura di R. Treves, Einaudi, Torino, 2000, spec. 95 ss. Sebbene, come noti C. Faralli, Le grandi, cit., Kelsen, 65 «pur non avendo mai rinnegato […] [la sua teoria] è stato costretto a fare [in seguito] appello a quello che egli stesso chiama “principio di effettività”».

[33] S. Romano, L’ordinamento giuridico, ristampa a cura di M. Croce, Quodlibet, Macerata, 2018.

[34] In particolare, cfr. N. Bobbio, Dalla struttura alla funzione. Nuovi studi di teoria del diritto, Laterza, Roma-Bari, 2007. Cfr. anche C. Faralli, Le grandi, cit., 65 ss.

[35] H. L. A. Hart, Il concetto di diritto, ristampa a cura di M. A. Cattaneo, Einaudi, Torino, 2002.

[36] Si pensi, ad esempio, alle guerre di religione, alla santa inquisizione, al c.d. fanatismo religioso e così via.

[37] Orazio, Odi, IV, IV, 33-36.

[38] In particolare, si vedano in tal senso le discussioni intorno al vigente art. 30 Cost. tenute nella seduta del 17 aprile 1947 e quelle intorno al vigente art. 31 Cost. del 7 novembre 1946 e 5 marzo 1947, tutte reperibili in www.nascitacostituzione.it

[39] Ibidem.

[40] In tema, per tutti, A. M. Poggi, F. Angelini, L. Conte, La scuola nella democrazia. La democrazia nella scuola, Editoriale Scientifica, Napoli, 2020. Gran parte delle considerazioni che seguiranno, inoltre, sono sostenute anche in E. Galli della Loggia, L’aula, cit.,

[41] Sull’art. 33 Cost. cfr. Q. Camerlengo, Art. 33, in V. Crisafulli, L. Paladin, S. Bartole, R. Bin (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, Cedam, Padova, 2008, 332 ss. Sull’art. 34 Cost. A. M. Poggi, Art. 34, R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), in Commentario alla Costituzione, Utet, Torino, 2006, 710 ss.