Pubbl. Gio, 16 Gen 2025
La violazione di un diritto di proprietà intellettuale o industriale: il diritto all’informazione non può essere esercitato al di fuori di un processo
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Francesco Zoppi
Il diritto all’informazione costituisce un importante strumento per rafforzare la posizione dei titolari di diritti di proprietà intellettuale e/o industriale. La disciplina europea di tale diritto, contenuta nella direttiva 2004/48/CE, è stata recepita nell’ordinamento giuridico italiano attraverso l’introduzione dell’art. 156-ter nella legge sul diritto d’autore (legge n. 633/1941) e dell’art. 121-bis nel codice della proprietà industriale (d.lgs. n. 30/2005). Tali disposizioni segnano le forme, le modalità e i limiti che consentono al titolare di un diritto di proprietà intellettuale e/o industriale di esercitare il diritto all’informazione.
Infringement of an intellectual or industrial property right: the right to information cannot be exercised out of a trial
The right to be informed is an important instrument to enforce the position of intellectual and/or industrial property rights holders. The European regulation of this right, which is contained in Directive 2004/48/EC, was transposed into Italian legislation by introducing Article 156-ter in the Copyright Law (Law No. 633/1941) and Article 121-bis in the Industrial Property Code (Legislative Decree No. 30/2005). These provisions set out the forms, ways and limits that allow the owner of an intellectual and/or industrial property right to exercise the right to be informed.Sommario: 1. La vicenda; 2. La disciplina eurounitaria; 3. La disciplina interna: la LDA e il CPI; 4. La sentenza n. 707/2024 del Tribunale di Roma e le posizioni della dottrina; 5. La posizione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea: 6. Conclusioni.
1. La vicenda
Una società di capitali attiva nell’ambito dell’intrattenimento mediatico acquisiva dalla Lega Nazionale Professionisti Serie A e, successivamente, dalla UEFA i diritti audiovisivi relativi rispettivamente al Campionato di Calcio Italiano e alla Champions League concernenti diverse stagioni sportive. I canali sui quali venivano trasmessi i match di calcio venivano diffusi, a pagamento, anche su piattaforma IPTV e su piattaforma Internet.
A distanza di qualche anno, mossa dall’intenzione di contrastare eventuali fenomeni di pirateria, la società affidava ad un soggetto specializzato l’incarico di monitorare le emissioni relative alle piattaforme IPTV e Internet: tale controllo rivelava l’esistenza di attività asseritamente illecite poste in essere da diversi portali web che, senza averne titolo, avrebbero permesso al pubblico di accedere abusivamente e a pagamento ai canali in questione. Inoltre, dal predetto monitoraggio emergeva che i menzionati portali, per introitare i corrispettivi derivanti dall'attività svolta, si avvalevano dei servizi di pagamento erogati da diversi fornitori.
Pertanto la società, sostenendo l’insormontabile difficoltà di risalire agli autori delle presunte violazioni, si rivolgeva ai prestatori dei servizi di pagamento, chiedendo a questi ultimi di rivelare i dati identificativi nonché le informazioni relative ai conti correnti e alle movimentazioni patrimoniali dei gestori dei portali web. A fronte della mancata ostensione dei dati de quibus, la società diffidava i fornitori dei servizi di pagamento, i quali tuttavia restavano saldi sulla posizione assunta, reputando che il diritto all’informazione non potesse essere esercitato in un contesto extraprocessuale e, dunque, in difetto di qualsivoglia sindacato giudiziale. Stante il diniego opposto dai destinatari della diffida, la società titolare dei diritti audiovisivi conveniva in giudizio i fornitori dei servizi di pagamento dinanzi al Tribunale di Roma per ivi sentire accertare e dichiarare il proprio diritto di ottenere la discovery dei dati richiesti nonché, in particolare, per ottenere la condanna delle convenute al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali asseritamente subiti a causa della omessa comunicazione delle informazioni e, dunque, a titolo di responsabilità extracontrattuale da illecito omissivo ex art. 2043 cod. civ.
I fornitori dei servizi di pagamento si costituivano nel giudizio incardinato dinanzi al Tribunale capitolino, prendendo posizione in modo chiaro e specifico sui fatti posti dalla società attrice a fondamento delle proprie domande.
2. La disciplina eurounitaria
Con la direttiva 2004/48/CE del 29 aprile 2004 – meglio conosciuta come “direttiva enforcement” – il Parlamento Europeo e il Consiglio sono intervenuti per disciplinare «le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale» (art. 1 della direttiva enforcement). La direttiva in esame ha fissato alcuni punti importanti in materia di tutela della proprietà intellettuale, precisando che «altre misure finalizzate a garantire un elevato livello di protezione esistono in alcuni Stati membri e dovrebbero poter essere applicate in tutti gli Stati membri. È il caso del diritto d’informazione, che consente di ottenere informazioni preziose sull’origine delle merci o servizi controversi, sui circuiti di distribuzione e sull’identità di terzi coinvolti nella violazione» (considerando n. 21 della direttiva). In particolare, il legislatore europeo, perseguendo la finalità precipua di rafforzare la tutela della proprietà intellettuale quale «elemento essenziale per il successo del mercato interno» (considerando n. 1 della direttiva), ha dunque positivizzato un nuovo e rilevante strumento di tutela giuridica: il c.d. “right of information”.
Più specificamente, ai sensi dell’art. 8 della direttiva enforcement, «gli Stati membri assicurano che, nel contesto dei procedimenti riguardanti la violazione di un diritto di proprietà intellettuale e in risposta a una richiesta giustificata e proporzionata del richiedente, l’autorità giudiziaria competente possa ordinare che le informazioni sull’origine e sulle reti di distribuzione di merci o di prestazione di servizi che violano un diritto di proprietà intellettuale siano fornite dall’autore della violazione e/o da ogni altra persona che:
a) sia stata trovata in possesso di merci oggetto di violazione di un diritto, su scala commerciale;
b) sia stata sorpresa a utilizzare servizi oggetto di violazione di un diritto, su scala commerciale;
c) sia stata sorpresa a fornire su scala commerciale servizi utilizzati in attività di violazione di un diritto;
oppure
d) sia stata indicata dai soggetti di cui alle lettere a), b) o c) come persona implicata nella produzione, fabbricazione o distribuzione di tali prodotti o nella fornitura di tali servizi.
2. Le informazioni di cui al paragrafo 1 comprendono, ove opportuno, quanto segue:
a) nome e indirizzo dei produttori, dei fabbricanti, dei distributori, dei fornitori e degli altri precedenti detentori dei prodotti o dei servizi, nonché dei grossisti e dei dettaglianti;
b) informazioni sulle quantità prodotte, fabbricate, consegnate, ricevute o ordinate, nonché sul prezzo spuntato per i prodotti o i servizi in questione.
3. I paragrafi 1 e 2 si applicano fatte salve le altre disposizioni regolamentari che:
a) accordano al titolare diritti d’informazione più ampi;
b) disciplinano l’uso in sede civile o penale delle informazioni comunicate in virtù del presente articolo;
c) disciplinano la responsabilità per abuso del diritto d’informazione;
d) accordano la possibilità di rifiutarsi di fornire informazioni che costringerebbero i soggetti di cui al paragrafo 1 ad ammettere la sua partecipazione personale o quella di parenti stretti ad una violazione di un diritto di proprietà intellettuale;
oppure
e) disciplinano la protezione o la riservatezza delle fonti informative o il trattamento di dati personali».
3. La disciplina interna: la LDA e il CPI
Con il decreto legislativo 16 marzo 2006, n. 140 il legislatore nazionale ha recepito nell’ordinamento giuridico interno la direttiva 2004/48/CE, per l’effetto novellando il testo della legge 22 aprile 1941, n. 633 (“Legge sul Diritto d’Autore” o “LDA”) e del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (“Codice della Proprietà Industriale” o “CPI”). La predetta novella ha condotto, sì, alla positivizzazione del diritto d’informazione, che è stato tuttavia ricondotto entro coordinate e limiti ben definiti.
In primo luogo, il d.lgs. n. 140/2006 ha introdotto l’art. 156-ter LDA, ai sensi del quale: «1. L’autorità giudiziaria sia nei giudizi cautelari che di merito può ordinare, su istanza giustificata e proporzionata del richiedente, che vengano fornite informazioni sull’origine e sulle reti di distribuzione di merci o di prestazione di servizi che violano un diritto di cui alla presente legge da parte dell’autore della violazione e da ogni altra persona che:
a) sia stata trovata in possesso di merci oggetto di violazione di un diritto, su scala commerciale; sia stata sorpresa a utilizzare servizi oggetto di violazione di un diritto, su scala commerciale;
b) sia stata sorpresa a fornire su scala commerciale servizi utilizzati in attività di violazione di un diritto;
c) sia stata indicata dai soggetti di cui alle lettere a) o b) come persona implicata nella produzione, fabbricazione o distribuzione di tali prodotti o nella fornitura di tali servizi.
2. Le informazioni di cui al comma 1 possono tra l’altro comprendere il nome e indirizzo dei produttori, dei fabbricanti, dei distributori, dei fornitori e degli altri precedenti detentori dei prodotti o dei servizi, nonché dei grossisti e dei dettaglianti, nonché informazioni sulle quantità prodotte, fabbricate, consegnate, ricevute o ordinate, nonché sul prezzo dei prodotti o servizi in questione.
3. Le informazioni vengono acquisite tramite interrogatorio dei soggetti di cui al comma 1.
4. Il richiedente deve fornire l’indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti sui quali ognuna di esse deve essere interrogata.
5. Il giudice, ammesso l’interrogatorio, richiede ai soggetti di cui al comma 1 le informazioni indicate dalla parte; può altresì rivolgere loro, d’ufficio o su istanza di parte, tutte le domande che ritiene utili per chiarire le circostanze sulle quali si svolge l’interrogatorio.
6. Si applicano gli articoli 249, 250, 252, 255 e 257, primo comma, del codice di procedura civile».
Il menzionato d.lgs. n. 140/2006 ha operato anche al fine di tutelare i diritti di proprietà industriale, attraverso l’introduzione dell’art. 121-bis CPI che presenta una formulazione del tutto sovrapponibile a quella dell’art. 156-ter LDA [1].
Ed ancora, con la Relazione Illustrativa al d.lgs. n. 140/2006, al fine di esplicitare i contenuti del predetto decreto, si è precisato che «la direttiva n. 48 del 2004 […] prevede, quindi, apposite misure – in materia […] di mezzi istruttori (innovativi per il nostro sistema processuale civilistico) finalizzati a consentire al giudice l’acquisizione di “informazioni” sull’origine e sulle reti di distribuzioni delle merci o di prestazioni di servizi, non solo dall’autore della violazione, ma anche da soggetti terzi (che […] sono sorpresi a utilizzare o fornire servizi), o da soggetti che siano stati indicati da questi ultimi come implicati nella produzione, fabbricazione, distribuzione di prodotti o produzione di servizi (art. 8, paragrafo 1)» (p. 1 della Relazione). Nel dettaglio e per quanto d'interesse, «l’articol[o] 4 dà attuazione all’articolo 8 della direttiva ed introduce nella legge 633/1941 l’art. 156-ter. Tale articolo disciplina il c.d. diritto all’informazione che costituisce un elemento di novità nel nostro ordinamento giuridico e si sostanzia nella possibilità di chiedere, nel corso del giudizio di contraffazione, informazioni a soggetti terzi su circostanze che non ineriscono direttamente all’oggetto della causa, ma riguardano notizie sull’origine dei prodotti e sulle reti di distribuzione delle merci. Lo scopo di questa disposizione è quello di far acquisire al titolare dei diritti informazioni sull’effettiva portata del fenomeno contraffattivo, in modo tale da consentirgli di estendere l’azione già intrapresa ad altri soggetti, oppure di intentarne una nuova, ovvero chiedere tutela in sede penale. La norma […] sotto un profilo strettamente processuale, disciplina le modalità di acquisizione delle notizie tramite un procedimento che si ispira in gran parte a quello previsto per le deposizioni testimoniali del codice di procedura civile» (p. 2 della Relazione).
Inoltre, in un raffronto simmetrico tra diritti di proprietà intellettuale e diritti di proprietà industriale, «l’art. 16 introduce l’articolo 121 bis al Codice della proprietà industriale, prevedendo una disposizione – omologa a quella contenuta nell’art. 4 del decreto (riferita [a]l diritto d’autore) – mediante la quale è data attuazione all’articolo 8 della direttiva, che introduce il c.d. diritto di informazione. Si rinvia, dunque, alle osservazioni relative all’articolo 4 e si precisa che […] le informazioni (previste all’articolo 4 e dal presente articolo) sono oggetto di un diritto autonomamente esercitabile sia in via cautelare che in via ordinaria nei confronti dei soggetti indicati nel primo comma. […] I commi 3, 4 e 5 stabiliscono le modalità con le quali il diritto alle informazioni può essere esercitato e quelle che ne costituiscono attuazione. L’avente diritto deve fornire l’indicazione specifica delle persone da interrogare ed i fatti sui quali ognuna deve essere interrogat[a]. Il giudice, ove accolga la domanda, procede ad acquisire le informazioni richieste tramite interrogatorio» (p. 5 della Relazione).
4. La sentenza n. 707/2024 del Tribunale di Roma e le posizioni della dottrina
Con la sentenza in esame la Sezione specializzata in materia di Impresa del Tribunale di Roma ha rigettato le domande formulate dalla suddetta società titolare dei diritti audiovisivi nei confronti delle società attive nel settore dell’erogazione di servizi di pagamento.
Più nel dettaglio, il Tribunale capitolino, dopo aver premesso che «parte attrice fonda la responsabilità civile delle società convenute sulla pretesa lesione del proprio diritto sostanziale all’informazione – riconosciuto, a tutela dei diritti di proprietà intellettuale e industriale, dall’art. 8, par. 1 della direttiva 2004/48 CE e dalle norme di recepimento nell’ordinamento interno di cui agli artt. 156 bis e 156 ter LDA e 121 e 121 bis CPI – e sulla violazione del corrispondente obbligo posto a carico dei terzi di fornire le informazioni richieste», ha proceduto all’esame puntuale delle disposizioni richiamate nei precedenti paragrafi 2 e 3.
A tale riguardo il Collegio, pur rilevando che «il dettato delle suddette norme interne ha sollevato dubbi interpretativi sulla natura sostanziale o processuale del diritto all’informazione di cui si discute», ha giudicato infondata la tesi attorea richiamando «il costante orientamento della giurisprudenza di merito e la dottrina prevalente», che riconoscono al diritto all’informazione «natura strettamente processuale, trattandosi di mezzi istruttori endoprocessuali che trovano la loro collocazione fisiologica all’interno di un procedimento già pendente a carico di un soggetto ritenuto responsabile o, comunque, partecipe di una violazione di un diritto d’autore o di proprietà industriale» [2].
Inoltre i Giudici di prime cure, pur considerando sul tema anche la «dottrina minoritaria», i cui esponenti attribuiscono «un fondamento sostanziale al diritto all’informazione» [3], comunque hanno rilevato che tali autori «non traggono affatto le conclusioni sulle quali si basano le domande attoree, ma riconoscono unicamente al suo titolare la possibilità di esercitare autonomamente tale diritto a prescindere dal rapporto con un giudizio già in corso», con la logica conseguenza che «il riconoscimento della natura sostanziale di tale diritto attribuirebbe al suo titolare unicamente la possibilità di promuovere un giudizio autonomo, cautelare o di merito, contro determinate categorie di terzi espressamente indicati dalla norma, al solo fine di ottenere dal giudice l’ordine di rendere tali informazioni, senza la necessità di proporre contestualmente ulteriori domande a tutela del diritto d’autore violato».
La piana lettura dell’art. 8 della direttiva enforcement, dell’art. 156-ter LDA e dell’art. 121-bis CPI, che collocano expressis verbis il diritto all’informazione esclusivamente in un contesto giudiziale, prevedendo l’istanza giustificata e proporzionata del richiedente, l’interrogatorio dei soggetti indicati e l’ordine del giudice, ha condotto il Tribunale di Roma a dichiarare che «va quindi sgombrato il campo rispetto al principale errore su cui si fonda l’azione di risarcimento del danno da illecito extracontrattuale formulata» dalla società attrice «ovvero che sia sufficiente il riconoscimento di un fondamento sostanziale al diritto all’informazione di cui trattasi per consentirne un esercizio diretto e una tutela autonoma, indipendentemente da un ordine del giudice».
È vero, invece, l’esatto contrario, e cioè che «a prescindere dalla natura sostanziale o processuale del diritto all’informazione, esso può essere esercitato soltanto all’interno di un procedimento cautelare o a cognizione ordinaria promosso nei confronti del responsabile o dei terzi coinvolti nella violazione del diritto d’autore, nelle forme, nei limiti, con il contenuto e con gli effetti espressamente previsti dagli artt. 156 ter LDA e 121 bis CPI».
Ed infatti, seguendo la precisa scansione delineata dalla sentenza n. 707/2024, siffatta procedura prevista per legge richiede:
- la «presentazione al giudice di un’apposita istanza giustificata e proporzionata, avente ad oggetto i dati, anche riservati, previsti dal comma 2»;
- l’«obbligo di fornire le informazioni richieste soltanto a carico dell’autore della violazione del diritto di proprietà intellettuale e delle categorie dei terzi coinvolti in vario modo nella violazione del diritto avvenuta su scala commerciale»;
- l’«emanazione di un ordine del giudice di fornire determinate informazioni»;
- l’«acquisizione di tali informazioni tramite interrogatorio da parte del giudice, secondo le norme del codice di rito applicabili ai testimoni, con obbligo di dire la verità»;
- «la sanzione pubblicistica di cui all’art. 171 octies LDA […] in caso di rifiuto ingiustificato di rispondere al giudice o nel caso in cui gli vengano rese informazioni false» [4].
Pertanto, la sola e unica conseguenza che può discendere da tale premessa è che «fuori dal contesto di un procedimento cautelare o di merito sopra descritto e in mancanza di un ordine del giudice, non può essere riconosciuto un diritto (sostanziale) all’informazione, né un dovere dei terzi di osservarlo, tale da generare una eventuale ipotesi di responsabilità civile extracontrattuale ex art. 2043 c.c., con conseguente risarcimento del danno».
Tale corollario incide inevitabilmente sulla struttura dell’illecito aquiliano ipotizzato dalla società attrice in quanto, non essendo individuabile alcun diritto sostanziale all’informazione che la società avrebbe potuto far valere senza attivare un giudizio e, specularmente, alcun obbligo in capo ai prestatori dei servizi di pagamento di rivelare le informazioni richieste, «viene a mancare l’elemento costitutivo fondamentale dell’illecito extracontrattuale, ovvero l’ingiustizia del danno lamentato, dal momento che la principale caratteristica del danno ingiusto consiste nel fatto che esso sia contra ius, perché lesivo di un diritto o di un interesse giuridico protetto dall’ordinamento, e non iure datum, in quanto non giustificato da altra norma».
5. La posizione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea
Con la sentenza in commento il Tribunale di Roma ha dato applicazione alla lettera della direttiva 2004/48/CE in conformità alla pertinente giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Anzitutto, tra le diverse pronunce intervenute sul tema, merita di essere menzionata la sentenza Coty Germany vs Stadtsparkasse Magdeburg del 16 luglio 2015 (C-580/13) [5]: con tale decisum i Giudici europei hanno espressamente sancito, tra l’altro, che «l’articolo 8, paragrafo 1, di detta direttiva (enforcement, N.d.A.) certamente non riconosce un autonomo diritto d’informazione che i singoli possano direttamente esercitare presso l’autore della violazione o le persone di cui all’articolo 8, paragrafo 1, lettere da a) a d), della direttiva in esame».
Il Collegio di merito ha poi richiamato la sentenza NEW WAVE CZ vs ALLTOYS del 18 gennaio 2017 (C-427/15) [6], in merito alla quale pare opportuno riportare il seguente passaggio: «in primo luogo, relativamente al tenore letterale dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2004/48, occorre, da un lato, rilevare che l’espressione “nel contesto dei procedimenti riguardanti la violazione di un diritto di proprietà intellettuale” non può essere intesa come riferentesi unicamente ai procedimenti diretti alla constatazione di una violazione di un diritto di proprietà intellettuale. L’impiego di tale espressione non esclude, infatti, che nell’ambito del suddetto articolo 8, paragrafo 1, rientrino anche procedimenti separati […] avviati dopo la conclusione definitiva di un’azione conclusasi con la constatazione di una violazione di un diritto di proprietà intellettuale». Ragionando nei predetti termini, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha enunciato il seguente principio di diritto: «l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, deve essere interpretato nel senso che esso si applica ad una situazione, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, nella quale, dopo la conclusione definitiva del procedimento con cui è stata dichiarata sussistente una violazione del diritto di proprietà intellettuale, la parte attrice richieda, in un procedimento separato, informazioni sull’origine e le reti di distribuzione di merci o di servizi con cui è violato tale diritto».
Infine, è doveroso un cenno alla pronuncia Mircom vs Telenet BVBA della CGUE del 17 giugno 2021 (C-597/19) [7]. Sul punto, un breve estratto di tale statuizione conferma che il “right of information” può essere fatto valere soltanto attraverso lo strumento processuale: «il 6 giugno 2019, la Mircom ha investito l’Ondernemingsrechtbank Antwerpen (Tribunale delle imprese di Anversa, Belgio) di un’azione diretta, segnatamente, a far ingiungere alla Telenet di produrre i dati identificativi dei suoi clienti le cui connessioni Internet sarebbero state utilizzate per condividere […] film facenti parte del catalogo della Mircom. […] La Corte ha già dichiarato che l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2004/48 deve essere interpretato nel senso che esso si applica a una situazione, nella quale, dopo la conclusione definitiva del procedimento con cui è stata dichiarata sussistente una violazione del diritto di proprietà intellettuale, la parte attrice richieda, in un procedimento separato, informazioni sull’origine e le reti di distribuzione delle merci o dei servizi con cui è violato tale diritto (sentenza del 18 gennaio 2017, NEW WAVE CZ […]. Si deve applicare il medesimo ragionamento per quanto riguarda un procedimento separato che precede l’azione risarcitoria […] in cui, in forza dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2004/48, la parte attrice chiede a un fornitore di accesso a Internet, come la Telenet, che è stato sorpreso a fornire, su scala commerciale, servizi utilizzati in attività di violazione di un diritto, le informazioni che consentono l’identificazione dei suoi clienti proprio al fine di poter utilmente intentare un’azione giudiziaria nei confronti dei presunti autori della violazione».
6. Conclusioni
Ad ogni buon conto, pare che la lettura offerta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea attraverso le sentenze Coty Germany (2015), NEW WAVE CZ (2017) e Mircom (2021) avalli esclusivamente la possibilità di azionare il diritto all’informazione attraverso un procedimento giudiziale, che può essere: (a) un giudizio attivato prima dell’instaurazione del procedimento nei confronti dell’autore della presunta violazione (Mircom); (b) lo stesso giudizio intentato nei confronti dell’autore della presunta violazione (Coty Germany) oppure (c) un giudizio instaurato dopo la conclusione del procedimento nei confronti dell’autore della presunta violazione (NEW WAVE CZ).
Rebus sic stantibus, la più recente giurisprudenza italiana di merito – nel solco dei principi enunciati dai Giudici di Lussemburgo – ha confermato l’orientamento pretorio e dottrinale prevalente in materia, disconoscendo la tesi della dottrina minoritaria che predica la totale autonomia del diritto d’informazione rispetto a qualsivoglia contesto processuale.
In conclusione, deve dunque trattarsi di un giudizio e non – come ritenuto dalla società attrice nel caso vagliato dal Tribunale di Roma – di una semplice richiesta rivolta ai prestatori dei servizi di pagamento di rivelare illico et immediate le informazioni detenute. Richiesta che – disattesa dalle società convenute, che potevano divulgare le informazioni in esame soltanto iussu iudicis – non poteva in alcun modo fondare ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. alcuna forma di responsabilità extracontrattuale da illecito omissivo dei fornitori dei servizi di pagamento nei confronti della società titolare dei diritti di proprietà intellettuale e industriale.
[1] Sul tema ex multis cfr. G. FLORIDIA, Il diritto all’informazione, in “Annali italiani del diritto d’autore, della cultura e dello spettacolo”, 15, 2006, 236-245; G. DI FAZZIO, Il diritto d’informazione, in “Il processo industriale”, a cura di A. Giussani, Torino 2012, 189 ss.; B.M. GUTIERREZ, La tutela del diritto di autore, II edizione, Giuffrè Editore, 2008, 275 ss.; G. MUSCOLO, Processo antitrust e prova economica. Verso una terza via tra adversarial systems e court centered systems?, in “Concorrenza e Mercato. Rassegna degli orientamenti dell’Autorità Garante”, 16, 2008, a cura di Ghidini, Libonati, Marchetti, Giuffrè Editore, 2009, 450 ss.
[2] Cfr. anche Tribunale Roma, 17 marzo 2008, Techland sp.z.o.o. Peppermint Jam Records GmbH c. Tiscali Italia S.p.A.: «per opinione costante di dottrina e giurisprudenza, la discovery non è una misura cautelare, ma un mezzo istruttorio, che deroga in parte ai principi generali sia di piena disponibilità della prova ad opera delle parti, introducendo con l’ordine del giudice degli elementi di officiosità, sia di allocazione dell’onere della prova, ponendolo a carico della parte attrice soltanto quanto agli elementi di prova (“seri indizi”) e non alla prova piena, il cui onere è spostato sulla controparte a cui i fatti da provare sono più prossimi».
[3] Cfr. L. BENVENUTO, Il sistema della Discovery e del “diritto di informazione” nel codice della proprietà industriale, in “Rivista di diritto industriale”, 2007, 118-119.
[4] Sulle conseguenze del mancato rispetto dell’ordine del giudice, cfr. Il private enforcement delle norme sulla concorrenza, a cura di Nascimbene-Rossi Dal Pozzo, Giuffrè Editore, 2009, 36 ss.
[5] Provvedimento consultabile al seguente link: Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 16 luglio 2015, Coty Germany GmbH contro Stadtsparkasse Magdeburg (Causa C-580/13) (ultimo accesso 08.01.2025).
[6] Link di consultazione della sentenza: Sentenza della Corte (Nona Sezione) del 18 gennaio 2017, NEW WAVE CZ, a.s. contro ALLTOYS, spol. s r. o. (Causa C-427/15) (ultimo accesso 08.01.2025).
[7] Sentenza al seguente link: Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 17 giugno 2021, Mircom International Content Management & Consulting (M.I.C.M.) Limited contro Telenet BVBA (Causa C-597/19) (ultimo accesso 08.01.2025).