Pubbl. Mar, 14 Gen 2025
La questione dell´interesse legittimo come un dilemma oggettivo o esclusivamente italiano. Analisi comparata del suo significato ed una possibile soluzione
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Lorenzo La Via
L´interesse legittimo rappresenta una delle nozioni fondamentali del diritto amministrativo, suscitando ampio dibattito nel corso dei decenni. L´analisi che si propone mira alla comprensione di questa figura per poi cercare di rispondere ai dubbi sulla sua natura e sulla sua definizione. Comprendere se i problemi sorti nel tempo sull’interesse legittimo siano esclusivamente nazionale.
The lssue of legitimate lnterest as an objective dilemma or exclusively italian concern: a comparative analysis of its meaning and a possible solution
Legitimate interest represents one of the fundamental concepts of administrative law, sparking extensive debate over the decades. The proposed analysis aims to understand this concept and then attempt to address the doubts regarding its nature and definition. It also seeks to determine whether the issues that have arisen over time concerning legitimate interest are exclusively national.Sommario: 1. Introduzione; 2. L’interesse legittimo e il suo significato; 3. L’origine del problema; 4. Il contributo proveniente dalla Costituzione; 5. Il completamento della natura sostanziale dell’interesse legittimo; 6. Il concetto più recente dell’interesse legittimo; 7. L’interesse legittimo nei sistemi di Common Law; 8. L’interesse legittimo e l’esperienza tedesca; 9. L’interesse legittimo in Francia e in Spagna; 10. Critiche al sistema di elaborazione italiano; 11.1. Una possibile soluzione; 11.2. L’interesse legittimo e una nuova definizione; 12. Conclusione.
1. Introduzione
Quando si esamina il concetto dell’interesse legittimo, si fa solitamente riferimento ad un elemento cardine del diritto amministrativo. Se la branca civilistica si occupa, infatti, dei diritti soggettivi coinvolti nei rapporti tra i privati, o il diritto penale ha come scopo la loro tutelare mediante la repressione delle condotte illecite che li ledono, il diritto amministrativo, invece, si distingue per l’attenzione alla disciplina e alla tutela degli interessi legittimi, concernenti l’utilità e i vantaggi coinvolti nella relazione tra il privato e la pubblica amministrazione.
Sia la giurisprudenza che la dottrina hanno a per lungo tempo dibattuto sulla natura e sul significato dell’interesse legittimo, poiché continua, ancora oggi, a suscitare molti interrogativi, anche soltanto riguardo la sua stessa definizione. Per decenni non è stato chiaro se fosse una situazione giuridica meritevole di tutela al pari dei diritti soggettivi, oppure un mero interesse privo di una piena protezione giuridica.
Questo articolo vuole così analizzare nello specifico le ragioni per cui l'interesse legittimo abbia generato tante perplessità ed opinioni contrastanti in Italia, mentre in altri ordinamenti giuridici stranieri sembra quasi che il problema non sussista. Bisogna chiedersi, quindi, se il dibattito passato, e in parte tuttora presente, è frutto di una lacuna del sistema giuridico italiano, oppure di un’impostazione errata sin dall’origine del suo studio che ha enfatizzato un problema che non esiste o che ha ragioni differenti.
Secondo diversi studiosi, infatti, la questione dell’interesse legittimo sembra simile alla problematica del flogisto o dell’etere, trattata dalla scienza fisica. Dopo diversi decenni di studi si è arrivati alla conclusione che questi due elementi, che non si riusciva a definire, in realtà non esistono. Allo stesso modo, anche l’interesse legittimo, per quanto trattato, non esiste, ed il suo problema è stato quasi inventato.
2. L’interesse legittimo e il suo significato
Quando si impiega l’espressione “interesse legittimo” si fa solitamente riferimento all’interesse che l’Amministrazione agisca in conformità all’ordinamento giuridico. In particolare, rappresenta l’interesse del privato che la p. A. non arrechi un danno, mediante comportamenti illeciti a un bene della vita, preservando così la situazione di vantaggio o di utilità. Si tratta di un diritto coinvolto nell’attività amministrativa, ma che, proprio per questa interconnessione, assume una configurazione peculiare.
Il coinvolgimento dell’interesse del privato nell’attività amministrativa comporta, infatti, la natura affievolita del diritto stesso che non può essere soddisfatto in modo assoluto, ma deve bilanciarsi e coniugarsi con l’interesse pubblico, “affievolendo” così l’interesse del privato.
3. L’origine del problema
Sul finire del XIX secolo, l'interesse legittimo non era definito come una situazione giuridica rilevante sul piano sostanziale, rimanendo ancorato ad una posizione secondaria rispetto ai diritti soggettivi. Ciò causava conseguenze significative, tra cui l’assenza di una giurisdizione specifica e l’impossibilità per il cittadino di poter difendere efficacemente i propri interessi davanti ad un giudice specializzato.
Come sostiene una parte ormai consolidata della dottrina, il mancato riconoscimento della soggettività dell’interesse legittimo derivava principalmente dalla legge 20 marzo 1865, n. 2248 (c.d. Legge Lanza). Questa norma, nel tentativo di uniformare la tutela amministrativa dell’appena costituito Regno d’Italia, aveva abolito il contenzioso amministrativo, facendo così venir meno la figura del giudice amministrativo. Gli interessi legittimi vennero ridotti a meri interessi economici.
I privati, per ottenere tutela, dovevano rivolgersi alla stessa Amministrazione che aveva emanato l’atto lesivo. Un sistema evidentemente inefficace, in quanto colei che doveva giudicare non si trovava di certo in una posizione di imparzialità. Assai difficile, infatti, che la p.A. censurasse la sua stessa scelta.
La giurisprudenza poi contribuì negativamente con l’appoggio della posizione del Legislatore di abolire la figura del giudice amministrativo: una scelta basata su dei principi astratti e illogici.
Col tempo, però, l'abolizione del contenzioso amministrativo appariva ormai come una scelta che aveva trascurato l'importanza degli interessi legittimi, già consolidati in tutta Europa come situazioni meritevoli di tutela al pari dei diritti soggettivi. Lo stesso giudice civile non appariva competente e riluttante a condannare la pubblica amministrazione.
Con la legge n. 5992 del 31 marzo 1889, nota anche come legge Crispi, si decise di costituire nuovamente il contenzioso amministrativo, e istituire la IV Sezione della Magistratura.
La scelta di ritornare sui propri passi aveva evidenziato l’errore del passato, il quale cominciava a far sorgere anche la causa del perché l’interesse legittimo non venne considerato importante sin da subito importante come il diritto soggettivo. La ragione, che in seguito sarà esaminata in modo più approfondito, è l’esigenza di ottimizzare le risorse pubbliche a discapito del privato.
In seguito alla legge del 1889 venne proposta dalla dottrina una nuova valutazione dell’interesse legittimo, come un interesse occasionalmente protetto. Ciò vuol dire che la legge è prodotta col fine di tutelare l'interesse pubblico. Quando la p.A. emette un atto o provvedimento illegittimo, viola innanzitutto l'interesse generale, ma, al contempo, può danneggiare un interesse privato. In tali situazioni, il privato può ricorrere al giudice amministrativo per chiedere l'annullamento o la modifica del provvedimento. In tal modo, si tutela l'interesse pubblico e, incidentalmente, anche quello privato. Tuttavia, il privato non agisce per tutelare sé stesso, bensì l’interesse generale leso dal provvedimento non difforme alla legge. Per questa ragione si parlava di un interesse occasionalmente protetto, poiché non era tutelato, ma accidentalmente si trovava comunque coinvolto.
Questo approccio, però, doveva già apparire obsoleto secondo il periodo storico in cui fu elaborato, in quanto in Europa l’interesse legittimo era oramai considerato al pari del diritto soggettivo, e come tale non poteva essere tutelato indirettamente dalla legge. Così, infatti, si applicavano delle leggi che erano legiferate per un fine diverso per cui lo stesso Legislatore le aveva prodotte. L’interesse legittimo doveva oramai essere considerato al pari del diritto soggettivo, senza tutele indirette.
In seguito all’elaborazione dell’occasionalità, però, un giurista elaborò un concetto più moderno. Si trattava di Ranelletti, secondo il quale l’interesse legittimo era un diritto affievolito, concetto ancora oggi utilizzato seppur con qualche differenza
Si tratta di un diritto soggettivo che si indebolisce nella sua tutela dopo che entra in relazione con gli interessi generali. Il privato non può ottenere una soddisfazione assoluta del suo interesse, poiché questo viene limitato per permettere anche la realizzazione dell'interesse pubblico. Tuttavia, l'interesse legittimo non è un diritto soggettivo che muta dopo essere coinvolto nell'attività amministrativa, ma nasce già con tale caratteristica, in quanto destinato fin dalla sua origine ad interagire con l’Amministrazione. A differenza dei diritti soggettivi, come la vita o la proprietà, che non si affievoliscono quando sono coinvolti in attività pubbliche.
Seppur il pensiero del giurista Ranelletti appare più sofisticato rispetto al contesto storico, non mi pare ancora sufficiente.
Innanzitutto, sullo stesso piano giurisdizionale, la dottrina e la giurisprudenza sono unanime nel considerare il pensiero di Ranelletti superato. Egli, infatti, ripartiva la competenza tra il giudice ordinario e amministrativo sulla base della causa petendi. Per determinare se la competenza, bisognava tener presente la ragione e il motivo che spingono un individuo a presentare un ricorso al giudice. Di conseguenza, però, il giudice amministrativo poteva trovarsi a giudicare materie civili se l'oggetto del ricorso riguarda diritti soggettivi, e viceversa per il giudice civile con gli interessi legittimi. In seguito, la teoria di Ranelletti è stata superata a favore del criterio del petitum: ciò che concretamente si chiede nel in giudizio. In seguito, quindi, la ripartizione della giurisdizione si era basata sull'oggetto del ricorso e non più sulle motivazioni, cioè la causa petendi. Tuttavia, anche il petitum, con il tempo, è stato superato. Attualmente, si adopera il c.d. petitum mediato: si esamina il caso nel suo complesso, indipendentemente dalle ragioni e dall'oggetto del ricorso presentato.
Nonostante la teoria elaborata da Ranelletti possedeva ancora delle carenze rispetto al concetto moderno dell’interesse legittimo, ebbe comunque un grande seguito, in quanto fu una delle poche ad essere realizzata ai tempi e la più all’avanguardia fino a quel momento elaborata.
4. Il contributo proveniente dalla Costituzione
L’entrata in vigore della Carta costituzionale ha rappresentato un transito essenziale nell’evoluzione dell’interesse legittimo, imponendo così una tutelata pari a quella destinati ai diritti soggettivi. L’art. 24 sancisce che chiunque può agire in giudizio per difendere i propri diritti ed interessi legittimi, riconoscendo, in questo modo, la sussistenza dell’interesse legittimo, in un contesto dove molti ne negavano persino l’esistenza. Al contempo, l’art. 113 Cost. garantisce al cittadino la facoltà di poter impugnare qualunque provvedimento della p.A., sia per la tutela di diritti soggettivi che per gli interessi legittimi, assicurando ad entrambi una protezione equivalente.
La Costituzione, tuttavia, non ha introdotto una definizione di interesse legittimo, ma ha imposto definitivamente alla dottrina, alla giurisprudenza e alla legislazione di riconoscerlo, superando le resistenze e le incertezze del passato. Nel resto d’Europa, invece, esso era già considerato rilevante non solo sul piano formale, ma anche su quello sostanziale. L’Italia è così giunta molto tardi a tale consapevolezza, costringendo diverse teorie sviluppate in precedenza a una revisione radicale. Basti pensare alle teorie strumentali e processulistiche.
Le teorie processualistiche interpretavano l’interesse legittimo come un semplice diritto di azione, finalizzato esclusivamente al controllo della legittimità degli atti amministrativi. Un interesse, quindi, che emergeva soltanto sul piano processuale e subordinato alla stessa azione giudiziaria. Secondo il giurista Guicciardi, esso non rientra nella sfera giuridica del privato, ma si configurava come un diritto collegato all’interesse pubblico. Il privato agendo in giudizio non vuole tutelare un interesse personale, ma garantire la correttezza dell’attività amministrativa. Al contrario, il giurista Garbagnati considerava l’interesse legittimo una figura autonoma, e volta ad ottenere il rispetto della legge. Per le teorie strumentali, l’interesse legittimo è , invece, uno strumento per garantire l'equilibrio tra interesse pubblico e individuale.
Con l’avvento della Costituzione, tutte queste visioni limitative vennero superate. L’interesse legittimo acquisì finalmente una dimensione soggettiva e sostanziale, dotata di una dignità equivalente ai diritti soggettivi. L’interesse legittimo non si considera più un fenomeno strettamente legato all’interesse dell’Amministrazione, bensì qualcosa contrapposto ad esso e che deve essere rivendicato e tutelato dinanzi al giudice.
5. Il completamento della natura sostanziale dell’interesse legittimo
La promulgazione della Costituzione ha consolidato e riconosciuto definitivamente un concetto già affermato nel panorama giuridico europeo e in buona parte anche in Italia, nonostante le numerose divergenze. Secondo una mia analisi, il ritardo nel considerare l’interesse legittimo una situazione giuridica sostanzialmente rilevante è riconducibile, oltre alla scarsa volontà del Legislatore per ragioni prettamente economiche, anche ad un approccio troppo accondiscendente della giurisprudenza verso la scelta legislativa. I medesimi motivi, poi, si riscontrano nella lentezza di riconoscere il risarcimento per violazione dell’interesse legittimo. Si tratta, infatti, di un’ulteriore conferma dei motivi che in passato hanno reso difficile la piena ammissione della soggettività.
Il riconoscimento dell’interesse legittimo come posizione soggettiva e sostanziale, avrebbe dovuto implicare anche la possibilità di ottenere un risarcimento in caso di lesione. Analogamente a quanto avviene per i diritti soggettivi, anche l’interesse legittimo, se violato, doveva essere pienamente tutelato. Nonostante i progressi dopo l’entrata in vigore della Costituzione, il riconoscimento della risarcibilità è giunto dopo un lungo e complesso percorso. A mio avviso, questa resistenza può essere interpretata come una scelta economica: il riconoscimento della risarcibilità, infatti, avrebbe portato per lo Stato un impatto finanziario significativo, spingendo così a ritardarne il riconoscimento.
Numerosi giuristi ritenevano oramai che la violazione di un interesse legittimo generasse evidentemente un danno ingiusto, al pari di quanto avviene per i diritti soggettivi. Ogni posizione giuridicamente rilevante, se lesa, comporta un danno ingiusto che merita tutela risarcitoria. Nonostante questa posizione, il percorso per riconoscere la risarcibilità si è rivelato molto tortuoso, paragonabile alle difficoltà incontrate nel definirne il carattere sostanziale.
La Costituzione ha indubbiamente favorito il consolidamento del principio della risarcibilità, ma sia il legislatore che la giurisprudenza si sono dimostrati reticenti, in un primo momento per due principali ragioni: da un lato, la complessità teorica, dall’altro, il timore delle ripercussioni economiche per lo Stato.
Le prime riflessioni sulla risarcibilità emersero intorno gli anni Cinquanta, ma non portarono a risultati concreti. Un convegno tenutosi a Napoli nel 1963 non riuscì a fornire argomentazioni decisive. Un contributo venne dal giurista Benvenuti, il quale sostenne che, dopo aver riconosciuto il carattere sostanziale, fosse naturale ammettere la risarcibilità in caso di lesione dell’interesse legittimo. Ogni situazione giuridica protetta deve essere effettivamente tutelata in caso di violazione.
Nel 1989, l’Unione Europea ha riconosciuto la risarcibilità degli interessi legittimi in materia di appalti pubblici, estendendo successivamente il principio a tutti i casi in cui si aveva una lesione ad un interesse legittimo. La Corte di cassazione italiana ha precisato, però, che la posizione giurisprudenziale europea sugli appalti è un’eccezione rispetto al principio generale che negava la risarcibilità degli interessi legittimi. Questo atteggiamento rifletteva un approccio conservatore, influenzato da esigenze sempre economiche di natura politica.
Nel 1996, la Cassazione ribadì il principio secondo cui l’interesse legittimo non fosse risarcibile, sollecitando anche un’intervento legislativo per evitare l’apertura indiscriminata. Tuttavia, con la storica sentenza n. 500 del 1999, la stessa Corte cambiò radicalmente orientamento, stabilendo che l’interesse legittimo è risarcibile. Seppur sembra un passo avanti ancora c’era una volontà di precludere un’efficace risarcibilità, la quale era, infatti, subordinata alla lesione di un bene della vita senza il quale non poteva riscontrarsi un vero e proprio risarcimento. Ammettendo così indirettamente che l’interesse legittimo di per sé non può essere davvero risarcito.
Nonostante la logica del riconoscimento della risarcibilità dell’interesse legittimo apparisse evidente, la lentezza del legislatore nel intervenire sottolineava come questa tutela non fosse affatto scontata, e voluta. Riconoscere i risarcimenti per gli errori della p.A. significava, infatti, accettare un onere significativo per lo Stato. Soltanto con il decreto legislativo n. 104 del 2010 è stata ufficialmente attribuita al giudice amministrativo la competenza nel poter condannare la p.A. al risarcimento dei danni subiti dai cittadini.
Il dibattito sulla competenza giurisdizionale del risarcimento ha avuto numerose controversie. Alcuni giuristi ritenevano che tale competenza spettasse al giudice ordinario, mentre l’opinione prevalente sosteneva che fosse di esclusiva pertinenza del giudice amministrativo. La Corte costituzionale ha chiarito che il risarcimento rappresenta un’estensione della tutela dell’interesse legittimo.
6. Il concetto più recente dell’interesse legittimo
Secondo la nuova definizione dell’interesse legittimo, esso tutela un bene della vita con lo scopo di garantire che le utilità derivanti non siano compromessi dall’azione amministrativa. Proprio come la prevalente dottrina, anche la Cassazione considera l’interesse legittimo una posizione giuridica di vantaggio che un soggetto assume nei confronti della pubblica Amministrazione, in relazione a un bene della vita. Chi è titolare di un interesse legittimo non ha un diritto diretto al bene in questione, bensì il diritto che il potere amministrativo che incide su tale bene venga esercitato in modo conforme alla legge. Alla luce del consolidato carattere sostanziale e della sua nuova definizione giurisprudenziale, che lo collega direttamente alla tutela del bene della vita, il legislatore è intervenuto per affinare la disciplina.
In particolare, si è assistito a una progressiva riduzione dell’importanza dei vizi formali, ossia i difetti che riguardano la regolarità della forma del provvedimento, senza che incidano sul suo contenuto sostanziale. Tali vizi, che in passato potevano determinare l’annullamento dell’atto, sono stati ridimensionati con l’obiettivo di preservare la validità del provvedimento e garantire maggiore stabilità all’azione amministrativa. Parallelamente, però, si sono rafforzati i vizi sostanziali, ossia quei difetti che incidono sul contenuto essenziale del provvedimento amministrativo e non si limitano a mere irregolarità formali. Tale rafforzamento è rivolto anche ai principi di buona fede e correttezza. L’evoluzione normativa in questione ha prodotto l’effetto di bilanciare le esigenze di efficienza dell’azione e dell’interesse pubblico, con una tutela delle posizioni giuridiche dei cittadini. In pratica, si è voluto trovare un equilibrio tra l’interesse generale e quello del privato, rafforzando l’uno e l’altro, e al contempo affievolendo sia uno che l’altro.
7. L’interesse legittimo nei sistemi di Common Law
Dopo un’attenta analisi e critica sull’interesse legittimo nell’esperienza giuridica italiana, è fondamentale comprendere perché tali difficoltà non si siano manifestate anche nei sistemi anglosassoni di common law. Soltanto seguendo questa linea di indagine è possibile cogliere pienamente la sua natura e la sua disciplina, in quanto si possono alienare tutte quelle peculiarità che magari hanno solamente complicato la definizione dell’interesse legittimo nel suo processo evolutivo.
Nei paesi che adottano dei sistemi giuridici basati sul common law, la distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi non è delineata in modo nett, come nei i della civil law. Basti pensare che nel contesto inglese, l’attenzione giuridica si concentra principalmente sui danni subiti dall’individuo. Il diritto anglosassone non crea categorie formali come il diritto soggettivo e l’interesse legittimo. Ciò ha reso superflua l’introduzione di una distinzione specifica tra queste due posizioni.
Un’ulteriore differenza si riscontra nella stessa organizzazione giurisdizionale. Se il civil law prevede una separazione tra giurisdizione ordinaria e amministrativa, i sistemi di common law, invece, non operano tale distinzione. Tutte le controversie, incluse quelle contro la p.A., ricadono nella competenza del giudice civile, senza la necessità di creare una disciplina autonoma come quella del diritto amministrativo italiano. In particolare, l’administrative law inglese non è interamente assimilabile al diritto amministrativo italiano, proprio come gli administrative tribunals, i quali non possono essere equiparati ai tribunali amministrativi. La giurisprudenza inglese non riconosce l’interesse legittimo come una distinta categoria giuridica.
Nei sistemi di common law, la distinzione tra right (cioè, i diritti) e interest (gli interessi) non corrisponde alla contrapposizione tra diritto soggettivo e interesse legittimo, tipica del civil law, bensì viene radica nella dicotomia storica tra common law ed equity. Il primo tutela i diritti riconosciuti nel diritto comune, e il secondo si occupa della protezione degli interessi attraverso un sistema parallelo, nato per mitigare le rigidità del common law e garantire una maggiore equità sostanziale.
Nel civil law il diritto amministrativo si è sviluppato come un ramo autonomo per regolamentare i rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione. Ciò ha condotto all’elaborazione del concetto di interesse legittimo, inteso come una posizione giuridica intermedia tra il diritto soggettivo e il semplice interesse di fatto. Nei sistemi di common law, invece, non esiste una distinzione altrettanto marcata tra diritto pubblico e privato. La tutela nei confronti dell’amministrazione pubblica si basa sugli stessi principi applicati alle relazioni tra privati.
Secondo una mia analisi, si potrebbe riscontrare il mancato sviluppo di un diritto amministrativo autonomo nel contesto storico inglese, assai differente sotto molti aspetti rispetto a quello del resto del Vecchio Continente. L’Inghilterra, patria del common law, non ha vissuto dittature o regimi totalitari propriamente detti, fatta eccezione per un caso eccezionale e limitato nel tempo, per poi tornare rapidamente al sistema monarchico. Lo Stato e i sovrani, inoltre, non sono mai stati percepiti come un vero pericolo, e il sistema politico e giudiziario si è evoluto gradualmente in risposta alle esigenze del popolo, senza dover attraversare eventi traumatici come la Rivoluzione francese.
Questa particolarità ha impedito al diritto inglese di svilupparsi secondo una logica di difesa contro potenziali abusi del potere pubblico, ricevendo un’influenza molto più moderata. Di conseguenza, gli inglesi non hanno sentito la necessità di costituire un sistema giuridico specificamente orientato alla tutela dei diritti dei singoli nei confronti dell’azione della pubblica amministrazione.
Il professore inglese Albert Venn Dicey disse in una discussione con il preside della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Parigi (M. Barthélemy) verso la fine del IXX secolo, che in Inghilterra non sapevo nulla del diritto amministrativo e volevano continuare non volerne sapere nulla.
L'ordinamento amministrativo inglese si rapporta, comunque, alle garanzie previste dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, con particolare riferimento all’art. 6, che tutela il diritto a un giusto processo. Seppur orami la realtà inglese è distante dall’UE, ciò non vuol dire che non ci sia sempre un’influenza giuridica in due sistema assai vicini geograficamente e influenzabili l’uno con l’altro. Nello specifico, infatti, proprio l’art. 6 della CEDU ha esteso la protezione dei diritti dei cittadini, influenzando indirettamente il sistema amministrativo inglese, garantendo l'accesso a un tribunale indipendente e imparziale anche per questioni amministrative, imponendo il rispetto degli interessi dei cittadini all’interno delle garanzie procedurali proprie di un giusto processo. Si è voluto, in sintesi, garantire il principio del giusto processo, mediante una tutale processuale in relazione al diritto amministrativo.
Il sistema inglese si fonda su un unico diritto comune applicabile indistintamente a soggetti pubblici e privati, senza la distinzione netta tra diritto amministrativo e civile tipica dei sistemi di civil law. Il controllo dell'azione amministrativa avviene attraverso la judicial review, una procedura giudiziaria che consente ai cittadini di contestare le decisioni pubbliche davanti ai giudici ordinari, senza la necessità di un sistema giurisdizionale separato o di giudici amministrativi specializzati.
I tribunals inglesi si caratterizzano così per una natura ibrida, legandosi al governo, ma dotati di alcune caratteristiche di indipendenza. Questo li differenzia dai giudici amministrativi di altri Paesi.
Storicamente e culturalmente poi la mentalità inglese rifiuta l'idea di privilegi per l’amministrazione, rispetto alle esperienze storiche di altri paesi come la Francia, la Germania, la Spagna o l’Italia. In queste nazioni, infatti, le esperienze meno liberali hanno portato in alcuni contesti storici alla creazione di privilegi per il potere pubblico.
Infine, nei sistemi di common law, il risarcimento del danno è concesso solo in caso di violazione di un diritto soggettivo. Tale limitazione ha reso inutile l’introduzione di una categoria autonoma come l’interesse legittimo. Le azioni contro la p.A. mirano principalmente a ottenere annullamenti, ingiunzioni o risarcimenti per illeciti civili, senza includere una posizione intermedia come accade nei sistemi di civil law.
8. L’interesse legittimo e l’esperienza tedesca
Nei paesi come gli Stati Uniti d’America e il Regno Unito, che adottano un sistema basato sul common law, manca, come si è visto, un’esperienza sull’interesse legittimo. Ciò è dovuto a una diversa struttura del sistema giuridico stesso, che rende superflua tale categoria. Al contrario, in molti paesi europei, come Germania e Francia, la distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi si presenta in modo simile a quella italiana, senza, però, che ciò abbia provocato le medesime difficoltà interpretative. In questi ordinamenti, la tutela degli interessi legittimi è integrata nel sistema di protezione dei diritti fondamentali, garantendo un accesso più fluido alla giustizia.
La situazione di altri paesi stranieri che meglio hanno saputo gestire l’interesse legittimo, altro non fa che mettere in luce le difficoltà dell’Italia nella gestione, sia sul punto di vista pratico che normativo, la disciplina dell’interesse legittimo. Le difficoltà che si sono riscontrate sono generate spesso da conflitti con altri interessi, impedendo il loro riconoscimento in ambito sostanziale. Tra questi, spicca il fattore economico e la volontà dello Stato di non esporre a sanzioni le proprie istituzioni, percepite come espressione diretta della sua autorità.
In Germania, l’interesse legittimo assume una configurazione ben diversa, dove la distinzione con i diritti soggettivi è meno marcata, poiché il diritto amministrativo tedesco si fonda su un principio di legalità e su una tutela individuale derivante dal rispetto delle norme. L’interesse del cittadino è trova una base normativa soltanto quando gli si attribuisce una posizione giuridica espressamente prevista e tutelata dalla legge. Un principio centrale nel diritto amministrativo tedesco, infatti, è la teoria della norma di protezione, secondo cui un soggetto può rivendicare un diritto soggettivo o un interesse legittimo solo se una norma giuridica è esplicitamente volta a tutelare i suoi interessi. In altre parole, l’interesse deve essere protetto da una disposizione normativa che imponga obblighi all’amministrazione pubblica.
La tutela contro gli atti della p.A. in Germania è affidata ai tribunali amministrativi, che operano come giurisdizioni autonome rispetto ai tribunali civili e penali. In questo contesto, l’interesse legittimo non possiede la stessa autonomia concettuale che caratterizza l’esperienza italiana. Si tratta, invece, di una categoria strettamente legata ai diritti soggettivi, subordinandola alla presenza di una base normativa. Tale approccio riflette la natura assai rigorosa e molto più sistematica del diritto tedesco.
9. L’interesse legittimo in Francia e in Spagna
In Francia, l’interesse legittimo si colloca all’interno di un sistema influenzato dal principio di diritto soggettivo pubblico.
La tutela degli interessi dei cittadini contro gli atti della p.A. si basa su una consolidata tradizione di protezione delle libertà fondamentali.
L’assenza di una netta separazione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, unita a un sistema giurisdizionale amministrativo molto ben strutturato, ha consentito una gestione più equilibrata e armoniosa della materia. L’attenzione è posta, infatti, sulla violazione delle norme giuridiche e sull’equilibrio tra i diritti individuali e l’interesse generale. Questo approccio ha evitato le ambiguità concettuali che in Italia hanno spesso ostacolato il pieno riconoscimento dell’interesse legittimo.
In Spagna, l’interesse legittimo è stato affrontato con maggiore chiarezza nel 1978, mediante la promulgazione della Costituzione spagnola, la quale ha dato una solida base per la tutela dei diritti fondamentali e degli interessi dei cittadini. Il sistema giuridico spagnolo adotta un approccio pratico, garantendo che i singoli possano accedere agevolmente alla giustizia. I tribunali amministrativi riconoscono e tutelano gli interessi legittimi senza le complicazioni teoriche che caratterizzano il dibattito italiano.
10. Critiche al sistema di elaborazione italiano
Dopo aver esaminato l’evoluzione dell’interesse legittimo nel contesto italiano e paragonandolo con il progresso avuto in altri paesi, bisogna ora comprendere nel dettaglio le ragioni che hanno causato i problemi nella sua maturazione e, mediante questa valutazione, indagare ed accertare così il suo significato.
Questa analisi può fornire una base utile per comprendere e risolvere le ambiguità ancora esistenti sul significato dell’interesse legittimo.
A differenza del sistema di common law, che non ha ereditato l'approccio teorico e pratico romano, il diritto italiano si è sviluppato in linea con la tradizione giuridica della gran parte dell'Europa. Ciò, comunque, non vuol dire che il sistema giuridico inglese sia superiore, in quanto la presenza di un giudice amministrativo dedicato a tale materia è sempre una scelta che riflette una tutela più peculiare e specializzata,. Oltre a possiede diversi aspetti deboli che caratterizzano il sistema giuridico del common law, a differenza del civil law. La presenza di un organo giurisdizionale specifico per il diritto amministrativo garantisce maggiore competenza e accuratezza nei giudizi, costituendo un motivo di orgoglio per il sistema italiano, piuttosto che di preoccupazione.
In Italia, il concetto di interesse legittimo è stato accolto inizialmente con diffidenza, rispetto ad altri Paesi dove il riconoscimento è dato quasi per scontato. Tale resistenza non sembra attribuibile a ragioni meramente giuridiche. Infatti, mentre, in Italia si discuteva della sua stessa esistenza, nel resto dell’Europa, l’interesse legittimo era già considerato una realtà consolidata sul piano sostanziale.
A mio avviso, le vere ragioni della lentezza del riconoscimento risiedono nel timore che un giudice potesse condannare l'operato delle istituzioni che rappresentano lo Stato, mettendo in discussione la supremazia del potere esecutivo. La prospettiva che il potere giudiziario intervenisse per punire errori o abusi della p.A. sollevava dubbi sulla possibile sovrapposizione tra i poteri dello Stato.
La Costituzione italiana, tuttavia, ha avuto un ruolo determinante non solo nel sancire formalmente l'esistenza dell'interesse legittimo, ma anche nel introdurre valori di libertà e democrazia, affermando per la prima volta che lo Stato non può porsi al di sopra dei cittadini. In uno Stato di diritto, infatti, anche le istituzioni devono rispettare la legge e in caso di violazioni essere censurate. Questo principio ha segnato una mutamente radicale nella relazione tra Stato e cittadino, ponendo le basi per un nuovo equilibrio.
L'eredità dell'esperienza fascista, con le gravi violazioni dei diritti individuali, ha reso ancora più urgente questa trasformazione. Lo Stato, da potere assoluto, è stato ridefinito come uno strumento al servizio della collettività, sullo stesso piano degli altri soggetti di diritto. La Costituzione ha contribuito non solo al riconoscimento formale, ma a radicare nei cittadini valori di uguaglianza e giustizia, fondamentali per prevenire soprusi da parte delle istituzioni pubbliche. Si potrebbe quasi sostenere che la fase più embrionale di una mentalità che nel tempo sarebbe diventata più marcata, per dare poi modo al fascismo di emergere, fosse presente negli anni precedenti, concretizzata nell’idea che un giudice non potesse sanzionare l’Amministrazione in caso di violazione alle norme giuridiche. L’idea cioè che lo Stato non potesse trovarsi allo stesso piano di importanza rispetto al privato, al contrario di come era emerso in altri paesi stranieri, dove in effetti i regimi totalitari hanno riscontrato maggiori difficoltà nel loro emergere.
Un ulteriore elemento che ha ostacolato lo sviluppo dell'interesse legittimo in Italia è stato di natura economica. In passato, sussisteva il timore che il riconoscimento di risarcimenti ai privati per gli errori della p.A. comportasse costi elevati per lo Stato. Ciò ha probabilmente rallentato ancor di più l'evoluzione sul piano sostanziale. Non si trattava, quindi, di una mancata comprensione giuridica, ma di una vera e propria resistenza legata a considerazioni finanziarie.
Già nel 1865, la giurisprudenza era stata oggetto di critiche per essersi allineata alla visione del Legislatore secondo il quale l’interesse legittimo fosse un interesse privo di rilevanza sostanziale. Anche negli anni dopo, parte della giurisprudenza continuava a relegare l’interesse legittimo a una posizione marginale, e certamente non equiparabile a quella del diritto soggettivo.
Un esempio della mancata voltata da parte del Legislatore è rappresentato dal riconoscimento del risarcimento, il quale, inizialmente, non era previsto per la lesione di un interesse legittimo. Questa prospettiva cambiò radicalmente con una delle pronunce più significative: la sentenza n. 500 del 1999. Con tale decisione, si riconobbe il diritto al risarcimento per la lesione di interessi legittimi, superando la precedente inerzia legislativa. Nonostante questo, infatti, il Legislatore era rimasto inattivo di fronte a questa svolta giurisprudenziale, apparentemente timoroso che il riconoscimento potesse ampliare la risarcibilità in altre fattispecie. La risarcibilità dell’interesse legittimo avvenne pure con le pressioni della giurisprudenza europea che ha esercitato un ruolo cruciale in questa evoluzione.
Ciò evidenzia come l’elaborazione in Italia è stata influenzata da molteplici fattori di natura politica ed economica. Spesso le leggi non sono state emanate sulla base di reali esigenze sociali o di maturazione giuridica, ma da ragioni contingenti di carattere politico o economico.
11.1. Una possibile soluzione
Come nel caso di violazione di una norma giuridica il privato è punito penalmente, civilmente o con una sanzione amministrativa, anche la p.A. deve essere soggetta a sanzioni, le quali, come oltre la funzione punitiva possiedono quella di scoraggiare la reiterazione dell’illecito. Analogamente, nel diritto civile, il risarcimento per i danni a diritti soggettivi è considerato oramai dalla più recente giurisprudenza non più come un semplice strumento di riequilibrio tra i privati, ma possiede anche una funzione simile ad una punizione, cioè il fine di scoraggiare il soggetto privato a compiere nuovamente il gesto lesivo. Allo stesso modo, secondo un ragionamento e un’interpretazione analogica si potrebbe affermare che la p.A. deve esercitare i suoi poteri in modo legittimo altrimenti verrebbe punita e scoraggiata per la condotta illecita mediante il risarcimento dell’interesse legittimo. Esso, oltre ad avere un fine risarcitorio, possiede anche una funzione di scoraggiamento nella reiterazione della condotta illecita, da parte dell’Amministrazione.
Il risarcimento per l’interesse legittimo si deve riconoscere se violata una norma imperativa (violazione di legge), quando si verifica un errore nell’organizzazione gerarchica (eccesso di potere), o si riscontra un abuso nelle scelte discrezionali (eccesso di potere). Se la p.A. commette un errore, non può essere esentata da un risarcimento che presenti anche una valenza sanzionatoria.
Tuttavia, poiché l’ente pubblico non possiede una psiche come le persone fisiche, è il funzionario che agisce in concreto per suo conto e interesse, rispondendo per eventuali errori. In questi casi, la responsabilità non va attribuita allo Stato in senso stretto, ma al funzionario che ha violato la legge o ha adottato un comportamento ingiusto. In questo modo, responsabilizzando il soggetto che ha agito, si può evitare di gravare eccessivamente sulle finanze pubbliche e al tempo stesso prevenire l’inerzia delle istituzioni di fronte a condotte illegittime.
L’interesse legittimo merita così un risarcimento non solo in funzione risarcitoria, ma anche come deterrente. Da questa doppia natura emerge una teoria completa, che lo equipara ad altri strumenti giuridici come, per l’appunto, il risarcimento per i diritti soggettivi. L’interesse legittimo è risarcibile sia per il danno subito dal privato che per scoraggiare la p.A. dal ripetere l’illecito. Per evitare che i funzionari siano sopraffatti dal rischio di risarcimenti, questa responsabilità dovrebbe essere distribuita tra i dirigenti e i funzionari di grado inferiore. Tuttavia, è giusto che sia lo Stato a risarcire il danno e successivamente possa esercitare il diritto di rivalsa nei confronti del funzionario responsabile.
È fondamentale semplificare il processo di risarcimento a favore del privato per gli interessi legittimi contro la stessa p.A. per evitare che la tutela rimanga solo una disposizione formale, ma possa avere un effettivo effetto ed una garanzia pratica. In caso contrario, così come un reato non punito porta alla reiterazione dell’illecito, anche la mancata punizione della p.A. o del funzionario pubblico comporterebbe la reiterazione degli errori.
Il risarcimento per l’interesse legittimo avrebbe dovuto essere riconosciuto prima, ma una volta che è stato finalmente sancito, è evidente che riveste un valore sostanziale pari a quello del diritto soggettivo. L’interesse legittimo è l’interesse del privato affinché la pubblica Amministrazione agisca nel rispetto della legge, ed è radicato nel contratto sociale che esiste tra il privato e il pubblico. Lo Stato è un’organizzazione che ha il compito di soddisfare al meglio gli interessi dei singoli cittadini, i quali, tacitamente, decidono di limitare la propria libertà individuale per vivere in comunione con gli altri, creando istituzioni che garantiscano l’ordine e la giustizia. Se tale garanzia viene meno, si viola l’accordo con lo Stato, considerato responsabile.
L’interesse legittimo è un bene della vita che tutela il diritto dei singoli a pretendere che la pubblica amministrazione agisca sempre in conformità alla legge, seguendo i principi di correttezza e buona fede. Così come il cittadino che viola la legge viene punito, anche l’Amministrazione deve essere sanzionata quando agisce in modo illegittimo. Il valore a cui si ricollega l’interesse legittimo non è solo patrimoniale, ma include anche il disagio derivante dal danno subito, dalle spese affrontate e dal tempo speso per contrastare un’azione illegittima.
In un certo senso, l’interesse legittimo rappresenta una forma di "potere punitivo" del cittadino verso lo Stato. Se lo Stato può punire il cittadino che sbaglia, anche il cittadino deve poter ottenere un risarcimento o una sanzione contro lo Stato quando quest’ultimo agisce in modo irragionevole o prepotente. Ad esempio, così come un privato che supera i limiti di velocità viene punito per aver messo in pericolo gli altri, anche lo Stato deve essere sanzionato quando danneggia il privato.
L’interesse legittimo non soltanto possiede come oggetto il bene della vita riconducibile all’interesse che l’Amministrazione si comporti in modo lecito, riassumendosi in un vero risarcimento del danno subito; ma tale risarcimento deve anche possedere, analogamente all’ambito civile, la funzione di scoraggiare e poter inibire l’atteggiamento scorretto. L’interesse legittimo comporta il diritto a un risarcimento per i danni causati dalla pubblica Amministrazione, con l’aggiunta di una funzione deterrente.
La competenza giurisdizionale per la tutela dell’interesse legittimo, inoltre, non dovrebbe basarsi su una semplice valutazione formale, ma su un’analisi della natura dell’atto. Quando si tratta di azioni della pubblica amministrazione, il giudice amministrativo, specializzato in materia pubblica, è competente. Tuttavia, vi sono casi in cui la lesione di un diritto soggettivo può richiedere l’intervento sia del giudice civile sia di quello amministrativo, che, lavorando in coordinamento, possono emettere sentenze distinte ma complementari.
Questo approccio integrato consente di ottimizzare tempi e risorse, garantendo al privato una tutela piena e uniforme. Così come nel caso di una lesione del diritto alla vita si può avere una condanna penale per omicidio e, al contempo, un risarcimento civile per i familiari della vittima, anche l’interesse legittimo può essere risarcito non solo per il danno patrimoniale subito, ma anche per il disagio arrecato e per garantire una funzione deterrente contro comportamenti illegittimi della pubblica amministrazione.
11.2. L’interesse legittimo e una nuova definizione
Secondo la tesi prospettata si potrebbe sostenere che l’interesse legittimo sia, in concreto, riassumibile nell’interesse del privato che la p.A. si comporti in modo conforme alla legge. In caso di violazione all’ordinamento giuridico ed ai suoi principi, si configurerebbe una violazione all’interesse legittimo del privato, il quale può esercitare il proprio diritto al risarcimento del danno per l’interesse leso, in quanto è stata violata la legge. L’interesse legittimo può essere considerato come un bene della vita meritevole di tutela e garanzia giurisdizionale.
Per una parte della dottrina appare sbagliata la tesi giurisprudenziale, secondo la quale l’interesse legittimo si legarsi a un bene della vita, come un diritto soggettivo, personale o patrimoniale. In questo modo si sottopone l’interesse legittimo ad un altro bene. L’interesse legittimo possiede una sua natura di fondo, riconducibile nell’interesse che la p.A. si comporti in modo legittimo, altrimenti sorgerebbe una responsabilità nei suoi confronti. Già, quindi, sussiste un diritto al risarcimento per il semplice fatto di aver violato la legge, poi la responsabilità può diventare più grave se sono coinvolti altri beni della vita, come dei diritto soggettivi o altri interessi meritevoli di tutela.
12. Conclusione
L'interesse legittimo rappresenta uno dei concetti cardine del diritto amministrativo cioè, l’interesse del singolo che la l’Amministrazione operi in modo conforme ai principi dell’ordinamento giuridico. Si distingue dai diritti per la specificità, che la lega all'azione amministrativa e richiede un costante bilanciamento tra le esigenze individuali e quelle collettive. La sua definizione e tutela ha generato un dibattito assai prolungato, sia in dottrina che in giurisprudenza.
In passato, l'interesse legittimo non possedeva un riconoscimento come posizione giuridica autonoma. Soltanto con l'introduzione della legge Crispi, che reintrodusse il contenzioso amministrativo, si iniziò a conferire rilievo a questa figura. Il suo consolidamento definitivo avvenne, però, soltanto con la Costituzione, che sancì il diritto dei cittadini alla tutela giurisdizionale contro gli atti illegittimi della p.A. e la garanzia a qualunque situazione giuridicamente rilevante sul piano sostanziale del diritto. Nonostante ciò, il percorso verso un riconoscimento sostanziale è stato assai difficoltoso, ostacolato da resistenze di carattere politico ed economico, legate al timore che la responsabilità risarcitoria potesse pesare sulle finanze statali. Solo con la sentenza n. 500 del 1999 si è giunti a un punto di svolta, riconoscendo la possibilità di essere tutelato anche attraverso il risarcimento del danno.
Un confronto, però, con gli ordinamenti stranieri evidenzia approcci differenti. Nei sistemi di common law, ad esempio, come quello inglese, non esiste una distinzione netta tra diritti soggettivi e interessi legittimi, e il controllo sull'azione della p.A. si realizza mediante dei procedimenti civili, senza una specificai separazione giurisdizionale. In Germania e Francia, invece, l'interesse legittimo è integrato in un sistema di tutela dei diritti fondamentali, senza le ambiguità teoriche che hanno caratterizzato l'esperienza italiana.
Oggi, l'interesse legittimo è riconosciuto come una posizione giuridica autonoma e rilevante anche sul paiano sostanziale. Diventata essenziale nella garanzia di un equilibrio tra la tutela dei diritti individuali e l'interesse pubblico.
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