Pubbl. Lun, 17 Nov 2025
L´attività di polizia giudiziaria in assenza di una condizione di procedibilità. Disamina dell´art. 346 c.p.p.
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Giuseppe Falcone

L´attività di polizia giudiziaria in assenza di una condizione di procedibilità - Disamina dell'articolo 346 del C.p.p. attraverso i formanti, dottrinario, legislativo, e giurisprudenziale.
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Judicial police activity in the absence of a condition of admissibility - Examination of article 346 of the Code of Criminal Procedure
Judicial police activity without a condition of admissibility - Examination of article 346 of the Code of Criminal Procedure through the formants, doctrinal, legislative, and jurisprudential.Sommario: 1. Premessa; 2. Esegesi dell'art. 346 del C.p.p.; 3. Relazione dell'art. 346 del c.p.p. con le norme dell'Ordinamento giuridico; 4. Conclusioni.
1. Premessa
Qualsiasi operatore della polizia giudiziaria sa benissimo quali siano le funzioni sue proprie. Basta leggere l’art. 55 del c.p.p. (che oltre ad indicare le funzioni della P.G., descrive la sua articolazione e l’attribuzione delle qualifiche di ufficiale e agente); tale norma in soli tre commi, peraltro molto stringati, apre un mare magnum nel mondo delle investigazioni della Polizia Giudiziaria, perché ogni proposizione contenuta nell’art. 55 C.p.p., si dipana successivamente in quasi tutto il codice di rito.
Moltissime sue norme hanno valore precettivo e tassativo anche per essa; ad esempio in tema di Prove (Libro Terzo), basti pensare all’art. 188, sul modo in cui le prove devono essere assunte dalla persona interessata, ovvero nel rispetto della libertà morale, con il suo consenso e senza utilizzo di tecniche e metodi idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione, ancora, l’art. 189, che tratta delle prove non disciplinate dalla legge, le c.d. prove atipiche, che si aggiungono a quelle previste nel Codice, purché assunte sempre nel rispetto delle libertà morale della persona.
Principi, consacrati tra l'altro a livello costituzionale, validi per tutti coloro che a vario titolo si trovano coinvolti in modo attivo in un procedimento penale, quindi non solo la P.G., ma anche il Pubblico Ministero, il Giudice (nelle sue varie articolazioni, G.I.P./G.U.P. e del Dibattimento), ma anche l’avvocato difensore, quando svolge attività d’indagine per conto del proprio assistito. Tra gli obiettivi, vi è quello di scongiurare derive autoritarie da parte dei poteri dello Stato.
In tale contesto rientrano le attività compiute dalla P.G. in assenza di una condizione di procedibilità che può ancora sopravvenire (art. 346). La disposizione si pone come trait d’union con il successivo Titolo IV (riguardante l’attività ad iniziativa della polizia giudiziaria), ma trova connessione anche con l’art. 55, comma 1, c.p.p. secondo cui “La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale.”
2. Esegesi dell'art. 346 del C.p.p.
Piero Nobili (1928-2007), figura di spicco nel panorama giuridico italiano, ebbe a dire che le indagini preliminari “non contano e non pesano”, sul presupposto che in un processo penale, com’è giusto che sia, le prove si formano dinanzi al giudice, il cui convincimento si deve basare sulle prove assunte in contradditorio tra le parti nel dibattimento; di conseguenza, le attività investigative avrebbero la sola finalità di permettere al Pubblico Ministero di esercitare l’azione penale, laddove vi fossero i presupposti.
Con questa affermazione, fortemente critica, il Nobili temeva un peso eccessivo e non corretto delle indagini preliminari nel processo penale, memore di un retaggio normativo poco incline al rispetto dei principi costituzionali e dell’Ordinamento sovranazionale.
Bisogna ricordare che con il riformato Codice del 1988, si passa da un sistema inquisitorio ad un sistema di stampo accusatorio (rectius: misto, dato che la fase delle indagini preliminari, con i dovuti aggiustamenti, rimane pur sempre marcatamente inquisitoria; solo quando gli organi inquirenti procedono con la conclusione delle indagini ed una richiesta di rinvio a giudizio, allora si aprono le porte al puro sistema accusatorio). Tornando all’art. 346 del c.p.p., che qui interessa, ne viene riproposta per intero la sua formulazione per analizzarla:
Art. 346 C.p.p. - Atti compiuti in mancanza di una condizione di procedibilità.
1. Fermo quanto disposto dall'articolo 343, in mancanza di una condizione di procedibilità che può ancora sopravvenire, possono essere compiuti gli atti di indagine preliminare necessari ad assicurare le fonti di prova e, quando vi è pericolo nel ritardo, possono essere assunte le prove previste dall'articolo 392.
La norma, in tutta la sua semplicità e sinteticità, esprime concetti di grande importanza:
- “Fermo quando disposto dall’art. 343”: ci si riferisce all’autorizzazione a procedere che il Pubblico Ministero deve fare a norma dell’art. 344, quando vi è la necessità di una specifica autorizzazione, per esempio nei confronti di un parlamentare, pertanto, in questi casi, l’art. 346 non può trovare applicazione.
- “In mancanza di una condizione di procedibilità che può ancora sopravvenire”: questo è il fulcro della norma; sappiamo che le condizioni di procedibilità sono quelle previste dal Titolo III del Libro V della Parte Seconda del c.p.p., ovvero, la querela (art. 336), l’istanza di procedimento (art. 341), richiesta di procedimento (art. 342) e autorizzazione a procedere. Alle condizioni di procedibilità, ai fini dell’avvio di un’indagine preliminare, si aggiunge quanto previsto dal precedente Titolo II in materia di Notizia di reato: acquisizione delle notizie di reato (art. 330), denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico di servizio (art. 331), denuncia da parte di privati (art. 333) e il referto (art. 334).
- “possono essere compiuti gli atti di indagine preliminare necessari ad assicurare le fonti di prova”: questa proposizione è la chiave di volta per rimediare all’assenza di una condizione di procedibilità; benché ci si possa trovare di fronte ad un fatto di reato per cui si debba procedere, ad esempio a seguito di una futura querela, l’inerzia degli organi inquirenti, ignari se la condizione di procedibilità giungerà, magari anche a distanza di tempo, se non si attivassero immediatamente, perderebbero tutto o gran parte del materiale indiziario/probatorio. Quali gli atti che possono essere compiuti? La norma si rivolge sia al P.M. che alla P.G.; tralasciando quelli del primo, qui si discute di quelli che possono essere svolti dalla P.G., pertanto si dovrà fare riferimento a tutte le attività di assicurazione delle fonti di prova così come menzionato nel combinato disposto previsto dagli artt. 55 e 348, di conseguenza dall’art. 349 sino all’art. 357, saranno tutte operazioni legittime e dovute, non inganni il termine “possono…”. Con il conforto della giurisprudenza, tra le attività compiute in assenza di una condizione di procedibilità vi rientra anche il sequestro probatorio ex art. 354 c.p.p.[1]
- “quando vi è pericolo nel ritardo, possono essere assunte le prove previste dall'articolo 392”: appare logico che anche in assenza di una condizione di procedibilità, quindi quanto il reato non è procedibile d’ufficio o vi sia ancora la possibilità che venga proposta querela o negli altri casi sopra indicati, i soggetti investiti delle attività investigative, al fine di acquisire tutte le fonti di prova, possano procedere ad esperire l’incidente probatorio, invero tale facoltà riguarda il P.M. e/o l’indagato (per il tramite del proprio difensore), e ciò può essere fatto solo nei casi in cui vi sia la possibilità che tale fonte di prova possa non essere più acquisita in futuro durante la fase dibattimentale; l’incidente probatorio viene svolto nel rispetto del contradditorio e secondo le regole che vigono durante la fase dibattimentale, il suo esito entra di diritto nel fascicolo del dibattimento.
Dalla disamina dell’art. 346 del C.p.p. il rischio è che, senza una tempestiva identificazione delle persone informate sui fatti e senza assicurare subito le tracce e gli effetti del reato su persone e cose, prove importanti possano andare perse, spesso a causa della convinzione errata della P.G. che non si debba intervenire in assenza di una condizione di procedibilità. La parola “…possono…”, che indica un potere da parte della P.G., va letta in chiave restrittiva e in armonia con l’art. 55, esso dispone che la Polizia Giudiziaria ha un dovere, finalizzato fondamentalmente, a fare tutto ciò che serve per l’applicazione della legge penale, preceduto dall’altrettanto dovere di acquisire tutte le fonti di prova oltre che identificare gli autori del reato ed evitare che lo stesso possa avere ulteriori conseguenze.
A quale esito mai un P.M. potrebbe giungere, in assenza di un quadro indiziario/probatorio non raccolto nell’immediatezza? E come potrebbe, appresa una notitia criminis non procedibile d’ufficio, senza che siano state fatte le dovute indagini, godere della genuinità delle fonti di prova non acquisite nell’istantaneità del fatto ai fini dell’esercizio dell’azione penale? Potrà mai bastare una delega alla P.G. per acquisire quei preziosi elementi che si sarebbero potuti e dovuti trovare nell’immediatezza?
Chiunque abbia svolto indagini di P.G. saprà sicuramente che le fonti di prova vanno raccolte il prima possibile, per non alterarne il valore, fornendo anche al Giudice (in qualsiasi fase), elementi validi su cui poggiare le proprie decisioni.
3. Relazione dell'art. 346 del C.p.p. con le norme dell'Ordinamento giuridico
Inizialmente si è scritto delle relazioni o, meglio potremmo dire ora, delle implicazioni dell’art. 346 del c.p.p. riguardo all’Ordinamento giuridico quando tale norma viene disattesa o non se ne coglie l’importanza. Si è fatto riferimento a concetti di negata giustizia, discriminazioni, ecc. Si legga l’art. 24 della Costituzione, che qui si riporta per comodità:
Art. 24 – Costituzione
Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.
Il primo comma, “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”, è quello che ci interessa in particolar modo. Ipotizzando che la Polizia Giudiziaria intervenga sul locus commissi delicti per cui ai fini dell’esercizio dell’azione penale vi sia la necessità di proporre querela da parte della persona offesa, e che quest’ultima, avendo i canonici 3 mesi e in alcuni casi anche tempi più lunghi, non la propone immediatamente, se non venissero fatte nell’immediatezza tutte le attività di indagine necessarie per assicurare le fonti di prova, esse, nel tempo, perderebbero valore, con grande difficoltà nel ricostruire la scena del crimine in futuro; da ciò deriverebbe grave nocumento per la parte offesa, la quale si vedrebbe privata del diritto di potere agire in giudizio con la pienezza degli strumenti investigativi che si sarebbero dovuti attivare per tempo, tesi ad accertare la verità. Già un precetto di rango costituzionale verrebbe violato in sottofondo. Ma altrettanto grave sarebbe la violazione del diritto di eguaglianza e di non discriminazione constracrati nell'art. 3 della Costituzione:
Art. 3 – Costituzione
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge. La mancata attivazione delle investigazioni nell’immediatezza per assenza di una condizione di procedibilità, che comunque potrebbe sopravvenire, porterebbe all’inevitabile discriminazione degli interessati, rispetto a coloro i quali vedrebbero la Polizia Giudiziaria attivarsi immediatamente, nei casi di reati procedibili d’ufficio, pur trattandosi, magari, di reati bagatellari o comunque meno gravi.
4. Conclusioni
In verità, ben poca giurisprudenza ed elaborati dottrinali sono presenti nel panorama del sapere giuridico, i testi di diritto processuale penale sfiorano appena il tema di cui si discute, solo qualche sentenza della Suprema Corte, che ha statuito la legittimità dei sequestri probatori ex art. 354 C.p.p. quando manca una condizione di procedibilità; nonostante ciò, l’articolo 346 C.p.p. riveste grande importanza per l’accertamento dei reati e soprattutto per i diritti della parte offesa.
Quando non vi è una condizione di procedibilità o ancora, non sia stata manifestata la volontà della parte offesa tramite querela, a che si proceda in ordine ai fatti di reato, vi sarebbe in generale, l’improcedibilità dell’azione penale, pertanto il procedimento dovrebbe arrestarsi, cioè non avere luogo, ma il legislatore, saggiamente, con tale articolo ha posto una deroga al principio dell’improcedibilità con un fine legittimo e garantista.
La ratio legis dell'articolo 346 risiede nell'esigenza di salvaguardare le fonti di prova dal rischio di alterazione o sparizione. Se si dovesse attendere il decorso dei termini per la presentazione della querela (che, come già detto, sono di 3 mesi, o più lunghi per reati specifici), molte tracce del reato, testimonianze (S.I.T.) o altri elementi utili potrebbero andare irrimediabilmente perduti.
La norma, pertanto, autorizza un'attività investigativa "conservativa", finalizzata a "congelare" il quadro probatorio in attesa che la condizione di procedibilità si avveri. A parere di chi scrive, chi interviene sulla scena di un crimine dovrebbe svolgere tutte quelle attività finalizzate a garantire, anche in futuro, l’esercizio dell’azione penale, a prescindere che vi sia o meno una condizione di procedibilità.
Quid iuris, nell’ambito dell’art. 346 del C.p.p., è possibile procedere ad intercettazioni ex artt. 266 e ss. del C.p.p.? La giurisprudenza della Suprema Corte è orientata in senso negativo[2], sul presupposto che l’art. 346 preveda la possibilità di assicurare le fonti di prova in assenza di una condizione di procedibilità, mentre le intercettazioni sono un mezzo di ricerca della prova, negandone l’utilizzo anche in casi d’urgenza.
Secondo la Corte, le intercettazioni appartengono inequivocabilmente alla categoria dei mezzi di ricerca della prova. Non servono a "congelare" una prova esistente, ma a captare comunicazioni future e a creare, così, una prova nuova.
Questa sentenza, che sicuramente intende tutelare gli individui da strumenti così invasivi quali possono essere le intercettazioni, si contraddice con la sentenza n. 43480 sempre della Cassazione penale, Sez. IV, del 30/09/2014, la quale, contrariamente a quanto statuito dalla prima, ritiene legittimo il sequestro probatorio operato dalla Polizia Giudiziaria (art. 354) in assenza di una condizione di procedibilità, eppure anche questa attività di P.G. rientra tra i mezzi di ricerca della prova avente quale scopo l’assicurazione delle fonti di prova, al pari delle intercettazioni, sicuramente meno invasivo di quest’ultime, ma con medesima ratio.
Vero è che le sentenze non creano precedenti, tantomeno hanno funzione nomofilattica se nono sono a sezioni unite, ma il problema rimane, ed ha grande rilevanza per determinati reati di estrema gravità, basti pensare al reato di stalking la cui querela può essere proposta entro 6 mesi o ancora, ben più grave, il reato di violenza sessuale, querelabile entro 12 mesi; l’aumento dei tempi per proporre querela, in questi casi, è stato voluto dal legislatore a tutela della vittima del reato, nondimeno, per queste condotte, che spesso si perpetrano anche a mezzo social per il tramite di smartphone, l’acquisizione tardiva di fonti di prova, potrebbe frustare le pretese giustiziali della vittima, pertanto non si può non tenere conto della necessità di utilizzare anche i mezzi di ricerca della prova, data l’urgenza e la gravità dei fatti.
Per porre rimedio a questa discrasia giuridica, si auspica, un intervento legislativo o quantomeno, ad un cambio di rotta della Suprema Corte in materia di attività investigativa che può essere svolta in assenza di una condizione di procedibilità.
[1] Cass. pen., Sez. IV, Sentenza, 30/09/2014, n. 43480 (rv. 260313)
È legittimo il sequestro probatorio effettuato nel corso delle indagini preliminari, pur in mancanza di una condizione di procedibilità, essendo la stessa rilevabile solo nella fase processuale. (Annulla con rinvio, Trib. lib. Terni, 07/01/2014) - Fonte: CED Cassazione, 2014.
[2] Cass. pen. Sez. VI Sentenza n. 05/11/2013 n. 45023