Pubbl. Ven, 15 Nov 2024
La liquidazione equitativa del danno e i suoi presupposti
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Francesco Gabriele
Circa la liquidazione equitativa del danno, la Suprema Corte con la pronuncia Cass. civ., Sez. III, Ord., ud. 01/07/2024, dep. 27/09/2024, n. 25876 ritorna sulla valutazione ex art. 1226 c.c. effettuata dal giudice di merito ed i presupposti per la valenza di tale norma, sostanzialmente confermando il precedente orientamento.
Sommario. 1. La fattispecie; 2. Premesse, l’art. 1226 c.c. e l’istituto della liquidazione equitativa; 3. I presupposti; 3.1. La certezza ontologica del danno; 3.2. L’adempimento probatorio; 3.3. La corretta e congrua motivazione.
1. La fattispecie
Con l’ordinanza n. 25876 del 27 settembre 2024, i giudici della Corte di Cassazione sono tornati sulla sfera risarcitoria del danno non patrimoniale, in particolare sul danno lamentato dal magistrato ricorrente, che sosteneva di esser stato diffamato dal convenuto, componente del C.S.M. durante un convegno inerente a questioni giuridiche in un momento ove l’attore aspirava alla candidatura di Presidente del Tribunale.
Il tribunale adito ha però rigettato la domanda di risarcimento del danno dell’attore ritenendo configurabile la causa di non punibilità prevista per i membri del C.S.M. per la quale le manifestazioni del pensiero non producono danno ingiusto, se sono attinenti ad esercizi consiliari e strumentali al fine dell’esercizio del voto.
Diversamente, la Corte d’Appello ha riformato la sentenza, in ragione dell’esclusione della riportata esimente, in quanto il convenuto avrebbe espresso le sue opinioni non già nell’esercizio delle funzioni di consigliere, come una delibera o una discussione strumentale ad essa, ma al termine di un convegno giuridico a cui presidiavano anche alcuni avvocati e magistrati. Tale esercizio avrebbe leso la reputazione del ricorrente, come verrà confermato dalla Corte, con la conseguenza di un risarcimento del danno non patrimoniale - nello specifico del danno morale soggettivo da lesione alla reputazione professionale - liquidato in via equitativa.
2. Premesse, l’art. 1226 c.c. e l’istituto della liquidazione equitativa
Non è possibile omettere, se si vuole parlare di liquidazione equitativa, alcuni brevi cenni alla natura del danno in questione che è legata ad uno dei più controversi dilemmi del sistema della responsabilità civile italiana: il danno non patrimoniale.
La sfera di quest’ultimo è caratterizzata da una particolare ermeneutica che ne ha modificato profondamente i connotati nel corso del tempo[1]. Di notevole rilevanza sono i principi introdotti dal gruppo di sentenze di San Martino del 2008[2] per il quale il danno non patrimoniale è considerato, e di conseguenza liquidato, in maniera unitaria ed omnicomprensiva in ragione di un sistema bipolare della responsabilità civile che non contempla un’autonomia delle sue varie sottocategorie, come il danno morale ed il danno biologico, ma ne fa di queste una valenza esclusivamente descrittiva del più ampio genus di danno non patrimoniale, pur riconoscendone la dignità concettuale e l'importanza che devono assumere in sede risarcitoria[3]. Successivamente, alcune turbolenze, in particolare provenienti dalla Terza Sezione con la sentenza c.d. “Travaglino” del 2018[4], hanno rimodulato la questione attinente all’indipendenza delle suddette sottovoci, ad esempio con l’introduzione dell'autonomo danno dinamico-relazionale[5].
Nonostante le varie divergenze, si è univoci nell’ammettere l’unitarietà del non patrimoniale e l’importanza delle vesti che assume in base alla configurabilità della lesione, indipendentemente dall'autonomia o non, come nel caso in questione del danno morale.
Proseguendo, il danno morale da lesione della reputazione professionale, in quanto non patrimoniale, incide su valori della persona che sfuggono, almeno ideologicamente, a profili economici. Da ciò si evince una oggettiva difficolta del compito del giudice di liquidare il danno perché l’operazione consiste nel tradurre in moneta dei rilievi non suscettibili di misurazione economica per la loro natura[6].
A tal proposito, soccorre l’art. 1226 c.c. per il quale il giudice di primo grado può liquidare equitativamente il danno, cioè secondo il suo prudente apprezzamento, se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare.
Sulla natura dell’istituto, si sono più volte espressi i giudici di Piazza Cavour, in particolare sul potere discrezionale del giudice di ricorrere all’art. 1226 c.c. Invero, il meccanismo dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto fondato sull'equità giudiziale c.d. “correttiva” ovvero “integrativa”[7], nel senso che l’istituto non si sostituisce alle regole dell’ordinamento, ma funge da ausilio a quest’ultime[8]. Va anche detto che la valutazione equitativa è comunemente riconosciuta – come riferisce anche la Corte oggetto di commento – quale espressione del più generale potere di cui l’art. 115 c.p.c.[9].
3. I presupposti
3.1. La certezza ontologica del danno
L’utilizzo dell’istituto può però ritenersi legittimo solo dove il danno sia certo nella sua esistenza ontologica, cioè non meramente potenziale ovvero possibile[10].
La suddetta condizione di certezza è indipendente da una determinazione precisa del quantum debeatur, dato che è rilevante solo un valore oggettivo concreto, non ipotetico o d’affezione[11]. Infatti, l’operazione della definizione del quantum verrà poi compiuta dal giudice ex post.
In merito, la dottrina si è interrogata più volte sull’impatto di alcuni mezzi liquidatori utilizzati dalle corti italiane da ormai vari decenni, come le tabelle giudiziali risarcitorie[12], su tale necessità di certezza, visto che per lo più si tratta di valutazioni ex ante, diversamente da quanto accade in una valutazione equitativa pura[13]. L’incertezza non era accomodata neanche dall’atteggiamento della giurisprudenza, la quale difettava di un'applicazione uniforme di un qualsivoglia mezzo di liquidazione[14]. Ebbene i dubbi sono stati sciolti dalla sentenza c.d. “Amatucci”[15], attraverso la quale il giudice cassazionista ha riconosciuto le possibili compromissioni dell’art. 1226 c.c. date dalla natura ondivaga della giurisprudenza di merito sui parametri liquidatori utilizzati[16]. Infatti, il parametro principale utilizzato dalla Cassazione per giudicare la legittimità di tali mezzi è stata proprio l’esigenza di equità e certezza richiesta dall’art. 1226 c.c. Coerentemente, la dottrina immediatamente successiva ha stabilito che il garantire una valutazione equitativa sulla base delle specificità del caso concreto prevale sull’adozione di un singolo meccanismo liquidatorio[17], preferendo quindi la personalizzazione e l’integralità del risarcimento a meri usi processuali[18].
3.2. L'adempimento probatorio
Il confine delineato tra diritto di cronaca ed espressione e lesione della sfera professionale è talvolta sottile, particolarmente in fattispecie simili, ove vige una necessità di bilanciamento tra le scriminanti della responsabilità a difesa dell'attività consiliare e la tutela della reputazione del soggetto. Ebbene, lo snodo cruciale lo si ritrova nella configurabilità dell’ipotetico danno non patrimoniale lamentato, la cui natura ed ermeneutica impongono un accertamento in sede giudiziale tale da scongiurare leziosi risarcimenti come meri disagi o fastidi.
È bene rammentare che il danno da lesione della reputazione, come la generalità dei danni non patrimoniali[19], deve essere debitamente provato ed allegato in tutte le sue componenti[20], in quanto non è in re ipsa[21] - come nel caso, invece, di danno morale ex art. 185 c.p. nell’illecito che costituisce reato[22] - ma costituisce un danno conseguenza.
A livello probatorio, la Corte ricorda, come da indirizzo pacifico[23], che per la prova del danno è possibile ricorrere alle presunzioni, anche semplici[24], e al fatto notorio[25].
Quest’ultimi mezzi probatori possono, se correttamente motivati, essere anche l’unica fonte di convincimento del giudice[26], pur constatando che a quest’ultimo è rimessa la discrezionalità sull’ammissibilità e, di conseguenza, l’attendibilità di tali mezzi[27].
Le presunzioni che sono maggiormente utilizzate in materia attengono alla portata offensiva e alla rilevanza della notizia diffamatoria, con particolare riferimento alla gravità delle dichiarazioni e ad eventuali risonanze mediatiche[28], e alla posizione dell’offeso nel contesto in cui è stata resa[29].
Per completezza, è utile ricordare come la giurisprudenza, sempre più negli ultimi anni, utilizzi altri indicatori per accertare l’esistenza del danno quali il criterio delle condizioni economiche delle parti e l’entità di un’eventuale somma relativa ad un pregiudizio patrimoniale riconosciuta al ricorrente in proporzione alla liquidazione del non patrimoniale[30]. È di diverso avviso la dottrina sull'ammissibilità di quest'ultimi parametri, la quale è molto critica, dato che si trattano profili non attinenti alla vicenda causativa del danno[31].
L’adempimento dell’onere probatorio è da intendersi come presupposto fondativo dell’equità suppletiva richiamata precedentemente, in quanto si rammenta che la liquidazione equitativa non ha nessun carattere sostitutivo ad eventuali carenze probatorie, dato che lo stesso potere discrezionale di ricorrere all’istituto presuppone le tempestive allegazioni ex art. 2697 c.c. non potendovi il giudice surrogare d’ufficio[32].
3.3. La corretta e congrua motivazione
La ratio della valutazione equitativa sta nel rimettere al potere-dovere del giudice di sopperire alle difficoltà di bilanciare la quantificazione e l’effettività del danno risentito[33].
Una volta che si è riconosciuta l’esistenza ontologica e la prova del danno, il giudice è tenuto all’obbligo di corretta motivazione dell’operazione compiuta, con particolare riferimento al percorso logico seguito per stabilire la somma liquidata[34]. Nello specifico, la valutazione non deve essere sproporzionata per difetto o per eccesso, simbolica o irrisoria: deve corrispondere cioè alla realtà processuale risultante dalle prove acquisite[35].
La scelta del giudice di adottare l’istituto della valutazione equitativa è discrezionale e non sindacabile in sede di legittimità, come ricorda la sentenza oggetto di commento, se viene adottata una motivazione congrua e se il giudice specifica il criterio equitativo adottato nella decisione[36]. Infatti, il ricorrente in questione si è visto respingere la domanda attinente alla falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. perché ha censurato la “scelta” del giudice di ricorrere all’istituto, insindacabile, e non già una insanabile e contraddittoria motivazione, ragione unica - ma comunque non presente in questo caso dato che la liquidazione è ritenuta dalla Corte come sufficientemente motivata - di un'eventuale censura[37].
Il parametro equitativo maggiormente utilizzato dalle corti nazionali è il criterio a punti delle Tabelle del Tribunale di Milano, la quale ha riscosso un notevole successo per risarcire il danno da diffamazione[38], nonché altre tipologie di danno quale ad esempio il danno da perdita del rapporto parentale[39]. Nonostante la preferenza verso i metodi meneghini, nel panorama pretorio attuale è obbligatorio privilegiare le motivazioni della liquidazione, senza il rischio di appiattire la valutazione ad una mera questione tabellare che rischierebbe di pregiudicare la funzione ausiliaria - e non sostitutiva - al giudice di questi strumenti[40].
In conclusione, è auspicabile un solido intervento legislativo che chiarisca i vari dubbi che hanno attanagliato la dottrina e la giurisprudenza, visto che la tanto prospettata ed attesa Tabella Unica Nazionale - formulata dal novellato art. 138 cod. ass. - è stata bocciata dal Consiglio di Stato recentemente[41], e il legislatore pecca di incompletezza negli interventi sulla generale liquidazione del danno alla persona. Tanto è vero che tale situazione comporta una (non corretta, quantomeno giuridicamente) rimessione alla Terza Sezione di un duplice ruolo: nomofilattico, in ragione del silenzio delle SS.UU., e paranormativo, come nelle elaborazioni delle tabelle risarcitorie.
[1] Per l’evoluzione del danno non patrimoniale, non si può non rimandare a sedi più opportune. Cfr. P. ZIVIZ, Il danno non patrimoniale. Evoluzione del sistema risarcitorio, Milano, 2011, pp. 22-317.
[2] Cass., Sez. un., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975, in Danno resp., 2009, 1, p. 19 ss., con nota di S. LANDINI, Danno biologico e danno morale soggettivo nelle sentenze della Cass. SS.UU. 26972, 26973, 26974, 26974, 26975/2008.
[3] F. BUSNELLI, Le Sezioni Unite e il danno non patrimoniale, in Riv. dir. civ., 2009, 1, p. 2097 ss. Tali previsioni sono dovute in soccorso ad un sistema che stava permettendo varie duplicazioni risarcitorie e liquidazioni di meri disagi e fastidi che, a detta della Corte, derivavano dalla configurabilità autonoma del c.d. “danno esistenziale”. Sul suddetto danno, cfr. G. TRAVAGLINO, Il danno esistenziale tra metafisica e diritto, in Corr. giur., 2007, 4, p. 522 ss.
[4] Cass., 27 marzo 2018, n. 7513, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 6, p. 838 ss., con nota di G. PONZANELLI, Il decalogo sul risarcimento del danno non patrimoniale e la pace all’interno della terza sezione. La dottrina è stata molto critica inizialmente sulla pronuncia, in particolare sul potere di smentita che si è attribuita la sezione semplice di un principio di diritto delle Sezioni Unite, senza rimettere la questione alla nomofilachia di quest’ultime.
[5] Cfr. R. PARDOLESI, Danno non patrimoniale, uno e bino, nell’ottica della Cassazione, una e terza, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 9, pp. 1344-1348.
[6] S. PATTI, Danno non patrimoniale e valutazione equitativa, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2022, 4, pp. 1029-1046. L’autore, nel ripercorrere importanti passi dottrinali e giurisprudenziali nell’applicazione dell’art. 1226 c.c., opera una comparazione tra il sistema giuridico italiano e gli ordinamenti tedesco e francese, sottolineando le differenze sostanziali dei relativi regimi risarcitori, in particolare con riguardo al concetto di valutazione equitativa.
[7] All’accezione tradizionale di equità correttiva si contrappone una visione di liquidazione forfettaria, con conseguente rimodulazione dell’istituto della liquidazione equitativa, visto l’avvento delle tabelle risarcitorie. Sul punto, G. GRISI, Sviluppi sul terreno della liquidazione equitativa del danno e dintorni, in Contr. impr., 2014, 6, pp. 1183-1187.
[8] Cass., 22 febbraio 2018, n. 4310, in CED Cass., 2018; Cass., 12 ottobre 2011, n. 20990, in CED Cass., 2011.
[9] Cass., 11 ottobre 2013, n. 23194, in Vita notar., 2014, 1, p. 406; Cass., 14 febbraio 2014, n. 3427, in CED Cass., 2014.
[10] Cass., 30 maggio 2002, n. 7896, in Giust. civ. mass., 2002, p. 931.
[11] Cass., 17 novembre 2020, n. 26051, in Giust. civ. mass., 2021, p. 6.
[12] Urge un rinvio sull’argomento a G. PONZANELLI, Tabelle, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 2, pp. 246-249.
[13] P. MINICANGELI, La liquidazione del danno alla persona: persistenti incertezze ed immutabili esigenze, in Dir. fam. pers., 2022, 3, pp. 1182-1183.
[14] Si rimanda a sede più opportuna l’analisi dei vari filoni giurisprudenziali, D. CHINDEMI, Tecniche di liquidazione del danno non patrimoniale: equità e tabelle, in Resp. civ. prev., 2011, 1, p. 0198B ss.
[15] Cass., 7 giugno 2011, n. 12408, in Dir. e fiscalità assicur., 2011, 4, pp. 1556-1558, con nota di M. GAGLIARDI, Ancora su equità e tabelle, cit., p. 1568 ss. Conformemente, Cass., 22 dicembre 2011, n. 28290, in CED Cass., 2011.
[16] Ibidem., (par. 3.2.2).
[17] D. SPERA, I criteri di liquidazione del danno non patrimoniale e le questioni aperte dai recenti orientamenti di legittimità, in Giur. it., 2012, c. 1308 ss. La Cassazione riterrà il metodo delle tabelle giudiziali come un corretto esercizio del potere equitativo ex art. 1226 c.c., pur sottolineando la prevalenza di quest’ultimo in caso di circostanze del caso concreto che necessitino di adeguamenti al di fuori dei parametri tabellari.
[18] Di tal avviso P. ZIVIZ, Danno non patrimoniale da lesione alla salute: la Cassazione impone una valutazione (in duplice senso) unitaria, in Resp. civ. prev., 2011, 10, p. 2025C ss.
[19] A tal proposito, si rinvia a Cass., 31 maggio 2003, n. 8827, in Danno resp., 2003, 8-9, p. 820 ss., con nota di F. BUSNELLI, G. PONZANELLI e A. PROCIDA MIRABELLI DI LAURO, La Cassazione “rimedita” l’art. 2059 c.c., in Giur. it., 2004, 6, c. 901 ss.
[20] Ivi., p. 821.
[21] Per un’analisi del concetto “in re ipsa”, cfr. F. MEZZANOTTE, Cos’è in re ipsa nel “danno in re ipsa”?, in Resp. civ. prev., 2023, 6, p. 1824 ss.
[22] Cfr. R. BELLÈ, Allegazione e prova del danno non patrimoniale, in E. NAVARRETTA (a cura di), Il danno non patrimoniale, Milano, 2010, pp. 115-122.
[23] Tra le tante, Cass., 13 ottobre 2016, n. 20643, in Dir. gius., 2016, p. 9 ss., con nota di M. SUMMA, Giornalisti: attenzione alla qualificazione del reato!.; Cass., 18 gennaio 2017, n. 1185, in Dir. gius., 2017, p. 9 ss., con nota di I. LEVERONE, Il danno da stress non può essere generico.
[24] R. SAVOIA, Il danno da lesione della reputazione non è in re ipsa, ma bastano le presunzioni semplici a provarlo, in Dir. gius., 2015, p. 21.
[25] È opportuno ricordare che il fatto notorio permette di ritenere vera una prova in quanto il fatto oggetto di essa è ritenuto come acquisito dalla collettività con un grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile, in deroga al principio del contraddittorio e del dispositivo del diritto processuale civile. Ad esempio, è fatto notorio che ogni madre soffre per la morte del figlio. Cfr. Cass., 28 febbraio 2023, n. 6075, in Riv. dir. ind., 2023, 6, p. 386 ss.
[26] Tra le tante, Cass., 6 luglio 2002, n. 9834, in Giust. civ. mass., 2002, p. 1174 ss.
[27] Cass., 3 febbraio 2023, n. 3413, in Foro it., 2023, 10, c. 2921 ss.
[28] Per un approfondimento in materia, si rimanda a V. MANES, Giustizia mediatica. Gli effetti perversi sui diritti fondamentali e sul giusto processo, Bologna, 2022, p. 24 ss.
[29] M. FRANZONI, Il danno risarcibile, Milano, 2010, pp. 617-623.
[30] G. VISINTINI, Che cos’è la responsabilità civile, Napoli, 2014, pp. 266-268.
[31] Ibidem.
[32] Cass., 29 aprile 2022, n. 13515, in CED Cass., 2022
[33] N. FRIVOLI, È rimesso al potere-dovere del giudice di sopperire alle eventuali difficoltà di quantificazione del danno al fine di assicurare l'effettività della tutela risarcitoria, in Dir. gius., 2022, p. 5 ss.
[34] Cfr. nota 1.
[35] Tra le tante, Cass., 7 marzo 2003, n. 3414, in Giust. civ. mass., 2003, p. 485.
[36] Cass., 16 aprile 2024, n. 10155, in Dir. gius., 2024, p. 2 ss., con nota di S. MONTI, Danno da violazione del diritto alla riservatezza: condizioni e criteri per il risarcimento.
[37] Cass., Sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053, in Foro it., 2015, 1, c. 209 ss.
[38] A. TRAVANINI, La liquidazione in via equitativa - in applicazione della tabella milanese - del danno non patrimoniale da diffamazione a mezzo stampa, in IUS Responsabilità civile (IUS.giuffrefl.it), 2024.
[39] D. SPERA, Tabelle milanesi integrate a punti per liquidazione del danno non patrimoniale derivante da perdita del rapporto parentale, in IUS Responsabilità civile (IUS.giuffrefl.it), 2022.
[40] Cass., 21 aprile 2021, n. 10579, in Resp. civ. prev., 2021, 3, p. 807. Per la pronuncia in questione c.d. “Scoditti”, l’utilizzo di una tabella risarcitoria non esonera il giudice dalla corretta e congrua motivazione prevista ex art 1226 c.c.
[41] Cfr. G. PONZANELLI, La Tabella Unica Nazionale ex art. 138 Codice delle Assicurazioni: il Consiglio di Stato boccia la bozza di Decreto del Governo, in Danno resp., 2024, 2, pp. 194-197.