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Pubbl. Lun, 25 Gen 2016

Pillole di diritto - Il fantacalcio come obbligazione naturale

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Roberto Saglimbeni


Analizziamo il popolare gioco a tema sportivo dal punto di vista del codice civile: quali norme regolano il pagamento dei debiti in sede di fantacalcio? Qual è l´esatta qualificazione giuridica di questo´ultimo?


Quante volte, all'ennesimo goal sbagliato dal nostro attaccante, abbiamo pensato con rimpianto ai soldi investiti nel fantacalcio? In effetti il "gioco più bello del mondo dopo il calcio", inventato da Riccardo Albini alla fine degli anni 90', costituisce non solo una delle principali attività ludiche al mondo ma anche e soprattutto un colossale giro d'affari. Negli Stati Uniti, paese con oltre 50 milioni di giocatori, il flusso di denaro connesso al fantacalcio nel 2015 è stato pari a circa 3 miliardi di dollari, attirando l'attenzione del Procuratore Generale dello Stato di New York che, in una discussa sentenza del novembre scorso, ha messo al bando il popolare passatempo, qualificandolo come "gioco d'azzardo" in grado di generale ludopatie. 

E, in effetti, anche nella piccola dimensione delle c.d. "leghe private" è abitudine rendere più appetibile la competizione mediante il versamento di una quota ad opera dei giocatori, tale da costituire il montepremi finale. Ma, se per ragioni di sorte o imperizia, si finisce per non arrivare a premio, tale pagamento è dovuto? E se, al contrario, si conclude la stagione in vetta al campionato, esiste un'azione giuridica tale da costringere i debitori a pagare? Il problema, solo apparentemente irrilevante, è sussumibile sotto le fattispecie di cui agli artt. 1933 (coi seguenti 1934-1935) e 2034 del codice civile, intitolati rispettivamente "Mancanza di azione" e "Obbligazioni naturali": due norme di grande rilevanza pratica, che comportano numerose riflessioni teoriche sul rapporto tra fondamento ed esigibilità del diritto di credito.

L'art. 1933 c.c. dispone che "Non compete azione per il pagamento di un debito di giuoco o scommessa, anche se si tratta di giuoco o scommessa non proibiti. Il perdente tuttavia non può ripetere quanto abbia spontaneamente pagato dopo l'esito di un giuoco o di una scomessa in cui non vi sia stata alcuna frode. La ripetizione è ammessa in ogni caso se il perdente è un incapace." La norma pone dunque i seguenti principi:

  1. Non è prevista un'azione per il pagamento di un debito derivante da gioco o scommessa, a prescindere da qualunque valutazione sulla liceità o meno dell'attività;
  2. Benché non coercibile, il pagamento può avvenire spontaneamente ad opera del debitore: in tal caso, posta l'assenza di frode, non è ammessa la ripetizione di quanto versato;
  3. Lo stato di incapacità del debitore, da rilevarsi al momento del pagamento, comporta l'ammissibilità della ripetizione.

I due articoli seguenti, 1934 e 1935 c.c. introducono delle eccezioni, escludendo dall'ambito di applicabilità dell'art. 1933 le competizioni sportive, i giochi che addestrano all'utilizzo delle armi e le corse, nonché le lotterie autorizzate. Tuttavia, nel normale rapporto tra privati, la regola dell'art. 1933 c.c. è di base favorevole al perdente/debitore e penalizzante per il vincitore/creditore, che incautamente abbia fatto affidamento sulla volontà della controparte di pagare: qualora tale volontà manchi essa non è coercibile e, dunque, il creditore non avrà un mezzo lecito per ottenere quanto dovuto in conseguenza del gioco o della scommessa.

L'art. 1933 c.c. chiarisce dunque il funzionamento dei crediti da gioco o scommessa ma non esplica la ratio giuridica di una tale previsione. Il logico completamento del nostro percorso passa dunque dall'analisi dell'art. 2034 c.c., il quale disponde che "Non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace. I doveri indicati dal comma precedente, e ogni altro per cui la legge non accorda azione ma esclude la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato, non producono altri effetti".

Tale disposizione chiarisce la particolare natura di alcune obbligazioni, tra le quali rientrano quelle previste dall'art. 1933 c.c.: esse non sorgono in conseguenza di contratto o fatto illecito ma, a norma dell'art. 1173 c.c., da "ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità con l'ordinamento giuridico". Laddove, dunque, si abbia un pagamento indebito (art. 2033 c.c.) sorge a carico di chi riceve l'indebito l'obbligo di restituzione: rispetto a tale base normativa l'art. 2034 costituisce dunque un'eccezione, negando che si possa configurare la ripetizione dell'indebito nel caso in cui il pagamento avvenga in esecuzione di un dovere di natura non prettamente giuridica, bensì morale o sociale. L'onorabilità del debitore, la sua buona reputazione, la fiducia o il valore della parola data sono concetti pregiuridici ed in qualche modo estranei alla logica dell'ordinamento: il perdente può dunque scegliere di non pagare, facendosi forte dell'incoercibilità di tale azione, ma permane un fondo di validità del suo impegno, che riemerge e si consolida in caso di pagamento spontaneo. In conclusione, ritornando sullo spunto "fantacalcistico" della nostra breve digressione, emerge come il gioco del fantacalcio, al pari di ogni altro della stessa natura, affida la correttezza del suo svolgimento alla buona fede dei giocatori: l'adempimento (che si consiglia di svolgere preventivamente) può dunque essere solo spontaneo, non sussistendo mezzi leciti per ottenere la condanna del debitore ad un'obbligazione naturale.