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Pubbl. Mer, 28 Ago 2024
Sottoposto a PEER REVIEW

La gestione trentina della convivenza con l´orso bruno nella perdurante inattuazione del nuovo art. 9 della Costituzione

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Franco Sicuro
Dottore di ricercaUniversità degli Studi di Bari



Il contributo si propone di indagare, a partire dalla specola costituzionale, la gestione trentina della convivenza con l’orso bruno. In particolare, oggetto di analisi saranno i recenti provvedimenti amministrativi adottati dal presidente della Provincia autonoma di Trento in attuazione della legge provinciale n. 2 del 2024, la quale, pur non impugnata in via principale dallo Stato, appare per più aspetti in contrasto con il Principio fondamentale di tutela ambientale sancito dal nuovo art. 9, c.3 Cost. Le questioni giuridico-costituzionali emerse nel corso dell’analisi parrebbero, infine, testimoniare la perdurante, “tirannica” prevalenza dell’ottica esclusivamente antropocentrica del decisore politico, nonostante gli elementi di biocentrismo introdotti nella trama costituzionale dai rin


ENG

The management of Trentino cohabitation with the brown bear in the failure to implement the new art. 9, c.3 Cost.

The paper investigates the management of the living with brown bear in Trentino from a constitutional point of view. In particular, the analysis will be the recent administrative measures adopted by the president of the Provincia autonoma of Trento in the implementation of the provincial law n. 2 of 2024, which, although not challenged in the main way by the State, appears to be in contradiction with the Fundamental Principle of environmental protection enshrined in the new art. 9, c.3 Cost. The legal-constitutional issues raised in the analysis seem to testify to the ´tyrannical´ prevalence of anthropocentrism among political decision-makers, despite the inclusion of biocentrism in the constitutional framework by the renewed article.

Sommario: 1. Il nuovo art. 9, c.3 Cost. e la sua sostanziale inattuazione – 2. La tutela dell’ursus arctos nelle fonti inter- e sovranazionali – 3. La convivenza con l’orso bruno in Trentino, tra novelle legislative, ordinanze presidenziali e interventi sospensivi o demolitori degli organi giurisdizionali – 3.1. La legge n. 2 del 2024 e l’esigenza di ristabilire la trasparenza nell’agire della P.A.T. – 3.2. Il ricorso alla Corte di giustizia europea sull’interpretazione dell’art. 16 della Direttiva Habitat – 4. Sul doveroso superamento del “silenzio-assenso” dello Stato nella tutela della biodiversità

1. Il nuovo art. 9, c.3 Cost. e la sua sostanziale inattuazione

La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato «ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale» (art. 1, legge n. 157 del 1992). Nella varietà delle specie che connotano la biodiversità, la fauna selvatica costituisce, infatti, un bene comune[1] indispensabile per preservare i complessivi equilibri ecologici che alimentano l’ambiente di cui fa parte (anche) l’uomo. Non è, dunque, né può essere un “bene” liberamente disponibile da legislatori e amministratori locali, neppure per dar seguito a pressanti richieste di eradicazione recentemente formulate da alcune associazioni di rappresentanza[2].

È proprio nella prospettiva localistica, però, che sembra essersi gradualmente consolidato il dato politico-normativo. Basti pensare alla progressiva regionalizzazione della materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (art. 117, c.2, lett. s), Cost.), in cui si fanno tradizionalmente rientrare le disposizioni a tutela degli animali (oltre che la caccia), e a come la stessa revisione costituzionale del 2022 non sia riuscita ad innescare un ampio dibattito pubblico sui modi e sulle forme della convivenza tra l’uomo e la fauna selvatica[3], oltre che sulla riduzione degli animali da allevamento a res di cui garantire l’incessante riproducibilità e produttività. Approvato a larghissima maggioranza parlamentare, le implicazioni socio-ordinamentali del nuovo[4] Principio fondamentale di tutela ambientale sono, anzi, di fatto ignorate dalla più gran parte delle forze politico-partitiche e dalla stessa opinione pubblica, con il risultato di complicare la rifondazione del Patto costituzionale «sull’obiettivo della rimozione delle condizioni materiali che possono portare all’estinzione di ogni forma di vita»[5] nell’era dell’Antropocene[6].

A comprova di quanto sin qui solo tratteggiato, è sufficiente volgere lo sguardo alla legislazione successiva all’entrata in vigore della legge costituzionale n. 1 del 2022, mediante la quale sono stati introdotti nella Carta repubblicana i concetti di «biodiversità», «ecosistemi» e «animali»[7], tutti potenzialmente in grado di includere al proprio interno la fauna selvatica, responsabilizzando gli Enti che compongono la Repubblica – e lo stesso Stato-comunità – nella ricerca di adeguate e non riducibili forme di tutela. Soltanto pochi mesi dopo la sua entrata in vigore, con legge di bilancio (n. 197 del 2022), atto del tutto estraneo all’introdotta riserva di legge a tutela degli animali (art. 9, c.3 Cost.), il legislatore statale ha infatti modificato l’art. 19 della legge n. 157 del 1992 al fine di consentire alle Regioni di autorizzare l’attività venatoria «anche nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane, anche nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto». Nel far ciò, di fatto, alterando «una delle finalità più rilevanti che giustificano l’istituzione di un’area protetta», ossia «il divieto di caccia», che impone – ex artt. 9 e 117, c.2, lett. s., Cost. – allo Stato di «provvedervi assicurando un livello di tutela non “minimo”, ma “adeguato e non riducibile”»[8].

Allo stato attuale, dunque, quantomeno con riferimento alla tutela della fauna selvatica, la revisione costituzionale del 2022 parrebbe aver realmente partorito un «ridiculus mus»[9], stante anche la «sostituzione/contrapposizione tra metodi ecologici e tutela della biodiversità» sancita dalle modifiche apportate alla legge n. 157 del 1992, con quest’ultima addirittura invocata «quale elemento giustificativo delle forme di abbattimento e cattura delle specie faunistiche»[10]. Tutt’al contrario, invece, il nuovo art. 9 Cost. connette la tutela della biodiversità e quella degli ecosistemi con una congiunzione («e») e la stessa Convenzione di Berna correla lo stato di «conservazione soddisfacente» delle specie con la tutela dei loro habitat naturali[11]. Il riferimento ai più puntuali concetti di «biodiversità» ed «ecosistemi» nell’art. 9 Cost. sembrerebbe, anzi, aver formalmente arricchito la nozione di «ambiente»[12] rispetto a quella sino ad oggi ricavabile dal paesaggio, aprendola, anche attraverso l’attività interpretativo-applicativa delle giurisdizioni[13], alle dinamiche acquisizioni delle altre scienze[14] e alla doverosa prospettiva trans-nazionale[15].

È in questo scenario giuridico-costituzionale, ulteriormente complicato dalla possibile attuazione dell’art. 116, c.3 Cost.[16] e da quell’autonomia speciale[17] spesso invocata quale grimaldello in grado di scardinare qualsiasi normativa (sovra-)nazionale eventualmente più garantista, che s’inseriscono le brevi riflessioni che seguono sulla gestione trentina della convivenza con l’orso bruno. Specie faticosamente reintrodotta nelle Alpi orientali attraverso il progetto Life Ursus[18] e, dal 2004, gestita dalla Provincia autonoma di Trento nella conclamata inadeguatezza delle misure (o, molto più spesso, omissioni) messe in atto per favorire la convivenza all’interno di un territorio densamente popolato. Anzi, come pure si vedrà, il recente abbattimento dell’orsa KJ1, “colpevole” di aver aggredito un turista immersosi nell’area boschiva in cui questa cresceva i propri tre cuccioli, comprova un metodo di gestione del tutto disallineato rispetto a quel paradigma della trasparenza[19] che, in quanto sinonimo di intellegibilità, visibilità, accessibilità e onere motivazionale dei processi decisionali pubblici, costituisce un corollario del principio democratico, destinato ad innervare tutti gli aspetti rilevanti della vita pubblica e istituzionale[20]. Per soddisfare il quale non è sufficiente invocare circolarmente elementi politico-normativi dal più che dubbio fondamento scientifico, la corposità delle motivazioni a sostegno di un provvedimento non costituendo ex se un fattore di trasparenza. Ma, tutt’al contrario, potendo apparire il primo e più potente sentore dell’opacità[21] di un agire pubblico-amministrativo strumentalizzato al solo fine di dare “legale” applicazione all’idea di giustezza e presunta inevitabilità dei provvedimenti adottati dal decisore pubblico.

2. La tutela dell’ursus arctos nelle fonti inter- e sovranazionali

Uomini e animali non umani sono accomunati dalla cogenza di quell’«imperativo territoriale»[22] che ne complica la convivenza e ne determina i comportamenti. Ed è proprio al fine di preservare “monumenti” paesaggistico-naturali – riconducibili al concetto moderno di ambiente – considerati patrimonio nazionale che, negli anni ’70 del XIX secolo, gli Stati Uniti realizzarono quell’«esperimento unico di democrazia del paesaggio»[23] costituito dai grandi parchi nazionali. Pur non mettendo in discussione le fondamenta antropocentriche del metodo di produzione economico-normativo che intanto si andava diramando a livello globale[24], l’idea dei parchi nazionali si diffuse rapidamente in Europa, lì dove ancor più tangibile appariva l’esigenza di tutelare la fauna selvatica minacciata dalla secolare occupazione umana di areali indispensabili per la sopravvivenza di specie le più rare, tra cui l’orso bruno. Le caratteristiche geomorfologiche del suolo italico, in uno con la sua elevata antropizzazione, resero però irrealizzabile la logica della “zona sacra” della riserva integrale á la Yellowstone, imponendo alle pubbliche istituzioni uno sforzo aggiuntivo, scientificamente orientato, al fine di elaborare previsioni normative in grado di garantire la conservazione delle specie rare senza irragionevolmente compromettere le libertà umane, in primis economiche. Era proprio questa, invero, la finalità originariamente perseguita dal progetto Life Ursus per il tramite della Provincia autonoma di Trento e del parco dell’Adamello-Brenta, prima che la gestione di quest’ultimo passasse nella competenza della stessa P.A.T., nonostante ormai da anni se ne invocasse l’inclusione tra le aree protette nazionali. 

Se questo è vero, e se dunque l’istituzione di nuove aree protette nazionali potrebbe realmente consentire di meglio gestire – non solo in Trentino-Alto Adige – la convivenza uomo-grandi carnivori, deve tuttavia sottolinearsi che, nei suoi incessanti spostamenti al di fuori dei confini puramente amministrativi dell’area protetta e degli Enti territoriali, la specie ursina è rigorosamente protetta da previsioni normative inter- e sovra-nazionali. Come se da quegli stessi animali, per il loro inconsapevole apporto agli equilibri ecosistemici globali, emani una giuridicità in grado di limitare la discrezionalità politica di legislatori e amministratori locali, qualsiasi sia il luogo in cui essi occasionalmente si trovino. Per quanto, al pari di quel che è accaduto alle aree protette, anche la tutela internazionale della fauna selvatica abbia tuttavia sperimentato la progressiva commistione tra obiettivi di protezione integrale e ragionevole prevalenza degli interessi economico-politici umani. Basti pensare a come, nella perdurante impossibilità di considerare la protezione della natura alla stregua di una norma consuetudinaria, la Convenzione di Berna del 1979, diretta a favorire la cooperazione intra-statale per assicurare la conservazione delle specie «rigorosamente protette» (tra cui rientra l’orso bruno), abbia, da un lato, imposto agli Stati aderenti l’adozione di misure appropriate per la loro conservazione (art. 6); e, dall’altro, consentito la deroga delle stesse «nell’interesse della protezione della flora e della fauna» e «per prevenire importanti danni a colture» e «bestiame», «nell’interesse della salute e della sicurezza pubblica (…) o di altri interessi pubblici prioritari» (art. 9). 

È proprio nell’alveo tracciato dalla suindicata Convenzione internazionale che, a partire dagli anni ’80 dello scorso secolo, si è venuta costruendo la rete ecologica europea “Natura 2000”, espressione «giuridica di un nuovo paradigma per la protezione dell’ambiente, orientato alla gestione integrata»[25] e finalizzato a consentire alle specie protette di conservare la loro selvaticità, spostandosi liberamente nelle cinque regioni biogeografiche (alpina, atlantica, continentale, macaronesica, mediterranea) del territorio europeo[26]. Una simile, ambiziosa strategia d’azione ha tuttavia incontrato plurime difficoltà di attuazione all’interno degli Stati membri, a partire dalle criticità dischiuse dall’interpretazione degli artt. 12 e 16 della Direttiva Habitat. Essi, infatti, hanno riproposto il connubio – come visto già sancito a livello internazionale – tra divieto di abbattimento e disturbo delle specie rigorosamente protette (art. 12) e possibilità di derogarvi «a condizione che non esista un’altra soluzione valida e che la deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni della specie interessata nella sua area di ripartizione naturale» (art. 16).

3. La convivenza con l’orso bruno in Trentino, tra novelle legislative, ordinanze presidenziali e interventi sospensivi o demolitori degli organi giurisdizionali

Ancor prima che il d.P.R. n. 357 del 1997 attribuisse alle Regioni e alle Province autonome il compito di adottare le «misure di conservazione necessarie» (art. 4) a gestire i siti “Natura 2000”, l’art. 19 della legge n. 157 del 1992 aveva loro attribuito il «controllo» di quella fauna selvatica che, come pure si diceva, costituisce patrimonio indisponibile dello Stato diretto a realizzare interessi sovranazionali. Pur modificato nel 2003 per adeguarne le disposizioni all’intervenuta revisione del Titolo V Cost., il d.P.R. n. 357 del 1997 ha tuttavia conservato in capo al Ministero dell’Ambiente il potere di «autorizzare le deroghe alle disposizioni» (di cui all’art. 8) che vietano l’abbattimento, la cattura o il disturbo delle specie di fauna selvatica rigorosamente protette a livello europeo, in presenza delle stesse condizioni (art. 11) già fissate nell’art. 16 della Direttiva Habitat.

Ed è proprio tale ultima disposizione ad aver alimentato un primo contrasto interpretativo tra il Governo e la Provincia autonoma di Trento, sfociato nella sollevazione della questione di costituzionalità dell’art. 1 della legge provinciale n 9 del 2018 che, nei casi previsti dall’art. 16 Dir. Habitat e previa acquisizione del parere dell’ISPRA, autorizza il Presidente a disporre il prelievo, la cattura o l’uccisione di esemplari di ursus arctos[27]per conservare gli habitat naturali e nell’interesse della sanità e della sicurezza pubblica, o per altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica[28]. Il Governo ricorrente lamentava che, nell’attribuirsi il potere di deroga al divieto di abbattimento di esemplari di orso bruno, la Provincia autonoma di Trento avesse violato la competenza del Ministero dell’Ambiente ex art. 11 del d.P.R. n. 357 del 1997, con conseguente abbassamento del livello di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema ex art. 117, c.2, lett. s), Cost. e contestuale violazione degli obblighi inter- e sovranazionali ex art. 117, c.1 Cost., oltre che dello stesso art. 118 Cost. per illegittima avocazione di funzioni amministrative, in contrasto con i principi di sussidiarietà[29] e adeguatezza. E tanto, dal momento che, per le sue caratteristiche etologiche, la popolazione ursina si muove su aree talmente vaste da richiedere una pianificazione su scala – inevitabilmente – ultra-provinciale.

In quell’occasione, precedente alla revisione costituzionale del 2022 e alle recenti modifiche apportate all’art. 19 della legge n. 157/1992, il giudice delle leggi ha però ritenuto non fondata la questione di costituzionalità, poiché «il potere delle province autonome di dare applicazione all’art. 16» della Direttiva Habitat troverebbe «la sua legittimazione nello statuto speciale», la protezione della fauna e della flora selvatiche essendo «materie di competenza provinciale primaria», tra cui figurerebbero anche i «parchi»[30]. La logica delle «materie» ha così prevalso sulla tutela unitaria dell’ambiente e dell’ecosistema, riducendo la conservazione delle specie rigorosamente protette a livello internazionale a mera questione di competenze e interessi differenziati sul territorio repubblicano. Con ciò, peraltro, aggirando l’art. 3 della Convenzione di Berna, sottoscritta dalla stessa Unione europea, che auspica la predisposizione di «politiche nazionali» a tutela delle specie particolarmente protette, intendendo con esse far riferimento alla loro doverosa uniformità nel territorio degli Stati membri.

Senza poter in questa sede analizzare le complesse problematiche di carattere amministrativo dischiuse dal succedersi di ordinanze contingibili e urgenti adottate in carenza dei relativi presupposti, e di decreti presidenziali e Linee guida provinciali in contrasto con la normativa (sovra-)nazionale[31], pare in primo luogo doveroso rimarcare la difficoltà di mitigare la “tirannica” prevalenza delle categorie umane applicate ai comportamenti naturali della specie ursina, come conseguenza di una pianificazione degli interventi precipuamente affidata ad organi politico-rappresentativi. È costante, infatti, l’invocazione di categorie quali «colpevolezza», «sicurezza pubblica», «sanità pubblica», «interessi economico-sociali», le quali, intrise di carica valoriale, paiono di certo irragionevoli, o fors’anche irrazionali, se applicate a comportamenti biologico-naturali di animali non umani che, del tutto fortuitamente – verrebbe da dire “senza colpa”, «entrano in contatto» (altra espressione sovente ripetuta nei provvedimenti presidenziali) con l’essere umano. In tutti i casi che ora si andranno brevemente a richiamare, accomunati dalla perdurante mancanza di riferimenti normativi ai principi costituzionali di tutela ambientale, la P.A.T. è parsa infatti esaltare valori umani i più vari (vita, economia, turismo, etc.) a «bene finale, fine a se stesso, che chiede di realizzarsi attraverso attività teleologicamente orientate»[32], a prescindere dai mezzi (abbattimento, cattura, radiomarcaggio, etc.) utilizzati. Con ciò aggirando pur doverose operazioni di bilanciamento con altrettanti interessi costituzionalmente rilevanti, diversi da quelli meramente economici.

A ciò si aggiunga la non sempre corretta applicazione di quel Piano d’azione interregionale per la conservazione dell’orso bruno sulle Alpi centro-orientali (c.d. PACOBACE) peraltro redatto senza l’ampio coinvolgimento di istituzioni scientifiche (come le Università e gli stessi parchi nazionali e regionali) registratosi, invece, nel processo che ha portato alla stesura del Piano d’Azione per la Tutela dell’Orso Marsicano (PATOM) nelle Regioni Abruzzo, Lazio e Molise. Piano che, in ogni caso, pur espressione della succitata tendenza a catalogare l’istintualità animale attraverso l’artificio giuridico umano, si articola in una pluralità di misure di prevenzione che, se attuate, avrebbero potuto scongiurare l’adozione di sproporzionati decreti presidenziali di abbattimento.

È in questo contesto valoriale-normativo, dunque, che la P.A.T. approva (delibera n. 1091/2021) le Linee guida per l’attuazione della legge provinciale n. 9 del 2018 e dell’articolo 16 della Direttiva Habitat in relazione all’orso bruno, introducendo automatismi nell’adozione di provvedimenti contingibili di abbattimento di esemplari della specie ursina poi censurati dal T.A.R.-Trento[33]. Provvedimenti che si appalesano, sin da subito, in evidente contrasto con quella «cultura della coesistenza» invocata dal Documento di orientamento sulla rigorosa tutela delle specie animali di interesse comunitario ai sensi della Direttiva Habitat, adottato dalla Commissione europea nel 2021, in cui si sottolineano tutte le cautele connesse alla possibile attivazione della deroga di cui all’art. 16 della Direttiva Habitat, realizzabile solo «caso per caso» e qualora la sua «natura di rilevante interesse pubblico» non possa «trovare un equilibrio adeguato» con l’altrettanto «pubblico generale» interesse «di raggiungere gli obiettivi della direttiva», in un quadro normativo in cui, «in ogni caso, la concessione di una deroga deve essere l’estremo rimedio»[34].

Il verificarsi di tragici avvenimenti e la loro strumentalizzazione politico-elettorale ha poi financo inasprito la legislazione provinciale, conducendo – nel 2023 – alla modifica della legge n. 1 del 2018 al fine di attribuire al Presidente della Provincia, ossia ad un organo monocratico locale, il potere di deliberare con ordinanza contingibile e urgente l’abbattimento di animali potenzialmente problematici nell’ambito di una casistica estremamente generica, in cui diviene non vincolante il parere dell’ISPRA e in assenza di un’adeguata istruttoria[35]. E ciò proprio al fine di superare le censure precedentemente formulate dal T.A.R.-Trento e dal Consiglio di Stato sull’abuso del ricorso alle ordinanze contingibili e urgenti in carenza dei relativi presupposti, con grave alterazione della doverosa proporzionalità che, ancor di più a seguito della novella costituzionale del 2022, deve orientare l’adozione di misure potenzialmente lesive per specie rigorosamente protette.

Ed invero, nella decisione cautelare di sospensione del provvedimento presidenziale di abbattimento dell’orsa (JJ4) ritenuta colpevole di aver aggredito e ucciso un essere umano, una volta riconosciuto nella tutela degli animali un «principio supremo», il Consiglio di Stato ha specificato altresì che può ricorrersi al loro abbattimento «solo nell’ipotesi - estrema e di rara verificazione - di impossibilità oggettiva, non solo temporanea e soggettiva, da valutarsi secondo i criteri generali dell’ordinamento giuridico, di ricorrere ad azioni meno cruente»[36], nell’alveo di un’interpretazione dell’art. 1 della legge provinciale n. 1 del 2018 che «è peraltro, oggi, l’unica compatibile con la modifica costituzionale del comma [3] dell’art. 9 della Costituzione».

Tuttavia, fors’anche in ragione dell’applicazione del metodo di concertazione preventiva poi esplicitato nella Direttiva rivolta dal Presidente del Consiglio «a tutti Ministri» il 23 ottobre 2023, la modifica legislativa del 2023 non è stata impugnata dal Governo dinanzi al giudice delle leggi, nonostante il suo evidente contrasto con il nuovo art. 9, c.3 Cost. Tanto per quel che concerne la lesione della riserva di legge statale, che impone allo Stato – e non ad un organo monocratico locale – di risolvere in sede parlamentare, con legge statale appunto, le questioni inerenti alla convivenza uomo-animali, la quale non può che applicarsi anche nei confronti delle Regioni a Statuto speciale seppur nel rispetto delle competenze statutarie (art. 3 della legge costituzionale n. 1 del 2022). Quanto con riferimento al «compito comune»[37] di tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, il quale, anche in ragione dell’immutato art. 117, c.2, lett. s), Cost., non può condurre alla compromissione dei vincoli europei ed internazionali (ex art. 11 e 117, c.1 Cost.) a tutela di specie rigorosamente protette e all’esclusione dello Stato, quale Ente che compone la Repubblica, dall’assunzione di decisioni eventualmente “in deroga” rispetto a precedenti standard (inter-)nazionali di protezione[38].

Conclusione, questa, che risulta comprovata anche a contrario, ossia a partire dalle (pur contestabili) argomentazioni con cui nel 2019 la Consulta ha escluso l’illegittimità costituzionale della legge provinciale n. 1 del 2018 proprio in base al perdurante coinvolgimento dell’I.S.P.R.A. nella gestione della fauna selvatica exart. 19 della legge n. 157 del 1992. Modificato tale articolo con la sua marginalizzazione[39] e nel senso di un’ulteriore regionalizzazione dei piani faunistici, esclusa o sensibilmente ridotta la possibilità dell’I.S.P.R.A. (organo della cui scientificità è comunque lecito dubitare, data la dipendenza funzionale dal M.A.S.E.) di incidere sulla decisione presidenziale di abbattimento dei grandi carnivori, la struttura normativa che ha guidato il ragionamento del giudice delle leggi nella sentenza n. 215 del 2019 è di fatto venuta meno, anche a fronte di un ordito costituzionale in cui l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, così come la tutela degli animali, sono assurti a Principio fondamentale della Repubblica, ossia a canone interpretativo dell’intera Carta costituzionale da applicarsi nell’unico e indivisibile territorio dello Stato (art. 5 Cost.), qualsiasi siano i confini puramente amministrativi tra Regioni e Province autonome. A comprova del mutato quadro principiale sembra sufficiente richiamare la recente sentenza n. 105 del 2024, nella quale il giudice delle leggi ha esplicitato – seppure in via ancora embrionale – la vigenza di un vero e proprio «mandato ecologico» gravante sulle pubbliche istituzioni, che, nel riecheggiare una terminologia tanto cara al Nuevo Constitucionalismo latino-americano, parrebbe destinato a riorientare l’azione dei pubblici poteri «anche nell’interesse delle future generazioni» (art. 9, c.3 Cost.). Il che è quanto di più distante dall’adozione di provvedimenti immediati di abbattimento di esemplari appartenenti a specie rigorosamente protette nell’assenza dei presupposti scientifico-normativi previsti dalle fonti inter- e sovranazionali.

3.1. La legge n. 2 del 2024 e l’esigenza di ristabilire la trasparenza nell’agire della P.A.T.

Anche a causa della mancata sollevazione della questione di costituzionalità, e in un clima politico-sociale in cui si sono diffusi abietti atti di bracconaggio proprio a danno degli esemplari di orso bruno ritenuti dalla P.A.T. potenzialmente pericolosi (“problematici”), nel perdurante “silenzio-assenso” dello Stato, nel marzo 2024, la Provincia autonoma ha approvato una novella legislativa (la n. 2 del 2024) volta a consentire l’abbattimento fino ad otto individui di orso bruno all’anno per i prossimi tre anni, al fine di ridurre il numero degli esemplari presenti nella Provincia sulla base di una speciosa interpretazione delle fonti internazionali contenuta nel Rapporto I.S.P.R.A. del 2023 “La popolazione di orsi nel Trentino: analisi demografica a supporto della valutazione delle possibili opzioni gestionali”. In tale documento, infatti, lo stesso Istituto nazionale parrebbe aver erroneamente correlato la «conservazione soddisfacente» della specie ex art. 16 Dir. Habitat – parametro che “giustifica” il possibile abbattimento di otto orsi l’anno per i prossimi tre anni – alla scala locale, non già a quella nazionale e financo transfrontaliera, come invece ripetutamente puntualizzato dalla Corte di Giustizia europea, da ultimo – nella causa C-436/22 – lo scorso 19 luglio con riferimento al divieto di caccia del lupo[40]. In altri termini, in assenza di corridoi ecologici che consentano alla specie ursina di ripopolare con gradualità la restante parte dell’arco alpino (come peraltro implicitamente inteso dallo stesso PACOBACE), il numero di esemplari “sacrificabili” non è parametrabile al solo territorio trentino, ma all’intero territorio nazionale e persino transfrontaliero (come ancora precisa la CGUE nella succitata sentenza) e, pertanto, andrebbe necessariamente rivisto al ribasso. 

La legge n. 2 del 2024 si appalesa, dunque, sin da subito, una potenziale fonte di misure del tutto sproporzionate, sganciate da qualsiasi tipo di evidenza scientifica, in evidente contrasto con il pur invocato art. 16 della Direttiva Habitat[41], e motivate da sole “ragioni” politiche connesse alla citata (invero, in via del tutto preventiva) sicurezza pubblica. 

Il 6 febbraio 2024 si è così registrato il primo abbattimento “legalizzato” di un esemplare di orso bruno (M90), all’esito di una vicenda alquanto controversa e in assenza di qualsiasi forma di contatto fisico tra il giovane esemplare ursino e uomini inoltratisi nella zona boschiva da questi abitata. In quell’occasione, alla pubblicazione del provvedimento presidenziale ha fatto seguito, dopo un ristrettissimo lasso temporale, la comunicazione dell’avvenuto abbattimento dell’esemplare, così vanificando i ricorsi pur prontamente proposti dalle associazioni ambientaliste. Uno schema che, lo si vedrà, si è ripetuto qualche mese dopo, assumendo contorni ancora più allarmanti per la doverosa visibilità dell’agire delle pubbliche istituzioni e per lo stesso rispetto di quelle pur basilari regole democratiche (in primis, l’appellabilità delle decisioni) che fisiologicamente rallentano la decisione politica, soprattutto se diretta a derogare alla legalità sovranazionale.  

Lo scorso 29 luglio, infatti, a seguito della sospensione giurisdizionale di due precedenti ordinanze presidenziali per l’evidente inadeguatezza dell’istruttoria e per la sproporzione dell’unica soluzione invocata (l’abbattimento), il Presidente della Provincia autonoma di Trento, dopo aver dapprima revocato con l’ordinanza n. 3 le precedenti ordinanze contingibili e urgenti n. 1 del 16 luglio e n. 2 del 20 luglio, ha emanato, a tarda sera, un decreto (il n. 81) di abbattimento dell’orsa KJ1, “rea” di aver aggredito un turista avventuratosi nell’area boschiva da questa abitata assieme ai suoi tre cuccioli, con conseguenze fortunatamente non gravi. Decreto prontamente eseguito, all’alba del giorno successivo, dai forestali trentini, al fine di evitare una nuova, più che probabile, sospensiva del T.A.R. nel frattempo adito dalle associazioni animaliste, nella legittima pretesa che la P.A.T. mettesse in atto strategie alternative, quali il monitoraggio, la dissuasione, l’interdizione dei luoghi frequentati dai plantigradi con i cuccioli; soluzioni peraltro previste da quel PACOBACE artatamente invocato, ma poi non adeguatamente applicato dalla Provincia, per giustificare il solo abbattimento di individui ursini e costantemente messe in atto, a titolo esemplificativo, dal Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise per garantire l’adeguata tutela dell’orso bruno marsicano. La loro stessa configurabilità, già di per sé idonea a privare di contenuto l’invocata assenza di valide alternative ex art. 16 Dir. Habitat, avrebbe quantomeno imposto alla Provincia un ben altro iter motivazionale a sostegno della soluzione dell’abbattimento, soprattutto dopo aver radiocollarato l’orsa KJ1. Misura, quest’ultima, che da doveroso strumento di prevenzione e controllo qual è nella generalità delle altre realtà statali, sol che si pensi a quell’app GrizzTracker canadese che consente alla popolazione di conoscere la posizione in tempo reale dei grizzlies al fine di evitarne il “contatto”, si è irragionevolmente trasformata in meccanismo di facilitazione per l’abbattimento dell’esemplare.

A leggere le motivazioni addotte dal Presidente della Provincia autonoma nel succitato decreto ci si avvede immediatamente della loro manifesta sproporzionalità e irragionevolezza, a partire dal riferimento agli “incontri” dell’orsa KJ1 con l’uomo, i quali, se si eccettua l’ultimo, comunque da contestualizzare alla presenza dei cuccioli, parrebbero tutti testimoniare l’assoluta non pericolosità di un animale che si limita ad osservare, “soffiare” e ad allontanarsi quando spaventato. Costantemente invocata è, invece, una situazione di massima urgenza e di immediato pericolo per l’incolumità pubblica, benché nei (non pochi) giorni successivi all’aggressione al turista francese (dal 16 al 29 luglio) l’orsa non abbia in alcun modo palesato aggressività verso l’uomo, con cui, in ben ventidue anni di vita, è entrata in contatto soltanto una decina di volte. Ben non si comprende, poi, a quale fine sia ripetutamente invocata la sanità pubblica, così come del tutto improprio è il riferimento a quelle disposizioni sovranazionali che, nel caso di specie, avrebbero invece dovuto indirizzare verso soluzioni non drastiche e irrimediabili, nella conclamata percorribilità di valide soluzioni alternative ex art. 16 Dir. Habitat. Anche a non voler disporre la chiusura preventiva di alcuni sentieri che attraversano l’area frequentata dall’orsa, una volta radiocollarata questa poteva, infatti, essere ben controllata nei suoi spostamenti dal corpo forestale, al fine di evitare o ridurre al minimo – contrariamente a quanto si ripete nel decreto – la possibilità di incontri inaspettati con l’uomo. Con il che perdono di rilievo giuridico le restanti e sovrabbondanti argomentazioni contenute nel decreto, ben riassumibili dall’ottica valoriale condensata nell’ultima pagina dello stesso, in cui, dopo aver nuovamente invocato l’«interesse prioritario della sicurezza e dell’incolumità pubblica», il decreto presidenziale esclude qualsiasi soluzione alternativa all’abbattimento, «dato atto che la vita e l’incolumità dell’uomo, poste di fronte ad un serio e concreto pericolo, costituiscono valore primario a base e fondamento dell’ordinamento giuridico e sociale e, in quanto tali, assiologicamente superiori rispetto alla vita di un animale». Valore che, come tale, si fa tiranno (rievocando una celebre espressione utilizzata dal giudice delle leggi nella sentenza n. 85 del 2013) rispetto a beni altrettanto rilevanti, rinnegando la comune natura animale dell’essere umano. 

Del tutto assente è qualsiasi riferimento al nuovo principio di tutela ambientale sancito dall’art. 9 Cost. e alla prospettiva (anche) biocentrica da questo esplicitata a livello costituzionale, sostituito dalla pressante invocazione di un’azione muscolare delle istituzioni regionali giustificata dalla presunta legittimità della soluzione dell’abbattimento condivisa con ISPRA – peraltro poi smentita dallo stesso Istituto – e con il Servizio faunistico. E tanto, ignorando di fatto le argomentazioni provenienti dalla realtà scientifica, ben riassunte nella nota del 26 luglio scorso della Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani (FNOVI), i quali, dopo aver stigmatizzato la mancata realizzazione provinciale delle misure di prevenzione previste dal Life Ursus e rammentato che in venticinque anni soltanto otto sono gli episodi di aggressione ursina a danno di individui umani, deplorano «l’approccio che individua l’abbattimento come unica soluzione (…), sia perché lontano dai valori della medicina moderna, sia soprattutto perché non risolve il problema, ma lo accentua con la falsa convinzione che tutti i problemi siano risolvibili non affrontandoli e cercando soluzioni condivise, ma semplicemente rimuovendoli»[42].

Ora, invocare il concetto di sicurezza e incolumità pubblica in via preventiva appalesa una serie di criticità sul piano costituzionale, non solo in relazione al pur dirimente mancato bilanciamento con il nuovo Principio fondamentale di tutela ambientale, ma in ragione dell’ingiustificata e sproporzionata compressione del diritto inviolabile di difesa ex artt. 24 e 113 Cost. della collettività rispetto a provvedimenti monocratici irrimediabili nelle loro conseguenze. Senza invocare la difesa “indiretta” degli interessi della specie ursina attraverso i loro rappresentanti umani[43], ad essere leso è infatti il diritto propriamente umano di poter valutare, attraverso la pronuncia degli organi giurisdizionali, se l’interpretazione del dato normativo fornita dagli organi politici sia realmente conforme a quei principi costituzionali che presiedono all’intera impalcatura ordinamentale o se sia, invece, possibile ampliare il «ventaglio dei significati (le norme)» da essi «desumibili» in quanto «disposizioni ad alto contenuto valoriale»[44], eventualmente sollevando questione di costituzionalità dinanzi al giudice delle leggi. Il legislatore, per di più provinciale, non può infatti considerarsi l’esclusivo e ultimo interprete-attuatore del nuovo Principio costituzionale di tutela ambientale, la cui inevitabile dimensione scientifica impone, anzi, in termini di doverosità, la costante azionabilità del controllo giurisdizionale. Ed invero, non potendo non liquet, gli organi giusdicenti sono fisiologicamente chiamati a motivare le loro decisioni alla luce delle dinamiche acquisizioni delle scienze. A differenza dell’ottica teleologica dei valori, in cui il fine è in grado di trovare in sé stesso la giustificazione successiva di qualsiasi mezzo utilizzato, la realizzazione dei principi sembra, al contrario, imporre «attività consequenzialmente orientate»[45], le quali possono trovare validità sul piano normativo soltanto se riconducibili nelle trame del principio medesimo, nel suo costante bilanciamento con altrettante regole e principi di rango costituzionale. Il che non sembra essere avvenuto nell’iter decisionale della P.A.T., con il risultato di rendere del tutto illegittime, dalla specola costituzionale, le modalità di sottrazione – rispetto alla loro destinazione fisiologica – di “beni” (la fauna selvatica) la cui tutela costituisce interesse dell’intera collettività.

Il biasimevole ricorso all’emanazione di un decreto notturno per aggirare il possibile controllo democratico da parte di organi giurisdizionali appare, dunque, ictu oculi quanto di più distante dal «governo del potere pubblico in pubblico»[46] che struttura le moderne democrazie, palesando la ricerca dell’invisibilità al fine di aggirare presidi democratici a garanzia degli interessi della collettività, non soltanto locale. La tutela dell’orso bruno costituisce, invero, interesse precipuo dell’intero Stato-comunità, rientrando la fauna selvatica nel patrimonio indisponibile dello Stato, non già della sola comunità trentina e dei suoi rappresentanti. In quanto specie indispensabile per la conservazione degli equilibri ecosistemici, soprattutto in una «situazione altamente critica (…) per problemi di scarsità e di depauperamento e per assoluta inefficienza delle garanzie giuridiche», la specie ursina è anzi da intendersi come un vero e proprio bene comune, dalla definizione delle relative strategie di tutela non potendosi escludere la partecipazione, anche sotto forma di controllo-appellabilità, dell’intera collettività nazionale, trattandosi di “beni” la cui sopravvivenza arricchisce il patrimonio storico-culturale della Nazione e la conservazione dell’ambiente in cui l’uomo ha elaborato le sue regole di convivenza. A meno che, in frontale opposizione alla logica dei beni comuni, non si ritenga legittimo, sul piano costituzionale, utilizzare le astratte competenze normative quale titolo di acquisto della proprietà di beni che sono e devono restare accessibili all’intera collettività e, come tali, sottratti a qualsiasi logica di esclusiva apprensione a titolo proprietario.

In definitiva, indagato dalla specola costituzionale, l’interrogativo più pressante che parrebbe evocare il decreto presidenziale n. 81 è proprio questo: è possibile elevare a rango costituzionale una sorta di malcelata lex talionis quale regola di definizione dei rapporti tra animali umani e animali non umani? È costituzionalmente ammissibile una simile sproporzione, ingiustificata alla luce del dirimente dato biologico-naturale per cui anche l’uomo è un animale? Può essa avere una copertura costituzionale? Evidentemente no, se l’ottica costituzionale è quella dei doveri connessi all’attuazione del nuovo principio biocentrico o ecocentrico (o cosmocentrico, che dir si voglia) che la revisione costituzionale del 2022 (artt. 9 e 41 Cost.) ha inteso affiancare a quello antropocentrico proprio al fine di mitigarne i più rigidi automatismi applicativi, potenzialmente esiziali per gli equilibri ecologici[47]. Eppure, ancora una volta, decisamente prevalente nelle modalità d’azione prescelte dai decisori pubblici.

3.2. Il ricorso alla Corte di giustizia europea sull’interpretazione dell’art. 16 della Direttiva Habitat

La gestione trentina dell’ursus arctos ha ingenerato un significativo contrasto tra organi legislativi e giurisdizionali e financo tutt’interno a questi ultimi, sfociato nella rimessione, da parte del T.A.R. Trento (ordinanza n. 216 del 2023), alla Corte di Giustizia europea della questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE sull’interpretazione dell’art. 16 della Direttiva Habitat, effettuata nell’ambito del giudizio inerente alla contestata gestione provinciale degli orsi catturati e rinchiusi nel recinto del Le Casteller. In particolare, oggetto di rinvio pregiudiziale è la possibilità di disporre l’abbattimento dell’animale qualora «non esista un’altra soluzione valida», che il T.A.R.-Trento interpreta in maniera alquanto differente rispetto al Consiglio di Stato. Se il primo, infatti, ritiene equivalenti l’abbattimento e la captivazione, il secondo, invece, considera le stesse in chiave gerarchica, legittimando l’abbattimento dell’animale nel solo caso di impossibilità oggettiva e non temporanea della sua captivazione permanente. 

In disparte da ogni considerazione sul mancato tentativo di previa interpretazione conforme al nuovo articolo 9 della Costituzione, nella propria ordinanza il T.A.R. trentino pare fornire un’interpretazione alquanto discutibile proprio della riserva di legge statale di cui all’art. 9, c.3 Cost., ritenendo la stessa tout court inapplicabile nella P.A.T.[48]. La decisione di rimettere la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia sembra, dunque, rappresentare l’acme di un percorso normativo ed interpretativo che ha condotto a ritenere la Provincia autonoma non vincolata al rispetto dell’art. 11 del d.P.R. n. 357 del 1997.

Le criticità dischiuse da una simile interpretazione si approfondiscono se solo si considerino le disposizioni del d.P.R. n. 357 del 1997 e gli standard minimi uniformi dettati dalla legislazione statale a tutela della fauna selvatica come «norme fondamentali di riforma economico-sociale», vincolanti la legislazione delle Regioni a Statuto speciale[49] purché fondate sui «limiti previsti dagli statuti speciali»[50]. È noto a chi scrive che tale assunto è stato espressamente rigettato dalla Consulta nella sentenza n. 215 del 2019. Ma parrebbe alquanto paradossale che sia proprio la competenza provinciale primaria in tema di «parchi» a legittimare la deroga, così come formulata nel 2023 e ancor più nel 2024, al divieto di abbattimento di specie rigorosamente protette a livello (inter-)nazionale. Ciò, peraltro, in palese distonia con quanto affermato dall’art. 69 del D. Lgs. n. 112/1998, il quale, pur animato dalla logica “federalista” introdotta dalla legge Bassanini n. 59 del 1997, ha inserito tra i «compiti di rilievo nazionale per la tutela dell’ambiente quelli relativi: (…) b) alla conservazione e alla valorizzazione delle aree naturali protette, terrestri e marine ivi comprese le zone umide, riconosciute di importanza internazionale o nazionale, nonché alla tutela della biodiversità, della fauna e della flora specificamente protette da accordi e convenzioni e dalla normativa comunitaria». 

4. Sul doveroso superamento del “silenzio-assenso” dello Stato nella tutela della biodiversità

Sullo sfondo di tali questioni un dato appare dunque evidente: la pressoché totale assenza di un intervento di indirizzo e coordinamento da parte dello Stato[51], il quale ha di fatto delegato alle Regioni e alle Province autonome il compito di regolare il rapporto uomo-animali nei territori da queste amministrati, nella perdurante assenza di un sistema di aree protette nazionali. 

Al contrario, proprio al fine di riportare a coerenza il complessivo ordito costituzionale con le fonti (inter-)nazionali a tutela di specie rigorosamente protette, s’impone un coinvolgimento diretto del Ministero dell’Ambiente nella gestione dei grandi carnivori, attraverso una rilettura in senso costituzionalmente orientato delle fonti che hanno sinora delegato “in bianco” alle Regioni e alle Province autonome le politiche in materia di fauna selvatica[52]. Ed infatti, alla luce della formulazione del nuovo art. 9 Cost.[53], sembra impossibile escludere lo Stato, «l’unico ente, tra l’altro, che può parlare per la Repubblica tutta intera»[54], dalle questioni che involgono la tutela della «biodiversità», degli «ecosistemi» e degli «animali», anche al fine di elaborare soluzioni preventive che possano garantire le pur legittime aspettative delle popolazioni che abitano i territori su cui si spostano i grandi carnivori. In altri termini, la nuova formulazione dell’art. 9 Cost. non può che ridondare, completandone e meglio specificandone il contenuto, nella disposizione di cui all’art. 117, c.2, lett. s), Cost., imponendo una primaria competenza dello Stato su “materie” di per sé inscindibili (ambiente, paesaggio, beni culturali, governo del territorio, parchi naturali, etc.)[55].

Per di più, la convivenza uomo-grandi carnivori non può essere rimessa all’adozione di ordinanze contingibili e urgenti o di decreti presidenziali adottati notte-tempo, né tantomeno alla puntuale pianificazione di sproporzionati e del tutto a-scientifici interventi “legalizzati” di riduzione della popolazione ursina che, in uno con mai arrestate pratiche di bracconaggio, potrebbero financo condurre alla loro (ri-)estinzione nella catena alpina. Se così fosse, pur nel rispetto, il più rigoroso, delle «materie» attribuite alla competenza primaria delle Province autonome, si finirebbe per ledere le fonti internazionali a tutela di specie rare e l’interesse collettivo nazionale alla protezione di animali inestricabilmente connessi con il patrimonio storico-culturale della Nazione. Circostanze, queste, che – almeno temporaneamente – potrebbero financo legittimare l’istituzione di un Commissario governativo per la gestione della convivenza con l’orso bruno e l’attivazione del potere sostitutivo del Governo ex art. 120, c. 2 Cost., dacché, come argomentato dal giudice delle leggi nel risolvere un conflitto di attribuzione sollevato dalle Province autonome e dalla Regione Emilia-Romagna nei confronti delle disposizioni ampliative dei poteri statali contenute nel d.P.R. n. 357/1997, queste ultime possono sì dare immediata attuazione alle Direttive comunitarie, ma «lo Stato, (…) per la forza della responsabilità ch'esso porta sul piano comunitario, e per la particolare cogenza che tale responsabilità assume nell'ordinamento costituzionale in conseguenza dell'art. 11 della Costituzione, è tenuto e quindi abilitato a mettere in campo tutti gli strumenti, compatibili con la garanzia delle competenze regionali e provinciali, idonei ad assicurare l'adempimento degli obblighi di natura comunitaria (sentenza n. 126 del 1996)»[56].

Ridurre l’attuazione del nuovo articolo 9 della Costituzione al susseguirsi di ordinanze e decreti presidenziali, facendo della tutela della fauna selvatica una questione di competenza meramente locale, rischia infatti di compromettere l’interesse (sovra)nazionale alla conservazione della vita in tutte le sue forme (la biodiversità). Interesse che la revisione costituzionale del 2022 ha collocato tra i Principi fondamentali della Carta repubblicana, in uno scenario giuridico-costituzionale in cui la tutela degli animali non umani – a rievocare la succitata pronuncia del Consiglio di Stato – è assurta a principio supremo dell’ordinamento. Come tale, capace di accomunare le tecniche di protezione e «fioritura» di animali umani e non umani, tutti percepiti «come un fine», dacché «individui non solo numericamente (ognuno conta), ma anche qualitativamente». Soprattutto se la stessa nozione di «specie» è sempre più percepita come «approssimativa» dagli stessi biologi; «ciò con cui realmente lavorano sono le popolazioni, composte da singole creature»[57].


Note e riferimenti bibliografici

[1] Non a caso, il Rapporto finale della Commissione Rodotà, istituita presso il Ministero della giustizia nel 2007, inseriva la «fauna selvatica» tra i beni comuni, oltre ai «parchi», «i fiumi, i torrenti e le loro sorgenti; i laghi e le altre acque; l’aria; (…) le foreste e le zone boschive; le zone montane di alta quota, i ghiacciai e le nevi perenni; i lidi e i tratti di costa dichiarati riserva ambientale; (…) la flora tutelata; i beni archeologici, culturali, ambientali e le altre zone paesaggistiche tutelate».

[2] Basti pensare allo slogan “No fauna selvatica” diffuso nelle recenti manifestazioni organizzate da Coldiretti.

[3] La collocazione della tutela degli animali «nell’ambito della visione unitaria dell’ambiente e degli ecosistemi» era stata già evidenziata, ben prima della revisione costituzionale del 2022, da S. Grassi, La tutela degli animali nella prospettiva della “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, in S. Castiglione – L. Lombardi Vallauri (a cura di), La questione animale, Giuffré, Milano, 2012, 309-333. 

[4] O, meglio, finalmente «espresso», come da tempo invocato dalla dottrina. Cfr. A. Gusmai, La tutela costituzionale dell’ambiente tra valori (meta-positivi), interessi (mercificatori) e (assenza di) principi fondamentali, in Diritto Pubblico Europeo Rassegna On Line, fasc. I/2015, 128 ss.

[5] A. Morrone, Fondata sull’ambiente. Editoriale, in Istituzioni del federalismo, fasc. 4/2022, 786.

[6] Tema, questo, su cui si vedano le ampie riflessioni di D. Amirante, Costituzionalismo ambientale. Atlante giuridico per l’Antropocene, il Mulino, Bologna, 2022.

[7] Come ha sottolineato R. Bifulco, Primissime riflessioni intorno alla l. cost. 1/2022 in materia di tutela dell’ambiente, in Federalismi – Paper, 6 aprile 2022, 5-6, pur criticabile alla luce dell’unitarietà del concetto di ambiente, «la scelta di estrapolare o comunque dare evidenza a ‘biodiversità’ e a ‘ecosistemi’ ha una sua logica sistematica: tra paesaggio, biodiversità ed ecosistemi vi è una forte interconnessione».

[8] Corte cost., sent. n. 193 del 2010, cons. in dir. n. 3. Per quanto, lo stesso legislatore si affretti ad affermare che le pratiche di abbattimento consentite dal nuovo art. 19 della legge n. 157 del 1992 non costituiscano «attività venatoria», probabilmente proprio al fine – formalistico – di evitare le scure della Consulta. A rivelare sin da subito l’irragionevolezza di simile affermazione è lo stesso comma 3 dell’art. 19, il quale stabilisce che «i piani di cui al secondo periodo del comma 2», ossia i «piani di controllo numerico mediante abbattimento o cattura» di fauna selvatica, «sono attuati dai cacciatori iscritti negli ambiti territoriali di caccia o nei comprensori alpini delle aree interessate», previa frequenza di corsi di formazioni organizzati dalla Regione e sotto il coordinamento dei corpi di polizia regionale o provinciale. Lo stesso comma 3 si spinge, anzi, ad affermare che «le autorità deputate al coordinamento dei piani possono avvalersi dei proprietari o dei conduttori dei fondi nei quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l’esercizio venatorio e previa frequenza dei corsi di formazione autorizzati dagli organi competenti». E ancora, al comma 4: «Gli animali abbattuti durante le attività di controllo di cui al comma 2 sono sottoposti ad analisi igienico-sanitarie e in caso negativo sono destinati al consumo alimentare». Come ciò non possa definirsi attività venatoria è alquanto difficile comprendere. 

[9] Per richiamare l’evocativo titolo di un lavoro di F. Rescigno, Parturient montes, nascetur ridiculus mus? Il nuovo articolo 9 della Costituzione italiana e il mancato traguardo della soggettività animale, in PasSaggi costituzionali, n. 1/2022, 58 ss.

[10] S. Candela, Annotazioni a margine delle recenti modifiche normative (introdotte dalla l. 197/2022) alla legge-quadro in materia di protezione della fauna selvatica omeoterma e prelievo venatorio, in Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’Ambiente, n. 1/2023, 305.

[11] La novella legislativa pare altresì palesemente in contrasto con quella giurisprudenza costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità di leggi approvate dalle Provincie autonome (nella specie, da quella di Bolzano) a tutela della fauna selvatica, poiché essa si riverbera nella tutela dell’«equilibrio dell’ecosistema» affidato alla competenza esclusiva dello Stato ex art. 117, c. 2, lett. s), Cost. Cfr., Corte cost., sent. n. 151 del 2011. 

[12] Secondo P. Vipiana, La protezione degli animali nel nuovo art. 9 Cost., in DPCE online, n. 2/2022, 1121, dal nuovo terzo comma dell’art. 9 Cost. «si desume una nozione di ambiente inteso in senso ampio come biosfera, cioè habitat di tutti gli esseri viventi – umani, animali, vegetali – che va tutelato nella sua interezza e unitarietà».

[13] Su tali aspetti, cfr. A. Gusmai, Giurisdizione, interpretazione e co-produzione normativa, Cacucci, Bari, 2015, spec. 52 ss. Da ultimo, ragionando sulla novella costituzionale del 2022, F. Fabrizzi, Dal paesaggio all’ambiente: conflitto o composizione, in Rivista AIC, n. 3/2023, 167, ritiene che ci si possa attendere «che il nuovo testo dell’art. 9 Cost. riattivi quel circolo virtuoso che partendo dal testo (la Carta) arriva all’interprete (la Corte) e torna indietro».

[14] Circostanza da ultimo ribadita da C. Casonato, Diritto e altre forme di sapere. Una breve introduzione al costituzionalismo ambientale, in DPCE online, Sp-2/2023, 4, il quale ha sottolineato che «in riferimento a tematiche come quelle ambientali, (…), è necessario procedere con un diritto evidence-based, che possa essere prima concepito e poi valutato sulla capacità di basarsi su dati quanto possibile imparziali e peer-reviewed».

[15] La rilevanza trans-ordinamentale dell’ambiente era già stata evidenziata da numerosi studi della dottrina, tra cui si veda F. Gabriele – A.M. Nico (a cura di), La tutela multilivello dell’ambiente, Bari, 2005.

[16] Inevitabile, qui, il rinvio alla legge n. 86 del 26 giugno 2024, su cui si vedano le considerazioni critiche di F. Pallante, Spezzare l’Italia. Le regioni come minaccia all’unità del Paese, Torino, Einaudi, 2024.

[17] Per una visione d’insieme sulle complesse tematiche dischiuse dal regionalismo asimmetrico si vedano i contributi raccolti in C. Bertolino – A. Morelli – G. Sobrino (a cura di), Regionalismo differenziato e specialità regionale: problemi e prospettive. Atti del V Convegno annuale della rivista Diritti regionali. Rivista di diritto delle autonomie territoriali, Quaderni del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino, n. 17/2020. 

[18] La reintroduzione dell’orso bruno sulle Alpi orientali si deve all’iniziativa del Parco naturale Adamello Brenta in collaborazione con la Provincia autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, sulla base di uno specifico studio di fattibilità e con il cofinanziamento dell’Unione europea, dopo aver peraltro acquisito il parere favorevole delle popolazioni locali.

[19] Su cui cfr. E. Carloni, Il paradigma trasparenza. Amministrazioni, informazione, democrazia, il Mulino, Bologna, 2022.

[20] Corte cost., sentenza n. 20 del 2019, cit., cons. in dir. n. 2.2.

[21] Con le parole del Consiglio di Stato, sez. cons. per gli atti normativi, parere n. 515 del 24 febbraio 2016: «l’eccesso incontrollato di informazioni può provocare quella “opacità per confusione” che della trasparenza costituisce l’esatto contrario».

[22] Richiamando il titolo del lavoro di R. Ardrey, L’imperativo territoriale, Giuffré, Milano, 1984, il quale, a più riprese, sottolinea la «cogenza del territorio» sul comportamento degli animali e degli uomini.

[23] A. Runte, National Parks. The American Experience, Lanham (md.), Taylor Trade Publishing, 2010, 1, citato da L. Piccioni, Parchi naturali. Storia delle aree protette in Italia, il Mulino, Bologna, 2023, 21-22, il quale, tuttavia, sottolinea come i primi parchi americani «non sarebbero mai nati senza il sostegno attivo delle grandi compagnie ferroviarie che intuirono precocemente il potenziale turistico di aree spettacolari e integre», considerate «“inutili”».

[24] Metodo di produzione che parrebbe mirare «a rendere la Terra un luogo totalmente “coltivato”: un luogo in cui ogni forma di vita, se vuole sopravvivere, deve essere addomesticata, disciplinata, inserita nelle attività e nei progetti dell’essere umano». Così, A. Favole, La via selvatica. Storie di umani e non umani, Laterza, Roma-Bari, 2024, 10. Parole che sembrano perfettamente attagliarsi ai provvedimenti normativi recentemente adottati dalla P.A.T. nei confronti della specie ursina.

[25] D. Amirante – N.M. Gusmerotti, Le aree protette e l’Europa. La rete Natura 2000 per la conservazione della biodiversità, in G. Di Plinio – P. Fimiani (a cura di), Aree naturali protette. Diritto ed economia, Giuffrè, Milano, 2008, 22. 

[26] Un «nuovo modo di governare» capace «di superare il precedente sistema dei santuari isolati e del frazionamento territoriale delle zone protette». Così, M. Prieur, La tutela comunitaria degli habitat naturali, in D. Amirante (a cura di), La conservazione della natura in Europa. La Direttiva Habitat ed il processo di costruzione della rete “Natura 2000”, FrancoAngeli, Milano, 2003, 28.

[27] Inseriti nell’Allegato D del d.P.R. n. 357 del 1997, ossia tra le specie di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa.

[28] In quell’occasione, oggetto di impugnazione, per le stesse motivazioni, è stato altresì l’art. 1 della legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 11 del 2018, contenente misure di prevenzione concernenti i grandi carnivori e, nella specie, del lupo.

[29] Tema, quest’ultimo, assai complesso, su cui – per il suo intreccio con la problematica delle autonomie – si veda F. Pizzolato, Sussidiarietà, autonomia e federalismo: prime riflessioni, in G. Duso – A. Scalone (a cura di), Come pensare il federalismo? Nuove categorie e trasformazioni costituzionali, Polimetrica, Monza, 2010, 187-216.

[30] Corte cost., sent. n. 215 del 2019.

[31] Aspetti, questi, al centro del contributo di M.C. Maffei, Orsi problematici in Trentino: vecchi problemi e nuovi inadeguati rimedi, in Riv. giur. amb., 2023, 369-440.

[32] Per rievocare la definizione di «valore» fornita da G. Zagrebelsky, Intorno alla legge. Il diritto come dimensione del vivere comune, Einaudi, Torino, 2009, 92-94. Sulla distinzione tra valori, principi e regole, cfr. A. Gusmai, Il valore normativo dell’attività interpretativo-applicativa del giudice nello Stato (inter)costituzionale di diritto, in Rivista AIC, n. 3/2014. 

[33] T.A.R.-Trento, sent. n. 150 del 2021.

[34] Cfr. Documento di orientamento sulla rigorosa tutela delle specie animali di interesse comunitario ai sensi della Direttiva Habitat, di cui alla Comunicazione della Commissione C(2021)7301 del 21.10.2021, rispettivamente parr. 3-26 e 3-57, su cui insiste particolarmente M.C. Maffei, Orsi problematici in Trentino, cit., 429-430.

[35] Peraltro, già nel 2021, con la sentenza n. 7366 il Consiglio di Stato ha rilevato l’illegittimità, per carenza di istruttoria ed assenza del parere dell’ISPRA, dell’ordinanza contingibile ed urgente emessa dal presidente nei confronti dell’orso M57, rinchiuso nel recinto del Le Casteller prima di essere poi trasferito in un “santuario per gli orsi” in Ungheria. In quella sede, però, a causa della lunga ed illegittima captivazione, il supremo consesso amministrativo non ha potuto disporre la rimessione in libertà dell’orso, dacché lo stesso avrebbe potuto aver sviluppato una maggiore aggressività verso l’uomo. Ricostruisce la vicenda G. Gallo, Nota a Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. 3 novembre 2021, n. 7366, in E. Battelli – M. Lottini – G. Spoto – E.M. Incutti (a cura di), Nuovi orizzonti sulla tutela degli animali, Roma TrE-Press, 2022, 155-184.

[36] Cons. St., ordinanza n. 2918 del 14 luglio 2023, in cui è evidenziato che «la mancanza di adeguate strutture per l’accoglimento e la gestione di animali “problematici” non può legittimare una misura che viola il principio di proporzionalità e che rischia di autorizzare un uso seriale, indiscriminato della decisione estrema e più cruenta che (…) deve costituire l’extrema ratio; l’allarme sociale destato dai drammatici episodi ultimamente occorsi, se legittima il rafforzamento delle misure preventive diverse dall’abbattimento, non può incidere sulle valutazioni dell’amministrazione che deve continuare ad ispirarsi rigorosamente ai (…) citati criteri di legge al fine di trovare il punto di equilibrio ispirato a proporzionalità».

[37] Come lo ha definito F. Merusi, Art. 9, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Zanichelli, Bologna-Roma, 1975, 455.

[38] Come ha evidenziato R. Bifulco, La legge costituzionale 1/2022: problemi e prospettive, in La riforma costituzionale in materia di tutela dell’ambiente, Atti del convegno, 28 gennaio 2022, Napoli, 2022, 82, «l’obbligo di tutela non riguarda solo gli animali che si trovano all’interno del territorio italiano. Il rilievo ha significato soprattutto con riguardo agli impegni internazionali che lo Stato italiano è chiamato ad assumersi per una tutela più efficace della fauna».

[39] Come ha evidenziato S. Candela, op. cit., 307-308, con le modifiche apportate al comma 2 dell’art. 19 si è eliminato il preventivo «parere» dell’I.S.P.R.A. sui piani regionali di controllo della fauna selvatica e, contestualmente, il suo potere di «verifica» sull’inefficacia dei (anch’essi abrogati) «metodi ecologici» impiegati: «da qui il depotenziamento del suo ruolo».

[40] La CGUE ha così censurato l’illegittima autorizzazione della caccia al lupo da parte della regione spagnola della Castiglia y León, per una quota di 339 esemplari in un’area a nord del fiume Duero. E tanto, dal momento che i lupi non possono divenire «specie cacciabile a livello regionale» se il loro stato di conservazione a livello nazionale è insoddisfacente. Argomentazioni, questa, di per sé fisiologicamente estensibili alla tutela dell’ursus arctos, il cui grado di conservazione soddisfacente non può essere parametrato a livello locale (nella specie trentino), ma solo e soltanto a livello nazionale o transfrontaliero.

[41] In effetti, nella sentenza Corte UE, sez. II, 10 ottobre 2019, Luonnonsuojeluyhdistys Tapiola, causa C-674/17, la Corte di Giustizia ha specificato che la «protezione rigorosa» delle specie protette impone che eventuali deroghe ex art. 16 siano ben argomentate e giustificate alla luce delle migliori conoscenze tecnico-scientifiche (punto 51), anche attraverso un’analisi comparativa con uno scenario che non contempli l’intervento.

[42] FNOVI, Abbattimento di orsi e animali selvatici. Il rapporto uomo/animale va gestito scientificamente, non emotivamente, Comunicato stampa del 26 luglio 2024, disponibile al seguente link: https://www.fnovi.it/node/50908.

[43] Non possono, qui, che tornare alla mente le argomentazioni di C.D. Stone, Should trees have standing? Law, Morality and the Environment, Oxford University Press, Oxford, 2010, pietra miliare nella storia dell’ambientalismo moderno, incentrato sulla possibilità di riconoscere personalità giuridica a favore di entità naturali non umane. 

[44] Così, con riferimento precipuo al giudizio di costituzionalità, A. Gusmai – A. Di Maio, L’ordinamento “incappa” in Cappato. Alcuni rilievi a margine della sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale, in Rivista Penale, n. 5/2020, 549.

[45] G. Zagrebelsky, op. cit., 94.

[46] Secondo la celebre definizione di N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 2014, 82.

[47] Su tali aspetti, con l’intento precipuo di restituire piena dignità ambientale alla materia «governo del territorio», risolvendo l’attuale antinomia interna alla Costituzione tra artt. 9 e 117 Cost., cfr. le dense argomentazioni di A. Gusmai, Il «governo del territorio». Premesse costituzionali allo studio dell’urbanistica, Cacucci, Bari, 2024, 190-201 e 360-369.

[48] Tutt’al contrario, come ha puntualmente rilevato S. Grassi, La cultura dell’ambiente nell’evoluzione costituzionale, in Rivista AIC, n. 3/2023, 227, la revisione costituzionale attesta la «palese intenzione di rafforzare la competenza esclusiva statale, anche e soprattutto nel settore della disciplina a tutela della fauna come parte dell’ambiente», «anche nei confronti delle regioni a Statuto speciale». 

[49] Corte cost., sent. n. 233/2010. Nello stesso senso, cfr. Corte cost., sentt. n. 227/2003 e n. 348/2007.

[50] A. D’Atena, Diritto regionale, Giappichelli, Torino, 2017, 278. 

[51] Come ha evidenziato L. Piccioni, op. cit., 175, «non si va molto lontano dal vero affermando che lo Stato ha rappresentato sempre e resta tuttora il grande assente nell’affollata e conflittuale arena delle aree protette italiane, circostanza tanto più sconcertante in un quadro sempre più influenzato dalle politiche ambientali sovranazionali e in particolare europee».

[52] Come si è provato ad argomentare in altra sede, il senso più profondo della revisione costituzionale del 2022 con riferimento alla tutela degli animali è quello di aver spostato verso “l’alto” la competenza legislativa. Sia dunque consentito il rinvio a F. Sicuro, La riserva di legge a tutela degli animali nel riparto di competenze tra Stato e Regioni, in Rassegna di Diritto Pubblico Europeo On Line, n. 1/2024, 24 ss.

[53] Sul nuovo art. 9, c. 3 Cost. numerose, e talora contrastanti, sono le riflessioni della dottrina. Senza in questa sede poterle rievocare tutte, cfr. almeno M. Cecchetti, Virtù e limiti della modifica degli articoli 9 e 41 della Costituzione, in Corti supreme e salute, n. 1/2022, 127 ss.; A. Valastro, La tutela degli animali nella Costituzione italiana, in BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2022, 261 ss.; Q. Camerlengo, Ambiente e Costituzione: speranza e disincanto, in PasSaggi costituzionali, n. 1/2022, e, ivi.

[54] È questa la conclusione cui giunge A. D’Atena, Tutela ambientale e autonomia differenziata, in ConsultaOnline, fasc. I/2024, 62. 

[55] Su tali aspetti, cfr. ancora A. Gusmai, Il «governo del territorio», spec. 168 ss., ma passim.

[56] Corte cost., sent. n. 425 del 1999, cons. in dir. n. 5.3.1. Si specifica che nella sentenza non è fatto alcun richiamo all’art. 120 Cost.

[57] Le citazioni sono tratte da M. Nussbaum, Giustizia per gli animali. La nostra responsabilità collettiva, il Mulino, Bologna, 2023, 152.