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Pubbl. Lun, 6 Mag 2024

Reati omissivi propri e reati omissivi impropri: delitti di disastro colposo e altri delitti colposi di danno

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Francesco Gregorace
AvvocatoUniversità di Pisa



La rilevanza penale della condotta omissiva e i confini della posizione di garanzia nell´ambito dei reati di pericolo e, in particolare, nei delitti contro l´incolumità pubblica.


ENG The criminal relevance of omissive conduct and the boundaries of the position of guarantor in the context of dangerous offences and, in particular, in offences against public safety.

Sommario: 1. Premessa: la condotta omissiva; 2. Reato omissivo proprio; 3. Reato omissivo improprio e posizione di garanzia; 4. Incolumità pubblica e reati di pericolo; 5. La responsabilità del garante nei delitti di disastro colposo e negli altri delitti colposi di danno; 6. Conclusioni.

1. Premessa: la condotta omissiva  

Il reato omissivo, proprio o improprio che sia, per essere penalmente rilevante presuppone la sussistenza della condotta. Quest’ultima, a prescindere che si sposi la teoria tripartita o bipartita del reato, costituisce il primo e indefettibile elemento strutturale che caratterizza il fatto tipico.

Nella definizione di condotta penalmente rilevante, infatti, rientrano sia le azioni che le omissioni ed è la stessa legge penale a prevederlo expressis verbis. Si pensi all’art. 43, co. 1 c.p., ai sensi del quale “nessuno può essere punito per una azione o omissione preveduta dalla legge come reato se non l’ha commessa con coscienza e volontà”.

Chiarito quanto sopra, il problema che ha impegnato sia la dottrina che la giurisprudenza è stato quello di individuare l’ubi consistam dell’omissione. Essa, infatti, risolvendosi in una non azione pone il problema di individuarne gli elementi e, soprattutto, i limiti entro i quali essa possa rilevare penalmente.

Tra le diverse opinioni, superate quelle che definivano l’omissione un “nihil facere” ovvero in un “aliud facere”, è prevalsa la concezione “normativa” dell’omissione, per cui essa è da intendersi quale inadempimento di un dovere giuridico. È quest’ultimo a convertire l’azione in omissione. Le problematiche del diritto penale dell’omissione sono relativamente recenti, ciò in ragione del fatto che solo negli ultimi decenni, a fronte dello sviluppo tecnologico e con esso anche dei pericoli per l’incolumità pubblica e individuale, c’è stata una proliferazione di norme cautelari imposte a carico degli individui che ha comportato la conseguente proliferazione di fattispecie incriminatrici formulate in forma omissiva. Tale carattere preventivo, volto a responsabilizzare l’agente, attribuisce al diritto penale dell’omissione una funzione promozionale, contribuendo a realizzare modelli e scopi sociali tutelati dalla costituzione.[1]

2. Reato omissivo proprio

Ciò premesso, nel diritto penale dell’omissione è possibile distinguere tra i c.d. reati omissivi propri e i reati omissivi impropri.

Nella prima categoria rientrano tutti quei reati che puniscono la condotta omissiva ex se. Il solo fatto di non aver posto in essere una condotta ritenuta doverosa dall’ordinamento fonda la punibilità del soggetto attivo. Un tipico reato omissivo proprio è, ad esempio, l’omissione di soccorso ex art. 593 c.p., che punisce chiunque, imbattutosi in una persona bisognosa di aiuto, non presti l’assistenza dovuta. Come è evidente, in tal caso il disvalore è concentrato nella mancata adozione della condotta doverosa. Trattasi di ipotesi delittuose che, per la maggior parte dei casi, integrano reati di pura condotta, salvo quanto previsto dall’art. 659 c.p. che, nel punire chiunque non abbia impedito strepiti di animali, configura un’ipotesi di reato omissivo proprio di evento.[2]

3. Reato omissivo improprio e posizione di garanzia

Nel reato omissivo improprio, invece, oltre alla condotta omissiva del soggetto attivo c’è anche un evento dannoso quale conseguenza dell’omissione. Sono i c.d. reati di evento mediante omissione. La norma fondamentale sul punto è l’art. 40 c.p. rubricata “rapporto di causalità” che, al co. 2, prevede che “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”.

Il reato omissivo improprio, dunque, è quello nel quale l’evento dannoso è causato dall’omissione di colui il quale doveva impedirlo. Come è evidente, si tratta di una causalità giuridica. A ben vedere, infatti, una condotta omissiva non può mai cagionare un evento lesivo. Il caso di scuola è rappresentato dal bagnino di uno stabilimento balneare che non abbia soccorso il bagnante successivamente deceduto per annegamento. In tal caso, la causa materiale delle morte del bagnante è l’affogamento, ma poiché il bagnino è portatore di un obbligo di garanzia di impedimento dell’evento, la causa giuridica della morte viene attribuita al garante inerte. Pertanto, in tal caso, ai sensi dell’art. 40, co. 2 c.p., sussiste il nesso di causalità tra la condotta omissiva del bagnino e la morte del bagnante.

Il reato omissivo improprio, dunque, si fonda sulla c.d. posizione di garanzia, la quale circoscrive la pletora dei soggetti attivi del reato solo a coloro i quali siano individuati garanti. Pertanto, si tratta di un reato proprio.

Inoltre, il reato omissivo improprio, derivando dalla combinazione della norma incriminatrice di parte speciale con la clausola prevista dal secondo comma dell’art. 40 c.p., configura un reato causalmente orientato, il che pone il rischio di un eccessivo ampliamento dei potenziali soggetti attivi. Proprio in ragione di ciò, è necessario che i garanti siano solo i soggetti che possano effettivamente ricoprire tale posizione e impedire l’evento. È necessario, pertanto, che il garante abbia le capacità e che sia messo nelle condizioni di poter tutelare il bene giuridico meritevole di protezione. In altre parole, il garante è tale solo se è nelle condizioni di poter controllare il pericolo.[3]

La puntuale individuazione della posizione di garanzia ha una notevole rilevanza pratica. Nell’esempio sopraccitato del bagnino, quest’ultimo, in caso di morte del bagnante, potrebbe rispondere di omicidio colposo ex artt. 40, co. 2 e 589 c.p., in quanto egli riveste una posizione di garanzia. Stessa cosa non potrebbe dirsi con riferimento al bagnante, il quale non essendo un garante, pur comportandosi in maniera identica al bagnino, potrebbe rispondere, tuttalpiù, per omissione di soccorso.

La riferita esigenza di determinatezza ha portato gran parte della dottrina a sposare l’orientamento intermedio in merito alla fonte di tale obbligo. In particolare, a fronte di un primo orientamento “formale”, secondo cui l’obbligo di garanzia può derivare solamente da un contratto, una legge o comunque da una fonte formale, si contrappone un diverso orientamento, sostanziale, il quale, al contrario, individua il garante nel soggetto che, in quella particolare situazione, sia effettivamente in grado di impedire l’evento. Trattasi di un orientamento sostanzialistico, poco determinato e che si basa su una situazione “di fatto”.

Per tali ragioni, la dottrina maggioritaria avalla l’orientamento intermedio che individua il garante nel soggetto investito formalmente del potere di impedire l’evento ma a condizione che, di fatto, sia messo nelle condizioni di poter agire efficacemente.[4]

La posizione di garanzia, inoltre, quando si traduce nel dovere di dar protezione da una determinata fonte di pericolo consiste in un obbligo di controllo e dev’essere tenuta distinta dagli obblighi di agire ovvero di sorveglianza che, al contrario, non integrano un obbligo di garanzia e non comportano tutte le conseguenze sopra descritte.[5]

4. Incolumità pubblica e reati di pericolo

Ciò premesso, l’obbligo di controllo, che, come detto, si sostanzia nel controllare una fonte di pericolo, trova un terreno fertile nei delitti contro l’incolumità previsti dal titolo V – capo I del c.p. Appare utile ai nostri fini chiarire meglio il concetto di incolumità pubblica.

Con essa si fa riferimento ad una sorta di schermo preventivo e protettivo dell’incolumità individuale che il legislatore, nell’ottica di una maggiore protezione all’individuo singolo, ha inteso dare, punendo tutte quelle fattispecie che possano creare un pericolo per la persona. Vi è una notevole anticipazione della tutela, proprio al fine di impedire che vengano realizzate condotte o situazioni dalle quali possa nascere un pericolo per un numero diffuso e indeterminato di persone.

Esigenza perseguita dal legislatore mediante la formulazione di reati di pericolo, nei quali, come è noto, non si punisce la lesione di un bene giuridico ma la sola messa in pericolo. Più in particolare, i reati di pericolo vengono tradizionalmente distinti in quelli di: pericolo presunto, astratto e concreto.

Nei reati di pericolo presunto, il pericolo è insito nella condotta punita dal legislatore, pertanto non è un elemento del fatto tipico. Si pensi al delitto punito dall’art. 423, co. 1 c.p. che punisce chiunque cagioni un incendio. In tal caso, il pericolo è presunto, perché dall’incendio potrebbe derivare il pericolo per l’incolumità.

Nei reati di pericolo astratto e concreto, invece, il pericolo è un elemento del fatto tipico e pertanto dev’essere accertato di volta in volta. È la modalità di accertamento del pericolo che cambia. Infatti, nel caso del pericolo astratto questo è accertato con giudizio ex ante e a base parziale, quindi senza tener conto delle circostanze non conosciute dall’agente.

Anche in tal caso è la condotta in sé che si pone in maniera pericolosa verso il bene tutelato. Si pensi alla condotta di contraffazione, effettuata in modo pericoloso per la salute pubblica, di cose destinate al commercio, punita dall’art. 441 c.p.

Nei reati di pericolo concreto, invece, il pericolo viene accertato con giudizio ex post e a base totale. Pertanto, la condotta potrà punirsi solo se ha effettivamente messo a repentaglio il bene giuridico tutelato e ciò dev’essere accertato in concreto.

È il caso del secondo comma dell’art. 423 c.p., che punisce l’incendio della cosa propria solo se dal fatto è derivato un pericolo per la pubblica incolumità.

Chiarito quanto sopra, i delitti contro l’incolumità pubblica sembrano potersi ricondurre nella categoria dei reati di pericolo astratto. Infatti, la volontà legislativa di punire una condotta/attività che possa mettere in pericolo una quantità diffusa e indeterminata di persone rende, di per sé, tale bene giuridico tutelabile solo tramite la tipologia del reato di pericolo astratto.

La necessaria indeterminatezza, doverosa per tutelare il bene giuridico della pubblica incolumità, non pare compatibile con un pericolo concreto. Quest’ultimo appare più adatto per la tutale di beni individuali ma non per un bene astratto e necessariamente indeterminato come la pubblica incolumità.

Più in particolare, tale bene giuridico appare compatibile solo con il reato di pericolo astratto, in quanto il pericolo presunto potrebbe anticipare troppo la tutela e punire condotte che ancora non sono in grado di realizzare alcun pericolo, mentre il pericolo concreto va “troppo avanti” e punisce il pericolo quando si è già rivolto al bene giuridico determinato (vita-salute persone).

5. La responsabilità del garante nei delitti di disastro colposo e negli altri delitti colposi di danno

Alla luce di quanto esposto finora, è possibile analizzare la penale responsabilità del garante in caso di delitti di disastro e, più in generale nei delitti di danno aventi natura colposa. Sul punto, ai sensi dell’art. 449 c.p., chiunque cagione per colpa un incendio o un altro disastro previsto dal capo I, titolo VI codice penale è punito con la reclusione da uno a cinque anni. La norma sancisce la punibilità a titolo di colpa del disastro doloso previsto dal precedente art. 434 c.p.

Tale ultima norma, avente carattere di chiusura e residuale, ha creato non pochi problemi in dottrina e giurisprudenza, soprattutto sotto il profilo del principio di determinatezza e di offensività. In particolare, a fronte dei dubbi in merito al contenuto del “disastro innominato” citato dalla norma, la Corte Costituzionale ha avuto modo di dichiarare infondate le censure emerse sul punto. A precisare la valenza del vocabolo, infatti, concorrono la finalità dell’incriminazione, la sua collocazione nell’alveo dei delitti contro l’incolumità pubblica, nonché il confronto con le altre fattispecie previste dal medesimo titolo.

In ragione degli elementi suindicati, è possibile desumere una nozione unitaria di disastro, sia sotto il profilo dimensionale sia sotto il profilo dell’offensività. In particolare, il disastro punito dalla norma di cui trattasi dovrà caratterizzarsi da un evento distruttivo di proporzione straordinaria, mentre dal punto di vista dell’offensività, trattandosi di delitti contro l’incolumità pubblica, occorre un pericolo per un numero indeterminato di persone. Tipizzato li disastro nei termini di cui sopra, il delitto si perfeziona nel momento in cui sia stato commesso un fatto diretto a cagionarlo e se da esso sia derivato un pericolo per la pubblica incolumità. Qualora, poi, il disastro avvenga, la pena è aggravata.

In questa situazione, in presenza di un soggetto gravato dall’obbligo giuridico di impedire l’evento ai sensi dell’art. 40 cpv c.p., egli potrà rispondere per disastro colposo ai sensi degli artt. 40, co. 2, 449 c.p. nel caso in cui l’evento disastroso si realizzi, configurandosi in tal caso un reato omissivo improprio. A ben vedere, infatti, la condotta omissiva colposa genera un evento disastroso che, per le ragioni sopraindicate, costituisce un pericolo per la pubblica incolumità. Se dal disastro cagionato poi deriva anche la morte di una o più persone, in tal caso il delitto ex art. 449 c.p. concorrerà con l’omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p.

La soluzione appena indicata diverge in presenza di un diverso reato di pericolo. Si pensi, ad esempio, al delitto di incendio ex art. 423 c.p. In tal caso, appurata la possibilità ex art. 449 c.p. che esso si configuri anche in forma colposa, l’eventuale soggetto obbligato ad impedire l’incendio, in presenza di danni anche alle persone, potrà risponderne ai sensi dell’art. 586 c.p. Infatti, in tal caso l’incendio costituirebbe il delitto base, anche colposo, dal quale derivi la morte o le lesioni.[6

6. Conclusioni

In conclusione, alla luce di quanto evidenziato, seppur brevemente, nella presente trattazione è possibile affermare che la categoria dei delitti contro la pubblica incolumità, in ragione delle peculiarità del bene giuridico protetto, pone diversi problemi di compatibilità con il principio di offensività.

La necessaria indeterminatezza, infatti, associata alle caratteristiche strutturali tipiche dei reati di pericolo, comporta un serio rischio di "annacquamento" del canone dell'offensività richiesto dalla Costituzione. 

Frizioni che aumentano ulteriormente in presenza di fattispecie realizzate in forma omissiva. Come è stato evidenziato, infatti, la posizione di garanzia rischia di ampliare notevolmente la pletora dei soggetti attivi ex art. 40, co. 2 c.p., con conseguente estensione della punibilità. 

Al fine di scongiurare tali rischi, incidenti su principi cardine del diritto penale, è necessario che gli operatori del diritto interpretino in maniere rigorosa sia i requisiti necessari per fondare l'obbligo di garanzia, sia la reale offensività della condotta. Solo così sarà possibile, da un lato, evitare uno sconfinamento verso responsabilità oggettive "di posizione" con conseguente vanificazione del principio rieducativo della pena ex art. 27 cost. e dall'altro offrire una reale tutela alla pubblica incolumità in grado di prevenire eventi tali da metterla in pericolo.


Note e riferimenti bibliografici

[1] F. MANTOVANI, Diritto penale, CEDAM, 2015.

[2] G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale parte generale, settima edizione, Zanichelli Editore, Bologna, 2014.

[3] M. SANTISE– F. ZUNICA, Coordinate ermeneutiche di diritto penale, quarta edizione, Napoli, 2018.

[4] F. MANTOVANI, op. cit.

[5] R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto penale parte generale, Torino, 2019.

[6] R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto penale parte speciale, III edizione, Torino, 2023.