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Pubbl. Gio, 18 Apr 2024

Saluto romano in Consiglio Comunale: legittima la critica e la condanna del gesto da parte del Sindaco ai media nazionali

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Editoriale a cura di Matteo Bottino



Con sentenza nr. 1216 del 15 aprile 2024, pubblicata in data 17 aprile 2024, il Tribunale di Genova ha espresso il principio secondo il quale non vi può essere alcuna lesione di immagine o di reputazione, nel caso in cui venga criticata e condannata una condotta socialmente riprorevole


Il Tribunale di Genova, con sentenza nr. 1216 del 15 aprile 2024, pubblicata in data 17 aprile 2024, si è pronunciato sulla richiesta di risarcimento danni avanzata nei confronti del Sindaco e di altri soggetti da parte di due consiglieri comunali, i quali - nel corso di una seduta del Consiglio - erano stati accusati di aver eseguito il "saluto romano" durante una votazione.

La contreversia traeva origine da un evento occorso in un piccolo Comune ligure e che aveva avuto risonanza nazionale sia per il gesto contestato, sia per l'essere stato posto in essere proprio nel "giorno della memoria".

Gli attori richiedevano il risarcimento del danno assumendo di non aver in alcun modo richiamato uno dei più emblematici simboli del periodo fascista, ma di essersi limitati ad esprimere il proprio voto; le accuse e le critiche svolte dal Sindaco nel corso della seduta e - successivamente - ai media nazionali, gli avevano dunque arrecato un ingiusto danno all'immagine e alla reputazione.

Il Tribunale di Genova, con la citata sentenza, ha rigettato le domande attoree, rilevando come dall'istruttoria svolta nel procedimento avviato per il risarcimento dei danni, era stato appurato che la circostanza addebitata e negata dai consiglieri comunali si era effettivamente verificata. In conseguenza di quanto emerso, dunque, le critiche sollevate dal Sindaco e da altri soggetti presenti alla seduta erano del tutte legittime.

In particolare il Tribunale ha dapprima premesso come "Appare evidente che in tanto l’attribuzione del fatto può dirsi fonte di pregiudizio per l’immagine, la reputazione, l’onore degli attori, in quanto quello stesso fatto sia stato loro falsamente attribuito (la dichiarazione di fatto può essere solo “verificata” attraverso prove che sorreggano o meno la loro veridicità); o qualora, se la circostanza di fatto è vera, essa sia stata rappresentata o commentata, ove di pubblico interesse come nel caso di specie, con toni e modalità che trascendano il libero esercizio del diritto di critica (rispetto ai giudizi di valore espressi). Si veda per la differenza tra dichiarazione di fatto e giudizio di valore CEDU, 11.1.2022 ric. 78873/13" e che - nel caso di specie -  "La condotta di chi, tra i convenuti, ha dunque affermato che durante la seduta del Consiglio comunale, tenutasi il giorno della memoria, si è proceduto alla votazione tramite una gestualità che ricalcava il saluto romano non può essere tacciata di falsità".

In ragione di quanto emerso, dunque, il Tribunale ha così statuito:

Appurato, quindi, l’effettivo verificarsi della circostanza (che, invece, parte attrice ha negato), le scaturite critiche nei confronti degli attori (e le intraprese iniziative anche a mezzo denuncia-querela) hanno semplicemente integrato la giusta e legittima reazione ad una condotta censurabile politicamente, socialmente ed eticamente, sempre mantenuta nei limiti di un linguaggio consono e con la veemenza che è lecito attendersi a cagione della delicatezza del tema trattato e dunque ampiamente scriminata ex artt. 51 c.p. e 21 Cost. (cfr. ex pluribus Cassazione civile n. 11767/22; Cassazione civile n. 38215/21; Cassazione civile n. 2357/18).

Non interessa, peraltro, in questa sede, appurare se sussistano o meno i presupposti per l’integrazione della fattispecie penale di cui all’art. 2 d.l. 26 aprile 1993 n. 122 convertito con modificazioni nella legge 25 giugno 1993 n. 205 o di quella prevista dall’art. 5 della legge 30 giugno 1952 n. 645 (che presuppongono che il fatto criticato avvenga e sia espressione di una concreta volontà di ricostituzione del partito fascista) in quanto, anche fuori da questi rigidi presupposti, il saluto romano, che rientra nella gestualità tipica del fascismo, qualora avvenga in pubblico, resta censurabile sul piano politico e morale.

In sostanza, il giudice di primo grado ha rigettato le domande di risarcimento del danno, sancendo il princpio secondo il quale - appurata l'integrazione di un gesto moralmente e politicamente censurabile - non è possibile dolersi delle conseguenze, neppure quando queste scaturiscano da una critica formulata pubblicamente sui media nazionali; ovviamente, a condizione che tali critiche siano mantenute nei limiti di un linguaggio e un comportamento consono alla situazione, da valutarsi sulla scorta del disappunto sociale che un determinato comportamento può suscitare.


Note e riferimenti bibliografici