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Pubbl. Gio, 4 Apr 2024

La Cassazione torna sul rapporto tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione e sul concorso del terzo

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autori Vincenzo Mirarchi , Valentina Elia



Chiamata a pronunciarsi sulla configurabilità del concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone ovvero nel delitto di estorsione, la Suprema Corte di Cassazione Penale ha affermato che - nel caso in cui il fatto tipico sia stato posto in essere da terzo concorrente a tutela di un diritto altrui - per configurare il concorso nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni in luogo di quello di estorsione, il giudice dovrà far riferimento all’elemento soggettivo del terzo, occorrendo che lo stesso abbia commesso il fatto al solo fine di esercitare il preteso diritto per conto del suo effettivo titolare e non perché animato da un fine di profitto proprio.


ENG Called upon to rule on the configurability of the participation of the third party in the crime of arbitrary exercise of one´s reasons with violence or threat to persons or in the crime of extortion, the Supreme Court of Cassation has affirmed that - in the event that the typical fact has been carried out by a third party competing to protect a right of another - to configure the complicity in the crime of arbitrary exercise of one´s reasons instead of that of extortion, the judge will have to refer to the subjective element of the third party, since the third party must have committed the act for the sole purpose of exercising the alleged right on behalf of its actual owner and not because it is motivated by a purpose of its own profit.

Sommario: 1. Il caso; 2. Tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni; 3. Il concorso di persone nei delitti de quibus - l’interesse proprio del terzo; 4. Conclusioni.

1. Il caso 

La vicenda trae origine dal ricorso proposto dagli imputati avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo che li aveva condannati in ordine al delitto di concorso in estorsione aggravata. In particolare è emerso che gli imputati, incaricati dalla proprietaria di un appartamento di sfrattare i conduttori che vi abitavano, avrebbero portate a termine tale compito con minacce e violenze nei confronti delle vittime. 

Nell’accogliere i ricorsi proposti, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 46097/2023[1] ha affrontato due questioni di diritto: la differenza tra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione; la configurabilità del concorso di terzo, agente materiale del delitto.

2. Tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni

Punto di partenza della pronuncia in diritto degli Ermellini è stata la differenza tra i due delitti.

A tal fine è stato richiamato l’orientamento ormai consolidato in giurisprudenza per cui i due delitti, oltre a differenziarsi per una materialità non esattamente sovrapponibile, si distinguerebbero principalmente in relazione all'elemento psicologico. Nel caso di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole - anche se in concreto infondata - di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria. Nel caso di estorsione invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella piena consapevolezza della sua ingiustizia.

Di conseguenza, nell'ipotesi di esercizio arbitrario con minaccia o violenza alle persone, l'elemento differenziante sarà il solo elemento psicologico.

3. Il concorso di persone nei delitti de quibus - l’interesse proprio del terzo

Una volta fatta tale premessa, la Seconda Sezione ha analizzato il tema della configurabilità del concorso del terzo, segnalando come tale questione sia stata oggetto già di plurime pronunce. In particolare, la Suprema Corte rileva che il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone, sarebbe configurabile nei soli casi in cui il terzo abbia commesso il fatto al solo fine di esercitare il preteso diritto per conto del suo effettivo titolare. Di logica, qualora il terzo autore materiale - seppure inizialmente inserito in un rapporto inquadrabile ex artt.  110 e 393 c.p. - inizi ad agire in piena autonomia per il perseguimento dei propri interessi, deve ritenersi che tale condotta integri gli estremi del concorso nel reato di estorsione[2].

In particolare la Corte di Cassazione ritiene che l’orientamento precedentemente richiamato vada condiviso, in primo luogo, poiché il reato di cui all’art.  393 c.p. è sì un reato proprio, ma è un reato proprio non esclusivo, e conseguentemente anche il terzo extraneus (dove l’estraneità sarà dovuta dall’essere estraneo al rapporto creditorio) potrà concorrervi ex art. 117 c.p..
A ciò va aggiunto che - come detto -  i delitti di estorsione e quello di esercizio arbitrario con minaccia o violenza alle persone differiscono per il solo elemento psicologico dell’agente.
Ne deriva - pertanto - che ai fini della configurabilità del concorso di terzo non creditore ed agente materiale, l’unico fattore rilevante sarà quello dell’interesse dello stesso.

Una volta affermato ciò, la Seconda Sezione Penale, segnala però, come nelle altre pronunce non sia stato esplicato il concetto d’interesse proprio del terzo idoneo a determinare la qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell'art. 629 c.p. piuttosto che dell'art. 393 c.p..

La conclusione a cui la Suprema perviene, è che lo stesso vada individuato alla luce degli elementi costitutivi del delitto di cui all'art. 629 c.p..

Ciò trova ragione nel fatto che, per identificare il contenuto di interesse proprio del terzo non può che farsi riferimento agli «elementi differenziali, costitutivi il delitto più grave e cioè l'estorsione rispetto alla ipotesi di cui all'art. 393 c.p»[3].

In altre parole, dato che l’elemento dell’interesse proprio diviene essenziale per il mutamento in un titolo più grave di reato, è necessario che lo stesso sia conforme a quanto previsto in tema di estorsione.

Conseguentemente e con riferimento alla disciplina in tema di estorsione qui d’attenzione, si avrà che, l’interesse in grado di determinare la qualificazione giuridica più severa deve costituire un profitto ingiusto che il terzo abbia richiesto alla stessa persona offesa o anche a soggetti legati ad essa.

Ne consegue che ogni qual volta che il terzo, incaricato dal creditore di recuperare un credito definito, abbia poi richiesto alla persona offesa un importo superiore a quanto dovuto, sarà chiamato a rispondere sempre di estorsione in concorso con l'esercizio arbitrario, proprio perché ha realizzato oltre al diritto originario anche un interesse proprio.

Ipotesi più complessa si avrà nel caso in cui il terzo abbia richiesto alla persona offesa l’esatto importo del credito, spinto dalla possibilità di trarre un vantaggio indiretto, anche di natura economica. Può avvenire - infatti - che il creditore abbia promesso una ricompensa al terzo, ovvero che quest’ultimo, abbia agito nella prospettiva della realizzazione di un proprio futuro guadagno indiretto ed estraneo all'azione delittuosa commessa nei confronti della vittima.

In tal caso, secondo la Seconda Sezione, questo eventuale motivo dell’agente non determina di base la differente e più grave qualificazione giuridica.

Le ragioni di ciò vengono rivenute nel fatto che il dolo del terzo, rimane sempre quello di agire esattamente e precisamente per la realizzazione del solo diritto sotteso all'azione, e non anche per arrecare danni altrui con corrispondente ingiusto profitto.

In tal circostanza l'eventuale guadagno sotteso potrà costituire il prezzo del reato di cui all'art. 393 c.p. o il movente del reato, ma non sarà idoneo a costituire un interesse proprio diretto, tale da determinare la più grave qualificazione giuridica.
Quanto sin ora affermato trova sostegno in plurime pronunce della Corte di Cassazione, che hanno escluso la rilevanza del movente ai fini della sussistenza del reato. Più nel dettaglio mentre il movente rappresenta la causa psichica della condotta umana, esso va distinto dal dolo, che è l’elemento costitutivo del reato e riguarda la sfera della rappresentazione e volizione dell’dell’evento[4].

L’irrilevanza del movente ai fini della sussistenza del reato è viene poi anche ribadito richiamando sia le precedenti pronunce circa la differenza tra delitto di cui all’art- 610 c.p. e l’estorsione, sia quelle in tema di reati di danneggima contro il patrimonio. Anche in questi casi infatti, sarà irrilevante il movente dell’agente, essendo sufficiente la presenza del dolo generico, senza che sia necessario il concorso di un fine particolare, che costituirà  il movente del comportamento tipico descritto dalla norma penale[5].

Ulteriore sostegno viene poi rintracciato anche nella dottrina. Sebbene sia dibattuto se ai fini della configurabilità del reato di estorsione sia necessario il dolo generico o specifico, rimane però chiaro che la volizione dell'agente deve avere ad oggetto la coartazione del soggetto passivo per conseguire un ingiusto profitto con altrui danno, senza che alcun rilievo assuma invece il motivo dell'azione criminosa e cioè la spinta a delinquere che ha mosso il reo a porre in essere la condotta delittuosa.

La Corte di Cassazione segnala, infine, che in baso a quanto sin ora affermato accanto ai due possibili scenari finora delineati, ve ne sia anche un terzo non inquadrabile nell’ottica del concorso ex artt. 110 o 116 c.p.

La Corte si riferisce al caso in cui i concorrenti non abbiano avuto ab origine un accordo criminoso comune, ed il creditore abbia raffigurato al terzo la tutelabilità di un proprio diritto, e quest’ultimo abbia agito nella sola convinzione di tutelare una posizione giuridica non esistente in realtà.

In tal caso l’errore in cui incorrerà il terzo, sia per altrui inganno o per errata rappresentazione della realtà, determinerà la non configurabilità del concorso, con applicazione della disciplina di cui agli artt. 47 e 48 c.p.

4. Conclusioni 

Dall’esame della pronuncia in commento, è evidente come la Seconda Sezione Penale, partendo da orientamenti consolidati, abbia voluto individuare e definire i contorni di tutti i possibili scenari in caso di concorso di terzo nei reati de quibus.

Ed è proprio questo aspetto che rappresenta il contributo novativo della pronuncia, ovvero l’aver individuato i criteri guida a cui deve far riferimento il giudice per valutare l’elemento soggettivo e la - conseguente - qualificazione giuridica.

Pertanto la Corte di Cassazione, sulla base di quanto detto, accoglie il ricorso proposto dagli imputati rinviando alla Corte di Appello di Palermo per un nuovo giudizio, invitando la stessa, ai fini della corretta qualifica giuridica, ad un’analisi del profilo soggettivo delle diverse condotte poste in essere nel caso concreto.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Cass. Pen. Sez II, n. 46097 del 15/11/2023 (Ud. 25/10/2023), in De Jure. It.

[2] Cfr ex multis: Cass. Pen. Sez. II, n. 11282 del 2/10/1985, Rv. 171209, in De Jure. It; Cass. Pen. Sez. Un. n. 29541 del 16/07/2020, Rv. 280027, in De Jure. It.

[3] Cass. Pen. Sez II, n. 46097 del 15/11/2023, cit.

[4] Cass. Pen., Sez. I, n. 466 del 11/11/1993, Rv. 196106.

[5] Cass. Pen., Sez. V, n. 220 del 24/10/2022, Rv 284115, Cass. Pen., Sez. V, n. 5134 del 05/04/2000, Rv. 216063.