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Pubbl. Mar, 27 Feb 2024

La Cassazione conferma il precedente orientamento in relazione alla causalità nella responsabilità del datore di lavoro

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Giovanni Perrone
Praticante AvvocatoUniversità degli Studi di Foggia



La Corte di Cassazione con la sentenza, Sez. IV, 22 novembre 2023 n. 46841, si è nuovamente espressa in materia di fattori interruttivi del nesso di casualità relativamente alla responsabilità del datore di lavoro per l´infortunio del dipendente e, in questo caso, non ha dato adito ai dubbi emersi in dottrina sulle precedenti pronunce giurisprudenziali.


Sommario:1. Premessa; 2.La teoria condizionalistica della causalità naturale; 2.1. I correttivi apportati dalla dottrina alla teoria della causalità naturale; 2.2. La teoria condizionalistica della casualità scientifica e il modello della sussunzione sotto le leggi scientifiche; 3. Concause interruttive del nesso eziologico; 4. La giurisprudenza in materia di accertamento del nesso causale nei reati omissivi e responsabilità del datore di lavoro; 4.1. Le pronunce giurisprudenziali fanno applicazione delle teorie della causalità adeguata e della produzione del rischio in merito ai fattori interruttivi del nesso causale tra responsabilità del datore di lavoro ed evento lesivo; 5. Conclusioni.

1. Premessa

I reati sono di mera condotta quando si integrano solo nel momento in cui il soggetto attivo pone in essere la condotta tipizzata nella disposizione incriminatrice. Le norme spesso contengono singole fattispecie incriminatrici in cui non è contemplata solo la condotta ma anche l’evento che può essere tanto un requisito essenziale, in assenza del quale il reato non si configura, come nel caso dell’omicidio ex art. 575 c.p., quanto un elemento circostanziale, come nel caso dell’art. 586 c.p. In quest’ultima ipotesi è previsto un aumento di pena per il verificarsi di un accadimento ulteriore rispetto al fatto che di per sé già costituisce reato. L’evento, in questo caso, non va inteso in senso giuridico, ovvero come lesione del bene giuridico protetto dalla norma, bensì come modificazione visibile e tangibile della realtà naturale conseguente alla condotta umana.

I reati di evento, ai sensi dell’art. 40 c.p., si integrano solo ed esclusivamente quando l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato è conseguenza dell’azione od omissione del soggetto attivo. L’art. 40 c.p., al secondo comma, dispone anche che il non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico d’impedire equivale a cagionarlo. Da questa norma si desume che una singola fattispecie di reato può essere attribuita ad un singolo soggetto solo quando si provi il nesso di casualità tra la sua condotta e il mutamento della realtà esteriore.

Il legislatore nulla dice su come verificare la sussistenza di un collegamento eziologico tra condotta ed il singolo accadimento naturale, perciò sia la dottrina che la giurisprudenza, da tempo immemore, hanno cercato di ovviare a tale silenzio individuando i criteri a cui si deve attenere l’interprete al fine di individuare un collegamento causale tra condotta ed evento.

2. La teoria condizionalistica della causalità naturale

La prima teoria elaborata dalla dottrina è quella della causalità naturale secondo la quale, l’interprete deve valutare sic et simpliciter se, in assenza della condotta umana, l’evento si fosse o meno verificato. In relazione alla teoria della conditio sine qua non, si obietta però che la stessa ha un efficacia euristica limitata, in quanto, per essere applicata, necessita di una previa conoscenza della derivazione causale sussistente tra condotta ed evento, non sempre infatti si può logicamente ricondurre, prima facie, un evento ad una determinata condotta. In secondo luogo si obietta che la teoria della causalità naturale non consente di distinguere, tra i vari antecedenti causali legati all’evento, quelli più prossimi e quelli più remoti. Se si ragiona per assurdo, in base a questa teoria avrebbe efficacia causale nei confronti della morte di uomo anche la condotta della donna che a suo tempo ha partorito l’assassino1.

2.1 I correttivi apportati dalla dottrina alla teoria della causalità naturale

Per i motivi appena addotti parte della dottrina ha elaborato delle teorie correttive utili a spiegare il nesso causale. La prima di queste è la teoria della causalità adeguata, la quale cerca di operare una selezione tra i singoli antecedenti causali di un determinato accadimento naturale. In base a questa teoria si è affermato che il nesso causale tra condotta ed evento sussiste solo ed esclusivamente quando quest’ultimo è una conseguenza prevedibile da un agente modello, secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, dell’azione o dell’omissione2. La dottrina ha obiettato che, introducendo in materia di nesso causale un concetto come quello della prevedibilità, si rischia di sovrapporre il piano oggettivistico a cui appartiene l’argomento eziologico a quello soggettivistico proprio della colpa. La medesima obiezione è stata estesa anche alla teoria della causalità umana la quale afferma che l’efficacia eziologica della condotta sussiste solo in relazione a quegli eventi che rientrano nella sfera di signoria e di controllo dell’essere umano risultando esclusa in relazione a quegli eventi eccezionali3.

Un’altra teoria dottrinale che ha trovato seguito in alcune pronuncie giurisprudenziali è quella dell’imputazione obiettiva dell’evento o dell’aumento del rischio. Secondo i sostenitori di tale teoria sussiste il nesso causale solo quando la condotta realizza un rischio giuridicamente non consentito e l’evento rappresenti una concretizzazione di tale rischio. A titolo esemplificativo si consideri il caso del soggetto che muore a seguito di una coltellata infertagli dall’aggressore; in tale circostanza, sussiste secondo tale teoria il nesso di causalità in quanto la morte è una diretta concretizzazione del rischio causato dalla condotta lesiva. Nel caso in cui, invece, il soggetto accoltellato fosse morto in ospedale dopo un incendio l’exitus non sarebbe stato una diretta concretizzazione del rischio creato dall’aggressore. A tale teoria si obietta però che la mera produzione del rischio non è da sola elemento sufficiente a dimostrare il collegamento eziologico tra causa ed evento. Oltremodo si rileva che la teoria in questione rischia anche di traspondere i reati di danno in altrettanti reati di pericolo e soprattutto genera complicazioni nell’individuare di volta in volta la ratio della norma incriminatrice, ovvero, nell’identificare i rischi che la stessa intende prevenire4.

2.2 La teoria condizionalistica della casualità scientifica e il modello della sussunzione sotto le leggi scientifiche

La giurisprudenza in passato ha applicato spesso le teorie della causalità adeguata e della creazione del rischio, soprattutto in materia di responsabilità del datore di lavoro, ma l'elaborazione dottrinale che ha avuto maggiore seguito è stata quella condizionalistica della causalità scientifica la quale contempla il modello della sussunzione sotto le leggi scientifiche4. Questa teoria è stata elaborata proprio per far fronte a quei casi in cui non si conosce un nesso di derivazione tra condotta ed evento, infatti la stessa riteneva che il giudice deve considerare sussistente il nesso causale solo ed esclusivamente ove sia possibile individuare una legge di copertura, sulla cui scorta asserire che un dato evento è conseguenza di una determinata condotta. La legge di copertura non deve essere per forza una legge universale in grado di spiegare con certezza il collegamento eziologico, ma può anche essere una legge statistica. Non sempre si può stabilire con certezza che un dato accadimento sia conseguenza di una determinata condotta, quindi mediante le leggi statistiche si giunge ad un risultato probabilistico. In altre parole la legge statistica consente di individuare in quale percentuale di casi ad un condotta consegue un determinato evento. La giurisprudenza si è dovuta quindi interrogare su quale fosse il grado di probabilità minimo per ritenere sussistente il nesso causale. Inizialmente, la giurisprudenza riteneva che la soglia percentuale dimostrata dalla legge statistica doveva essere particolarmente alta o comunque vicina alla certezza. In tempi successivi, onde evitare di restringere troppo le maglie dell’accertamento del nesso causale, la giurisprudenza ha affermato che il giudice quando si trovi dinanzi ad una legge statistica che indichi un determinato fatto come conseguenza di una determinata condotta in una percentuale di casi più bassa, deve compiere il massimo sforzo nel ricercare, sulla scorta del bagaglio a sua disposizione, ulteriori elementi che consentano di escludere una spiegazione causale alternativa. Il giudice, sempre secondo tale impostazione, non dove solo vagliare il grado di probabilità statistica della legge di copertura, ma anche il grado di probabilità logica, verificando la credibilità dell’impego della legge scientifica al caso concreto5.

3. Concause interruttive del nesso eziologico

Come appena accennato, particolare importanza nell’accertamento del nesso causale va data anche al concorso di cause interruttive del collegamento eziologico, soprattutto quando si usano leggi scientifiche con un coefficiente probabilistico più basso. L’art. 41 c.p. afferma che il concorso di cause anche se sopravvenute o indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non escludono il rapporto di causalità fra azione od omissione e l’evento. Mentre il secondo comma afferma che le cause sopravvenute escludono il rapporto di casualità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. Una parte della dottrina aveva ritenuto che il secondo comma si sarebbe potuto applicare anche alle cause preesistenti o simultanee argomentando sulla scorta del principio del favor rei. La dottrina e la giurisprudenza maggioritarie hanno invece optato per la tesi negativa, ritenendo che tale opzione ermeneutica contrasta esplicitamente con il dato letterale della disposizione. Nell’interpretazione del secondo comma una parte della dottrina aveva ritenuto che dovesse essere considerata interruttiva del nesso causale solo la causa sopravvenuta totalmente avulsa e autonoma dalla condotta umana. La giurisprudenza invece, optando per un altro orientamento dottrinale, ha ritenuto che la causa sopravvenuta, da sola idonea a cagionare l’evento, possa essere anche quella che, seppur non autonoma rispetto alla condotta, costituisca uno sviluppo causale atipico, eccezionale, improbabile o imprevedibile. Come si può denotare questa teoria utilizza gli stessi concetti propri della teoria della causalità adeguata e pertanto si presta alle medesime obiezioni che rilevano un indebita commistione tra elemento oggettivo e soggettivo del reato.

4. La giurisprudenza in materia di accertamento del nesso causale nei reati omissivi e responsabilità del datore di lavoro

Come affermato precedentemente la giurisprudenza ha fatto particolare applicazione di tale criterio soprattutto in materia di responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni patiti dal dipendente.

In base alle varie leggi che si sono susseguite in materia di prevenzione degli infortuni sul luogo di lavoro, il datore deve ottemperare ai vari obblighi che hanno ad oggetto, da un lato, la corretta formazione del dipendente allo svolgimento in sicurezza delle mansioni a cui è preposto, e dall’altro, l’adozione di tutte le misure di sicurezza necessarie per permettere ai lavoratori di eseguire la propria attività in sicurezza. Da ciò emerge che il datore di lavoro nel caso in cui non ottemperi a tali obblighi, oltre ad essere soggetto alle sanzioni di volta in volta previste dalle leggi speciali, in caso di infortunio del lavoratore da cui derivi la morte o le lesioni, può essere considerato colpevole dei reati di cui agli artt. 589 o 590 c.p., quando si accerti che la sua condotta omissiva sia stata causa dell’evento lesivo.

Giova precisare che, dai reati omissivi propri, in relazione ai quali la condotta omissiva è direttamente prevista dalla legge, vanno distinti i reati omissivi impropri. Questi ultimi non sono direttamente previsti dalla legge, ma sono il frutto del disposto combinato della singola fattispecie di parte speciale con l’art. 40 c.p., il quale afferma che il non impedire un evento che si l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. Si precisa che, questo comma è inserito nello stesso articolo che disciplina il nesso causale, quindi l’evento richiamato dalla disposizione andrà inteso in senso esclusivamente naturalistico e non giuridico, per questo motivo mentre i reati omissivi propri possono essere anche solo di mera condotta, i reati omissivi impropri sono necessariamente reati di evento.

In virtù di ciò, il reato omissivo improprio si configurerà solo ed esclusivamente quando si riesca a provare l'esistenza di un obbligo giuridico gravante su un determinato soggetto di impedire un evento, l’omissione della condotta doverosa, l’evento e il nesso causale tra omissione ed evento. L’obbligo giuridico può derivare da diverse fonti, come per esempio la legge, un regolamento, un atto amministrativo o un contratto. Secondo la teoria mista o ecclettica per ritenere che un determinato soggetto sia titolare di una posizione di garanzia non basta solo la presenza di un obbligo formale ma si rende necessaria anche la presa in carico effettiva del bene da tutelare e la sussistenza in concreto di poteri impeditivi dell’evento lesivo6.

Premesso ciò una particolare distinzione tra reati commissivi e reati omissivi si riscontra proprio in materia di accertamento del nesso causale. Nei reati commissivi l’accertamento del nesso causale è volto a verificare se in assenza di una determinata condotta un dato evento si sarebbe prodotto o meno, mentre nei reati omissivi è volto a comprendere se l’accadimento naturalistico si fosse comunque verificato nel momento in cui il soggetto che ha omesso di agire avrebbe tenuto il comportamento doveroso. Si specifica infatti che, la giurisprudenza ha rigettato la teoria secondo la quale anche l’inerzia rappresenta un comportamento naturalistico, inteso come repressione dell’impulso ad agire; in tal senso si obietta che il soggetto inerte non genera alcun mutamento della realtà circostante. Pertanto, in tema di casualità omissiva andrà compiuto un doppio accertamento ipotetico. Il primo volto a valutare il nesso tra causa ed evento, il secondo volto a comprendere se quest’ultimo si fosse verificato nel momento in cui il soggetto garante avrebbe compiuto l’azione doverosa. Proprio la complessità di questo doppio giudizio causale ha portato la giurisprudenza, in tema di responsabilità medica e di responsabilità del datore di lavoro ad ammettere la sussistenza del nesso eziologico anche nei casi in cui la legge scientifica di copertura fosse caratterizzata da una probabilità statistica bassa. La giurisprudenza infatti ha adottato tale criterio per evitare che un accertamento troppo rigoroso restringa troppo la sfera di applicabilità delle norme penali. Dall’altra parte, si evidenzia però che la giurisprudenza, come sopra preannunciato ha imposto al giudice di compiere un accertamento non solo in merito alla probabilità statistica, ma anche alla probabilità logica, in altri termini esso deve dimostrare l’attendibilità della legge statistica applicata al caso concreto e dimostrare l’insussistenza di qualsiasi altro elemento idoneo ad avere efficacia interruttiva della causalità7.

4.1 Le pronuncie giurisprudenziali fanno applicazione delle teorie della causalità adeguata e della produzione del rischio in merito ai fattori interruttivi del nesso causale tra responsabilità del datore di lavoro ed evento lesivo 

In materia di responsabilità del datore di lavoro per infortunio del dipendente i giudici di legittimità hanno cercato di dirimere l’annosa controversia relativa all’interruzione della causalità tra condotta omissiva ed evento. In particolare ci si è chiesto se il datore di lavoro fosse responsabile nel caso in cui le lesioni o la morte, non si siano derivate solo dalla sua inadempienza nel predisporre le misure di sicurezza, ma anche per colpa dello stesso lavoratore.

I Supremi giudici in questo caso hanno applicato la teoria della casualità adeguata, affermando che il nesso di casualità tra condotta omissiva ed evento lesivo è interrotto solo ed esclusivamente quando il lavoratore si renda responsabile di una condotta anomala e imprevedibile. La Corte di Cassazione ha precisato che per condotta anomala e imprevedibile, non va considerata la mera condotta imprudente del lavoratore tenuta nell’esercizio delle sue mansioni, ma la condotta abnorme, ovvero estranea ai doveri propri del prestatore di lavoro8. La decisione della Corte di Cassazione è stata criticata da parte della dottrina in quanto, come già detto più volte in precedenza, la teoria della causalità adeguata utilizza il concetto di prevedibilità generando una commistione tra elemento oggettivo e soggettivo del reato e in particolare in riferimento alla colpa.

In altri casi, la Corte di Cassazione ha applicato anche la teoria dell’aumento del rischio, come nel caso della causalità additiva relativa alla condotta del datore di lavoro e del medico che abbia prestato le cure al lavoratore infortunatosi. In questo caso secondo la giurisprudenza è necessario comprendere se l’evento lesivo sia una concretizzazione del rischio generato dall’omissione del datore di lavoro o se sia una realizzazione  del rischio generato alla condotta del medico. Anche in questo caso parte della dottrina obietta affermando che la teoria dell’aumento del rischio trasforma surrettiziamente i reati di danno in altrettanti reati di pericolo e genera non poche difficoltà nell’individuare la ratio della norma violata e il rischio che la stessa intende prevenire. Inoltre si rileva che la mera produzione del rischio da parte di un soggetto è insufficiente sul piano causale ad addebitare un evento ad una condotta.

Nonostante le obiezioni mosse dalla dottrina, la IV Sezione della Corte di Cassazione nel 2023 ha confermato l’orientamento seguito dalle Sezioni Unite, condannando il datore di lavoro che non abbia adottato le misure di sicurezza idonee a prevenire gli incidenti sul lavoro anche se il lavoratore si sia infortunato a seguito di una condotta imprudente dallo stesso tenuta. Nel caso specifico il lavoratore non aveva rispettato i comandi impartiti dal datore di lavoro che aveva ordinato ai propri dipendenti di tenersi lontani da una determinata area di un cantiere. In questo caso i Giudici supremi hanno ritenuto che la condotta del lavoratore se pur imprudente non sia comunque una condotta abnorme perché comunque connessa allo svolgimento delle mansioni di quest’ultimo9.

5. Conclusioni

In conclusione, si ritiene che, in questi casi la Corte di Cassazione ha manifestato la propria tendenza ampliare la sfera di responsabilità del datore di lavoro per esigenze repressive. Si consideri infatti che l’applicazione della teoria condizionalistica della causalità scientifica e il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche rischierebbe di restringere il campo di responsabilità omissiva del datore di lavoro. Negli ultimi tempi il progresso industriale e tecnologico ha comportato la moltiplicazione dei rischi e delle norme volte a prevenirli, infatti, il datore di lavoro non deve solo predisporre tutte le misure di sicurezza idonee a prevenire gli incidenti sul luogo di lavoro, ma anche formare a livello professionale il dipendente affinchè lo stesso possa svolgere le proprie mansioni in sicurezza, senza commettere imprudenze. Forse, proprio alla luce di tale considerazione e della frequenza con cui si verificano incidenti sul luogo di lavoro che la Corte di Cassazione ha cercato di adottare delle teorie alternative sul nesso causale idonee ampliare il novero degli antecedenti causali potenzialmente connessi con i singoli eventi lesivi.


Note e riferimenti bibliografici

1. VON BURI, Uber Kausalitat und deren Verntwortung, 1873, 23 

2. VON KRIES, Uber der Begriff der Warscheinlichkeit und Moglichkeit und ihre Bedeutung in Strafrecht, in Zeitschrift, 1889, 136. 

3. F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte generale, Torino, 1984, 227.

4. DONINI, Lettura sistematica delle teorie di imputazione dell'evento, in riv. dir. proc. pen; 1989, 1118.

5. G. FIANDACA, E. MUSCO, Manuale di diritto penale, parte generale, Milano, 2023, 236.

6. F. MANTOVANI, Diritto Penale, Padova, 2007, 136.

7. Cass., Sez. un. 10 luglio 2002, n. 30328.

8. Cass. pen., sez. IV, 26 gennaio 2018, n. 3869.

9. Cass. pen., sez. IV 22 novembre 2023, n. 46841.

Bibliografia

F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte gernale, Torino, 1984.

F. CARINGELLA, F. DELLA VALLE, M. DE PALMA, Manuale di diritto penale, parte generale, Roma, 2023

G. FIANDACA, E. MUSCO, Manuale di diritto penale, parte generale, Milano, 2023.

F. MANTOVANI, Diritto Penale, Padova, 2007.

G.MARINUCCI, E. DOLCINI, G.L. GATTA, Manulae di diritto penale, partegenerale, Milano 2023.

F. STELLA, Leggi scientifiche e spiegazione casuale nel diritto penale, Milano, 1975.

VON BURI, Uber Kausalitat und deren Verntwortung, 1873.

VON KRIES, Uber der Begriff der Warscheinlichkeit und Moglichkeit und ihre Bedeutung in Strafrecht, in Zeitschrift, 1889.DONINI, Lettura sistematica delle teorie di imputazione dell'evento, in riv. dir. proc. pen; 198