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Pubbl. Lun, 12 Feb 2024

La Corte EDU sul trattamento degradante e disumano di persone con disabilità intellettive e psicosociali nei reparti psichiatrici carcerari

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Ilaria Travaglione
AvvocatoUniversità degli Studi di Napoli Federico II



Il presente contributo si propone di analizzare l’iter argomentativo seguito dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, nel caso Miranda Magro c. Portogallo del 9 gennaio 2024, n. 30138/21, in ordine alla detenzione di persone con disabilità intellettive e psicosociali nei reparti psichiatrici carcerari, che ha accertato la violazione degli artt. 3 e 5 della Convenzione, poiché le cure sono state descritte come insufficienti ed era mancato un trattamento terapeutico adeguato.


ENG The aim of present opinion is to deal with the decision of European Court of Human Rights, Fourth Section, in the case of Miranda Magro v. Portugal, Application no. 30138/21, 9 January 2024, about the detention of persons with intellectual and psychosocial disabilities in prison psychiatric wards, that holds that there has been a violation of Article 3 and Article 5 of the Convention, because the care was described as insufficient and appropriate treatment was lacking.

Sommario: 1. Premessa; 2. Il Caso Miranda Magro c. Portogallo del 9 gennaio 2024, n. 30138/21; 3. La procedura di ricovero obbligatorio; 4. Le condizioni di detenzione del ricorrente e le cure prestate nell'unità psichiatrica del Caxias Prison Hospital; 5. La decisione della Corte Europea; 6. Conclusioni.

1. Premessa

La Quarta Sezione della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, nella causa Miranda Magro c. Portogallo del 9 gennaio 2024, n. 30138/21, ha enunciato importanti principi di diritto in ordine alla detenzione di persone con disabilità intellettive e psicosociali nei reparti psichiatrici carcerari.

Il ricorrente, Rui Miguel Miranda Magro, sosteneva di essere stato sottoposto a trattamenti inumani e degradanti, di non aver ricevuto cure mediche appropriate alla propria condizione di salute, durante la detenzione nel reparto psichiatrico São João de Deus Psychiatric and Mental Health Clinic presso il Caxias Prison Hospital.

La Corte di Strasburgo, rilevata l’inadeguatezza della struttura rispetto ai bisogni psichiatrici e terapeutici del ricorrente, accertava la violazione degli articoli 3 e 5 § 1 della Convenzione e accordava un’equa soddisfazione alla parte lesa, ai sensi dell’articolo 41, condannando lo Stato al pagamento di € 34.000,00 a titolo di danno non patrimoniale.

La Corte, tuttavia, riteneva che le violazioni accertate fossero il risultato di un problema strutturale che giustificava l’imposizione delle misure generali ai sensi dell’art. 46 della Convenzione.

Infatti, in linea con lo spirito del sistema di tutela predisposto dalla Convenzione, la Corte ha ritenuto necessarie misure efficaci volte a garantire assistenza medica e cure terapeutiche adeguate al caso clinico del paziente.

A tal fine, la Corte ha sancito a carico dello Stato l’obbligo conformativo ai sensi dell’art. 46, sotto la supervisione del Comitato dei Ministri, lasciando comunque allo Stato un margine di discrezionalità nella determinazione delle misure individuali necessarie atte a realizzare l’eliminazione delle conseguenze della violazione accertata e dei rimedi generali volti a far cessare la violazione sistematica della Convenzione.

Allo scopo di meglio chiarire e comprendere gli approdi ermeneutici della Corte di Strasburgo, occorre, innanzitutto, brevemente passare in rassegna la vicenda fattuale e processuale oggetto della pronuncia in commento.

2. Il Caso Miranda Magro c. Portogallo del 9 gennaio 2024, n. 30138/21

La Procura di Évora aveva avviato un procedimento penale nei confronti di Rui Miguel Miranda Magro, per reati, danni, minacce e molestie sessuali, presumibilmente commessi il 15 maggio 2017.

Il 2 settembre 2019, il Tribunale Penale di Évora ha condannato il ricorrente, dichiarandolo non penalmente responsabile a causa della schizofrenia paranoide che gli era stata diagnosticata nel 2002.

Tuttavia, in considerazione del pericolo per la società e il rischio di recidiva, aveva disposto l'applicazione di una misura di detenzione preventiva per un periodo massimo di tre anni in un istituto psichiatrico adeguato.

Il Tribunale disponeva, però, la sospensione dell'esecuzione del provvedimento, a condizione che il ricorrente venisse sottoposto al necessario trattamento psichiatrico presso l’Hospital do Espírito Santo di Évora (“HESE”) e non incorresse in recidiva.

A tal fine veniva, dunque, elaborato un piano di reinserimento sociale.

Successivamente, in seguito a denuncia dell'HESE circa la mancata presentazione del ricorrente ad alcuni dei suoi appuntamenti, il Tribunale penale di Évora chiedeva aggiornamenti al Direção-Geral de Reinserção e Serviços Prisionais (“il DGRSP”), il quale, nella relazione del 17 novembre 2020, riferiva che egli aveva progressivamente rifiutato le cure, che le sue condizioni di salute erano peggiorate tanto da richiedere l’intervento del delegato della sanità pubblica e il trasporto in pronto soccorso, e che secondo la polizia locale erano state presentate almeno altre due denunce nei suoi confronti per reati contro la libertà personale.

Il 18 novembre 2020, l'HESE informava il Tribunale che, nel frattempo, il ricorrente aveva accettato il trattamento terapeutico proposto.

Il 2 febbraio 2021, il Tribunale penale di Évora, su richiesta del pubblico ministero, disponeva la revoca della sospensione dell’esecuzione della detenzione preventiva e ordinava l’internamento del ricorrente in un istituto psichiatrico appropriato. La decisione è diventata definitiva il 26 marzo 2021.

Pertanto, il 14 aprile 2021, il ricorrente veniva condotto all'Ospedale Júlio de Matos di Lisbona, il quale, tuttavia, rifiutava di ricoverarlo per carenza di personale e per l’esigenza di dare priorità al ricovero di pazienti non autori di reato.

Il ricorrente è stato così portato, lo stesso giorno, presso l'unità psichiatrica del Caxias Prison Hospital.

Il 18 ottobre 2021 è stato poi trasferito al Sobral Cid Psychiatric Clinic a Coimbra.

3. La procedura di ricovero obbligatorio

Precedentemente, il 25 febbraio 2021, il Tribunale penale di Évora aveva ordinato il ricovero ospedaliero obbligatorio (internamento compulsivo) presso l’HESE, secondo le disposizioni della Mental Health Act.

Un referto medico del 1 marzo 2021 rilevava la gravità dello stato di salute del ricorrente e la necessità di garantire farmaci regolari e ricovero psichiatrico, nonostante il rifiuto del piano di trattamento, in quanto il mancato rispetto delle cure suggerite avrebbe determinato un peggioramento delle condizioni cliniche del paziente, con conseguenti rischi per se stesso e per gli altri.

Successivamente, il 10 marzo 2021 il Tribunale ordinava a un trattamento psichiatrico ambulatoriale (tratamento ambulatório compulsivo).

Il 29 aprile 2021, il Tribunale penale di Évora ha dichiarato terminato il trattamento ambulatoriale del ricorrente.

Successivamente, il fratello del ricorrente ha depositato un ricorso all’habeas corpus alla Corte Suprema di Giustizia, sostenendo che questi era detenuto illegalmente presso il Caxias Prison Hospital.

Il 21 aprile 2021 la Corte Suprema ha respinto il ricorso, in considerazione del fatto che la misura detentiva si basava su una decisione giudiziaria definitiva, e che in ogni caso essa era di natura temporanea.

4. Le condizioni di detenzione del ricorrente e le cure prestate nell'unità psichiatrica del Caxias Prison Hospital

Con ricorso n. 30138/21, il ricorrente adiva la Corte Europea di Strasburgo, sostenendo di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti durante la sua detenzione presso il Caxias Prison Hospital, di non aver ricevuto cure mediche appropriate alla sua condizione di salute, e di essere stato sottoposto ad un approccio terapeutico eccessivo mediante la somministrazione di iniezioni con effetto prolungato.

Ha sostenuto, inoltre, che l'unità psichiatrica del Caxias Prison Hospital fosse un ospedale carcerario e non un centro di salute mentale, e che egli avrebbe dovuto, invece, essere ricoverato in un istituto psichiatrico più adeguato.

La sua detenzione aveva, inoltre, contribuito ad un peggioramento delle sue condizioni di salute e ad aggravare il suo stato di confusione e paura, dato l'ambiente repressivo del carcere, poiché circondato da sbarre e filo spinato e sorvegliato da guardie in uniforme dotate di mezzi di repressione fisica, e che non aveva avuto accesso a cure mediche e supporto psicologico.

Il Governo contestava la versione del ricorrente, sostenendo che gli erano state somministrate tutte le cure specialistiche di cui aveva bisogno e che l'unità psichiatrica del Caxias Prison Hospital fosse un'unità sanitaria capace di offrire adeguata assistenza.

Le condizioni di detenzione erano perfettamente soddisfacenti, in quanto il ricorrente aveva potuto godere di un posto letto in una stanza di 54 mq, che aveva finestre verso l'esterno, ventilazione e luce naturale, servizi igienici, compreso un bagno con doccia. Inoltre, aveva potuto beneficiare quotidianamente di uno spazio all'aperto, con bar, televisione e tavolo da biliardo.

5. La decisione della Corte Europea

La Corte Europea, con la pronuncia in commento, ha accertato la violazione sistematica degli artt. 3 e 5 §1 della Convenzione, poiché le cure sono state descritte come insufficienti ed era mancato un trattamento terapeutico adeguato.

I Giudici richiamano i principi generali[1] in tema di responsabilità degli Stati riguardo l’assistenza sanitaria ai detenuti affetti da disturbi mentali enunciati in numerosi Rapporti del Comitato europeo – in particolare il Rapporto del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e trattamenti o punizioni inumani o degradanti del 13 novembre 2020 (CPT/Inf (2020) sulla visita in Portogallo dal 3 al 12 dicembre 2019 – e nei Meccanismi di prevenzione nazionali (NPM) del 2019 e del 2020 delle Nazioni Unite.

In tali rapporti si evidenzia che l’inadeguata assistenza medica dei pazienti di strutture penitenziarie è legata alla mancanza di attrezzatture tecniche e personale qualificato. Ad esempio, il rapporto evidenziava che nell'unità psichiatrica dell’ospedale penitenziario di Caxias lavorava un solo psichiatra.

Inoltre, a causa del sovraffollamento e della tipologia delle strutture, le carceri ordinarie non potevano fornire le condizioni necessarie per rispondere adeguatamente ai bisogni psichiatrici e terapeutici di persone con disturbi psichiatrici a cui veniva imposta la detenzione preventiva.

Secondo la Corte, un simile trattamento del paziente psichiatrico è disumano e degradante, e quindi non conforme all’art. 3 della Convenzione.

La Corte rileva, inoltre, che, al fine di determinare se la detenzione del ricorrente nell’unità psichiatrica dell’ospedale penitenziario di Caxias, in quanto “person of unsound mind” potesse dirsi legittima ai sensi dell'art. 5 della Convenzione, occorreva verificare l’adeguatezza dell’istituto in cui è stato detenuto e se fosse stato improntato un piano di trattamento che tenesse conto dei bisogni specifici e delle specifiche condizioni di salute del paziente.

Secondo il rapporto della 2021 del Direção-Geral de Reinserção e Serviços Prisionais (“il DGRSP”), l'unità psichiatrica dell’ospedale penitenziario di Caxias è stato istituita con il Decreto Legislativo n. 469/88 del 17 dicembre 1988.

Sebbene, inizialmente, l’unità fosse stata destinata alla detenzione temporanea di detenuti comuni che necessitavano di assistenza psichiatrica mentre scontavano la loro pena, nella prassi è divenuta luogo di detenzione preventiva di soggetti che, dichiarati non penalmente responsabili a causa del proprio disturbo mentale, necessitavano di cure psichiatriche.

Il fatto che il ricorrente sia stato collocato in una struttura non adeguata non è di per sé sufficiente a ritenere illegittima la sua detenzione. Tuttavia, mantenere pazienti affetti da disturbi mentali nel reparto psichiatrico delle carceri ordinarie in attesa di un loro collocamento in un più adeguato centro di salute mentale, senza fornire cure sufficienti e adeguate, è incompatibile con l’art. 5 § 1 lettera e) della Convenzione.

Infatti, al ricorrente non è stato fornito un livello di assistenza adeguato, in quanto il mero accesso agli operatori sanitari, alle consultazioni e ai farmaci di base non poteva ritenersi soddisfacente. Inoltre, la Corte prende atto che la detenzione aveva contribuito a un peggioramento delle sue condizioni di salute e ad aggravare il suo stato di confusione e paura.

6. Conclusioni

La Corte rileva, dunque, che le violazioni accertate sono il risultato di un problema strutturale che impone agli Stati membri di adottare programmi terapeutici adeguati alle condizioni di salute delle persone con disabilità intellettive e psicosociali detenute presso le unità psichiatriche di ospedali penitenziari, onde evitare trattamenti disumani e degradanti e favorire il reinserimento nella comunità.

Il trattamento terapeutico e quello carcerario devono, dunque, essere proporzionali alle esigenze di salute del paziente, e tener conto  delle specificità del singolo caso.

La Corte sancisce, pertanto, a carico dello Stato, oltre l’onere di garantire un’equa soddisfazione alla parte lesa ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione, anche l’obbligo conformativo ai sensi dell’art. 46, sotto la supervisione del Comitato dei Ministri, allo scopo di attuare le misure individuali e generali necessarie non solo all’eliminazione delle conseguenze della violazione accertata e ma anche ad impedire il rischio di una futura sistematica violazione della Convenzione.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Corte EDU, Caso Rooman c. Belgio, n. 18052/11, §§ 141-48, 31 gennaio 2019.