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Pubbl. Mer, 21 Feb 2024

La responsabilità della holding ex D.lgs. 231/01

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Marco Taffarello
Praticante AvvocatoUniversità degli Studi di Torino



La responsabilità 231 nel Gruppo di Imprese: indicazioni per prevenire la risalita di responsabilità alla holding


ENG

Holding company liability under Legislative Decree 231/01

Responsibility 231 in the Enterprise Group: guidelines for preventing the rising of responsibility to the holding company

Sommario: 1. L'applicazione del D.lgs. 231/01 in relazione al fenomeno dei Gruppi di Società; 2. La teoria del c.d. interesse di gruppo; 3. La teoria dell'amministrazione di fatto; 4. Responsabilità ex art. 40  c.p.; 5. Conclusioni.

1. L'applicazione del D.lgs. 231/01 in relazione al fenomeno dei Gruppi di Società

Nel contesto dell'economia moderna, non è raro trovare gruppi societari, spesso scelti come forma giuridica perchè consentono alle organizzazioni di ripartire i rischi e diversificare l'attività.

Il fenomeno dei Gruppi di Società, tuttavia, non risulta specificamente disciplinato nel nostro ordinamento pur essendo rinvenibile in alcune norme, quali, ad esempio, l'art. 2359 c.c. in tema di "controllo e collegamento", l'art. 2497 c.c. in tema di "di direzione e coordinamento" e l'art. 2497-septies c.c. in tema di "coordinamento tra società".

L’ordinamento giuridico, infatti, considera unitariamente il Gruppo di imprese solo nella prospettiva economica. Nella prospettiva del diritto, esso risulta privo di autonoma capacità giuridica e costituisce un raggruppamento di Enti dotati di singole e distinte soggettività giuridiche. 

Il D.lgs. 231/01 ha introdotto nel nostro ordinamento la responsabilità amministrativa da reato degli Enti per i reati commessi nel loro interesse ovvero a loro vantaggio, da persone che rivestono al suo interno funzioni apicali (di rappresenentanza, di amministrazione o di direzione) ovvero da persone sottoposte ai poteri di direzione e vigilanza di uno dei predetti soggetti.

Il Decreto in commento non affronta, però, il tema della responsabilità da reato dell'Ente appartenente ad un Gruppo sicché, occorre, in primis, affrontare il problema relativo all'applicabilità o meno della disciplina di cui al D.lgs.231/01. Trattasi, cioè, di stabilire se tali Enti collettivi debbano ritenersi ricompresi nell'ambito di applicazione del decreto e debbano, quindi, essere annoverati tra i soggetti destinatari della relativa disciplina. 

L'articolo 1, co. II D.lgs 231/01, nel delineare l'ambito di applicazione del decreto, ricomprende tra i soggetti destinatari dellla normativa in oggetto «gli Enti forniti di personalità giuridica, le Società e le Associazioni anche prive di personalità giuridica», senza fare alcun riferimento alle Società organizzate in forma di Gruppo. L’intero impianto è fondato su una concezione individuale di Ente e, pertanto, il Gruppo, non percepito quale entità unitaria, non può considerarsi diretto centro di imputazione.              

Non è, pertanto, possibile affermare una responsabilità diretta del Gruppo ai sensi del D.lgs. 231/01. Viceversa, gli Enti che compongono il Gruppo, possono rispondere in dipendenza dei reati commessi nello svolgimento dell’attività di impresa[1].

Una volta chiarita la possibilità di imputare la responsabilità da reato non direttamente al Gruppo, bensì alle singole entità che lo compongono, è necessario stabilire in presenza di quali condizioni del reato commesso nell’ambito di una società del Gruppo possano essere chiamate a risponderne le altre società, in particolare la holding. In altre parole, scopo del presente articolo è approfondire e cercare di dare risposte chiare alla questione relativa alla c.d. estensione/risalita della responsabilità di una Società ad altre appartenenti al medesimo Gruppo.
 
2. La teoria del c.d. interesse di Gruppo
 
Un primo orientamento dottrinale aveva accolto la tesi della responsabilità diretta del Gruppo, e per esso della holding.                                                                                     

Tale tesi proponeva di interpretare in senso estensivo l’interesse, criterio oggettivo di imputazione di responsabilità da reato (art. 5 co. I D.lgs. 231/01), per farvi rientrare anche l’interesse, unitario e autonomo rispetto a quelli di ciascuna società del Gruppo, riferito alla holding e al raggruppamento imprenditoriale complessivamente inteso[2].

A tal riguardo, dottrina maggioritaria e giurisprudenza di legittimità hanno chiarito che l’interesse alla commissione del reato di ciascun Ente facente parte del Gruppo dell’Ente deve essere riscontrato in concreto. Non si può, con un automatismo presuntivo, ritenere che l’appartenenza della Società a un Gruppo di per sé implichi che le scelte compiute dalla controllata perseguano un interesse che trascende quello proprio, essendo imputabile all’intero raggruppamento o alla holding. Tanto meno può presumersi che vi sia coincidenza tra l’interesse del Gruppo e l’interesse delle singole Società[3].       

Perché anche la Capogruppo sia ritenuta responsabile del reato, occorre che l’illecito commesso nella controllata abbia perseguito un interesse concreto, attuale, diretto e specifico – non scaturente dalla mera appartenenza al Gruppo - anche della holding e purché alla consumazione del reato abbia concorso una persona fisica che agisca in rappresentanza o per conto di quest’ultima.

Richiedendosi un interesse diretto e specifico in capo alla holding, appare insufficiente il mero vantaggio economico, sul presupposto che vi sia sempre un ritorno di utilità a favore della controllante (cd. vantaggio di riflesso). 

Necessario ai fini della “risalita” di responsabilità è che la holding abbia un interesse riferito agli effetti propri del reato commesso.

3. La teoria dell' amministrazione di fatto

Un secondo orientamento, sulla base dell’art. 5 d.lgs. 231/01, ha tentato di imputare alla holding la responsabilità per il reato della società controllata, qualificando automaticamente i vertici della prima come Amministratori di fatto della seconda. 

Nella fisiologia dei gruppi, però, tale soluzione non appare configurabile. Da un lato, l’amministrazione e la direzione, di cui all’art. 5 D.lgs. 231/01, non possono identificarsi nella direzione e coordinamento che esercita la holding nei confronti della controllata. Dall'altro, le singole società del gruppo, in quanto giuridicamente autonome, non possono qualificarsi come “unità organizzative della controllante, dotate di autonomia finanziaria e funzionale”.

Inoltre, la disciplina dell’Amministratore di fatto si oppone alla qualificazione della holding come tale rispetto alla controllata: l’art. 2639 c.c. estende, infatti, tale qualifica a condizione che vi sia esercizio continuativo e significativo dei poteri tipici della figura di amministratore. 

I soggetti apicali della holding andrebbero, pertanto, ad assumere la veste di Amministratori di fatto solo qualora si ingerissero in modo sistematico e continuativo nella gestione della controllata (anche solo riguardo a singoli settori o fasi dell’attività), limitandone o rendendone apparente la autonomia e, pertanto, riducendo gli Amministratori di questa a meri esecutori materiali delle direttive impartite.                    

In questo caso, peraltro, si verserebbe nella ipotesi del cd. Gruppo apparente, ben distante dalla fisiologica realtà dei gruppi, ove la holding indica la strategia unitaria, ma le scelte operative spettano ai vertici della controllata[4].

4. Responsabilità ex. art. 40 c.p.

Un terzo orientamento, ha tentato di riconosce un'automatica imputazione alla holding di una responsabilità diretta per i reati commessi dalle imprese controllate, attribuendole una posizione di garanzia ai sensi dell’art. 40 co. II c.p., in virtù di un generico obbligo di vigilanza sull’operato delle stesse[5].

Tuttavia, secondo la dottrina maggioritaria, il ruolo di direzione e coordinamento ex art. 2497 c.c. non determina di per sé l’insorgenza di una posizione di garanzia ex art. 40 co. II a carico della capogruppo correlata ad eventi illeciti verificatisi nelle controllate.                                     

In primis, non è infatti rinvenibile un organico obbligo di vigilanza in capo alla capogruppo proiettato nel perimetro delle controllate dal quale possa trarsi l’obbligo di impedire l’evento. In secondo luogo, nelle società del Gruppo, giuridicamente autonome, le funzioni di gestione e controllo sono svolte dai relativi amministratori (art. 2380 bis c.c.), i quali potranno legittimamente discostarsi dalle indicazioni provenienti dalla holding, senza incorrere in responsabilità verso quest’ultima[6].

5. Conclusioni

Esaminata la panoramica dottrinale e giurisprudenziale, è ora possibile affermare che la holding potrà essere ritenuta responsabile per il reato commesso nell’attività della controllata esclusivamente in presenza delle seguenti condizioni:

  1. sia stato commesso un reato presupposto nell’interesse e vantaggio immediato, diritto e specifico, oltre che della controllata, anche della controllante;
  2. persone fisiche collegate in via funzionale alla controllante abbiano partecipato alla commissione del reato presupposto recando un contributo causalmente rilevante in termini di concorso. In tal senso possono rilevare, ad esempio:
    1. direttive penalmente illegittime: la condotta delittuosa è stata tenuta in esecuzione di direttive provenienti da soggetti apicali della capogruppo determinando altri alla violazione della legge penale;
    2. coincidenza tra i membri dell’organo di gestione della holding e quelli della controllata (cd. interlocking directorates) ovvero più ampiamente tra gli apicali.

Note e riferimenti bibliografici

[1] G. DI NOTA, La responsabilità amministrativa da reato degli enti nei gruppi di società, Giurisprudenza Penale, 2017.

[2] F. SGUBBI, Gruppo societario e responsabilità delle persone giuridiche ai sensi del D.lgs. 231/01, Rivista 231, 2006.

[3] In tal senso, Cass. Pen., Sez. V, 20.06.2011, n. 24583; Cass. Pen., Sez. II, n. 52316/2016.

[4] Cass. Pen., Sez. V, 06.03.2018, n. 31997.

[5]Art. 40, co. II c.p. «Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo».

[6] A. DE VIVO, Il professionista e il D.lgs. 231/01. Il modello esimente tra strumenti operativi e corporate governance, Ipsoa, 2012.