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Pubbl. Mar, 16 Gen 2024
Sottoposto a PEER REVIEW

La responsabilità para-penale degli enti in base al d.lgs. 231/2001: focus sui reati avverso il patrimonio culturale

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autori Lia Montereale , Donato Montereale



Il presente articolo, partendo da un´analisi storica della legislazione nazionale in materia di tutela del patrimonio culturale, approfondisce le caratteristiche e le finalità del decreto legislativo n. 231 del 2001 sulla responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, soprattutto alla luce dei reati contro il patrimonio culturale, inseriti nel codice penale dalla legge n. 22 del 2022, in attuazione della convenzione internazionale di Nicosia, volta a prevenire e combattere il traffico illecito e la distruzione di beni culturali


ENG

The ”almost-criminal” liability of entities based on legislative decree 231/2001: focus on crimes against cultural heritage

This article, starting from a historical analysis of national legislation on the protection of cultural heritage, studies in deep the characteristics and purposes of legislative decree no. 231 of 2001 on the liability of entities for administrative offenses resulting from crime, especially in light of crimes against cultural heritage, included in the penal code by law no. 22 of 2022, implementing the Nicosia international convention, aimed at preventing and combating illicit trafficking and destruction of cultural property

Sommario: 1. Premessa: uno sguardo sull’evoluzione della normativa nazionale in materia di tutela del patrimonio culturale; 2. Inquadramento storico e giuridico del decreto legislativo n. 231 del 2001 recante la “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”; 3. La convenzione di Nicosia e la legge 9 marzo 2022 n. 22, recante “Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale”; 4. I delitti contro il patrimonio culturale e la responsabilità degli enti: in particolare gli articoli 25-septiesdecies e 25-duodevicies del decreto legislativo n. 231 del 2001; 5. Conclusioni.

1. Premessa: uno sguardo sull’evoluzione della normativa nazionale in materia di tutela del patrimonio culturale 

La repressione delle attività illecite nel settore dei beni culturali e la protezione del patrimonio culturale dalle aggressioni criminali occupa un ruolo centrale nel panorama legislativo nazionale, europeo ed internazionale, soprattutto con riferimento alla circolazione dei beni culturali.

In Italia, la protezione pubblica del patrimonio culturale risale agli Stati pre-unitari, e tra questi, lo Stato Pontificio vantava la più prolifica e intensa attività di produzione normativa a tutela del patrimonio culturale, al fine di evitare la distruzione e la dispersione dei beni storico-artistici e archeologici. Le vicende di spoliazione e dispersione del patrimonio artistico della penisola italiana, avvenute nei secoli XVI - XVIII, in gran parte legate alla sfrenata e incontrollata passione collezionistica dei sovrani stranieri, aveva determinato, soprattutto ad opera dello Stato Pontificio, l’attuazione di una intensa politica di tutela dei propri tesori storico-artistici. Già a partire dal 1400, mediante l’emanazione di “bolle” ed editti, il Papa garantiva la protezione e la conservazione dei beni afferenti lo Stato Pontificio, un territorio ricchissimo di capolavori, ma garantiva anche un controllo sul commercio di cose d’antichità e d’arte, con particolare riferimento all’esportazione[1].

Nel seicento, con l’editto del cardinale Ippolito Aldobrandini del 1624, si raggiunse una vera e propria svolta, un traguardo fondamentale per la tutela e la conservazione del patrimonio culturale.Tale editto proibiva “l’estrazione di statue di marmo e di metallo, figure, antichità e simili, ribadendo il divieto d’esportazione di oggetti di antichità ed arte senza licenza del Papa, già presente nei precedenti testi, e disponendo pene pecuniarie per i trasgressori. Comparvero anche le prime disposizioni in materia archeologica sulla denuncia, licenza di scavo, disciplina dei ritrovamenti, che saranno poi perfezionate nelle leggi unitarie.

L’editto Sforza del 1646 prevedeva l’obbligo di ottenere una licenza per l’esportazione dei beni culturali dal territorio dello Stato Pontificio e ribadiva, allo stesso tempo, il divieto alla rimozione di statue dai territori romani, già prevista dal cardinale Aldobrandini. L’editto del cardinale Altieri del 1686 mantenne il rigore del precedente, prevedendo l’ispezione di casse, imbarcazioni e di altri mezzi che potessero nascondere opere rubate, dato il dilagare degli scavi clandestini, delle esportazioni illegali di beni e della falsificazione di dipinti.

Anche nel settecento continuò l’attività di produzione normativa per la tutela del patrimonio culturale. Il cardinale Spinola, al riguardo, emanò tre editti: nel 1701 il “De proibizione sopra l'estratione di statue di marmo o metallo, figure, antichità e simili” e nel 1704 l’editto sopra le pitture, stucchi, mosaici ed altre antichità, che si trovano nelle cave, inscrizioni antiche, scritture e libri manoscritti. Quest'ultimo costituì un editto fondamentale, gettando le basi per la normativa di tutela del patrimonio librario e archivistico. Nel terzo editto sulla Proibizione sopra l’estrazione di statue di marmo, o metallo, figure, antichità e simili” del 3 aprile 1717, venivano inasprite le pene per coloro che, malgrado le norme vigenti, perpetravano “giornalmente frodi, et inganni tra compratori e venditori”.

L’editto del cardinale Alessandro Albani del 1726 sopra li scarpellini, segatori di marmi, cavatori, ed altriribadiva la necessità di possedere la licenza per lo scavo: “Proibiamo a qualsiasi Persona, ancorché avesse la nostra licenza per cavare, di farlo vicino agl’Edifici, e Muraglie antiche, acciò non ne restino danneggiate […] proibiamo il guastare qualunque Edificio, o Fabbrica, o altra opera antica sopra terra, ancorché lesa dal tempo, o rovinosa, senza nostra espressa licenza, e senza la precedente visita, ed ispezione del suddetto nostro Commissario”.

Nell’editto del 1733 del cardinale Annibale Albani sulla Proibizione dell’estrazione delle statue di marmo, o metallo, pitture, antichità e simili, il divieto di esportazione dei beni culturali si estese anche alle opere pittoriche contemporanee (Pitture, mosaici, e Quadri, e altre simili Opere tanto antiche quanto moderne”). L’editto, in generale, era motivato dalla necessità di conservare sculture e pitture per fini didattici e di pubblica fruizione, anche in un’ottica di turismo straniero: “[…] più d’uno ardisce trasgredire gl’Ordini suddetti in grave pregiudizio del pubblico decoro di quest’Alma Città, a cui sommamente importa il conservarsi in essa le Opere illustri di Scoltura, e Pittura, e specialmente quelle, che si rendono più stimabili, e rare per la loro antichità, la conservazione dei quali non solo conferisce molto all’erudizione sagra, che profana, ma ancora porge incitamento ai forastieri di portarsi alla medesima Città per vederle ed ammirarle […]”.

Nello Stato Pontificio, la legislazione settecentesca in materia di tutela raggiunse il suo apice sotto il pontificato di Benedetto XIV (1740-1758), con l’editto del 5 gennaio 1750 del cardinale Silvio Valenti Gonzaga, Segretario di Stato e camerlengo dal 1747: “Proibizione della estrazione delle statue di marmo, o metallo, pitture, antichità e simili”. Successivamente, l’editto del cardinale Bartolomeo Pacca del 7 aprile 1820, sotto il pontificato di Papa Pio VII, costituì, a sua volta, il primo ed organico provvedimento legislativo di protezione dei beni artistici e storici.

Risulta quindi evidente come, nello Stato Pontificio, la legislazione riguardava ogni aspetto della tutela, comprendendo la conservazione, la circolazione, il commercio, la disciplina dei ritrovamenti e delle scoperte. Le norme pontificie divennero un modello anche per gli altri Stati preunitari. Nella prima metà dell’ottocento la quasi totalità degli Stati in cui si divideva la penisola aveva infatti emanato norme per tutelare le cose di antichità e d’arte e i resti archeologici.

Dopo l’unificazione d’Italia, il nuovo Regno non apparve però interessato alla protezione dei beni culturali e alla regolamentazione degli scavi archeologici attraverso un intervento pubblico che limitasse le iniziative individuali e il diritto di proprietà privata. Al riguardo, “l’ideologia del liberalismo ottocentesco che dominava nella classe di governo dello Stato unitario considerava con sfavore ogni ingerenza pubblica diretta che in qualche modo inficiasse il principio libero-scambista e la intangibilità della proprietà, per la quale valeva il categorico riconoscimento dell’art. 29 dello Statuto Albertino: ‘Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili’[2].

In generale, si può affermare che, stante l’assenza di nuove e significative iniziative legislative del Regno di Italia, di fatto rimasero in vigore le norme che vigevano nei preesistenti ordinamenti dei singoli Stati preunitari: una efficacia avallata dalla legge 28 giugno 1871 n. 286 la quale stabiliva che finché non sia provveduto con legge generale, continueranno ad avere vigore le leggi ed i regolamenti speciali attinenti alla conservazione dei monumenti e degli oggetti d'arte (art. 5).

In tema di ripresa dell’attività legislativa in materia di tutela del patrimonio culturale, il 12 giugno 1902 fu varata la legge n. 185, che prese il nome dal Ministro Nasi. Essa recava “disposizioni circa la tutela e la conservazione dei monumenti ed oggetti aventi pregio d'arte o di antichità”. La legge prevedeva disposizioni a tutela di “monumenti, agl'immobili ed agli oggetti mobili che abbiano pregio di antichità o d'arte” escludendo “gli edifici e gli oggetti d'arte di autori viventi, o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquant'anni[3]Larticolo 23 affermava: “Il Ministero della Pubblica Istruzione, con le norme che saranno indicate nel Regolamento, procederà alla formazione dei cataloghi dei monumenti e degli oggetti d'arte e di antichità. L'inscrizione d'ufficio nel catalogo di oggetti d'arte o di antichità di proprietà privata, si limiterà agli oggetti d'arte o d’antichità di sommo pregio, la cui esportazione dal Regno costituisca un danno grave per il patrimonio artistico e per la storia[4]. La legge Nasi risultava quindi carente nella parte concernente il controllo e la disciplina dell’esportazione, “che risultava vietata solo per le opere dichiarate di sommo pregio e che fossero iscritte nel catalogo, la cui istituzione era prevista dalla legge stessa[5].

Poco dopo, con la legge 27 giugno 1903, n. 242, fu adottata una regolamentazione più restrittiva in tema di esportazione. Dopodiché, “dovranno passare altri sette anni prima che intervenga qualche altra normativa nel settore della tutela, posto che quella degli anni 1902 e 1903 sostanzialmente non aveva niente di organico. Si trattava di due leggi estremamente sintetiche che non esploravano tutto il settore dei beni culturali. Non disciplinavano compiutamente tutte le modalità per l'esercizio da parte dello Stato della delicata funzione di protezione e tutela del patrimonio culturale. Si deve arrivare all'anno 1909, con l'entrata in vigore della legge Rosadi, n. 364/1909 del 20 giugno, che costituisce il primo testo normativo organico per la disciplina della materia dei beni storico artistici. […] Il primo decennio del Novecento rappresenta quindi la fase storica nella quale incominciano a muoversi alcuni importanti strumenti legislativi che costituiscono le premesse di quella che poi sarà la legislazione successiva, ben più organica ed esaustiva, rappresentata dalle due fondamentali leggi del 1939, la legge 1 giugno 1939 n. 1089 (legge Bottai, dal nome del Ministro della Pubblica Istruzione dell'epoca) sulla tutela delle cose di interesse artistico e storico e la legge 29 giugno 1939 n. 1497 sulla protezione delle bellezze naturali. […]. Dopo il mese di giugno del 1939 si dovette attendere l'anno 2000 per l'emanazione di un nuovo, organico strumento legislativo in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio. Il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n.490, Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali, entrato in vigore il 1 gennaio 2000. Successivamente, con decreto legislativo 22 gennaio 2004, numero 42, venne emanato il codice dei beni culturali e del paesaggio (Codice Urbani, dal nome del ministro per i beni culturali e ambientali dell'epoca, che ne curò la fase elaborativa), che ha provveduto a disciplinare nuovamente in forma organica l'intera materia della tutela dei beni culturali e del bene paesaggistico e che è lo strumento tuttora in vigore[6]”. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio costituisce un punto di arrivo fondamentale nel lavoro di sistematizzazione della legislazione vigente in materia di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, il cui scopo fu anche quello di raccogliere e allo stesso tempo rinnovare le leggi prodotte in diversi momenti storici, al fine di agevolarne l’interpretazione e la relativa applicazione.

La repressione delle attività illecite nel settore dei beni culturali era contenuta in misura prevalente all’interno del sopra citato codice. Oggi, a seguito dell’entrata in vigore della legge 9 marzo 2022 n. 22, i reati contro il patrimonio culturale acquisiscono autonoma rilevanza, mediante l’introduzione, nel codice penale, del titolo VIII-bis “Dei delitti contro il patrimonio culturale”, parte dei quali di nuova introduzione ed altri corrispondenti alle figure delittuose collocate nel d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, che pertanto sono state abrogate. Nel prevedere specifici reati contro il patrimonio culturale all’interno del codice penale, il legislatore, in alcuni casi, ha inasprito le pene edittali rispetto a quelle corrispondenti per le ordinarie fattispecie codicistiche, ha introdotto circostanze aggravanti e attenuanti speciali e ha previsto la punibilità dei fatti commessi all’estero. Ha dato specifiche indicazioni in tema di confisca (anche per equivalente) e ha avuto un impatto anche sulla responsabilità degli enti. 

L’analisi e lo studio della responsabilità degli enti costituiscono pertanto l’oggetto del presente articolo, il quale intende approfondire il decreto legislativo n. 231 del 2001 che disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, anche e soprattutto alla luce dei reati-presupposto contro il patrimonio culturale, di ultima introduzione, inseriti nel predetto decreto legislativo a seguito della legge n. 22 del 2022.

2. Inquadramento storico e giuridico del decreto legislativo n. 231 del 2001 recante la “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”

Il decreto legislativo n. 231 del 2001, recante la “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, malgrado la perentoria dichiarazione contenuta nell’articolo 27 della Costituzione, secondo cui la responsabilità penale è personale, estende la “colpevolezza” alle persone giuridiche, alle società e alle associazioni anche prive di personalità giuridica. Ciò significa che l’ente può essere chiamato a rispondere di taluni reati commessi a suo vantaggio e/o interesse dai dirigenti o dalle persone sottoposte alla sua vigilanza[7].

La responsabilità dell'ente sussiste anche quando l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile oppure quando il reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia (articolo 8 del decreto legislativo 231/2001). L' art.9 del predetto d.lgs. elenca in maniera puntuale le sanzioni applicabili all'ente[8]. Queste ultime possono essere di tipo pecuniario[9] e interdittivo[10], ma sono incluse anche la pubblicazione della sentenza di condanna[11] e la confisca[12].

Esiste però una causa esimente che l’ente può invocare al fine di escludere la propria responsabilità, attraverso l’adozione ed efficace attuazione di modelli di organizzazione e gestione (i MOG), idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

Siffatta impostazione, sulla scia dei “Compliance programs” statunitensi[13], è stata introdotta anche in ambito europeo attraverso la Convenzione OCSE[14] del 17 dicembre 1997, in vigore dal 1999, a cui l’Italia ha aderito con la legge n. 300 del 2000[15].

Da qui, i primi passi del d.lgs. n. 231 del 2001, più noto come “Modello 231”, che introduce per la prima volta nell’ordinamento giuridico italiano la responsabilità amministrativa di stampo penale delle persone giuridiche e non, per particolari tipologie di reati attribuibili agli amministratori e ai dipendenti nel caso dell’ottenimento di eventuali vantaggi. La normativa si applica agli enti, anche sprovvisti di personalità giuridica. Sono esclusi invece lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici e quelli che svolgono funzioni di rilievo costituzionale. Con il predetto decreto viene meno il tradizionale principio “societas delinquere non potest”, che si trasforma in “societas puniri potest”. Tale responsabilità, da un punto di vista nominale, può essere considerata amministrativa, anche se i continui richiami del legislatore alla disciplina penalistica mettono in evidenza la sua natura intrinsecamente penale[16],attribuendo al giudice penale una specifica competenza funzionale a sanzionare non solo l’autore materiale dell’illecito, ma anche l’ente nell’interesse o a vantaggio del quale il reato viene perpetrato.

Come si evince dalla relazione di accompagnamento al decreto legislativo 231/2001, la conseguenza è che il reato può essere addebitato direttamente alla società senza necessità di individuare l’autore materiale dell’illecito. La relazione di accompagnamento fa riferimento ad un “tertium genus” di responsabilità, il cui accertamento è demandato al giudice penale, così come stabilito dall’articolo 35, del predetto d.lgs.: “[…] all’ente si applicano le disposizioni processuali relative all’imputato, in quanto compatibili[17]”.Nello specifico, la predetta relazione evidenzia come “il nuovo sistema di responsabilità sanzionatoria, pur essendo formalmente ascritto all'ambito dell'illecito amministrativo, reclama alcuni aggiustamenti rispetto all'insieme dei principi enucleabile dalla c.d parte generale della legge 689/1981. Ciò, in considerazione non soltanto della peculiarità dei soggetti suoi destinatari (enti e non persone fisiche), ma soprattutto della distinta impronta penalistica che lo segna e che deriva dall'essere comunque costruito in dipendenza della verificazione di un reato. Si aggiunga la gravità delle conseguenze che la legge delega fa derivare dalla commissione dell'illecito, conseguenze che possono spingersi fino alla chiusura definitiva dello stabilimento o all'interdizione definitiva dall'attività, sanzioni capitali per l'ente; si comprenderà, allora, come in questo settore appaia più che mai viva l'esigenza, già diffusamente avvertita (soprattutto dagli organi di giustizia europei), di omogeneizzare i sistemi di responsabilità amministrativa e di responsabilità penale all'insegna delle massime garanzie previste per quest'ultimo, spingendo verso la nascita di un sistema punitivo che – nel caso degli enti - rappresenta senza dubbio un tertium genus rispetto ad entrambi […][18]”.

In virtù dell’articolo 2 del d.lgs. 231 del 2001, un ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto (principio di legalità e di irretroattività, di cui all’art. 25, c. 2 della Costituzione, secondo cui “nullum crimen sine lege”). Il legislatore ha pertanto optato per una previsione tassativa dei reati-presupposto, da cui discende l’imputazione di responsabilità, i cui profili sono soggetti alle seguenti condizioni:

- il  fatto deve rientrare nel reato presupposto normativamente previsto, inteso come antecedente per l’addebito di responsabilità (ad esempio, l’ente deve aver perpetrato la commissione di reati quali l’indebita percezione di erogazioni e truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico[19], delitti informatici e trattamento illecito di dati[20], delitti di criminalità organizzata[21], il reato di peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e abuso d'ufficio [22], reati societari, tributari, ambientali etc.).

- Ai sensi dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. 231, ai fini dell’addebito all’ente, la norma richiede che il reato sia stato commesso nell’“interesse” o a “vantaggio” dell’ente, a) da persone fisiche che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone fisiche sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a). I concetti di interesse e vantaggio potrebbero essere analizzati in maniera disgiunta. Il reato potrebbe, ad esempio, essere compiuto a favore dell’ente, senza che questo ne abbia tratto anche un vantaggio, essendo sufficiente aver agito nel suo interesse. Allo stesso modo, potrebbe essere sufficiente, ai fini della colpevolezza, che l’ente abbia tratto vantaggio dal reato, non occorrendo la prova che il reato sia stato commesso anche nel suo interesse. Tale interpretazione disgiunta però “aumenterebbe” le possibilità per l’ente di incorrere nell’addebito di responsabilità per reati commessi dai suoi dirigenti apicali o sottoposti. A motivo di ciò, l’art. 5, comma 2, del d.lgs. 231/2001 ha stabilito che l’ente non risponde qualora il reato sia stato commesso per realizzare il solo tornaconto della persona fisica o di terzi e non per perseguire l’interesse dell’ente stesso[23]

- Mancanza di un organismo di vigilanza e di un modello organizzativo e gestionale (il c.d. MOG) idonei a prevenire il compimento di reati della specie di quello verificatosi, la cui presenza, a contrario, opererebbe quale esimente di responsabilità. L'adozione di tali misure, benché non obbligatoria, sta diventando ormai praticamente necessaria ai fini dell’applicazione della esimente prevista nell'ambito del d.lgs. 231 del 2001, che risponde ad esigenze di tutela legate all’attività aziendale. La Consob, a titolo esemplificativo, ha approvato, con la delibera n. 15786 del 27 febbraio 2007, le modifiche al regolamento dei mercati di Borsa italiana, le cui istruzioni concernenti i requisiti di governo societario sono indispensabili per ottenere la qualifica di STAR[24], vale a dire i requisiti di eccellenza tra cui trasparenza, liquidità e standard internazionali di governance.

Nel caso di reato commesso da soggetto apicale (amministratore infedele[25]), vige la presunzione di responsabilità in capo all’ente, per il rapporto di immedesimazione organica (che consente di ricondurre direttamente all’ente i reati commessi dai vertici aziendali). In virtù dell’art. 6, del d.lgs. 231/01, l'ente può avvalersi della prova liberatoria dimostrando l’adozione di un valido modello di organizzazione e gestione nonché la fraudolenta elusione del medesimo da parte del soggetto apicale[26].

Ciò significa, in base al citato articolo 6, che se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell'articolo 5, comma 1, lettera a), che ricoprono cioè all’interno dell’ente una posizione apicale, l'ente non risponde se prova di avere adottato un modello organizzativo e gestionale atto a prevenire reati della stessa fattispecie di quello commesso. L’ente, così, non risponde se prova che: a) l'organo dirigente si è dotato, prima della commissione del fatto, di modelli di organizzazione e di gestione idonei ad evitare reati della specie di quello verificatosi; b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b). 

Il comma 2, del medesimo articolo 6, del d.lgs. 231, prevede che un modello organizzativo e gestionale, per essere considerato efficace e fungere da esimente, debba essere in grado di: a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati (attività di gestione del rischio o risk management); b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire; c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli; e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. 

Laddove il fatto sia commesso da un soggetto che riveste un ruolo di sottoposto alla direzione o vigilanza di un soggetto che occupa una posizione apicale, in quest’ultimo caso non vige la presunzione di responsabilità in capo all’ente, il quale sarà ritenuto responsabile nel caso in cui la commissione del reato sia stata resa possibile dal mancato adempimento degli obblighi di direzione e vigilanza[27], ex articolo 7, comma 1,  del d.lgs. 231 del 2001. Sul concetto della colpa in vigilando, la Cassazione penale, Sez. VI, n. 54640, del 6 dicembre 2018, ha stabilito che “in assenza di un modello organizzativo idoneo, la colpa di organizzazione risulta comunque sottesa ad un deficit di direzione o vigilanza -incentrata su un sistema di regole cautelari -, che abbia in concreto propiziato il reato. Posto che i reati cui è connessa la responsabilità sono specificamente previsti e che ogni ente deve essere in grado di prevenirne la commissione, anche in rapporto alle rispettive sfere di rischio, occorre che l'assetto organizzativo risulti comunque in grado di assicurare un'azione preventiva, con la conseguenza che solo il concreto ed effettivo esercizio di un mirato potere di direzione e controllo può valere a scongiurare la responsabilità, in questo senso dovendosi intendere il riferimento contenuto nell'art. 7 all'inosservanza dei doveri di direzione e vigilanza, connaturati all'esigenza preventiva di cui si è detto. […] Vuol dirsi cioè che la mancata previsione di un assetto, connotato dall'attribuzione di mirati poteri e doveri e in grado di esercitare un'azione preventiva, non può tradursi in una condizione di privilegio sotto il profilo probatorio, ma implica che gli obblighi di direzione e vigilanza siano rimasti inosservati, essendo da ciò derivata la commissione del reato da parte del soggetto non apicale[28]”.

In base al predetto articolo 7, commi 2 e ss., in ogni caso, è esclusa l'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza se l'ente, prima della commissione del reato, abbia adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi. Il modello prevede, in relazione alla natura e alla dimensione dell'organizzazione nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell'attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio. L'efficace attuazione del modello richiede: a) una verifica periodica e l'eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o nell'attività; b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. 

Risulta quindi evidente come, la omessa adozione, a mo’ di “scudo protettivo”, delle misure preventive sopra descritte, comporta per la società una responsabilità “para penale” per gli illeciti commessi dai propri amministratori e sottoposti (i soggetti di cui all’articolo 5 del d.lgs. 231/2001).

3. La convenzione di Nicosia e la legge 9 marzo 2022 n. 22, recante “Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale”

Il 19 maggio 2017 veniva adottata a Nicosia la convenzione finalizzata a prevenire e contrastare il traffico illecito di beni culturali e la distruzione di monumenti e siti archeologici. La convenzione, ratificata dall’Italia con legge 21 gennaio 2022 n. 6 recante “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulle infrazioni relative ai beni culturali”, è entrata in vigore a livello internazionale il 1 aprile 2022. È “figlia” dell'omonima convenzione di Delfi del 1985 - mai attuata perché non sottoscritta da un numero sufficiente di Stati - e dell'”hype” creato dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (tra le quali ricordiamo la n. 2199 del 2015 e la n. 2347 del 2017) che hanno condannato il traffico illecito di opere d'arte specialmente quando collegato al finanziamento del terrorismo. La convenzione obbliga chi la ratifica a dotarsi di una legislazione in grado di proteggere in modo efficace il proprio patrimonio culturale e punire il compimento di reati.

Nella gazzetta ufficiale n. 68 del 22 marzo 2022, è stata quindi pubblicata la legge 9 marzo 2022 n. 22, recante Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale”, in vigore dal 23 marzo 2022 in forza della clausola di immediata operatività contenuta nell’articolo 7 della predetta legge. La normativa ha dato autonoma rilevanza penale ai reati contro il patrimonio culturale, introducendo nel codice penale il titolo VIII-bis “Dei delitti contro il patrimonio culturale”, parte dei quali di nuova previsione ed altri corrispondenti alle figure delittuose prima collocate nel d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio” che pertanto sono state abrogate.

Nel prevedere specifici reati contro il patrimonio culturale nell’ambito del codice penale, il legislatore, in alcuni casi, ha inasprito le pene edittali rispetto a quelle corrispondenti per le ordinarie fattispecie codicistiche, in altri casi ha introdotto circostanze aggravanti e attenuanti speciali e ha previsto la punibilità dei fatti commessi all’estero. Ha dato specifiche indicazioni in tema di confisca (anche per equivalente) e ha determinato l’ampliamento del catalogo dei reati presupposto ai fini della responsabilità da reato degli enti, inserendo nel d.lgs. 231/01 gli artt. 25-septiesdecies (“Delitti contro il patrimonio culturale”) e 25-duodevicies (“Riciclaggio di beni culturali e devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici”).

La legge n. 22 del 2022, in tal modo, ha dato attuazione sia alla convenzione del Consiglio d’Europa sulle infrazioni relative ai beni culturali (“Convention on Offences relating to Cultural Property”, conosciuta, come detto, anche come “Convenzione di Nicosia”), sia fornito una sistemazione organica, coerente e ordinata alla materia penale. La legge 9 marzo 2022 n. 22 è nata proprio dall’esigenza di inserire la parte penalistica all’interno della sua “sede naturale” e cioè il codice penale. Non era un errore prevedere nel codice dei beni culturali anche la parte penalistica, perché in realtà era di aiuto avere l’intera normativa, anche penale, nello stesso codice di settore. Il legislatore del 2022 ha però fatto una scelta diversa utilizzando la “riserva di codice in materia penale”, secondo cui “nuove disposizioni che prevedono reati possono essere introdotte nell'ordinamento solo se modificano il codice penale ovvero sono inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia” (articolo 3-bis del codice penale).

Il titolo VIII-bis intitolato “Dei delitti contro il patrimonio culturale” prevede le seguenti figure delittuose: art. 518-bis (furto di beni culturali); art. 518-ter (appropriazione indebita di beni culturali); art. 518-quater (ricettazione di beni culturali); art. 518-quinquies (impiego di beni culturali provenienti da delitto); art. 518-sexies (riciclaggio di beni culturali); art. 518-septies (autoriciclaggio di beni culturali); art. 518-octies (falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali); art. 518-novies (violazioni in materia di alienazione di beni culturali); art. 518-decies (importazione illecita di beni culturali); art. 518-undecies (uscita o esportazione illecite di beni culturali); art. 518-duodecies (distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici); art. 518-terdecies (devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici); art. 518-quaterdecies (contraffazione di opere d’arte); art. 518-quinquiesdecies (casi di non punibilità); art. 518-sexiesdecies (circostanze aggravanti); art. 518-septiesdecies (circostanze attenuanti); art. 518-duodevicies (confisca); art. 518-undevicies (fatto commesso all’estero).

Come sopra detto, a seguito della novella legislativa in esame è stato introdotto all’interno del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 l’articolo 25-septiesdecies Delitti contro il patrimonio culturale”. Quest’ultimo prevede, quali reati-presupposto: il furto di beni culturali (art. 518-bis), l’appropriazione indebita di beni culturali (art. 518-ter), la ricettazione di beni culturali (art. 518-quater), la falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali (art. 518-octies), le violazioni in materia di alienazione di beni culturali (art. 518-novies), l’importazione illecita di beni culturali (art. 518-decies), l’uscita o esportazione illecite di beni culturali (art. 518-undecies), la distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici (art. 518-duodecies), la contraffazione di opere d’arte (art. 518-quaterdecies).  È stato inoltre introdotto l’articolo 25-duodevicies “Riciclaggio di beni culturali e devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici”, il quale annovera, quali reati - presupposto: il riciclaggio di beni culturali (518-sexies) e la devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici (518-terdecies).

4. I delitti contro il patrimonio culturale e la responsabilità degli enti: in particolare gli articoli 25-septiesdecies e 25-duodevicies del decreto legislativo n. 231 del 2001

Con la novella legislativa di cui alla legge n. 22 del 2022 è stata ampliata la portata del d.lgs. n. 231 del 2001, a proposito della responsabilità amministrativa di stampo penale degli enti, la quale viene pertanto estesa anche a seguito del compimento di delitti contro il patrimonio culturale.

L’articolo 25-septiesdecies indica l’entità delle sanzioni pecuniarie che colpiscono le quote societarie (da un minimo di cento fino ad un massimo di novecento quote) degli enti qualora, anche nel loro interesse o a loro vantaggio, vengano commessi i delitti sopra elencati contro i beni culturali[29]. Nei casi più gravi è anche prevista l'applicazione di sanzioni interdittive, per una durata non superiore a due anni, vale a dire l'interdizione dall'esercizio dell'attività, sospensione o revoca delle autorizzazioni, di licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito, divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi e sussidi e revoca di quelli concessi, divieto di pubblicizzare beni o servizi. 

L’articolo 25-duodevicies considera quale reato presupposto per l’addebito della responsabilità all’ente, il riciclaggio di beni culturali e devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici, con una sanzione pecuniaria che oscilla da un minimo di cinquecento ad un massimo di mille quote. Nel caso in cui l'ente o una sua unità organizzativa venga stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei delitti indicati al primo comma del citato articolo, vi è l’aggravante della sanzione dell'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività ai sensi dell'articolo 16, comma 3, del d.lgs. 231/2001.

Il d.lgs. 231/2001 riprende l’articolo 13 della sopracitata convezione di Nicosia [30], secondo il quale ciascuna parte contraente si adopera affinché gli enti possano essere ritenuti responsabili dei reati di cui alla convenzione, se commessi a loro vantaggio da qualsiasi persona fisica, che agisca individualmente o come parte di un organo dell'ente, che occupa una posizione dirigenziale all'interno dell'ente stesso […]. Ciascuna parte contraente si adopera affinché un ente possa essere ritenuto responsabile qualora la mancanza di supervisione o controllo da parte degli organi dell’ente a ciò deputati abbia reso possibile la commissione di un reato previsto dalla convenzione stessa a vantaggio dell'ente da parte di una persona fisica che agisce sotto la sua autorità. La responsabilità di un ente può essere penale, civile o amministrativa e non pregiudica la responsabilità penale della persona fisica che ha commesso il reato.

Per dimostrare l’assenza di responsabilità, come stabilito negli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 231 del 2001, gli enti devono dimostrare di aver attuato i modelli gestionali e di organizzazione in esso descritti. Con specifico riferimento al settore dell’arte e in generale della circolazione internazionale dei beni culturali, le case d’aste, le gallerie d’arte, le fondazioni, gli archivi d’artista e in generale gli operatori costituiti in enti con o senza personalità giuridica dovranno adeguarsi alle “nuove” regole legate alla responsabilità amministrativa dell’ente, imposte dal legislatore soprattutto a seguito dell’introduzione del richiamato articolo 25-septiesdecies. A titolo esemplificativo (e non esaustivo), si fa riferimento alla responsabilità dell’ente per il reato in materia di importazione o esportazione illecita di beni culturali, oppure alle violazioni compiute in materia di alienazione di beni culturali. Per godere dell’esimente, è necessario che gli enti che operano nel settore dell’arte prevedano adeguati e idonei modelli organizzativi e gestionali finalizzati ad impedire la commissione, al loro interno e nel loro interesse o vantaggio, dei “nuovi” reati contro il patrimonio culturale.

5. Conclusioni

A conclusione di questa analisi, occorre ricordare come, su un piano più generale, al fine di intensificare la lotta alla criminalità organizzata, è intervenuta la direttiva UE 1673/2018 concernente la lotta al riciclaggio, con lo scopo di uniformare le regole vigenti, al riguardo, nei vari Stati membri. La predetta direttiva è stata recepita internamente dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 195, recante “Attuazione della direttiva (UE) 2018/1673 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2018, sulla lotta al riciclaggio mediante diritto penale, che ha riformato alcuni reati tra cui l’articolo 648-bis del codice penale in tema di riciclaggio. Detta riforma avrà ripercussioni anche sul modello 231, i cui modelli di organizzazione e gestione dovranno essere aggiornati rispetto al rischio di riciclaggio, la cui definizione, come sopra detto, è stata modificata, anzi “ampliata” nella nuova versione codicistica dell’articolo 648-bis.

Con specifico riferimento al patrimonio culturale, emerge come la riforma del codice penale - attraverso l’introduzione di un apposito titolo dedicato ai delitti contro il patrimonio culturale - abbia rafforzato i principi fissati nell’articolo 9 della Costituzione, secondo cui la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione, contemplando una serie di norme tese a sanzionare e reprimere le violazioni delle disposizioni a tutela dei beni culturali.

Sono state introdotte nuove figure delittuose e per quelle già esistenti le pene edittali sono state inasprite nel minimo e nel massimo. L’ampliamento del catalogo dei reati-presupposto ai fini della responsabilità da reato degli enti, attraverso la previsione, nel d.lgs. 231/2001, degli artt. 25-septiesdecies (Delitti contro il patrimonio culturale”) e 25-duodevicies (Riciclaggio di beni culturali e devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici), è stato un importante passo in avanti nella lotta per la repressione dei reati contro il patrimonio culturale. Sono molti infatti gli enti che operano nel settore dell’arte e in generale della circolazione internazionale dei beni culturali e che ricoprono un importante ruolo di intermediazione, anche nelle compravendite.

Sarà necessario, al fine di non incorrere nelle possibili violazioni commesse dai propri incaricati (amministratori e sottoposti), che i predetti enti si adeguino alle nuove regole imposte dal legislatore e adottino i modelli di organizzazione e gestione previsti (si pensi alla possibile responsabilità da reato in materia di importazione o esportazione illecita di beni culturali oppure a seguito delle violazioni compiute in materia di alienazione).

Anche a livello euro - unitario, la strategia per la lotta alla criminalità organizzata e al traffico illecito di beni culturali è finalizzata ad abbattere le attività delittuose e a proteggere il patrimonio culturale, attraverso campagne di sensibilizzazione e azioni volte a migliorare lo scambio di informazioni, a cui si aggiungono la cooperazione anche con i paesi terzi e il rafforzamento dello sviluppo di capacità e competenze. Il piano di azione dell’Unione europea parte dalla consapevolezza  che il traffico illecito dei beni culturali è un fenomeno internazionale che, dopo il commercio di armi e di droga, costituisce la forma più redditizia  della criminalità organizzata.

Come si legge nel predetto piano, “le tre principali attività illegali associate al traffico illecito di beni culturali sono: 1) furto e rapina, 2) saccheggio (sottrazione illecita di reperti antichi da siti archeologici, edifici o monumenti) e 3) falsificazione di beni culturali. I reati connessi comprendono la frode, il disfacimento di beni trafugati (ricettazione), il contrabbando e la corruzione. Oltre a partecipare al traffico illecito, i criminali possono anche fare un uso illecito di beni culturali acquisiti legalmente a fini di riciclaggio di denaro, elusione di sanzioni, evasione fiscale o finanziamento del terrorismo. I reati connessi ai beni culturali presentano caratteristiche specifiche che li distinguono da altre attività illegali. L'identità, l'autenticità, l'origine, la provenienza e lo status giuridico di un bene culturale sono di rado immediatamente evidenti e spesso la loro determinazione richiede competenze specifiche. In secondo luogo, le collezioni pubbliche e private, i monumenti e i siti archeologici sono un potenziale bersaglio di furti e saccheggi, soprattutto in situazioni di conflitto e di crisi. I beni culturali non registrati, in particolare quelli provenienti da siti archeologici o da collezioni non catalogate, sono tra l'altro difficili da individuare e rintracciare una volta che sono stati oggetto di traffico illecito. In terzo luogo, il mercato dei beni culturali è caratterizzato da certe vulnerabilità che lo rendono attraente per i criminali. Tra queste: l'accettazione dell'anonimato e della segretezza, la soggettività e volatilità dei prezzi e la possibilità di utilizzare i beni per conservare e far circolare ingenti somme di denaro. I criminali traggono inoltre vantaggio dalla generale mancanza di consapevolezza dei danni che il traffico illecito di beni culturali può arrecare”.

Data la complessità della materia e i molteplici settori e interessi coinvolti, è dunque auspicabile che le novelle legislative introdotte nel codice penale e, nel caso che qui interessa, nell’ambito del d.lgs. n. 231 del 2001, siano uno stimolo per gli operatori del settore culturale a rafforzare i propri sistemi di organizzazione e gestione interna, così da garantire la tracciabilità dei beni culturali in loro possesso, attraverso una costante attività di ricerca e di controllo della provenienza e della filiera custodiale delle opere d’arte possedute, assicurando un’attività di vigilanza sempre più adeguata, efficace e in grado di contrastare il compimento di violazioni e di reati[31].

In particolare, “Ai fini del meccanismo della compliance, i modelli di organizzazione, gestione e controllo (art. 6 del d.lgs. n. 231 del 2001) andranno all’uopo implementati da parte delle istituzioni museali, case d’asta e di tutti gli enti interessati favorendo l’adozione di modelli idonei ad agevolare le attività di reporting ed a favorire gli obblighi di collaborazione che le societas potrebbero attuare, ispirandosi alle Linee Guida delle Nazioni Unite per la prevenzione e repressione del traffico di beni culturali del 2014 ed alle misure pre-penali di cui alla Convenzione di Nicosia, ad esempio: nel tracciamento dell’origine degli oggetti d’arte e della catena proprietaria; nella registrazione (e nel regolare aggiornamento), presso archivi elettronici istituiti (od implementati) appositamente, di tutti i dati relativi ai beni culturali di cui sono in possesso; nell’introduzione, ove non già presenti, di sistemi (auspicabilmente informatici, per migliorare la tracciabilità) di licenze di esportazione e importazione per i beni culturali; nell’adozione di registri (ancora una volta, auspicabilmente elettronici) delle transazioni commerciali riguardanti opere d’arte e di antiquariato, laddove non già previsti; nel monitoraggio delle compravendite di questi beni su Internet, possibilmente con il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei gestori delle piattaforme potenzialmente utilizzate a questo fine; nella segnalazione presso le autorità competenti di attività sospette. Attraverso siffatte pratiche, si avrebbe maggior contezza circa l’esatta entità del patrimonio culturale, la collocazione dei beni artistici e il loro valore: condizioni le quali, se effettive, renderebbero meno agevole l’agire criminoso in questo ambito[32]".

La riforma del sistema penale ha costituito pertanto una ulteriore dimostrazione dell’attenzione che il legislatore ha dedicato alla difesa del patrimonio culturale, anche in attuazione degli impegni assunti, negli ultimi anni, in ambito internazionale ed europeo. Lo stesso PNRR - piano nazionale di ripresa e resilienza - ha stanziato fondi e risorse per la conservazione, la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale. Sono stati compiuti passi importanti che si auspica possano condurre a rafforzare la tutela dei beni culturali e a contrastarne, in maniera sempre più efficace, la dispersione e il traffico illecito.

[1] T. ALIBRANDI, P.G. FERRI, I beni culturali e ambientali in Commentario di legislazione amministrativa, Milano 1985, 3-14.

[2] T. ALIBRANDI, P.G. FERRI, I beni culturali e ambientali in Commentario di legislazione amministrativa, Milano 1985, 5.

[3] Articolo 1 della legge 12 giugno 1902, n. 185: "Le disposizioni della presente legge si applicano ai monumenti, agl'immobili ed agli oggetti mobili che abbiano pregio di antichità o d'arte.  Ne sono esclusi gli edifici e gli oggetti d'arte di autori viventi, o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquant'anni".

[4] Articolo 23, della legge 12 giugno 1902, n. 185.

[5] T. ALIBRANDI, P.G. FERRI, I beni culturali e ambientali in Commentario di legislazione amministrativa, Milano, 1985, 3-14.

[6] R. TAMIOZZO, Per la tutela del patrimonio culturale, Roma, 2023, 24 ss.

[7] Decreto legislativo n. 231 del 2001, articolo 5 Responsabilità dell'ente: "1. L'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a)".

[8] Decreto legislativo n. 231 del 2001, articolo 9 Sanzioni amministrative: "1. Le sanzioni per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato sono: a) la sanzione pecuniaria; b) le sanzioni interdittive; c) la confisca; d) la pubblicazione della sentenza. 2. Le sanzioni interdittive sono: a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività; b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito; c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi; e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi”.

[9] Decreto legislativo n. 231 del 2001, articolo 10 Sanzione amministrativa pecuniaria: 1. Per l'illecito amministrativo dipendente da reato si applica sempre la sanzione pecuniaria. 2. La sanzione pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento né superiore a mille. 3. L'importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila ad un massimo di lire tre milioni. 4. Non è ammesso il pagamento in misura ridotta”. 

[10] Decreto legislativo n. 231 del 2001, articolo 13 Sanzioni interdittive1. Le sanzioni interdittive si applicano in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni: a) l'ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all'altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative; b) in caso di reiterazione degli illeciti. 2. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 25, comma 5, le sanzioni interdittive hanno una durata non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni”. 

[11] Nel caso di irrogazione della sanzione interdittiva, l’articolo 18 del d.lgs. 231/01 prevede la comminazione dell’ulteriore sanzione della pubblicazione della sentenza di condanna.

[12] Con la sentenza di condanna (ex articolo 19, d.lgs. 231/01) viene sempre disposta la confisca, anche per equivalente, del prezzo o del profitto del reato, salvo per la parte che può essere restituita al danneggiato e fatti salvi i diritti acquistati dai terzi.

[13] I “Compliance Programs” sono dei modelli organizzativi finalizzati alla prevenzione di possibili frodi o illeciti, attraverso l’adozione di procedure volte a prevenire o quanto meno attenuarne la possibilità di commissione. Derivano dalla “Federal Sentencing Guidelines” che nel 1991 esprimevano il concetto di “colpevolezza” delle persone giuridiche e facevano riferimento alla responsabilità delle “corporation/organization” e al criterio per la commisurazione delle pene e delle precauzioni adottate dalle “organization/corporation” per evitare e prevenire il compimento di illeciti.

[14] OCSE: Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.

[15] Legge n. 300 del 2000 recante “Ratifica ed esecuzione dei seguenti Atti internazionali elaborati in base all'articolo K. 3 del Trattato dell'Unione europea: […] Delega al Governo per la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica”.

[16] M. CATTADORI, Societas puniri potest: la responsabilità amministrativa, 2009, www.altalex.com.

[17] Ibid.

[18] Relazione di accompagnamento al d.lgs. 231/2001, 4-5.

[19] Articolo 24, del decreto legislativo 231 del 2001: “In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 316-bis, 316-ter, 640, comma 2, n. 1, 640-bis e 640-ter se commesso in danno dello Stato o di altro ente pubblico, del codice penale, si applica all'ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote […]. 

[20] Articolo 24-bis, del decreto legislativo 231 del 2001: “In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 615-ter, 617-quater, 617-quinquies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 635-quinquies, del codice penale si applica all’ente la sanzione pecuniaria da cento a cinquecento quote […]”.

[21] Articolo 24-ter, del decreto legislativo 231 del 2001: “In relazione alla commissione di taluno dei delitti di cui agli articoli 416, sesto comma, 416-bis, 416-ter e 630 del codice penale, ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché ai delitti previsti dall’articolo 74 del testo unico di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, si applica la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote. In relazione alla commissione di taluno dei delitti di cui all’articolo 416 del codice penale, ad esclusione del sesto comma, ovvero di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), numero 5), del codice di procedura penale, si applica la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nei commi 1 e 2, si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno […]”.

[22] Articolo 25, del decreto legislativo 231 del 2001: “In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 318, 321, 322, commi primo e terzo, e 346-bis del codice penale, si applica la sanzione pecuniaria fino a duecento quote”. 

[23] Art. 5, comma 2, del d.lgs. 231/2001: L'ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi”. 

[24] “Segmento titoli con alti requisiti”.

[25] M. CATTADORI, Societas puniri potest: la responsabilità amministrativa, Altalex,  2009.

[26] Articolo 6 del d.lgs. 231/01 Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell'ente: “1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell'articolo 5, comma 1, lettera a), l'ente non risponde se prova che: a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b). 2. In relazione all'estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze: a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati; b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire; c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli; e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello”. 

[27] M. CATTADORI, Societas puniri potest: la responsabilità amministrativa, Altalex, 2009.

[28] Si vedano anche: Cassazione penale, Sez. unite, n. 38343, del 18 settembre 2014, concernente il caso Thyssenkrupp; Cassazione penale, Sez. VI, n. 28210 del 18.09.2020; Cassazione penale, Sez. VI, n. 29584 del 22.09.2020.

[29] R. TAMIOZZO, Per la tutela del patrimonio culturale, Roma, 2023, 358 ss.

[30]Article 13 – Liability of legal persons: 1 Each Party shall ensure that legal persons can be held liable for criminal offences referred to in this Convention, when committed for their benefit by any natural person, acting either individually or as part of an organ of the legal person, who has a leading position within that legal person, based on: a a power of representation of the legal person; b an authority to take decisions on behalf of the legal person;c an authority to exercise control within the legal person. 2 Apart from the cases provided for in paragraph 1 of the present article, each Party shall ensure that a legal person can be held liable where the lack of supervision or control by a natural person referred to in paragraph 1 of the present article has made possible the commission of a criminal offence referred to in this Convention for the benefit of that legal person by a natural person acting under its authority. 3 Subject to the legal principles of the Party, the liability of a legal person may be criminal, civil or administrative. 4 Such liability shall be without prejudice to the criminal liability of a natural person who has committed the offence”.

[31] Per approfondire il tema della lotta al traffico illecito di beni culturali, si vedano anche: S. ITALIA, Il Traffico illecito delle opere d’arte, Roma, 2019; S. MELE, La protezione del patrimonio culturale dalle aggressioni criminali. Il controllo commerciale e il tracciamento dei beni antiquariali e d’arte, Roma, 2022; L. MONTEREALE, Le piattaforme digitali e la circolazione internazionale dei beni culturali: analisi della normativa europea sull’importazione dei beni culturali, in Riv. Cammino Diritto, ISSN 2421-7123 Fasc. 07/2023.

[32] Corte suprema di Cassazione, ufficio del massimario e del ruolo, servizio penale. Relazione su novità normativa. Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale (legge 9 marzo 2022 n. 22). Relazione n. 34/22, p. 68. Roma, 21 giugno 2022.

Bibliografia

ALIBRANDI T., FERRI P.G., I beni culturali e ambientali in Commentario di legislazione amministrativa, Milano 1985.

CATTADORI M., Societas puniri potest: la responsabilità amministrativa, Altalex, 2009. www.altalex.com

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Ufficio del Massimario e del Ruolo, Servizio Penale. Relazione su novità normativa. Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale (legge 9 marzo 2022 n. 22). Relazione n. 34/22. Roma, 21 giugno 2022, pp. 66 e ss.

ITALIA S., Il Traffico illecito delle opere d’arte, Roma, 2019.

MELE S., La protezione del patrimonio culturale dalle aggressioni criminali. Il controllo commerciale e il tracciamento dei beni antiquariali e d’arte, Roma, 2022.

MONTEREALE L., Le piattaforme digitali e la circolazione internazionale dei beni culturali: analisi della normativa europea sull’importazione dei beni culturali, in Riv. Cammino Diritto, ISSN 2421-7123 Fasc. 07/2023.

Relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 231/2001.

TAMIOZZO R., Per la tutela del patrimonio culturale, Roma, 2023, pp. 358 ss.

Riferimenti normativi

Legge 9 marzo 2022 n. 22, recante Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale”.

Codice penale, titolo VIII-bis “Dei delitti contro il patrimonio culturale”.

Convenzione di Nicosia, 2017 recante “Convention on Offences relating to Cultural Property”

Decreto legislativo n. 42 del 2004 recante “Codice dei beni culturali e del paesaggio”.

Decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 recante la Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300.

 

 

Note e riferimenti bibliografici