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Pubbl. Ven, 10 Nov 2023
Sottoposto a PEER REVIEW

Giustizia riparativa e profili penali della liquidazione giudiziale: il problema della bancarotta riparata

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Anna Santomasi
Dottorando di ricercaUniversità degli Studi di Bari



Il contributo affronta il tema della bancarotta riparata, ponendolo in antitesi rispetto al concetto tradizionale di giustizia ripartiva. Ripercorrendo l’evoluzione della giurisprudenza sulla natura della sentenza dichiarativa di fallimento e indagando sulla natura del reato di bancarotta prefallimentare, si pongono in evidenza alcuni limiti e aspetti critici dalla bancarotta riparata, nonché la finalità deflattiva della stessa.


ENG

Restorative justice and criminal profiles of judicial liquidation: the problem of repaired bankruptcy

The paper addresses the topic of repaired bankruptcy, placing it in antithesis to the traditional concept of restorative justice. Reviewing the development of case law on the nature of the judgment declaring bankruptcy and investigating on the nature of the crime of bankruptcy, some of the limitations and critical aspects of reparative bankruptcy, as well as its deflative purpose, are highlighted.

Sommario: 1. I rapporti tra bancarotta riparata e giustizia riparativa: la definizione del campo d’indagine; 2. Ha senso parlare di bancarotta riparata? Un’indagine a partire dalla natura della sentenza dichiarativa di fallimento (rectius, di liquidazione giudiziale); 3. La bancarotta riparata nel sincretismo tra sentenza dichiarativa di fallimento e natura di reato di pericolo della bancarotta prefallimentare; 4. Qualche considerazione conclusiva sul raccordo problematico tra bancarotta riparata e giustizia ripartiva.

1. I rapporti tra bancarotta riparata e giustizia ripartiva: la definizione del campo d’indagine

Da tempi relativamente recenti, il grande tema della giustizia riparativa sembra aver catturato l’attenzione del panorama giuridico.

È proprio a tale locuzione, per vero utilizzata spesse volte in modo atècnico, che la giurisprudenza e la dottrina tendono a ricondurre la c.d. bancarotta riparata. In modo ellittico, trattasi di un istituto di matrice giurisprudenziale che determina la non punibilità di colui che avendo posto in essere le condotte previste ex art. 216 comma 1 n. 1, l. Fall. (oggi art. 322 CCII), successivamente si ravveda e si attivi al fine di reintegrare il patrimonio dell’impresa, prima che intervenga la sentenza dichiarativa di fallimento (rectius, di liquidazione giudiziale).

Occorre chiedersi se tale istituto risponda effettivamente ad istanze di giustizia riparativa, intesa quale strumento di rinuncia alla punizione fondato sulla conciliazione tra autore del reato e vittima, ovvero a una logica di deflazione giudiziaria. Al fine di sciogliere tale nodo gordiano, appare opportuno procedere alla disamina della bancarotta riparata (istituto oggi attenzionato anche dalla “Commissione Bricchetti”, la quale mira a conferire allo stesso una veste normativa), partendo dall’approdo giurisprudenziale secondo cui: «non integra fatto punibile come bancarotta per distrazione la condotta ancorché fraudolenta, la cui portata pregiudizievole risulti annullata per effetto di un atto o di un'attività di segno inverso, capace di reintegrare il patrimonio della fallita prima della soglia cronologica costituita dall'apertura della procedura, quantomeno, prima dell'insorgenza della situazione di dissesto produttiva del fallimento»[1]. In tale prospettiva, non si può prescindere dall’analisi delle principali questioni che hanno animato il panorama giuridico penal-fallimentare, vale a dire: la discussa natura della sentenza dichiarativa di fallimento, la natura del reato di bancarotta fraudolenta prefallimentare e dei relativi rapporti. Tutte tematiche, queste, che appaio di trattazione indispensabile onde riconoscere (o meno) coerenza sistemica all’istituto della bancarotta riparata.

2. Ha senso parlare di bancarotta riparata? Un’indagine a partire dalla natura della sentenza dichiarativa di fallimento (rectius, di liquidazione giudiziale)[2]

La vexata quaestio sulla natura della sentenza dichiarativa di fallimento[3] (oggi definita sentenza dichiarativa della liquidazione giudiziale) nei delitti di bancarotta fraudolenta prefallimentare sembra aver trovato un momento di assestamento dalla nota sentenza “Santoro”[4]. Per la prima volta[5], in aperto contrasto con la giurisprudenza tradizionale[6], la Suprema Corte ha sposato l’interpretazione propugnata dalla maggior parte della dottrina, secondo cui la dichiarazione giudiziale di fallimento costituisce una condizione obiettiva di punibilità (specialius estrinseca)[7]. Invero, secondo la Cassazione, la condizione obiettiva di punibilità - ponendosi come evento estraneo sia all’offesa tipica sia alla sfera di volizione dell’agente - è strumento idoneo a circoscrivere l’area di illiceità penale a tutte quelle condotte del debitore che siano sì offensive degli interessi dei creditori, ma altresì seguite dalla sentenza dichiarativa di fallimento. A ciò si aggiunga che dalla natura di condizione obiettiva di punibilità della dichiarazione di fallimento, la giurisprudenza fa derivare che l’individuazione del locus e del tempus commissi delicti - necessario ai fini della determinazione della competenza territoriale, del decorso della prescrizione e del calcolo del termine di efficacia dell’amnistia o dell’indulto - coincide con la sentenza dichiarativa di fallimento[8]. A conforto di ciò, viene richiamato l’art 158, co. 2, c.p. il quale stabilisce che «quando una legge fa dipendere la punibilità del reato dal verificarsi di una condizione, il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui la condizione si è verificata»[9].

In altre parole, la pronuncia del 2017 disconosce il ruolo assegnato alla sentenza dichiarativa di fallimento dalla giurisprudenza tradizionale. Difatti, per oltre mezzo secolo, la sentenza de qua è stata definita quale condizione di esistenza[10] del reato di bancarotta fraudolenta prefallimentare, o - per meglio dire - di elemento costitutivo “non significativo” del reato, tale per cui estraneo al fuoco del dolo e causalmente non collegato alla condotta distrattiva[11]

Sebbene si apprezzi lo sforzo di aver ricondotto la sentenza di fallimento ad una certa quadratura definendola quale elemento “improprio”, appaiono pienamente condivisibili le critiche mosse alla tesi poc’anzi esposta. Invero, tale ricostruzione mette a dura tenuta il rispetto del principio di personalità della responsabilità penale ex art. 27, comma 1, Cost., non potendo un provvedimento giudiziale (id est la sentenza di fallimento) essere oggetto di rimprovero per l’agente del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale[12]. Senza contare che le condizioni di esistenza del reato presentano confini labili[13], le cui incertezze rischiano di minare lo spettro d’azione degli elementi costitutivi del reato, confondendosi con essi.

In tale contesto, una nota debole di discontinuità è stata emessa con la rinomata sentenza “Corvetta”[14], la quale nel 2012 ha riconosciuto al fallimento la veste di evento[15] del reato di bancarotta, palesando - di conseguenza - la necessità che tra lo stesso “evento/fallimento” e la condotta distrattiva sia necessario accettare il nesso di causalità, in uno all’elemento psicologico doloso. Operazione interpretativa - questa - non esente da critiche, considerato che quando il legislatore ha intenso assegnare ad un determinato accadimento la valenza di evento (naturalistico) del reato, lo ha fatto esplicitamente facendo ricorso a forme lessicali evocative del nesso causale[16].

Nella convinzione che solo una presa di posizione da parte del legislatore possa assicurare la natura di condizione obiettiva di punibilità dalle scure di un equilibrio alquanto precario[17], ad oggi tale orientamento sembra essere quello maggiormente accreditato, non fosse altro perché ritenuto il più coerente con i crismi penalistici.

A ciò si deve necessariamente aggiungere che la formulazione poco felice dell’art 44 c.p. è stata foriera di un filone interpretativo che ha visto schierarsi, da una parte, la tesi secondo cui la sentenza di fallimento debba essere qualificata come condizione obiettiva di punibilità estrinseca[18], e, dall’altro, la tesi secondo cui la sentenza di fallimento debba essere considerata condizione obiettiva di punibilità intrinseca[19].

A questo punto, appare doverosa la seguente premessa definitoria: le condizioni obiettive di punibilità estrinseche si rappresentano come elementi in assenza dei quali il reato, già perfetto (secondo le teorie bipartita e tripartita), non viene considerato penalmente rilevante o, comunque, non bisognoso di pena; invece, quelle intrinseche vengono definite come eventi che incentrano su di sé il disvalore giuridico penale del fatto ovvero costituiscono un aggravamento della lesione o messa in pericolo del bene giuridico tutelato[20].

Orbene, la questione non è meramente teorica ed è idonea a riverberare i propri effetti sulla possibilità di riconoscere “cittadinanza” all’istituto della bancarotta riparata.

Aderendo all'opzione secondo cui tale sentenza sarebbe una c.o.p estrinseca, una parte della dottrina è giunta a considerare punibili i fatti di bancarotta benché riparati. Ciò in considerazione del fatto che ci si troverebbe dinanzi ad un reato già perfetto che, tuttavia, abbisogna di pena al solo verificarsi della condizione[21]. Diversamente, la tesi che vede nella sentenza di fallimento una c.o.p. intrinseca, presupponendo una carica offensiva che si attualizza solo con la sentenza stessa, consentirebbe di riconoscere ragionevolezza ad eventuali condotte restitutorie.

Non può revocarsi in dubbio la giustezza delle opzioni interpretative appena prospettate. Sennonché, facendo velatamente appello alla "categoria" della punibilità e pur caldeggiando la tesi della c.o.p. estrinseca, la giurisprudenza è giunta a riconoscere fondatezza alla bancarotta riparata.

Invero, la questione si legherebbe a doppio filo alla possibilità di considerare la punibilità un elemento costitutivo del reato. Com’è noto, le teorie bipartita e tripartita individuano nella punibilità un elemento estraneo al reato e attinente a valutazioni di politica criminale di competenza del legislatore. Al contrario, la teoria quadripartita descrive il reato quale connubio di tipicità del fatto, antigiuridicità, colpevolezza e punibilità.

In altre parole, volendo semplificare, un primo orientamento individua nella punibilità un dato estrinseco che investe i soli effetti di una fattispecie incriminatrice già perfetta. Di contro, affermando che tale ricostruzione appare troppo legata ad una visione di tipo civilistico, un altro orientamento definisce la punibilità “l’in sé del reato” e, dunque, elemento costitutivo del reato[22].

In merito alla natura da riconoscere alla punibilità, v'è da dire che l’art. 44 c.p. non è d’aiuto. Questa è una norma dai margini evanescenti che, mutuando la nozione di matrice civilistica, consente di definire la condizione obiettiva di punibilità come evento futuro ed incerto che condiziona la punibilità del fatto e va imputato all'agente a titolo oggettivo.

Orbene, prendere posizione su una china così scivolosa qual è la natura della punibilità non è l’obiettivo di questo scritto; certo è che la teoria quadripartita ben si presterebbe ad accogliere l’istituto della bancarotta riparata: le condotte riparatorie si inserirebbero in un momento in cui il reato non è perfetto, necessitando del requisito ultimo della punibilità che si integrerebbe solo con l’emanazione della sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale.

Interpretando a rigore, dunque, solo considerando la punibilità quale elemento costitutivo del reato (fatto tipico, antigiuridico, colpevole e punibile) la bancarotta riparata avrebbe senso. Nell’ipotesi contraria, ovverosia nel caso in cui la punibilità venga considerata elemento estrinseco del reato, non si vede come una condotta restitutoria possa “annullare” un reato di per sé già perfetto, seppur non ancora consumato.

Come testé accennato, a composizione di queste due posizioni idiosincratiche e caldeggiando la tesi della c.o.p. estrinseca, la giurisprudenza più attuale ha affermato che la punibilità è un elemento costitutivo del reato, intrinseco ad esso ma - allo stesso tempo - è un elemento estrinseco al fatto[23]. Da tali considerazioni se ne può dedurre che - secondo la giurisprudenza – non solo la punibilità è una componente del reato, ma le condotte riparatorie sarebbero idonee a privare di offensività gli atti di depauperamento del patrimonio, considerato che «dum condicio pendant il reato (condizionale) non esiste»[24].

3. La bancarotta riparata nel sincretismo tra sentenza dichiarativa di fallimento e natura di reato di pericolo della bancarotta prefallimentare

In via del tutto preliminare, in relazione al tempus commissi delicti, è doveroso rimarcare il dato giuridico secondo cui il reato di bancarotta si presta a due momenti di realizzazione[25]: prima o dopo la sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale. A tal proposito, è bene sottolineare che la questione della bancarotta riparata assume spessore in relazione al reato di bancarotta fraudolenta prefallimentare. Invece, con riferimento alla bancarotta post-fallimentare - giacché il reato si perfeziona e si realizza con la sottrazione del bene attuata dopo la sentenza di fallimento[26] - qualsivoglia atto restitutorio/reintegratorio del patrimonio tutt’al più potrà rilevare come circostanza attenuante[27].

Fatta questa doverosa premessa, la problematica dell’ammissibilità della bancarotta riparata involge altresì la tematica della natura del reato di bancarotta prefallimentare. Sul punto, la giurisprudenza ha affermato che trattasi di reato di pericolo concreto in cui la condotta di depauperamento, incidendo negativamente sul valore del patrimonio, deve risultare foriera di un pericolo concreto per il soddisfacimento dei crediti[28].

Orbene, depurando il discorso da ogni altra precisazione di cui si darà atto nel prosieguo, sic et stantibus, si dovrebbe affermare che il giudice deve riportarsi idealmente al momento della condotta e chiedersi se sussiteva la probabilità del verificarsi di una lesione, in base alle circostanze esistenti in quel momento e alla luce delle leggi di esperienza o di scienza. Difatti, la bipartizione tra reati di pericolo astratto e reati di pericolo concreto si appunta proprio sul fatto che in questi ultimi il giudice deve accertare, sulla base di una prognosi postuma, se il bene giuridico è stato concretamente posto in pericolo. Di contro, per i reati di pericolo astratto non è richiesto un giudizio prognostico di pericolosità della condotta, essendo già effettuato a monte dal legislatore, senza lasciare spazio a diversa interpretazione.

Se questo è vero, come è vero, in relazione al reato di bancarotta prefallimentare la giurisprudenza fa una notazione che sembra contraddire o, comunque, non considerare quanto si è appena detto. A tal proposito la Cassazione precisa che la pericolosità deve persistere sino all’epoca che precede l’apertura della procedura fallimentare. Il che - come giustamente rilevato in dottrina - «equivale a fissare il momento di valutazione del pericolo ad uno stadio in cui l'esito della situazione pericolosa si è già manifestato nella lesione del bene protetto»[29].

Quello della giurisprudenza, dunque, sembra essere un escamotage per riconoscere “cittadinanza” alla bancarotta riparata, disinteressandosi del dato giuridico e d’esperienza secondo cui il giudizio di pericolo va condotto ex ante (rectius va fissato al momento della condotta). Opinando a contrario, effettivamente, le eventuali condotte restitutorie non sarebbero idonee ad escludere la tipicità della bancarotta.

Vieppiù. Traghettando le considerazioni giurisprudenziali rappresentate nel paragrafo precedente secondo cui in pendenza di condizione obiettiva di punibilità il reato non c’è, tutto quanto sin qui detto in relazione alla natura di pericolo concreto (di mera condotta) perde ogni consistenza[30].

La (dis)armonia delle conclusioni alle quali è giunta la giurisprudenza è figlia di una disciplina (quella penale della crisi d’impresa) che certamente non lumeggia di chiarezza e semplicità[31]. A tal proposito, in disparte il fatto che le condotte di distruzione e di dissipazione rappresentano delle ipotesi di effettiva diminuzione patrimoniale e non potenziale[32], non può negarsi che il disvalore insito alla condotta di bancarotta fraudolenta prefallimentare individua ed esaurisce il contenuto offensivo del fatto, il quale – si badi - non ha rilevanza penale fintanto che non sopraggiunga la sentenza di liquidazione giudiziale.

Precipitato logico di quanto appena detto è che la sentenza che dichiara la liquidazione giudiziale se da una parte individua il momento consumativo del reato, dall’altra pare segnare il passaggio da pericolo a lesione effettiva delle ragioni creditorie.

A questo punto una domanda sorge spontanea: si può parlare ancora di reato di pericolo concreto? Un quesito provocatorio - questo - che non è certamente volto a negare perentoriamente la natura di reato di pericolo concreto riconosciuta ormai dalla maggior parte del panorama giuridico, ma a spingere il lettore ad una riflessione più ampia, in un’ottica di salvezza sia della struttura pericolosa del reato sia dell’istituto della bancarotta riparata.

La struttura del giudizio di pericolo assume connotati differenti - con importanti ripercussioni in tema di bancarotta riparata - qualora si consideri il reato in questione come di evento di pericolo[33] e non come di pericolo (di mera condotta). Nello specifico, un indirizzo dottrinario designa il pericolo come evento naturalistico, ovverosia come effetto soggetto alle leggi causali come qualsiasi altro fatto. A sostegno di ciò viene rilevato che «come la lesione pure il pericolo (concreto) rappresenterebbe un disvalore di evento, e perciò sarebbe strutturato e andrebbe trattato come qualsiasi altro evento»[34]. In tal modo, il pericolo può essere tanto parametro di valutazione della condotta quanto dell’evento: di qui la partizione tra evento di danno ed evento di pericolo, intendendo - rispettivamente - quali «modificazioni della realtà naturale che distruggono (danno) o mettono in pericolo un bene tutelato (pericolo)»[35].

In altri termini, in alcune ipotesi di reato, il pericolo viene descritto dal legislatore come evento e, quindi, come conseguenza in concreto della condotta, in altre come un modo di essere della condotta. Conseguentemente, a differenza di quest’ultimo caso in cui non sarebbe necessaria una verifica eziologica del nesso causale tra condotta ed evento, l’ipotesi di evento di pericolo presenta l'esigenza di verifica del nesso di causalità, ponendo - tuttavia - un problema di accertamento in ragione del fatto che il mutamento della realtà appare di difficile percezione[36].

Emerge, ictu oculi, come la concezione in parola (ovverosia quella dei reati con evento di pericolo) si ponga agli antipodi della tesi che esaurisce il pericolo in un giudizio ex ante, cristallizzato al momento dell’atto di depauperamento.

La formulazione che considera il reato di bancarotta prefallimentare quale reato di evento di pericolo trasla la valutazione della probabilità di lesione del fatto di bancarotta al momento in cui perdura l’evento di pericolo, rappresentato dallo squilibrio patrimoniale. Più nello specifico, tale valutazione andrebbe fissata al momento immediatamente precedente a quello in cui la situazione di squilibrio patrimoniale raggiunge l’acme con la sentenza di fallimento. Opinando in tal senso, eventuali condotte restitutorie (id est di “bancarotta riparata”) avrebbero rilevanza, non dovendosi ritenere che al momento di valutazione del pericolo il bene giuridico abbia corso un pericolo concreto[37].

Si può ben comprendere come la questione non sia di facile lettura e si addentella proprio sulla corretta declinazione del termine “evento” e del connesso “rapporto di causalità”.

A norma dell'art. 40, co. 1, c.p. «nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione o omissione». Il disposto, per quanto possa sembrare apodittico, continua ad essere al centro di un annoso dibattito. Com’è noto, per quel che riguarda l’evento, la dottrina è divisa tra i sostenitori dell’evento in senso naturalistico e i sostenitori dell’evento in senso giuridico. Fugando sin d’ora ogni dubbio, per evento naturalistico si intende un risultato esteriore, ma collegato causalmente alla condotta del reo e richiesto per l’esistenza del reato; invece, per evento giuridico si intende l’offesa (sia essa lesiva o pericolosa) all’interesse protetto dalla norma.

Da tale assunto se ne può facilmente dedurre che coloro che caldeggiano la tesi dell’evento giuridico vedono quest’ultimo come il risultato lesivo dell'azione, ovverosia l'offesa all'interesse protetto dalla norma penale. Tra l’altro, questi negano la tesi naturalistica facendo leva sul fatto che l’evento naturalistico non è presente in tutti i reati (si pensi ai reati di mera condotta), ma solamente nei reati causalmente orientati. Ne consegue che si ridurrebbe a questi ultimi l’operatività dell’art 40 c.p. Al contrario, i sostenitori della tesi naturalistica ritengono che l’evento giuridico non sia un’entità materiale che si somma all’azione, trattandosi perlopiù di un giudizio di valore che esprime un modo di essere della condotta stessa. Per completezza, è doveroso osservare che a queste due posizioni si aggiunge un terzo orientamento secondo cui, più che di evento naturalistico o giuridico, si debba parlare di evento significativo, inteso quale accadimento esteriore nel suo significato sociale[38].

Riassunte brevemente le varie posizioni, il punto - a parere di chi scrivere - è comprendere in che modo un giudizio di valore, quale è quello di offensività, possa essere declinato nello spettro d’azione della causalità.

Non può revocarsi in dubbio che, in ossequio al principio di materialità, l’evento giuridico presuppone un avvenimento naturale, ma questo non consiste necessariamente in un effetto esteriore dell'azione; si pensi ai reati di mera condotta, siano essi commissivi od omissivi, in cui la condotta viene punita indipendentemente dal realizzarsi di un evento naturalisticamente inteso: ciò che viene punita è l’offesa che non altro che un predicato della condotta, un suo modo di essere, non un effetto esteriore distinto da essa. Ne consegue che, mentre per i reati causalmente orientati v’è la necessità di un accertamento del nesso di causalità, nei reati di mera condotta non si pone un problema di accertamento poiché tra il fatto e l'offesa non esiste un vero e proprio rapporto di causalità[39].

In definitiva, la problematica circa la valenza da attribuire al pericolo nel reato di bancarotta prefallimentare non è un esercizio di puro stile. La gnoseologia tradizionale delle due categorie di reati di pericolo e di evento di pericolo ci mostra come solo in quest’ultimo caso la bancarotta riparata - così come ideata dalla giurisprudenza - potrebbe avere senso compiuto. L’uso del condizionale è doveroso, se si considera che la maggior parte della dottrina[40] - argomentando solidamente - dubita che la bancarotta patrimoniale prefallimentare possa essere declinata quale reato con evento naturalistico, inteso come alterazione empiricamente rilevabile della realtà materiale, distinguibile dalla condotta e ad essa posteriore[41].

Quello che sembra, allora, è che gli approdi giurisprudenziali sviluppatisi sul campo arato dal legislatore in materia di crisi penale d’impresa si contraddicano, o comunque si ignorino, dando la stura allo sviluppo di categorie proprie, diverse da quelle della manualistica tradizionale.

Neanche la tipizzazione della bancarotta riparata proposta dalla “Commissione Bricchetti”[42] sembra porre rimedio alle critiche che quivi si propongono. Nello specifico, la relazione illustrativa definisce la bancarotta riparata «una forma di recesso attivo accompagnato dalla non punibilità dovuta al fatto che la riparazione elimina le conseguenze patrimoniali e offensive di una bancarotta già perfezionata sul piano della condotta (di pericolo), ma neutralizzata rispetto all'evento del consolidarsi del pericolo al tempo della sentenza dichiarativa in una situazione patrimonialmente offensiva»[43].

Ad una prima lettura, ciò che sembrerebbe emergere è che la Commissione Bricchetti abbia voluto recepire l’istituto della bancarotta riparata così come coniato dal diritto pretorio, ignorando - tuttavia - i punti di frizione che la dottrina ha avanzato nel corso degli anni. Se a questo si aggiunge anche il fatto che nella stessa relazione la sentenza di liquidazione giudiziale viene qualificata quale c.o.p. estrinseca, allora non possono che riproporsi le notazioni avanzate nel §2 di cui innanzi. A ciò si aggiunga che il progetto di riforma si preoccupa di qualificare il reato di bancarotta prefallimentare come di pericolo (di mera condotta). Allo stesso tempo, però, la locuzione «all’evento del consolidarsi del pericolo» non sembra escludere la tesi che vede il reato di bancarotta prefellimentare quale reato con evento di pericolo; anzi, sembra avvalorarla, se letta congiuntamente al fatto che la bancarotta riparata sarebbe - secondo l’impostazione della commissione - una sorta di recesso attivo. Difatti, il recesso attivo è istituto che consiste nell’impedire l’evento (di danno o di pericolo che sia) tipico del reato - una volta esaurita la condotta criminosa - mediante una “controcondotta” che si insinui nel processo causale sorto dal comportamento precedentemente realizzato, interrompendolo. Tale istituto, plasmato sul concetto zanardelliano di “tentativo compiuto”, si pone in antitesi rispetto ai reati di pericolo (ritenuti - dalla maggior parte della dottrina - incompatibili con l’istituto del tentativo, men che meno con quello compiuto), attesa l’eccessiva anticipazione del giudizio di pericolosità. Tra l’altro, se la bancarotta riparata viene pensata come una forma di recesso attivo e si considera il fatto che quest’ultimo è un istituto pensato in relazione ai reati di evento, non si vede come si possa qualificare il reato di bancarotta prefallimentare come di pericolo e di mera condotta.

4. Qualche considerazione conclusiva sul raccordo problematico tra bancarotta riparata e giustizia ripartiva

Il raccordo delle considerazioni sopra svolte induce a ritenere che l’istituto della bancarotta riparata in tanto può avere coerenza in quanto posto in essere in un momento in cui l’iter criminis non si dica perfezionato o, comunque, consumato (per quanti non ritengano di individuare un momento perfezionativo distinto da quello consumativo). Ciò in considerazione del fatto che se «dal delitto non si torna indietro, se si è compiuta l’azione (art. 56 c.p.) e l’impedimento dell’evento o la riparazione dell’offesa valgono solo come attenuanti (art. 56 u.mo co. e art. 62 n. 6 c.p.)»[44], non si vede come una controcondotta realizzata quando il reato è già perfetto possa privare di rilevanza penale il reato stesso.

A questo punto, forse, anche la locuzione stessa di “bancarotta riparata” è fuorviante, dal momento che ciò che verrebbe riparato non è il reato di bancarotta, ma l’evento di pericolo innescato con la condotta depauperativa. Si badi, con questo non si vuole affermare che la bancarotta prefallimentare sia un reato con evento di pericolo, ma semplicemente rilevare una possibile lettura indotta dalla necessità di trovare una certa coerenza, anche se a tratti “forzata”, alla materia in esame.

A ciò si aggiunga che anche la riconduzione dell’istituto de quo al concetto di “giustizia riparativa” non può dirsi soddisfacente, quantomeno se inteso in senso proprio. Come è noto, la giustizia riparativa ha quale obiettivo quello di agevolare una dialettica tra autore e vittima del reato nel segno di una restaurazione dell’offesa. Di contro, la bancarotta riparata sembra rispondere ad una logica differente, ovverosia di deflazione giudiziaria: non solo le condotte di ripristino sono del tutto indipendenti dall’individuazione di una vera vittima, ma le stesse condotte riparatorie si pongono altresì in una fase in cui le condotte illecite non avrebbero rilevanza penale o, comunque, necessità di pena.

Volgendo alle battute conclusive, dunque, la portata deflativa della bancarotta riparata sembra innegabile e le incongruenze rilevate dimostrano come il reato di bancarotta (e, conseguentemente, anche la bancarotta riparata) non possa vivere senza una puntuale coordinazione con gli istituti che ne plasmano il contenuto.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Cass. Pen., Sez. V, 22 ottobre 2014 (dep. 13 febbraio 2015), n. 6408, Pres. Ferrua, Rel. Guardiano.

[2] Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ha innovato in termini decisivi la disciplina fallimentare in un’ottica di risanamento dell’impresa in crisi. Tra le principali novità v’è l’eliminazione del termine «fallimento e (dei) suoi derivati» e la conseguente sostituzione con il lemma «liquidazione giudiziale». Occorre precisare che, per ragioni di opportunità, non si esclude - in questa sede - l’utilizzo della terminologia contenuta nel R.D. n. 267/42, per l’ovvia ragione che è sulla base delle norme del ’42 che è stata modellato l’istituto della bancarotta riparata.

[3] Sul tema la produzione è assai numerosa, tra gli altri, può vedersi C. CASTALDELLO, Bancarotta fraudolenta, natura della dichiarazione di fallimento, in Studium iuris, 2017, 894; F. MUCCIARELLI, Una rivoluzione riformatrice della Cassazione: la dichiarazione giudiziale d’insolvenza è condizione obiettiva di punibilità della bancarotta prefallimentare, in Le soc., 2017, 897; A. ROSSI, La sentenza dichiarativa di fallimento quale condizione obiettiva di punibilità nelle bancherotte prefallimentari: “pace fatta” tra giurisprudenza e dottrina?, in Giur. It., 2017, 1679; M. N. MASULLO, La sentenza dichiarativa di fallimento è condizione obiettiva di punibilità: quando affermare la verità non costa nulla, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, 1151; G. COCCO, Il ruolo delle procedure concorsuali e l'evento dannoso nella bancarotta, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2014, 67; F. MUCCIARELLI, La bancarotta distrattiva è reato d’evento?, in Dir. pen. e proc., 2013, 443.

[4] Cass. Pen. V, 8 febbraio 2017, n. 13910, Santoro. Successivamente alla citata sentenza, tra le altre: Cass. V, 12 ottobre 2017, n. 53184, Fontana, RV 271590; Cass. V, 6 ottobre 2017, n. 4400/18, Cragnotti, RV 272256; Cass. V, 17 maggio 2016, n. 992/18, Bonofiglio, RV 271920.

La sentenza Santoro è stata oggetto di numerose note: L. BETTIOL, Bancarotta e reati fallimentari, bancarotta fraudolenta patrimoniale, in Foro it., 2017, II, 366; A. CHIBELLI, Il ruolo della sentenza dichiarativa di fallimento nei delitti di bancarotta pre-fallimentare: l'atteso "revirement" della Cassazione, in Cass. pen., 2017, 2205; E. FASSI, Il "revirement" della Corte di cassazione: la sentenza dichiarativa di fallimento è condizione obiettiva di punibilità per il reato di bancarotta fraudolenta prefallimentare, in Cass. pen., 2017, 2226; N. PISANI, La sentenza dichiarativa di fallimento ha natura di condizione obiettiva di punibilità estrinseca nella bancarotta fraudolenta prefallimentare: un apparente revirement della Cassazione, in Dir pen. e proc., 2017, 1158; M. N. MASULLO, op. cit, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2017, 1151; E. RECCIA, Il mutato orientamento della cassazione: la dichiarazione di fallimento è una condizione obiettiva di punibilità estrinseca, in www.penalecontemporaneo.it, 24 gennaio 2018.

[5] Per vero, già nel 2016 la Corte di Cassazione, pur non prendendo esplicitamente posizione, ha affermato che la condotta di bancarotta fraudolenta patrimoniale «si perfeziona con la distrazione, mentre la punibilità della stessa è subordinata alla dichiarazione di fallimento, che, ovviamente, consistendo in una pronunzia giudiziaria, si pone come evento successivo (in caso, appunto, di bancarotta distrattiva prefallimentare) e comunque esterno alla condotta stessa». V. Cass, Sez. un., 31 marzo 2016, n 22474, Passarelli, Rv. 266802-266805.

[6] Cass. pen., S. un., 15 luglio 2010, n. 2, Mezzo.

[7] Cfr. F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, in Leggi complementari, a cura di GROSSO, Milano, 2008, II, 55; C. PEDRAZZI, Reati fallimentari, in Manuale di diritto penale dell’impresa. Parte generale, a cura di Pedrazzi – Alessandri – Foffani – Seminara – Spagnolo, Bologna, 2003, 108; E. M. AMBROSETTI, I reati fallimentari, in Diritto penale dell’impresa, a cura di Ambrosetti- Mazzetti – Ronco, Bologna, 2008, 207; C. SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 24; G. DELITALA, Studi sulla bancarotta, Padova, 1935, 41; C.F. GROSSO, Osservazioni in tema di struttura, tempo e luogo del commesso reato nella bancarotta prefallimentare, in Riv. it. dir. proc. pen.,1970, 560; P. NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano, 1955, 15; CASAROLI, Commentario breve alla legge fallimentare, a cura di Malte Alberti, Padova, 2000, 826 ss.

Sulle condizioni obiettive di punibilità, tra gli altri: M. ZANOTTI, Punibilità (condizioni obiettive di), in Dig. Pen., X, Torino, 1995, 534; L. DURIGATO, Osservazioni sull’art. 44 c.p., in Ind. pen., 1980, p. 417.

[8] Cfr. G. CASAROLI, Commento all’art. 44 c.p., in Codice penale, a cura di Padovani, Milano, 2014, 1, 352. Nello stesso senso M. GALLO, Appunti di diritto penale, I, Torino, 1999, 172.

[9] In senso critico D. SPURI, Alcune osservazioni sulla natura giuridica delle condizioni di punibilità, in Cass. pen., 2013, 1172. L’autore afferma che «la disciplina del secondo comma, primo periodo, dell'art. 158 c.p. verrebbe in tal modo sottoposta ad interpretatio abrogans, posto che sarebbe sufficiente già il riferimento, contenuto nel primo comma della suddetta disposizione, alla "consumazione del reato». Nello stesso senso M. N. MASULLO, op. cit, in Riv. it. dir e proc. pen., 2017, p. 1151; R. BRICCHETTI, La costruzione giurisprudenziale della bancarotta prefallimentare come reato condizionale a condotta realmente pericolosa per il bene giuridico tutelato, in La giust. pen., 2018, 487 ss.

[10] Nella dottrina più recente non mancano Autori che condividono tale impostazione. Cfr. G. COCCO, Nota introduttiva agli artt. 216-37, in Commentario breve alle leggi penali complementari, a cura di Palazzo – Paliero, Padova, 2007, 1141 ss.

[11] Nella sentenza delle Sezioni Unite n. 2 del 25 gennaio 1958 (Mezzo) si legge: «a differenza delle condizioni obiettive di reato, che presuppongono un reato già strutturalmente perfetto, la sentenza dichiarativa di fallimento costituisce una condizione di esistenza del reato o, per meglio dire, un elemento al cui concorso è collegata l'esistenza del reato, relativamente a quei fatti commissivi od omissivi anteriori alla sua pronuncia». Dello stesso avviso, tra le altre, si veda: Cass. Pen., Sez. 1, 2 luglio 1991, n. 2988, Bianchi, Rv. 187893; Cass. Pen., Sez. 5, 6 maggio 1999, n. 7583, Grossi, Rv. 213646; Cfr. PUNZO, Il delitto di bancarotta, Torino, 1953, 78 ss.

[12] V. Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione del 2017 consultabile in www.cortedicassazione.it

[13] Cfr. A. MANNA, La sentenza dichiarativa di fallimento alla luce del novellato art. 1 l. fall., in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di Ghia - Piccininni – Severini, Roma, 2012, Cap. III, 65 ss. L’autore afferma: «non è riscontrabile in alcun’altra fattispecie criminosa, né nella parte generale del diritto penale, l’elemento di esistenza del reato»; Si veda anche O. ZAMPANO, Bancarotta “riparata” e principio di offensività, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2006, 748.

[14] Cass. Pen., Sez. 5, 24 settembre 2012, n. 47502, Corvetta, Rv. 253493.

[15]  Al riguardo si veda G. BONELLI, Del fallimento, Milano, 1938, 92; S. LONGHI, Bancarotta e altri reati in materia commerciale, Milano, 1913, 83.

[16] A mero titolo di esempio, si pensi alla bancarotta societaria ex art. 329, comma 2, CCII, ove il legislatore utilizza il termine “cagionare”. Nello stesso senso, in giurisprudenza si veda: Cass. Pen., sez. V, 7 marzo 2014, n. 35352, Tanzi. In dottrina, tra gli altri: A. GENTILE, La sentenza dichiarativa di fallimento nella bancarotta prefallimentare: elemento costitutivo del reato o condizione obiettiva di punibilità?, in Riv. Pen., 12/2019, 1108; LA MONICA, Manuale di diritto penale commerciale - Reati fallimentari, societari e bancari, Milano, 1993, 230; SANTORIELLO, op. cit., 18.

[17] In una recente decisione la Suprema Corte ha aderito alla tesi tradizionale affermando che in tema di bancarotta, la dichiarazione di fallimento costituisce un elemento costitutivo del reato e non una condizione obiettiva di punibilità; pertanto, il reato si perfezionerebbe in tutti i suoi elementi costitutivi solo nel caso in cui il soggetto, che abbia commesso anche in precedenza attività di sottrazione dei beni aziendali, sia dichiarato fallito. V. Cass. Pen., sez. V, 18 maggio 2018, n. 40477. Cfr. R. BRICCHETTI, op. cit., in La giust. Pen., 2018, 487 ss.

[18] Cfr. CONTI, I reati fallimentari, Torino, 1991, 304; PERINI-DAWAN, La bancarotta fraudolenta, Padova, 2001, 28 ss.

[19] Cfr. M. DELITALA, Contributo alla determinazione della nozione giuridica del reato di bancarotta, in Riv. dir. comm. e dir. gen. obbl., 1926, 437. L’autore ritiene che la dichiarazione di fallimento avrebbe non solo la capacità di qualificare penalmente i fatti di bancarotta, ma anche di incidere sul bene tutelato approfondendone l’offesa. Dello stesso avviso anche P. NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano, 1955, p.594; F. BRICOLA, Punibilità (condizioni obiettive di), in Noviss. Dig., XIV, Torino, 1967, P.594. Quest’ultimo afferma «La qualificazione di una condizione come intrinseca vuol significare che essa contribuisce a rendere più evidente, ossia ad attualizzare l’offesa di quell’interesse che è già potenzialmente realizzata dal fatto in senso stretto. La sentenza dichiarativa di fallimento rende attuale e qualifica come processuale quell’interesse la cui lesione è già potenzialmente racchiusa in una serie di fatti di bancarotta, commessi nella cosiddetta zona di rischio penale».

[20]Secondo una parte della dottrina, le condizioni “intrinseche” mascherano degli autentici elementi costitutivi del fatto, risultando difficile distinguere tra i due. Cfr. G. MARINUCCI – E. DOLCINI – G.L. GATTA, Manuale di diritto penale. Parte generale, 2022, 441. Gli autori negano del tutto l’esistenza delle condizioni obiettive intrinseche di punibilità.

[21] Cfr. M. LA MONICA, I reati fallimentari, Milano, 1999, p. 320; C. SANTORIELLO, op. cit., 87;

[22] Cfr. R. GALLI, Nuovo corso di diritto penale, Cedam, 2017, 530 ss.

[23] In senso contrario: F. D’ALESSANDRO, Le disposizioni penali della legge fallimentare, in AA.VV., Commentario della legge fallimentare. Disposizioni penali e saggi conclusivi, Milano, 2010. L’autore richiamando P. Nuvolone, parla di condizione obiettiva di punibilità intrinseca.

[24]Cfr.  R. BRICCHETTI, op. cit., in La giustizia penale 2018, 493.

[25] Il complesso delle disposizioni penali dettate in tema di crisi d'impresa attribuisce una posizione dominante al delitto di bancarotta; tuttavia, non è possibile fornire una definizione univoca di questo reato poiché il Codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza, mutuando il sistema dei reati fallimentari contemplati nella legge fallimentare del ’42, ne contempla diverse figure. Invero, una prima distinzione - generalmente nota per i contorni di stampo psicologico - si ha tra la bancarotta fraudolenta ex art 322 CCII e la bancarotta semplice ex art 323 CIII. Un’ulteriore divisione involge la qualità del soggetto agente, sì da individuare la bancarotta propria - commessa dall’imprenditore individuale e dai soci illimitatamente responsabili delle società in nome collettivo e in accomandita semplice - ex artt. 322, 323, 328 CCII e la bancarotta impropria ex art. 329 CCII - che, attraverso un rinvio ai fatti contemplati nell’art. 322 CCII, estende la punibilità agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori. Infine, in relazione al tempus commissi delicti, si distingue tra bancarotta prefallimentare e bancarotta post-fallimentare, a seconda che le condotte si collochino in un momento antecedente o successivo alla sentenza dichiarativa di fallimento.

[26] Cass. pen., Sez. V, 15 dicembre 1998, Grespan.

[27] Cfr. C. SANTORIELLO, La bancarotta riparata: quali conseguenze penali?, 2016, consultabile su www.ilpenalista.it

[28] Cfr. Cass. V, 24 marzo 2017, n. 17819, Palitta, RV 269562, annotata da R. BRICCHETTI, La bancarotta fraudolenta patrimoniale come reato di pericolo concreto, in ilpenalista.it, 8 maggio 2017; G. CHIARAVIGLIO, Superato il divario tra teoria e prassi a proposito del rapporto tra bancarotta e dichiarazione di fallimento?, in Riv. dott. comm., 2017, 456; C. SANTORIELLO, Spunti per una delimitazione degli atti di gestione del patrimonio aziendale qualificabili come bancarotta fraudolenta, in Soc., 2017, 1030. Nello stesso senso anche Cass. V, 14 settembre 2017, n. 50081, Zazzini, RV271437.

[29] Cfr. P. CHIARAVIGLIO, Danno e pericolo nella bancarotta “riparata”, in Dir.  pen.  cont., 2015, consultabile su www.dirittopenalecontemporaneo.it

[30] Cfr. BRICCHETTI, op. cit., in La giust. Pen., 2018, 496 ss.

[31] Già G. DELITALA, nel 1930, affermava che «su nessun argomento della nostra disciplina regna altrettanta confusione». Così G. DELITALA, Il “fatto” nella teoria generale del reato, Padova, 1930, 75. Ancora prima, A. ROCCO affermava che la disciplina penal-fallimentare si caratterizzava per «una serie di singolarità tali, da rendere questo capitolo della scienza del diritto penale tra i più difficili ed oscuri». Così A. ROCCO, Il fallimento, Teoria generale ed origine storica, Napoli, 1917, 114.

[32] Le condotte di distruzione e di dissipazione rappresentano delle ipotesi di effettiva diminuzione patrimoniale giacché, in questi casi, i beni fuoriescono senza soluzione di continuità dal patrimonio e dalla disponibilità del debitore. Cfr F. ANTOLISEI, op. cit., Milano, 1998, 53. L’autore parla di diminuzione, fittizia od effettiva, del patrimonio del debitore.

[33] Cfr. M. PARODI GIUSINO, I reati di pericolo fra dogmatica e politica criminale, Milano, 1990, 367 ss.

[34] Cfr. F. ANGIONI, Il pericolo concreto come elemento della fattispecie penale, Milano, 1994, 15.

[35] Cfr. D. SANTAMARIA, voce Evento (diritto penale), in Enc. dir., XVI, 1967, 131.

[36] Cfr. R. GALLI, op. cit., 2017, 521.

[37] Cfr. P. CHIARAVIGLIO, op. cit., 2015.

[38] A. PAGLIARO in relazione all’evento naturalistico afferma: «Al pari dell'evento naturalistico, esso prescinde da ogni valutazione posta dalla norma penale ed è un accadimento concreto, distino da ogni altro dal quale possa derivare la stessa offesa. Al pari dell'evento giuridico, esso non si distacca in modo necessario dall'atteggiamento corpo reo del soggetto: di guisa che è presente in tutti i reati, anche in quelli de mancano di evento naturalistico» Cfr. A. PAGLIARO, Il reato, in Trattato di diritto penale, a cura di Grosso - Padovani - Pagliaro, Milano, 2012, p.162

[39] Cfr. F. ANTOLISEI, L’evento e il nuovo Codice penale, in Riv. It. Dir. Pen, 1932, 18 ss.

[40] Cfr. L. CONTI, I reati fallimentari, Torino, 1991, 101 ss.

[41] Si veda la nota n. 16.

[42]  Commissione ministeriale costituita con D.M. del 13 ottobre 2021 dell’allora Ministra Marta Cartabia - presieduta dal Presidente di Sezione della Corte Suprema di Cassazione Renato Bricchetti - con il compito di elaborare proposte di revisione dei reati fallimentari e adeguare le fattispecie penali alla mutata disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

[43] V. Relazione ministeriale consultabile su www.giustizia.it

[44] Cfr. M. DONINI, Il delitto riparato. Una diseducazione che può trasformare il sistema sanzionatorio, in Dir. pen. cont., 2/2015, 241.