L´incidenza dell´attuale stato giuridico degli animali sui rimedi esperibili nel caso della compravendita di uno ammalato
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Andrea Giocondi
L’attuale considerazione degli animali quali esseri senzienti con intrinseco valore è frutto del contrasto, nei vari campi della conoscenza, tra le posizioni maggiormente pro bestie e quelle maggiormente pro uomo. Ogni visione tende comunque al costante miglioramento delle condizioni degli animali, obiettivo che viene tuttavia bilanciato con gli interessi, i diritti e le attività dell’essere umano. Il contrasto uomo-animale si acuisce in occasione della compravendita di un bene viziato, in particolare con l’uso dei rimedi della sostituzione e della riparazione della res e della risoluzione contrattuale, che comportano uno stress alla bestia, relegandola alla figura di bene invenduto perché difettoso, figura incompatibile alla luce dei moderni principi dell’ordinamento.
The impact of the current legal status of animals on the remedies available in the case of trading a defective pet
The current consideration of animals as sentient beings with intrinsic value is the result of the contrast, in the various fields of knowledge, between the most pro-beast and most pro-human positions. Every vision, however, tends to the constant improvement of the conditions of the animals, objective that is however balanced with the interests, the rights and the activities of the human being. The extent of the human-animal dispute in exacerbated during the trading of a defective good, in particular with the use of the remedies of the replacement and repair of the res and of the termination of the contract, which involve a stress to the beast, relegating it to the figure of unsold good because it is defective, incompatible figure in the light of modern principles of the legal system.Sommario: 1. Un incoraggiamento a migliorare il “diritto animale”; 2. Il difficile dibattito (filosofico o giuridico?) sullo status e sui diritti degli animali; 2.1 (segue) ed i suoi risvolti nell’ordinamento italiano; 2.2 (segue) e negli ordinamenti degli altri Paesi europei ed extra-europei; 3. Le difficoltà nel far operare i rimedi della compravendita di un bene viziato alla (ancora oggi) “res” animale; 4. Minime conclusioni de iure condendo.
1. Un incoraggiamento a migliorare il “diritto animale”
In Europa abbiamo come minimo 91 milioni di motivi per migliorare la legislazione posta a difesa degli animali; i motivi salgono ad almeno 340 milioni se nel fare ciò si abbandona l’anacronistica visione antropocentrica che in passato è stato il punto di partenza per ogni dissertazione sul tema. I richiamati numeri rappresentano, rispettivamente, il numero di famiglie europee con un pet in casa, quindi il numero degli umani coinvolti, e il numero di pets che vivono nelle famiglie europee, quindi il numero, questa volta, degli animali coinvolti[1].
Le motivazioni aumenterebbero qualora il riferimento non venisse limitato ai soli “animali da compagnia” (o, se si vuole, “d’affezione” o “domestici”[2]), ma venisse esteso a tutti gli animali in generale (selvatici, “da reddito”[3], etc.…), anch’essi bisognosi di protezione rispetto alle attività umane che li coinvolgono.
Il tema del benessere degli animali ha generato una battaglia ideologica tra chi, nei vari campi della filosofia (nella specie dell’etica moderna), della zoologia, delle scienze in generale e del diritto, sposa una visione antropocentrica e chi una visione “animalocentrica” (con posizioni talvolta intermedie) e, quindi, tra posizioni aventi come scopo la tutela di un interesse pur sempre prevalentemente umano e quelle che, invece, riconoscono un valore intrinseco all’animale in sé considerato e che giungono persino a suggerire la concessione della personalità giuridica e di diritti legali.
Ma siccome il convincimento e l’obiettivo comune alle varie correnti è comunque quello di migliorare la situazione degli animali non-umani ed il loro rapporto con l’uomo (che un animale comunque è[4]) è apparso opportuno fornire in apertura qualche macrodato che, a prescindere dall’ideologia che si voglia sostenere, sproni comunque a dedicarsi con attenzione al tema.
La comunanza dell’obiettivo cui tendono le varie tesi va rinvenuto nel fatto che il benessere degli animali ed il loro rapporto con gli interessi che gravitano intorno all’uomo sono questioni che investono indissolubilmente la società moderna la quale, nel contesto etico contemporaneo, sempre meno vede l’uomo come esclusivo titolare del bene morale da perseguirsi anche eventualmente a discapito della natura.
La sempre maggiore inclusione della natura nel panorama umano ed il divenire della stessa sempre più oggetto delle più disparate attività umane ha fatto sì che l’homo sapiens, diventato pericoloso per l’ambiente e per il mondo animale[5], sia giunto a porsi domande su come le proprie convenienze possano essere soddisfatte tramite attività meno invasive e dannose, dal momento che l’incolumità della natura è fondamentale per la sopravvivenza dell’umanità[6].
Mutata in tale maniera la percezione nei confronti degli animali non-umani, l’eco del cambiamento dell’opinione pubblica è oggi arrivata alle “porte della legge” che, ritenuta non più adeguata alle sfide moderne, appare bisognosa di rimaneggiamento.
Si è così assistito, oltre che ad interventi normativi, in alcuni ambiti troppo minimi, ad interessamenti giurisprudenziali che, da un lato, accettando l’ingrato compito di forzare le maglie del diritto, hanno accresciuto la protezione degli animali e, dall’altro lato, hanno evidenziato la mancanza di un intervento più pregnante del legislatore.
Ciò nonostante, l’intervento della giurisprudenza deve comunque essere apprezzato poiché il diritto non è formato dalle sole norme “scolpite su pietra”, ma anche dal complesso di valori morali ed etici, bisogni ed interessi espressi da una società in un dato momento storico, elementi che, in quanto caratteristici della fisiologica mutevolezza delle realtà sociali, creano non poca tensione rispetto al principale compito del diritto, che è quello di garantire l’ordine[7].
Infatti, se il confine labile tra diritto e non diritto è pur sempre disegnato da quel “minimo etico” rintracciabile in una società con specifici pensieri e aspettative diffusi al suo interno, ciò non pone comunque al riparo da necessarie scelte politiche che vanno espresse per il tramite di interventi normativi tali da garantire una maggiore certezza nei rapporti.
L’eccessiva libertà di scelta (e l’eccessiva libertà nell’interpretare), infatti, può “spaventare” e richiede, allora, almeno una minima ingerenza del diritto: in fondo, il pensiero al di là del diritto non si forma solo perché il medesimo non è ancora arrivato, ma perché si è consapevoli che può arrivarvi e, anzi, prima o poi vi arriverà[8].
2. Il difficile dibattito (filosofico o giuridico?) sullo status e sui diritti degli animali
Il dibattito principale che caratterizza l’animal law è se alle bestie debba essere riconosciuta o meno la personalità giuridica, con conseguente loro astrazione dalla categoria delle “cose” (c.d. “dereificazione”) e se, quindi, si possa parlare non più di un “diritto per gli animali” quanto invece di un “diritto degli animali” quali soggetti titolari di diritti in sé e per sé.
Il quesito affonda le radici nel progresso scientifico che ha portato a comprendere come anche gli animali non-umani, al pari dell’uomo, siano esseri senzienti, cioè esseri che provano sentimenti, che soffrono, che sperimentano la felicità, che hanno interessi propri (alla vita, a sopravvivere, a non patire la fame, a non patire il dolore, etc.…), cioè esseri viventi in grado di provare una vasta gamma di stati soggettivi, di averne consapevolezza e di farne esperienza[9].
Consolidata l’attribuzione della senzienza anche alle bestie, è nel contesto etico-morale che, in primis, va posto l’interrogativo se le leggi a protezione degli animali debbano avere dei limiti intrinseci rispetto a quanto agli animali sia effettivamente consentito ottenere come tutela e se l’interesse degli animali possa consistere in una piena protezione in quanto esseri aventi un valore intrinseco o se tali limiti possano minare il raggiungimento non solo di una tutela piena, ma anche la previsione di una addirittura minima.
Le risposte fornite dalla società e, in seconda battuta, dagli ordinamenti, sembrano oggi attingere maggiormente alle visioni del c.d. “Welfarismo animale” nella sua veste classica più risalente (Classic Welfarism[10]), meno in chiave moderna (New Welfarism o Protezionismo Animale[11]) che vorrebbe l’attualmente prevista tutela solo quale primordiale punto di partenza per un conclusivo riconoscimento di diritti soggettivi in capo agli animali.
Infatti, in posizione intermedia tra l’anacronistico negazionismo di qualsivoglia tutela degli esseri animali[12] e la corrente dell’Abolizionismo[13], l’impostazione maggioritaria attuale, ci sembra, pur non mettendo da parte gli interessi degli animali che sono sempre più visti come meritevoli, prende pur sempre in esame anche quelli umani in ottica comparativa, sancendo, di fatto, la sussistenza (ancora) di una certa disuguaglianza tra uomo e bestia.
Se da un lato si è quindi posto l’accento anche sugli interessi degli altri esseri viventi senzienti, in quanto doverosamente destinatari di una sempre maggiore attenzione affinché le attività umane non cagionino loro sofferenze eccessive, immotivate e non necessarie, dall’altro lato non si è tuttavia negata la possibilità che gli animali possano essere detenuti come proprietà, usati, uccisi[14].
Nella dicotomica disputa tra Welfarismo ed Abolizionismo[15], il problema pare essere affrontato ancora tramite un’etica c.d. “utilitaristica” (anche detta “consequenzialistica”), cioè ritenendo che gli animali siano portatori di un interesse morale e siano quindi meritevoli di considerazione da parte, però, di un agente morale che è comunque pur sempre l’uomo.
Pertanto, l’essere umano, nel valutare l’interesse di cui è portatore il “paziente morale” (id est l’animale), anche laddove agisca per interessi esclusivamente di quest’ultimo, interviene massimizzando ed ottimizzando il bene e minimizzando il male, comunque presente, tramite un asettico calcolo di ragion pratica.
Ciò accade in quanto l’uguaglianza è sì alla base della senzienza, che appartiene a tutte le specie del “mondo animale”, siano esse umane o non-umane, ma il paradosso, ovviamente risolto il più delle volte a favore dell’uomo, è che in caso di conflitto insanabile tra gli interessi, la soluzione “preferita” è quella non tanto di trattare le due specie viventi alla stessa stregua in tutti quanti gli aspetti “in gioco”, bensì quella di considerarli solo in partenza uguali.
Sotto l’aspetto pratico, ciò significa che lo “specismo”[16] risulta oggi ancora solamente attenuato, non già eliminato, giacché la specie umana può vantare pur sempre l’applicazione di un diverso trattamento a esseri viventi con differenti interessi in conflitto tra loro[17].
In fondo, però, un’impostazione antroporelazionale, sebbene doverosamente riletta in chiave di senzienza animale e dei principi ad essa afferenti, risponde perfettamente alla pur necessaria presa di coscienza che il diritto è un qualcosa creato dagli uomini per gli uomini[18].
Così, nella consapevolezza che le sfide si poggeranno su di un substrato costituito da una comunità umana che si trova ancora in un limbo decisionale, non avendo la società ancora fatto proprie quelle scelte che renderebbero gli animali effettivamente propri parigrado (un esempio per tutte, quella del veganismo, sebbene sempre più diffuso[19]), l’intervento del legislatore e buona parte del pensiero giuridico hanno teso più ad “ingrandire le gabbie” in cui sono rinchiusi gli animali (per assicurargli comunque un’esistenza dignitosa e condizioni di vita migliori) che non ad eliminarle del tutto[20].
Ad ogni modo, la presa di coscienza delle diverse visioni filosofiche ha indotto a spostare gli interrogativi etici-morali sul piano giuridico e, quindi, ha instillato il dubbio se anche agli animali potesse essere riconosciuta la soggettività giuridica e potessero essere attribuiti diritti.
Ma, per quanto seducente, si ritiene che tale discorso non sia stato sempre posto in maniera corretta, avendo preso le mosse da una posizione di fondo che non distingue tra l’uso etico/morale e quello legale del termine “diritti”.
Se i diritti morali delle bestie, così concepiti nel pensiero filosofico, sono sempre più espressi in forma giuridica, bisogna rilevare che i diritti “legali” non sono diritti “morali” (o “etici”) semplicemente copiati ed incollati tra le righe di un ordinamento come norme giuridiche[21].
Il riconoscimento di uno status morale agli esseri non umani, infatti, pur possibile in astratto, non implica l’attribuzione istantanea di diritti (soprattutto “legali”) tout court, dovendosi ritenere inattuabile la trasformazione automatica dei diritti etici e morali in diritti legali.
Perciò, l’utilizzo di un linguaggio giuridico per identificare le aspettative di protezione degli esseri viventi non-umani porta con sé diversi problemi teorici (oltre che pratici), tra i quali quelli di inquadrare in che cosa esattamente tali “diritti” consistano e a quali bestie potenzialmente riconoscere tali “diritti”: ma alla fine, un simile argomentare, rimanda in maniera più pragmatica ad un linguaggio etico sul limite oltre il quale le attività dell’essere umano devono essere fermate.
Con ciò non si vuole dire che un simile questionare sia sbagliato o sia fine a se stesso, anzi, proprio tale linguaggio può efficacemente rappresentare la meritevolezza della tutela dell’ambiente e degli animali e, in modo pragmatico, dare maggiore visibilità alla richiesta di considerazione non solo etica, ma anche normativa, erodendo una posizione eccessivamente antropocentrica e potenziando la normativa a loro dedicata[22]: bisogna solo avere ben chiara la traduzione dall’“idioma filosofico” all’“idioma giuridico”.
2.1 (segue) ed i suoi risvolti nell’ordinamento italiano
Il discorrere etico-morale e la mutata coscienza sociale, hanno portato il dibattito giuridico sull’opportunità o meno del superamento dell’oggettività degli esseri animali e del loro inquadramento non più nella categoria delle “cose”, bensì in quella delle “persone”.
Tuttavia, nonostante il noto dibattito dottrinale che ne è derivato, con posizioni tutte, almeno in minima parte, apprezzabili, ognuna sotto aspetti diversi, e le varie pronunce della giurisprudenza, la sfida non ha ancora portato la legge (rectius l’uomo) a concedere agli animali alcun diritto soggettivo da tutelare in via diretta[23].
Non può parlarsi però di fallimento, perché comunque si è assistito ad un elogiabile ampliamento dei doveri di protezione e dei divieti di comportamento da parte dell’uomo, con la sopravvenienza di quella categoria ibrida che la dottrina ha saggiamente identificato quale forma di “oggettività attenuata”[24], superando grazie a tale tertium genus, anche in modo debitamente pragmatico, l’impasse sulla dicotomia cose-persone e quelle posizioni troppo ferme ora sull’una ora sull’altra tesi.
Così, se il baricentro della disciplina è stato effettivamente spostato sull’animale in quanto essere senziente avente un valore intrinseco (oltre che un valore per l’uomo) e portatore di interessi anche propri, l’impostazione attualmente più conveniente appare quella di affrontare il problema evitando di entrare nel ginepraio delle idee sull’opportunità o meno di conferire una certa forma di soggettività, preferendo inquadrare le bestie quali “oggetti senzienti” protetti tramite obblighi e doveri imposti all’essere umano e trascurando al contempo la posizione giuridica del diritto o della facoltà (o comunque di una qualsivoglia posizione attiva del rapporto giuridico).
In fondo, un simile atteggiamento, che in fondo rispecchia la percezione di maggioranza nella comunità umana, traspare da diverse norme dell’ordinamento (penali, civili, di diritto amministrativo[25] e finanche di derivazione comunitaria) e dalle relative letture giurisprudenziali.
In ambito penale, brevemente, si può rinviare alle fattispecie dei “Delitti contro il sentimento per gli animali” (e non, si noti, degli animali)[26], cioè, letteralmente, contro il sentimento che gli umani provano verso l’animale che patisce il comportamento del reo. Sebbene la giurisprudenza sia giunta a ritenere che tali fattispecie di reato non abbiano quale bene giuridico presidiato solo esclusivamente il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali, ma anche proprio la sensibilità psico-fisica, la salute e la vita dell’animale stesso anche qualora non si determinino in esso processi patologici[27], bisogna in ogni caso prendere atto che, per far operare una simile forma di tutela, se si vuole, diretta, non appare comunque necessaria l’attribuzione della soggettività giuridica o di diritti alla bestiola[28].
In ambito civile, poi, pur ondeggiando tra interventi normativi che hanno avuto quale scopo (se non unico, almeno prioritario) quello di tutelare interessi umani e quelli che hanno fatto prevalere interessi animali, in nessun caso si è giunti a sposare una posizione abolizionistica, nemmeno in veste temperata di mero riconoscimento della soggettività giuridica o di diritti veri e propri.
Così l’art. 16, lett. b), della l. 11 novembre 2012, n. 220, recante “Modifiche alla disciplina del condominio in edifici” (che ha aggiunto un ultimo comma all’art. 1138 c.c.), che, prevedendo l’illegittimità dei regolamenti condominiali che vietano il possesso o la detenzione di animali domestici da parte dei condòmini, ha apportato non tanto un beneficio diretto agli animali[29] a vivere in qualsivoglia abitazione disponga il “padrone”, quanto invece al condomino a non vedersi limitate le facoltà, ricomprese nel diritto di proprietà, sulle porzioni del fabbricato che gli appartengono individualmente in esclusiva[30].
Nello stesso senso l’art. 30 del d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79, c.d. “Codice del Turismo” (recentemente modificato dal d.lgs. 21 maggio 2018, n. 62) il quale, stabilendo che “.. lo Stato promuove ogni iniziativa volta ad agevolare e favorire l’accesso ai servizi pubblici e nei luoghi aperti al pubblico dei turisti con animali domestici al seguito …”, rammostra una tutela diretta all’interesse del “padrone” umano a portare in vacanza con sé il proprio animale domestico[31].
In posizione intermedia si pone l’art. 77 della c.d. legge sulla “Green Economy”[32] che, nel sancire l’impignorabilità degli “.. animali di affezione o da compagnia tenuti presso la casa del debitore o negli altri luoghi a lui appartenenti, senza fini riproduttivi, alimentari o commerciali [ndr e degli] animali impiegati ai fini terapeutici o di assistenza del debitore, del coniuge, del convivente o dei figli…”, da un lato, accresce la tutela del “padrone” umano che abbisogna dell’animale e, dall’altro lato, comporta ad ogni modo un beneficio anche all’animale a non patire un distacco da colui con il quale vanta un legame[33].
Sempre in posizione intermedia anche la l. 14 agosto 1991, n. 281, “Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo” che, come dichiarato all’art. 1, si è posta quali obiettivi, da un lato, quello della tutela dell’ambiente e degli animali nello specifico[34] e, dall’altro lato, quello di favorire la corretta convivenza tra l’uomo e l’animale e quello della tutela della salute pubblica (questi ultimi due citati rinviano a interessi prettamente umani).
Più a favore degli animali e dei loro interessi si pongono altre norme quali, ad esempio, quelle in materia di protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici[35] o per la sperimentazione di prodotti cosmetici[36], quelle a protezione degli animali durante il trasporto[37], o, ancora, negli allevamenti[38] o durante la macellazione o l’abbattimento[39], o quelle a protezione del c.d. “animale-atleta”[40], o anche, infine, il Codice della Strada[41].
La casistica è sterminata.
Dove poi è mancata la littera legis, è comunque intervenuta la giurisprudenza che, pur non riconoscendo alcuno status di soggettività animale o alcun suo diritto, ha comunque consolidato l’indirizzo evolutivo principalmente, però, nelle controversie aventi ad oggetto pets che non in quelle aventi ad oggetto animali selvatici o da reddito o animali tout court, sintomo della maggiore attenzione che la società riserva a tale categoria e del fatto che l’homo sapiens non è ancora pronto al completo superamento dell’utilizzo/sfruttamento di tutte le specie animali.
Una siffatta impostazione porta a distinguere le attenzioni che vengono riservate alle bestie che, pur sempre secondo esigenze riferibili in primis all’uomo, hanno un valore economico, da quelle che invece hanno finanche e soprattutto un valore affettivo, sulla scorta del rilievo costituzionale (applicando l’elastica norma dell’art. 2 Cost.) del diritto soggettivo dell’essere umano ad avere un animale domestico, quale propaggine dell’individuo[42].
Si può allora rinviare a quelle pronunce che hanno statuito il diritto del padrone, ricoverato, a che il proprio animale possa fargli visita[43] o a quelle che hanno sancito il diritto del detenuto ad avere un “colloquio” con il proprio animale[44], ovvero a quelle che hanno riconosciuto il risarcimento del c.d. “danno interspecifico”[45].
Ancora, quale elemento di tutela del sentimento dell’animale verso l’uomo e non solo di quest’ultimo verso l’animale, vanno pure richiamate quelle statuizioni che, in caso di crisi di coppia, per meglio tutelare il pet hanno persino applicato in via analogica le disposizioni ed i principi dettati in tema di affidamento dei figli[46]: orientamento oggi univoco in giurisprudenza ed apprezzato in dottrina.
Ad un risultato del tutto assimilabile alle considerazioni sin qui svolte, conduce anche l’analisi della recente riforma costituzionale.
Se infatti la riforma costituzionale del 2022, nel tentativo di allineare la Costituzione italiana alle avvertite esigenze di innovare il rapporto con l’ambiente e con gli animali non-umani, ha da un lato riformato l’art. 9[47] sulla scia di altre esperienze europee[48], dall’altro lato non solo non ha attribuito alcuna soggettività a quest’ultimi, ma non ha osato nemmeno qualificarli quali esseri senzienti, come invece ci si sarebbe aspettato[49].
Orbene, se la “neonata” individuazione delle bestie quali destinatari autonomi di protezione, secondo taluni, equivarrebbe a riconoscere un’almeno minima forma di soggettività pure in assenza di uno specifico richiamo alla senzietà[50], non si può comunque negare l’emergere di un segnale forte riferibile al continuum dell’evoluzione nella percezione dell’animale non-umano e di un progetto di lungo periodo laddove si elevano gli altri esseri viventi ad un rango che, sebbene non sia (ancora) paragonabile a quello di una persona umana, permette ad ogni modo di considerarli un vero e proprio valore per la Repubblica anche in quanto portatori di propri interessi autonomi[51].
2.2 (segue) e negli ordinamenti degli altri Paesi europei ed extra-europei
Ma l’Italia non è la sola.
Discorso del tutto identico vale per quasi tutti gli ordinamenti stranieri: tanto quelli capofila nella tutela animale (id est Germania, Francia, Spagna su tutti) quanto gli altri, rammostrano una visione del tutto similare a quella italiana, segno inequivocabile del fatto che legislazioni diverse hanno sinora tenuto conto delle aspettative, degli interessi e delle aspirazioni delle omogenee società degli umani di garantire una sempre maggiore tutela delle bestie, ma senza arrivare ad attribuire alcuna soggettività o alcun diritto azionabile dagli animali, all’interno di un processo di “dereificazione” ancora in itinere.
Il discorso vale, in particolare, per i Paesi facenti parte del c.d. “blocco occidentale” o che comunque con esso condividono più elementi, usi, costumi, mentre rimangono ancorati ad una visione ancora eccessivamente antropocentrica ed arcaica gli ordinamenti di quelle culture più distanti, nei quali, tuttavia, esiste comunque un dibattito sempre più diffuso, anche se ancora primordiale.
È il caso, in primis, della Cina, ove le bestie non solo non sono titolari di alcun diritto (nemmeno in chiave morale o etica), ma non sono ancora considerati nemmeno esseri senzienti o aventi un proprio intrinseco valore. La Repubblica Popolare Cinese manca di una efficace forma di protezione della specie animale, spesso prevalendo l’interesse dell’uomo al suo sfruttamento (si pensi che in Cina gli animali da compagnia sono ancora offerti come pietanze[52]); le poche leggi in materia (spesso rilevanti più a favore degli animali selvatici che non di quelli “di casa” o “da reddito”[53]) sono poste più garantire una migliore forma di sfruttamento, mancando persino una normativa contro la crudeltà ed i test scientifici[54].
Alla Cina possono essere avvicinati anche alcuni altri Stati africani e dell’Asia orientale che usano l’istituto della proprietà, nella sua veste più ampia possibile, allorquando si parla di animali, continuando a percepirli come semplici “cose” e non applicando alcuna forma nemmeno minima di quella “dereificazione”[55].
Salvo le eccezioni citate antea, ad ogni modo, quasi tutti gli ordinamenti stranieri tendono comunque ad una visione più “pet-friendly” laddove, pur non sposando visioni etiche estremiste o comunque tali da permettere un’equiparazione in tutto e per tutto degli animali (anche solamente quelli “d’affezione”) all’uomo, hanno varato riforme che permettono di considerarli non più meramente cose (incorporandoli in un quadro della proprietà più ampio), indipendentemente dal fatto che qualcun altro (id est l’uomo) li valuti utili o apprezzabili[56].
Tra questi sistemi rientrano, oltre quelli che attribuiscono valore agli animali sulla scorta di concezioni culturali che affondano le radici nella spiritualità e nella religione (ci si riferisce, ad esempio, all’India[57], ad Israele[58] e ad alcuni Stati africani[59]), anche quelli degli altri Stati Occidentali extra-europei (tra i vari: Sud Africa[60], Stati Uniti[61] e Australia[62]).
Anche i codici e le normative degli altri Paesi europei, al pari dell’Italia, approcciano infine la questione animale rinviando al romanistico dualismo persone-cose, con attenzione a non stravolgere le categorie giuridiche, ma apprestando al contempo piena tutela all’animale in quanto essere senziente e non mero “oggetto”[63].
I modelli austriaco, tedesco e svizzero[64], più di altri, sembrano essersi posti più distanti dalla tradizionale concezione antropocentrica, avendo già da diversi anni qualificato “in negativo” l’animale, sancendone nei propri codici civili la non appartenenza alla categoria delle cose.
La Francia[65], poi, dopo annosi dibattiti, è giunta ad emanare una specifica legge statale a tutela delle bestie e similarmente hanno fatto, tra gli altri, il Portogallo[66] e la Spagna[67], anche quest’ultima adottando, però, una formula di compromesso laddove ha fornito la definizione di animale in negativo, ma allo stesso tempo ne ha confermato l’assoggettabilità, in determinati casi, al regime giuridico dei beni purché in maniera compatibile con la loro natura[68].
3. Le difficoltà nel far operare i rimedi della compravendita di un bene viziato alla (ancora oggi) “res” animale.
Il contesto sinora illustrato è utile per poter sostenere che l’inquadramento degli animali nella categoria delle “cose” non deve suscitare troppo scalpore, né eccessiva preoccupazione.
Certo, l’attribuzione alle bestie della qualifica di “res” tout court va ritenuta arcaica ed è infatti oggetto di erosione da parte dei legislatori di diversi ordinamenti, situazione che porta a dubitare della futura tenuta del confine persone-cose, frontiera che oggi appare sempre più mobile a causa dei continui sconfinamenti di pensieri e tendenze animalocentriche[69]; d’altro canto, però, l’attuale percezione della società porta a ritenere che gli animali non possano che essere (ancora) inquadrati in nessun’altra categoria all’infuori di quella dei beni, sebbene con molti caveat.
Questo vale soprattutto per gli animali annoverabili nella categoria dei pets[70], in misura minore invece per quelli “da reddito” o per quelli “selvatici” in quanto destinatari di un’attenzione quantificabile in una cifra direttamente proporzionale al legame e all’interesse che pur sempre l’uomo ancora ritiene di vantare verso di essi (cacciare, mangiare, utilizzarli per la guardiania, nelle gare sportive, etc.…[71]).
Alla luce di tali visioni, il problema della qualifica o meno della bestia come “res” si acuisce, in particolare, nella compravendita poiché, anche se ontologicamente tale contratto ha per oggetto le “cose”, comunque va valutata la sempre più avvertita e condivisa esigenza di inquadrare la bestiola come centro autonomo di imputazione delle posizioni di tutela[72].
Qualcuno in dottrina “ha storto il naso”[73] rispetto a quelle posizioni dottrinali e pronunce giurisprudenziali[74] (ritenendole una battuta di arresto del cammino evolutivo della protezione degli animali) che, non limitandosi a ricondurre il pet (solo) alla categoria delle “cose”, lo aveva addirittura qualificato quale “bene di consumo”, con conseguente applicazione della normativa del Codice del Consumo[75] in luogo di quella civilistica[76] e, quindi, secondo tali contestazioni dottrinali, quasi a voler ancor di più svilire il ruolo della bestiola.
Tuttavia, va osservato che l’applicabilità della disciplina sulla vendita di beni di consumo alla vendita di animali trova riscontro non solo nella nuova formulazione dell’art. 128, c. 2, Cod. cons.[77], che ha posto la parola “fine” al dibattito, ma persino nella versione precedente.
In primis, perché, notoriamente, la tassatività dell’elencazione dei beni esclusi dalla nozione di “bene di consumo” permetterebbe, a contrario, di ritenere inclusi quegli animali che assicurano compagnia o che soddisfano i bisogni alimentari dell’acquirente e della sua famiglia.
Sul punto, in effetti, va pure segnalato che non è apparso corretto tentare di sostenere che, sulla scorta della seconda parte dell’art. 128 cod. cons., che assimila alla vendita “.. tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o da produrre …”, gli animali sarebbero esclusi da simile qualificazione in quanto sarebbe difficile il loro inquadramento nei concetti della “fabbricazione” o della “produzione”[78].
Infatti, la precisazione operata dalla norma è apparsa tesa semplicemente ad allargare l’ambito di applicazione della disciplina consumeristica anche a quei contratti aventi ad oggetto beni ancora non esistenti al momento della conclusione dell’accordo negoziale, ma ancora da realizzarsi; mentre non era scopo della previsione quello di specificare le caratteristiche che la “res” avrebbe dovuto possedere per poter rientrare nell’ambito della disciplina consumeristica[79].
Né tantomeno è valso lo sforzo di fondare l’eccezione sulla specificità ed individualità della “cosa” compravenduta, così riconducendosi l’animale alla categoria dei beni infungibili[80], dal momento che, anche a voler validare una simile visione, rimarrebbe al massimo escluso, come noto, il rimedio (in caso di vizi) della sostituzione perché da considerarsi impossibile[81], comunque esattamente trovando applicazione proprio la normativa consumeristica in tema di beni usati che, ontologicamente, sono infungibili[82].
Oltretutto, l’avvalorare la prima delle due posizioni (ovvero quella di non applicazione del Cod. cons. per infungibilità del bene) porterebbe persino ad una deprecabile aleatorietà, ovvero a dover caso per caso verificare l’effettiva infungibilità della bestiola alla luce della relazione instauratasi tra l’acquirente e l’animale, prova, si ritiene, troppo esposta ad un “uso improprio” da parte del consumatore acquirente a meno che non si sposi la tesi della c.d. “infungibilità oggettiva” ritenendo che tutti gli animali, e non solo quelli “d’affezione”, siano “pezzi unici”, rendendo così irrilevante la verifica, di volta in volta, dell’intensità del legame con il “padrone”[83].
Al massimo si potrebbe ritenere che la citata intensità del legame animale-acquirente possa rilevare in ottica dei rimedi esperibili da quest’ultimo nel caso di vizi della bestiola acquistata. In simili circostanze, potrebbe sostenersi che la verifica del legame affettivo operi in maniera tale da non consentire la scelta dei rimedi della sostituzione o della riparazione laddove gli stessi rischierebbero di lesionare/deturpare il pet o addirittura di farlo morire, contravvenendo così all’interesse del consumatore (quindi, anche in questo caso, pur sempre primariamente dell’uomo, si noti) a non essere vittima di inconvenienti “.. tenendo conto della natura del bene e dello scopo …” per il quale è stato acquistato: così secondo la formulazione offerta dalla Direttiva UE 2019/771[84] di modifica del Cod. Cons..
Cionondimeno, anche un simile ragionare porta a ravvisare comunque un certo grado di aleatorietà laddove l’interprete, chiamato ad una valutazione del caso concreto, sia posto nella condizione di dover ricercare, caso per caso, la chiave di volta dell’impraticabilità del rimedio di stampo consumeristico, qui addirittura di più larghe (e pericolose per la certezza del diritto) maglie rispetto all’“.. oggettivamente impossibile …” di cui all’art. 130 Cod. cons..
A smentire, poi, definitivamente la paventata impossibilità di ricondurre gli animali nel novero dei “beni di consumo”, è di recente intervenuta la normativa sovranazionale con la antea richiamata Direttiva UE 2019/771, il cui art. 3, par. 5, lett. b), che ha attribuito agli Stati membri la facoltà di escludere dall’ambito di applicazione dei Codici del Consumo nazionali i contratti aventi ad oggetto gli animali vivi: a contrario, pertanto, se ne deduce inconfutabilmente che gli animali vivi erano (e sono) da intendersi inclusi nella normativa consumeristica.
Eppure, il problema relativo alla esperibilità dei rimedi in caso di acquisto di un animale da compagnia “viziato” non sembra potersi dire sopito, essendo la normativa consumeristica tesa a garantire al consumer un’immediata e facilmente raggiungibile liberazione da una posizione di svantaggio (e, più nello specifico, dal bene malfatto) e dal rapporto con il venditore (parte forte del rapporto sulla quale deve permanere l’effetto negativo di aver ceduto un qualcosa di difettato).
Infatti, posto che gli artt. 13 e ss. del Cod. cons. consentono all’acquirente, alternativamente, di scegliere tra il ripristino della conformità del bene (riparazione e sostituzione), la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto (quest’ultima con restituzione dell’animale), ognuna con le dovute limitazioni ove previste e ricorrenti, si fa strada il dubbio se, alla luce dell’impianto normativo complessivamente oggi vigente (non da ultimo illuminato dai nuovi principi costituzionali ex art. 9 Cost.) e del comune sentire, possa dirsi corretto qualificare le problematiche di salute di un animale da compagnia quali “vizi della cosa” e così esporlo, in quanto “prodotto difettoso”, alla potenziale riconsegna al venditore, con conseguente sua sostituzione con un altro “bene” questa volta “in salute”.
E ciò potrebbe avvenire, si osservi, anche eventualmente a distanza di molto tempo (secondo il termine posto a garanzia del consumatore) e quindi in costanza di un legame affettivo oramai consolidatosi[85].
Il quesito è stato sinora lasciato, se così si vuole dire, in balìa del “buon cuore” dell’acquirente, con non nascosto apprezzamento tutte quelle volte in cui quest’ultimo abbia optato (ma a sua insindacabile discrezione) per i rimedi meno incisivi della riduzione del prezzo e del risarcimento del danno, preferendo tenere con sé l’animale (o evitare la scelta della riparazione, con sottoposizione dell’animale a cure veterinarie incerte e probabilmente a carico di soggetti terzi dal medesimo non incaricati) in considerazione, presumibilmente, dell’unicità e dell’intensità del legame affettivo/familiare[86].
Nemmeno, poi, la possibilità di non inquadrare le vendite di animali nella disciplina consumeristica, recentemente offerta dal legislatore europeo e non colta dall’Italia[87] (diversamente da altri Paesi europei[88]), avrebbe potuto offrire una soluzione “di giustizia”, atteso che il Codice Civile mette a disposizione dell’acquirente la facoltà di richiedere comunque la risoluzione del contratto, con rinnovo delle medesime problematiche antea esposte.
L’operare attuale dei rimedi, quindi, appare, se si vuole, oltremodo casistico ed aleatorio e non in linea con i valori vigenti o che si sta tentando di infondere nella società moderna.
Se si analizza, infatti, ciò che accade in tutte le situazioni in cui un animale è coinvolto (soprattutto un pet), ci si accorge che, spesso le norme sono fatte oggetto di una esegesi volta a favorire un’interpretazione orientata verso l’animal welfare[89], facendo retrocedere quell’interpretazione, invece, troppo letterale o non rispettosa della senzienza animale.
Se, come detto, gli animali debbono essere ancora oggi considerati alla stregua di “beni” (sebbene in forma attenuata), giocoforza va applicata la normativa in materia di compravendita ed in particolar modo quella di stampo consumeristico in quanto prevalente ed oggetto di preferenza da parte del legislatore europeo e nazionale, accordandosi così una tutela più opportuna al consumatore, anche in ottica di protezione del mercato da condotte scorrette delle aziende parte forte del rapporto di compravendita.
Ma un limite alla tutela del consumatore va ritrovato, oggi, nelle trasformate percezioni ed aspettative della comunità degli uomini in tema di animal law, confermate peraltro dagli orientamenti normativi, dottrinali e giurisprudenziali più recenti.
Un simile operare, però, non deve apparire come un qualcosa di estraneo, perché non si deve dimenticare che, ad ogni modo, l’obiettivo di un elevato livello di protezione di ogni consumatore, garantito dall’art. 38 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE), deve pur sempre raccordarsi con l’art. 5, c. 4, del Trattato sull’Unione Europea (TUE) il quale ricorda che “.. in virtù del principio di proporzionalità …” le politiche dell’Unione “.. si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati …”.
Ebbene, uno degli obiettivi dei trattati, non è anche proprio quello di accrescere la tutela della natura?
Se uno dei traguardi dell’impianto normativo eurounitario è, infatti, come evidenziato dall’art. 13 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE)[90], quello di tenere pienamente conto delle esigenze connesse al benessere degli animali in quanto esseri senzienti, ecco che anche al consumatore acquirente dovrebbero essere imposti alcuni limiti che il diritto ha in qualche modo già conosciuto allorquando ci si è ritrovati a ragionare sulla figura del reasonable consumer, sebbene, va detto, in altri contesti[91].
Re melius perpensa, si vuole sostenere che non si possa arrivare ad anteporre il dogma consumeristico, il quale vede il consumatore in una presunzione di assoluta debolezza sempre e comunque meritevole di protezione, con il rischio di convalidare un agire tale da potenzialmente interrompere quel circolo virtuoso tra protezione consumeristica da un lato (che sarebbe comunque garantita dagli altri rimedi, comunque efficaci, di stampo sia consumeristico sia, qualora si ritenesse, codicistico) e principi dell’ordinamento dall’altro (da ultimo espressi in maniera più tangibile anche dalla Carta costituzionale), ma va viceversa ottimizzata la valutazione complessiva degli interessi in conflitto, contemperandoli.
L’interesse, nel caso di compravendita di un pet, peraltro, è anche quello intrinseco a quest’ultimo ad evitare sofferenze derivantegli dal troncamento del rapporto con il proprio “padrone” o comunque dal “ping-pong” che potrebbe instaurarsi tra consumatore-veterinario-venditore[92]: un interesse nemmeno troppo astratto, ma risultante da una lettura complessiva delle norme giuridiche del nostro e di altri ordinamenti e delle norme morali della comunità umana.
Un simile ragionamento, peraltro, si è andato recentemente affermando in Francia e, non da ultimo, è stato fatto proprio dalla giurisprudenza d’oltralpe, la quale è giunta a negare l’uso del rimedio della sostituzione della “cosa animale” facendo leva sulla sua qualità di essere vivente, unico ed insostituibile, e destinato per sua natura a ricevere l’affetto del suo padrone[93], così evidenziando la serietà e l’importanza dell’impegno che ci si assume con l’acquisto di un animale domestico.
4. Minime conclusioni de iure condendo
La compravendita di animali da compagnia non può consistere nell’inespressivo e materialistico scambio di una cosa qualsiasi[94].
Se l’etimologia della parola “persona” è legata al verbo latino “personare”, letteralmente “risuonare attraverso”[95], una qualche voce gli animali ce l’hanno (rectius qualche verso gli animali non-umani lo emettono) e pur sempre sono mobili non già nel senso di tutti i beni mobili (che senza un’azione dell’uomo sarebbero anch’essi immobili per natura), ma perché si muovono per moto proprio[96].
In fondo, se qualcuno[97] aveva indicato, quali elementi di partenza della “de-objectification” degli animali, quelli della creazione di una categoria sui generis, dell’applicazione del best interest of the pet nei conflitti familiari e della impignorabilità degli animali da compagnia, si ritiene che l’Italia, a tratti tramite l’opera del legislatore e a tratti tramite l’intervento delle fonti integrate del diritto, abbia soddisfatto almeno questi aneliti; ma ne mancano molti altri.
Non ritenendo che la sempre più attenuata oggettività possa essere il fondamento per rivendicare un’effettiva personalità giuridica degli altri esseri viventi e quindi tale da rendere impossibile “dire chi è l’uomo e chi l’animale”[98], ogni animale (pet, “da reddito” od anche quello selvatico) rientra pur sempre nella categoria delle “res”, sebbene con diverse entrature.
Insistere nel fare operare le categorie romanistiche, seppur limandone i contorni, ma senza alterazione eccessiva (evitando così analogie “troppo tirate”), non porta a negare l’intrinseco valore dell’animale, anche nella sua individualità, né tantomeno fornisce un assist allo specismo.
Almeno, però, la singolarità della “cosa” oggetto di scambio deve pur valere qualcosa, anche a prescindere dal dibattito se alla compravendita debba applicarsi il Codice Civile o il Codice del Consumo, perché finanche in quegli Stati che hanno disapplicato quest’ultima normativa, o che comunque hanno adottato normative che implementano l’animal law nei vari campi del diritto, permangono perplessità[99] rispetto alla situazione dell’animale che soggiace alle (oggi ancora non contestabili in maniera efficace) scelte dell’acquirente (consumatore o meno) di far valere ora l’uno ora l’altro rimedio nel caso emergano vizi.
Ecco allora che, se le classificazioni legali servono per scopi pratici, per raggiungere i quali la realtà può essere giuridicamente deformata per il tramite di finzioni[100], una qualche finzione ulteriore, allo stato fortunatamente giustificabile persino tramite l’impiego dell’attuale versione della Costituzione, dovrebbe essere approntata da parte del legislatore.
Ponendo come ratio dell’intervento normativo quello di far ulteriormente emergere i valori e gli interessi degli animali, che pure devono essere contemperati con i diritti e gli interessi dell’uomo, si dovrebbe allora giungere a rendere inammissibile quanto meno i rimedi della sostituzione del bene e della risoluzione del contratto nella compravendita perlomeno degli “animali di casa”.
Nelle more dell’intervento del legislatore che, considerato quanto accaduto alle ultime Proposte di legge in tema di “diritto animale” o comunque recanti una primordiale forma di “Codice degli animali”[101], non si crede possa arrivare a breve, una soluzione che si può intanto utilizzare sembra esistere, ed potrebbe essere quella di interpretare la normativa consumeristica tramite i nuovi valori della società moderna, da ultimo anche costituzionalmente rafforzati.
Pena un deprecabile distacco del diritto (nonché della figura del consumatore e del mercato) dall’evoluzione del sentimento dell’Homo sapiens che sempre più tende, innegabilmente, ma senza correre, verso l’animal welfare.
[1] I numeri si rinvengono nell’Annual Report 2023 elaborato dalla “FEDIAF EuropeanPetFood” (Federazione Europea dell’Industria degli Alimenti per Animali Familiari), cui aderisce, tra le altre europee, anche l’italiana “ASSALCO” (Associazione Nazionale Imprese per l’Alimentazione e la Cura degli Animali da Compagnia): il Report è reperibile online. Per comprendere la portata del fenomeno, almeno in Europa e in Italia, sempre secondo il citato Report, nel solo 2023 la fetta di mercato della Pet Food Industry ha generato un fatturato di quasi € 30 Miliardi, con un incremento del suo valore del 5% e del volume d’affari del 3,5% solo nell’ultimo anno. Non è la rilevanza del valore economico di un problema che genera l’interesse del diritto, ma certamente questo influisce sulla speditezza dell’intervento del legislatore e, ancor di più, sull’ampiezza del dibattitto, oggi assai esteso. Per un ulteriore approfondimento dei dati si veda anche il “Rapporto Italia 2023” pubblicato dall’Eurispes, anch’esso reperibile online.
[2] Occorrendo fare chiarezza, sin da subito, sui vari termini di volta in volta utilizzati, in certi casi anche in maniera confusionaria quale sinonimo, dal legislatore italiano e dagli operatori del diritto, va rilevato che per “animale da compagnia” la Convenzione Europea per la Protezione degli Animali da Compagnia del 1987, ratificata in Italia con la l. 4 novembre 2010, n. 201, intende: “.. ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto dall’uomo, in particolare presso il suo alloggio domestico, per suo diletto e come compagnia …”. Il termine “animale da compagnia” è stato impiegato anche nell’Accordo Stato-Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano in materia di benessere degli animali da compagnia e pet therapy del 6 febbraio 2003, recepito con D.P.C.M. 28 febbraio 2003, il quale lo ha utilizzato per identificare “.. ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto, dall’uomo, per compagnia o affezione senza fini produttivi od alimentari, compresi quelli che svolgono attività utili all’uomo, come il cane per disabili, gli animali da pet-therapy, da riabilitazione e impiegati nella pubblicità. Gli animali selvatici non sono considerati animali da compagnia …”. Con il termine “animale d’affezione”, al contrario, la l. 14 agosto 1991, n. 281 (“Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo”) ha inteso fare riferimento solamente ai cani e ai gatti, anche se il termine “affezione” indicherebbe che si debba fare leva sull’inclinazione sentimentale costante (quindi anche verso un animale che potrebbe non condividere con l’uomo il proprio spazio/luogo di vita). Con il termine “animale domestico”, invece, vanno intesi quegli animali che vivono usualmente e permanentemente con l’uomo (rectius che hanno un’attitudine a vivere con l’essere umano in generale e non solo con un determinato essere umano), il quale li nutre, li protegge, ne regola la riproduzione e li utilizza nelle loro capacità di offrire aiuto, lavoro e prodotti vari. Infine, recentemente, in talune occasioni, si è fatto uso anche dell’espressione “animale familiare” laddove, intendendo fare maggiore leva sul legame affettivo uomo-animale, il sintagma ha teso a ricomprendere quegli animali domestici considerati componenti della famiglia.
[3] Ai sensi dell’art. 1, c. 2, lett. a), del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 146, “Attuazione della direttiva 98/58/CE relativa alla protezione degli animali negli allevamenti”, per “animale da reddito” si intende “.. qualsiasi animale, inclusi pesci, rettili e anfibi, allevato o custodito per la produzione di derrate alimentari, lana, pelli, pellicce o per altri scopi agricoli …”.
[4] “.. Esistono centonovantatrè specie viventi di scimmie con coda e senza coda; di queste, centonovantadue sono coperte di pelo. L’eccezione è costituita da uno scimmione nudo che si è auto-chiamato Homo sapiens …”, in D. MORRIS [trad. it. M. Bergami], La scimmia nuda. Studio zoologico sull’animale uomo, Milano, 2018, p. 11, citato anche nell’abstract da F. FASANI, L’animale come bene giuridico, in Riv. It. Dir. e Proc. Pen., 2, 2017, p. 710.
[5] D. VON DER PFORDTEN, La considerazione morale dei viventi non umani, in Frontiera della vita, Vol. IV, Treccani, 1999, pp. 905-919.
[6] Sul tema: F. ALBISINNI, Esseri senzienti, animali ed umani: nuovi paradigmi e nuovi protagonisti. Tre sentenze in cammino, in Rivista dir. alim., 3, 2020, pp. 9-25, secondo il quale la tutela del benessere animale, quale canone decisorio di portata generale (nelle specie l’Autore commenta alcune sentenze della Corte di Giustizia Europea), tende alla conservazione degli equilibri nello sfruttamento da parte dell’uomo delle risorse naturali; A. PISANÒ, La metrica dei diritti nel rapporto umano-non-umano, in D. BUZZELLI (a cura di), Animali e diritto. I modi e le forme di tutela, op. cit., pp. 47 e ss. che rinvia opportunamente alle parole di F. VIOLA, Dalla natura ai diritti, I luoghi dell’etica contemporanea, Bari-Roma, 1997, ed alla dicotomica figura dell’uomo quale “.. Prometeo irresistibilmente scatenato …” e al contempo incatenato dalla necessità di limitare le proprie scelte (che incidono sulla natura anche e soprattutto a seguito dell’inarrestabile progresso scientifico), figura impiegata da H. JONAS, Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica (1979), Torino, 1990.
[7] Si rinvia, tra le altre, alla dottrina della “giurisprudenza sociologica”, ben incarnata nel celebre aforisma “.. Law must be stable and yet it cannot stand still …” di R. POUND, Interpretations of legal history, in Cambridge University Press, 1923, p. 1.
[8] Il concetto e le parole sono di S. RODOTÀ, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Milano, 2018, passim, più in particolare pp. 16-17, ma si vedano anche F. CARNELUTTI, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, Milano, 2016, passim e G. MARTINI, L’impervio percorso della soggettività animale, in D. BUZZELLI (a cura di), Animali e diritto. I modi e le forme di tutela, op. cit., in particolare p. 117.
[9] Secondo D. J. MELLOR, Welfare-aligned Sentience: Enhanced Capacities to Experience, Interact, Anticipate, Choose and Survive, in Animals, 9 (7), 2019, p. 440 ss., la senzienza è la “.. capacity of consciously perceive by the senses; to consciously feel or experience subjectively…”.
[10] Per tutti cfr.: P. SINGER, Animal Liberation, New York, 1975, il quale riprende le posizioni già espresse da Jeremy Bentham, prima, e da John Stuart Mill, in epoca più recente.
[11] Tra i principali esponenti della corrente, cfr. R. GARNER, The political theory of animal rights, Manchester, 2008; si veda anche G. L. FRANCIONE, R. GARNER, The animal rights debate: abolition or regulation?, New York, 2010.
[12] Ad esempio, tra le varie voci, si colloca quella di Cartesio, secondo il quale gli animali sarebbero dei meri meccanismi e, mancandogli l’anima, non potrebbero in alcun modo essere paragonati all’uomo. Anche Pascal richiama la supremazia del genere umano, sulla scorta del fatto che una delle differenze immediatamente percepibili tra l’uomo e gli animali sarebbe l’assenza di un qualsivoglia minimo barlume di progresso da parte di quest’ultimi.
[13] Per tutti cfr.: G. L. FRANCIONE, Animals, Property, and the Law, in Temple University Press, 1995. Secondo tale corrente gli animali dovrebbero essere titolari di veri e propri diritti (legali non solo morali) e pertanto dovrebbe essere vietata ogni loro forma di sfruttamento da parte dell’uomo: la soluzione, unica, per approdare a tale risultato sarebbe l’abolizione definitiva dell’istituto giuridico della proprietà sugli esseri animali.
[14] In particolare, quale “minimo sindacale” per non nuocere (eccessivamente) vanno richiamate le cinque regole sul benessere degli animali elaborate nel 1965 (nel c.d. Rapporto Brambell) e poi istituzionalizzate nel 1979 dal Farm animal welfare council per lo sfruttamento degli “animali da reddito”: 1) libertà da sete, fame e malnutrizione, mediante facile e libero accesso ad acqua pulita oltre una dieta adatta a mantenersi in salute; 2) libertà dal disagio, mediante la predisposizione di un ambiente ideale con rifugi e aree di riposo; 3) libertà da dolore, ferite e malattie, mediante prevenzione o rapida diagnosi e trattamento delle patologie; 4) libertà di esprimere i normali comportamenti, attraverso spazi sufficienti, e facilitando i contatti sociali con animali della stessa specie; 5) libertà da paura e dolore, garantendo condizioni di vita e trattamenti che evitino sofferenze psicologiche.
[15] Per evitare di soffermarsi oltremodo sul tema, non essendo necessario in questa sede, si rinvia alle sole due macroaree di pensiero che comunque meglio descrivono le principali e varie posizioni filosofiche (le macroaree diventano tre se si include il New Welfarism, che comunque, come detto, rappresenta semplicemente una sottocategoria del Classic Welfarism). Ad ogni modo, non si possono non citare brevemente le posizioni che hanno provato ad andare oltre tale dicotomia, nel tentativo di migliorare le stesse correnti dottrinali, tentativo avvertito come necessario alla luce del fatto che il dibattito, soprattutto negli ultimi anni, eccessivamente saturato, non era stato in grado di offrire una soluzione soddisfacente (avendo ognuna delle correnti disvelato i propri pro ed i propri contro). In particolare, tra le varie posizioni alternative, si possono citare quella delle “Shared Multispecies Communities” (Comunità multi-specie condivise) di Sue Donaldson e Will Kymlicka che punta, più che all’abolizione di ogni forma di sfruttamento degli animali da parte dell’uomo, alla cooperazione tra le diverse specie viventi ritenendo gli animali (in particolare, però, limitatamente, quelli domestici) quali veri e propri “co-membri” parigrado della società, e quella della “Multi-Pronged Strategy” (Strategia su più fronti) di Melanie Joy, che più che un irrisolvibile dibattito tra le correnti propone un dialogo tra le stesse e volge il proprio intervento più sul “come” dialogare che sull’oggetto del dialogo in sé. Per un approfondimento: A. WEITZENFELD, M. JOY, An overview of anthropocentrism, humanism, and speciesism in critical animal theory, in A. J. NOCELLA (a cura di), Defining critical animal studies: an intersectional social justice approach for liberation, Vol. 448, Londra, 2014, pp. 3 e ss.; S. DONALDSON, W. KYMLICKA, Zoopolis: a political theory of animal rights, Oxford, 2011; amplius R. N. FASEL, S. C. BUTLER, Animal rights law, Oxford, 2023, in particolare pp. 48-51; T. STEIN, Human rights and animal rights: differences matter, in Historical social research, 40, 4, 2015, p. 55.
[16] Cioè la discriminazione verso un’altra specie. La coniazione del termine si deve a R. RYDER, Animal revolution: changing attitudes towards specism, Oxford, 1989.
[17] A. PISANÒ, Diritti deumanizzati, Milano, 2012, ritiene che “.. la tutela degli interessi degli animali non è sempre l’unico fine perseguito …”, sussistendo aspetti che mitigano l’impatto di quelle norme e quelle pronunce giurisprudenziali pro animali, ad esempio nei casi della sicurezza alimentare umana o della tutela del mercato. Ne prende atto anche M. LOTTINI, La tutela del benessere animale come interesse da tutelare, in Foro amm., 11, 2021, p. 1712, la quale, analizzando recenti pronunce del Giudice amministrativo (cfr. amplius le pronunce e la dottrina richiamata dall’Autrice) chiamato ad operare un “.. bilanciamento tra le esigenze di tutela della pubblica incolumità e le esigenze di tutela del benessere degli animali …”, si interroga se “.. le esigenze di pubblica incolumità [ndr possano] prevalere sic et simpliciter sulle esigenze di tutela della vita e del benessere di un animale …” ed in che modo proteggere tale valore se non tramite un’interpretazione estensiva delle norme a tutela degli animali; amplius si veda anche ID., La tutela degli animali in Costituzione: riflessioni e prospettive, in Riv. inter. dir. amm. pubb. 3, 2022, p. 56.
[18] E. BATTELLI, Animali non “res inanimate” ma “esseri viventi” non umani: una prospettiva funzionale di tutela del benessere degli animali oltre la soggettività, in E. BATTELLI, M. LOTTINI, G. SPOTO, E. M. INCUTTI (a cura di), Nuovi orizzonti sulla tutela degli animali, Roma, 2022, p. 15 e ss.
[19] Si rimanda alla posizione abolizionistica di Francione (o anche alla visione di M. Joy), per la quale il veganismo è una delle scelte imprescindibili che l’uomo deve compiere per poter approdare alla massima tutela degli animali.
[20] La quantomai pertinente figura delle gabbie si deve a R. N. FASEL, S. C. BUTLER, op. cit., in particolare si vedano le pp. 35 e ss. Gli Autori, riprendendo l’intuizione di S. RANDALL, J. CROWE, From inside the cage to outside the box (Natural resources as a platform for nonhuman animal personhood in U.S. and Australia), in Global Journal of Animal Law, 5, 2017, p. 54, utilizzano l’espressione “.. Bigger Cages! …” per descrivere il Classic Welfarism, quella di “.. No Cages! …” per l’Abolitionism, e quella di “.. First Bigger Cages, Then No Cages! …” per rinviare all’approccio ibrido del New Welfarism.
[21] Si veda D. VON DER PFORDTEN, op. cit., secondo il quale “.. spesso non si distingue con sufficiente chiarezza tra l’uso etico, quello morale e quello legale del termine (..) un uso indifferenziato del termine diritti non contribuisce a fare chiarezza sulle difficili questioni etiche e legali che questo riconoscimento [ndr quello dei diritti legali in capo agli animali] comporterebbe …”. Così anche T. STEIN, op. cit., la quale ritiene che “.. Moral status in general refers to a quality that is defined in one’s having universal rights (not necessarily moral duties) (..) The transfer of political concepts to human-animal-relations, especially to wild animals, is to be rejected. A political theory of human-animal relations should consider further aspects (..) Animal rights are of a different character – they reflect the duties we have as persons towards sentient beings but do not correspond with membership in a political community. With the inclusion of animals, the normative standard of democracy would become bizarre …”.
[22] Cfr., tra i vari, A. PISANÒ, La metrica dei diritti nel rapporto umano-non-umano, op. cit., in particolare alle pp. 58-59 ove l’Autore afferma che “.. l’interrogativo etico sul limite [ndr cui dare risposte tramite il] linguaggio dei diritti, per la natura, gli ecosistemi, la biosfera, è capace di esprimere, in maniera semplice, diretta, quasi popolare - seppure illuminando prevalentemente la prospettiva etica - l’idea che gli animali e la natura siano meritevoli di tutela e debbano essere rispettati e protetti …”. Si rinvia anche a E. BATTELLI, op. cit., pp. 28 e ss. e a G. CRICENTI, Biogiuridica del non umano: il caso degli animali, in D. BUZZELLI (a cura d), Animali e diritto. I modi e le forme di tutela, op. cit., pp. 105 e ss.
[23] A favore dell’attribuzione della soggettività giuridica in capo agli animali, tra i vari: F. MANTOVANI, L’“umanità” dell’animale verso l’uomo e la “disumanità” dell’uomo verso l’animale, in Scritti per Luigi Lombardi Vallauri, Padova, 2016; L. LOMBARDI VALLAURI, Testimonianze, tendenze, tensioni del diritto animale vigente, in S. CASTIGNONE, L. LOMBARDI VALLAURI (a cura di), La questione animale, Milano, 2012; G. A. PARINI, La tutela degli animali di affezione all’interno del nostro ordinamento: “le metamorfosi”, in Rass. dir. civ., IV, 2017, p. 1548; M. GASPARIN, La dicotomia “persona - cosa” e gli animali, in La questione animale, II, in Tratt. Biordiritto Rodotà - Zatti, Milano, 2011, pp. 295 e ss.; F. RESCIGNO, Gli animali quali “res senzienti”, in BioLaw Journal - Riv. di biodiritto, 2, 2019, p. 679; ID. Una nuova frontiera per i diritti esistenziali: gli esseri animali, in Giust. cost., 2006, p. 3189; P. ZATTI, La compagnia dell’animale, in P. CENDON (a cura di), Il diritto delle relazioni affettive, Padova, 2005. Contra, viceversa, tra i tanti e sempre senza pretesa di esaustività: E. DEL PRATO, Gli animali nella dimensione del diritto: qualche chiosa, in D. BUZZELLI (a cura di), Animali e diritto. I modi e le forme di tutela, op. cit., pp. 233 e ss., il quale, in breve, approcciando in maniera pragmatica il tema della protezione degli animali, ritiene che “.. la soggettività [ndr con il suo “.. fascino …”], intesa come strumento monolitico, non si presta ad essere impiegata per la protezione degli animali …” e che “.. l’edificazione di una protezione giuridica degli animali passa attraverso un itinerario distinto dall’imputazione di diritti e, conseguentemente, dalla soggettività …”; E. BATTELLI, op. cit.; ID., La relazione tra persona e animale, tra valore economico e interessi non patrimoniali, nel prisma del diritto civile: verso un nuovo paradigma, in Cult. e dir., 1/2, 2018, p. 44; C. M. MAZZONI, La questione dei diritti degli animali, in S. CASTIGNONE, L. LOMBARDI VALLAURI (a cura di), La questione animale, op. cit., scritto pubblicato anche in Belfagor, 67, 3, 2012, pp. 265 e ss.; ID., I diritti degli animali. Gli animali sono cose o soggetti di diritto?, in A MANNUCCI, M. TALLACCHINI, Per un Codice degli animali, Milano, 2011, p. 111 e ss.; S. COTTA, Soggetto di diritto, in Enc. giur., XLII, Milano, 1990, p. 1215; M. LOTTINI, op. cit.; R. SENIGAGLIA, op. cit.; F. BERTELLI, Applicabilità del codice del consumo alla compravendita di animali, in Danno e resp., 1, 2019, p. 70; M. FACCIOLI, L’applicabilità della disciplina sulla vendita dei beni di consumo alla vendita di animali, in I contratti, 1, 2019, p. 19; cfr. anche G. P. CIRILLO, Sistema istituzionale di diritto comune, Padova, 2021, in particolare pp. 232 e ss..
[24] In particolare, per tutti, C. FOSSÀ, Frammenti di oggettività e soggettività animale: tempi maturi per una metamorfosi del pet da bene (di consumo) a tertium genus tra res e personae?, in Contr. e imp., 1, 2020, p. 527 che ha letto nel neonato “tertium genus animale” un complicato e difficilmente districabile “.. mosaico di frammenti giuridici di oggettività e di soggettività …”. Parla di “.. un’oggettività “attenuta” degli animali, che ne protegga lo status con una tutela ad hoc …” anche F. BERTELLI, op. cit., p. 75.
[25] Per evitare lungaggini, non essendo il tema del presente scritto, in tema di diritto amministrativo si rinvia a: M. LOTTINI, opp. cit.; M. PALADINO, La disciplina pubblicistica dell’animale d’affezione, in D. BUZZELLI (a cura di), Animali e diritto. I modi e le forme di tutela, op. cit., il quale, in particolare alle pp. 81-86, rileva che “.. l’interesse in esame non pare configurarsi come un interesse alla tutela dell’animale in sé. Non di rado, esso si intreccia con altri interessi “umani” meritevoli di tutela, di modo che la soddisfazione dell’interesse animale avviene, a dir così, solamente “in via riflessa” …”; V. CARACCIOLO LA GROTTERIA, Benessere animale e strumenti di tutela, in Dir. e giur. agr. alim. e dell’amb., 4, 2022, p. 1. Amplius si rinvia alle varie sentenze in tali scritti richiamate.
[26] Introdotti tramite la l. 20 luglio 2004 n. 189 recante “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”
[27] Cfr. tra le moltissime: Cass. pen., 8 novembre 2022, n. 537, in Dejure; Cass. pen., 8 febbraio 2019, n. 14734, in CED Cass. 2019; Cass. pen., 19 gennaio 2018, n. 15471, in CED Cass. 2018; Cass. pen., 28 aprile 2016, n. 17677, in CED Cass. 2016; Cass. pen., ord. 10 luglio 2015, n. 46560, in CED Cass. 2016.
[28] In tal senso F. FASANI, op. cit., il quale, parlando della “.. tutela policentrica che il legislatore appresta in relazione a plurimi interessi che l’uomo soddisfa attraverso agli animali …”, analizza le tre posizioni dottrinali in tema di individuazione del bene giuridico protetto dalle fattispecie penali in parola, id est quelle di cui agli artt. 544-bis e ss. e 727 c.p. (brevemente: quella del bene sentimento, quella che vede veri e propri diritti in capo agli animali e quella dell’ibridazione tra valori umani e valori animali in un unico bene interspecifico), giungendo a prediligere quella dell’animale “.. eretto a bene giuridico attraverso un riconoscimento di valore da parte dell’uomo [ndr tenendo pur sempre presente che non trattasi di riconoscere] diritti in capo agli animali [ndr ma semplicemente di una tutela diretta che pur sempre vede] l’uomo-tutelante a formulare il giudizio che si pone alla base dell’attribuzione di valore …”. Ancora, si vedano anche: M. DONINI, ‘Danno’ e ‘offesa’ nella c.d. tutela penale dei sentimenti. Note su morale e sicurezza come beni giuridici, a margine della categoria dell’“offense” di Joel Feinberg, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2008, p. 1546, il quale non ritiene che il bene giuridico tutelato sia direttamente l’animale; C. CUPELLI, La salvaguardia degli animali in Costituzione, in D. BUZZELLI (a cura di), Animali e diritto. I modi e le forme di tutela, op. cit., in particolare alle pp. 66-67, in merito alla recente riforma costituzionale dell’art. 9 Cost., sostiene che, pur trattandosi di importanti innovazioni “.. è rimasta inalterata la fisionomia del bene giuridico salvaguardato: l’oggetto della tutela sembra infatti potersi ricondurre ancora al c.d. sentimento per gli animali …”; di opposta visione, invece, C. RUGA RIVA, Diritto penale dell’ambiente, Torino, 2016. Per ulteriormente approfondire la distinzione tra la tesi del sentimento dell’uomo quale bene giuridico tutelato, quella che invece spinge per un riconoscimento di un vero e proprio diritto in capo agli animali e quelle ibride, tra i vari si veda anche: C. MAZZUCATO, Bene giuridico e "questione sentimento" nella tutela penale della relazione uomo-animale. Ridisegnare i confini, ripensare le sanzioni, in S. CASTIGNONE, L. LOMBARDI VALLAURI (a cura di), La questione animale, op. cit..
[29] In questo caso il legislatore sembra aver fatto riferimento agli animali “d’affezione” e non semplicemente a quelli “da compagnia” al fine di opportunamente includere nella previsione anche le bestie non appartenenti alle solo specie del cane e del gatto. Cfr. amplius: L. BOTTAZZI, J. HASANI, La non semplice definizione di “animale domestico” in materia di condominio, in Imm. & propr., 2017, p. 86; M. SALA, Gli animali domestici nel condominio dopo la riforma, Santarcangelo di Romagna, 2013, soprattutto pp. 27 e ss..
[30] In tal senso si vedano le pronunce giurisprudenziali che già prima dell’intervento normativo avevano trattato e risolto il dibattito e in particolare: Cass., sez. II, 20 gennaio 2023, n. 1823, in Dejure; Cass., sez. II, 15 febbraio 2011, n. 3705, in Resp. civ. e prev., 2011, 7-8, 1646; Cass., sez. II, 04.12.1993, n. 12028, in Arch. locazioni, 1994, 798.
[31] Certo, potrebbe sostenersi che, in questo caso, la bestiola goda di un qualche beneficio (ad esempio a non essere lasciato durante le vacanze ad un dog sitter o in una pensione per animali), ma è indubbio che il fine primario sia pur sempre la tutela dell’essere umano, in questo caso, peraltro, nemmeno troppo celata dal legislatore, avendo espressamente indicato quale fine della normativa quello “.. di aumentare la competitività del settore e l'offerta dei servizi turistici a favore dei visitatori nazionali ed internazionali …” (così espressamente l’art. 30 del Codice del Turismo).
[32] Legge 28 dicembre 2015, n. 221, recante “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali”.
[33] Sul tema si veda C. A. JEMOLO, Il legislatore non ha sentimentalismi, in Riv. dir. civ., 1971, II, p. 366.
[34] In particolare quelli da compagnia che, per la prima volta in Italia, per mezzo di tale norma, hanno acquisito una specifica ed autonoma considerazione e protezione spettante loro direttamente: così TAR Abruzzo, 4 settembre 2008, n. 1052, in Foro amm. Tar, 2008, p. 2504.
[35] D.lgs. 27 gennaio 1992, n. 116, “Attuazione della direttiva n. 86/609/CEE in materia di protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici”. Amplius sul tema: E. D’AMORE, Normativa che regola l’utilizzo degli animali a fini sperimentali o scientifici e L. LOMBARDI VALLAURI, L’obiezione di coscienza legale alla sperimentazione animale, ex vivi-sezione (legge 12 ottobre 1993 n. 413), entrambi in A. MANNUCCI, M. TALLACCHINI (a cura di), Per un codice degli animali, Milano, 2001, in particolare, rispettivamente, pp. 225 e ss. e pp. 269 e ss..
[36] D.lgs. 15 febbraio 2005, n. 50, “Attuazione delle dir. 2003/15/CE e 2003/80/CE, in materia di prodotti cosmetici”.
[37] D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 532, “Attuazione della dir. 91/628/CEE relativa alla protezione degli animali durante il trasporto”.
[38] D.lgs. 26 marzo 2001, n. 146, “Attuazione della dir. 98/58/CE relativa alla protezione degli animali negli allevamenti”.
[39] D.lgs. 1° settembre 1998, n. 333, “Attuazione della dir. 93/119/CE relativa alla protezione degli animali durante la macellazione o l’abbattimento”.
[40] L. 8 agosto 2019, n. 86, “Deleghe al Governo e altre disposizioni in materia di ordinamento sportivo, di professioni sportive nonché di semplificazione” e successivo d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 36, “Attuazione dell'articolo 5 della legge 8 agosto 2019, n. 86, recante riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo”. Amplius si veda M. PITTALIS, Diritto degli esseri animali, Bari, 2022, in particolare “Lezione 4 Gli animali atleti” alle pp. 53-60.
[41] L. 29 luglio 2010, n. 120, “Disposizioni in materia di sicurezza stradale”, sebbene impongano al guidatore l’obbligo di fermarsi solamente qualora il sinistro stradale abbia cagionato un danno limitatamente alle specie degli “animali di affezione”, “da reddito” o “protetti”.
[42] P. ZATTI, Chi è il “padrone” del cane?, nota a Pret. Rovereto, 15 giugno 1994, in Nuova giur. civ. comm., 1995, p. 137.
[43] Trib. Varese, 7 dicembre 2011, in Giur. it., 2012, 6, p. 1132.
[44] Trib. Vercelli, sez. sorveglianza, 26 ottobre 2006, in Giur. mer. 2007, 12, p. 3287; Trib. Varese, sez. sorveglianza, 11 gennaio 1996, in Cass. pen., 1996, p. 760.
[45] Per un accurato ed aggiornato elenco della giurisprudenza sul danno interspecifico si veda P. DONADONI, Il cammino del “danno interspecifico” in Italia. Ricostruzione cronologica della giurisprudenza, in D. BUZZELLI (a cura di), Animali e diritto. I modi e le forme di tutela, op. cit., in particolare pp. 181-194. In dottrina, si rinvia ex multis a: S. CASTIGNONE, Il danno esistenziale per la morte dell’animale d’affezione, in P. CENDON, P. ZIVIZ (a cura di), Il danno esistenziale, Milano, 2000, pp. 267-277; ID., Il “diritto all’affetto”, in A. MANNUCCI, M. TALLACCHINI (a cura di), Per un codice degli animali, op. cit., pp. 121-128; P. DONADONI, Il “danno interspecifico” per la perdita della relazione con l’animale di affezione, I-II, in Resp. civ. prev., 4, 2022, pp. 1281 e ss..
[46] La giurisprudenza ha ritenuto che in caso di crisi di coppia, nell’interesse del pet ed al fine di tutelare il legame affettivo di entrambe le parti in causa, all’affidamento degli animali d’affezione è applicabile la disciplina dell’affidamento condiviso che può essere disposto a prescindere dallo status delle parti, quindi anche a prescindere del titolo di proprietà sull’animale. In tal senso, basti rinviare a: Cass., sez. II, 24 marzo 2023, n. 8459, in Dejure; Trib. Lucca, 24 gennaio 2020, in Dejure; Trib. Sciacca, 19 febbraio 2019, in Dejure; Trib. Roma, sez. V, 15 marzo 2016, n. 5322, in Dejure. Contra, va segnalato Trib. Milano, sez. IX, 24 febbraio 2015, in Foro it., 2016, 7-8, I, p. 2616 (con nota di G. CASABURI), che ha ritenuto inammissibile la domanda volta a conseguire, applicando analogicamente le disposizioni sull’affidamento dei figli minori, la regolamentazione dei tempi di permanenza di un animale da compagnia con i due proprietari, non più conviventi, sulla scorta del fatto che, pur essendo configurabile un diritto all’animale da compagnia, questo debba essere fatto valere con gli ordinari strumenti processuali a tutela della proprietà. In dottrina, anch’essa amplissima sul tema, si rinvia, tra i vari, a: G. BUFFONE, L’animale da compagnia è un essere senziente e i provvedimenti relativi al suo collocamento e affidamento vanno assunti tenendo conto il suo benessere, in Giustiziacivile.com, 2, 2022; G. PALMERI, Animali da compagnia e separazione dei coniugi, in Nuova giur. civ. comm., 4, 2019, p. 780; M. PITTALIS, Cessazione della convivenza more uxorio e affidamento condiviso dell’animale “familiare”, in Fam. e dir., 5, 2017, p. 462; ID., Separazione personale fra coniugi e “affido” dell’animale d’affezione, in Fam. e dir., 12, 2016, p. 1163.
[47] L. cost. 11 febbraio 2022, n. 1, recante “Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente”.
[48] Ci si riferisce non solo alle innovazioni tedesche, austriache e spagnole, tra le tante, e quindi dei singoli Stati europei, ma anche a quegli interventi di hard law e di soft law europea, a partire dall’art. 13 TFUE, che ha avuto il merito di qualificare, per la prima volta nel continente europeo, gli animali quali esseri senzienti (in particolare cfr. F. BARZANTI, La tutela del benessere degli animali nel Trattato di Lisbona, in Dir. un. eur., 1, 2013, p. 49), per giungere poi anche ai vari Regolamenti, Direttive, Risoluzioni, Convenzioni del Consiglio d’Europa (ad esempio: Regolamento CE n. 1223 volto all’eliminazione progressiva dei test dei prodotti cosmetici sugli animali; Direttiva Europea n. 63 del 2010 sulla protezione degli animali utilizzati ai fini scientifici; Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia sottoscritta dagli Stati membri del Consiglio d’Europa a Strasburgo il 13 novembre 1987). Per un’analisi più approfondita delle varie norme di stampo europeo in tema di benessere degli animali, cfr. amplius: M. PITTALIS, Diritto degli esseri animali, op. cit.; P. DONADONI, Animali, senzienza e specismo nella disciplina giuridica sovranazionale europea, in Boletìn Mexicano de Derecho Comparado, LV, 14, 2022, p. 61.
[49] Peraltro, il testo originariamente predisposto, poi non approvato, prevedeva che “.. la Repubblica (..) tutela le esigenze, in materia di benessere, degli animali in quanto esseri senzienti …”.
[50] In tal senso D. RUSSO, La tutela giuridica degli animali alla luce della legge costituzionale n. 1 del 2022: riflessioni a prima lettura, in Dir. e giur. agr. alim. e dell’amb., 3, 2022, p. 1; D. CERINI, Audizione presso il Senato della Repubblica sui disegni di legge costituzionale n. 83 del 23 marzo 2018, n. 212 del 3 aprile 2018, n. 1203 del 2 aprile 2019 e n. 1532 dell’8 ottobre 2019, reperibile online presso il sito www.senato.it e M. CECCHETTI, Osservazioni e ipotesi per un intervento di revisione dell’art. 9 della Costituzione avente ad oggetto l’introduzione di una disciplina essenziale per la tutale dell’ambiente tra i princìpi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, reperibile online presso il sito www.senato.it
[51] Come rileva G. ALPA, Proprietà privata, funzione sociale, poteri pubblici di “conformazione”, in Riv. trim. dir. pubb., 3, 2022, p. 599; ID., Note sulla riforma della costituzione per la tutela dell’ambiente e degli animali, in Contr. e impr., 2, 2022, p. 361. L’Autore ritiene che, sebbene “.. non significa dunque che l’animale sia connotato da una sua soggettività giuridica, [ndr trattandosi pur sempre] di una specie particolarmente protetta, il cui interesse [ndr per il tramite della legge di riforma] è elevato al rango costituzionale (..) la loro menzione nel testo costituzionale mette in evidenza la centralità degli interessi che ad essi fanno capo …”. Amplius sul tema: C. CUPELLI, op. cit.; A. VALASTRO, La tutela degli animali nella Costituzione italiana, in BioLaw Journal - Riv. di biodiritto, 2, 2022, p. 261, secondo la quale la riforma “.. stabilizza i punti di arrivo dell’evoluzione normativo-giurisprudenziale e sposta l’asse del bilanciamento ...” tra interessi umani e animali (quest’ultimi, sempre secondo l’Autrice, da tutelarsi in via diretta in quanto soggetti in sé); M. LOTTINI, La tutela degli animali in Costituzione: riflessioni e prospettive, op. cit., la quale attribuisce alla riforma una “.. natura evidentemente compromissoria che rappresenta, non un punto di arrivo, ma un punto di partenza, in una prospettiva secondo cui la tutela del benessere degli animali, della loro salute e vita, è un interesse autonomo che deve essere tenuto in considerazione e necessariamente ponderato con altri interessi e anche diritti umani …”.
[52] Solo recentemente, nel 2020, le città di Shenzhen e di Zhuhai (per ora le uniche) hanno emanato alcune leggi locali per bandire che cani e gatti possano essere mangiati. Sul punto si rinvia a D. CAO, A positive small step in the treatment of animals in China, in Journal of Animal Ethics, Vol. 11, 2, 2021, pp. 1-3.
[53] J. CHANG, China's legal response to trafficking in wild animals: the relationship between international treaties and Chinese law, in American Journal of International Law, Vol. 111, 2017, pp. 408-412.
[54] Per un approfondimento sulla legislazione cinese: D. CAO, Key animal law in China, in A. KNIGHT, C. PHILLIPS, P. SPARKS (a cura di), Routledge handbook of animal welfare, Routledge Taylor & Francis Group, 2022, pp. 392 e ss.; ID., Animals in China: Law and Society, London, 2015. Amplius cfr. Anche R. N. FASEL, S. C. BUTLER, op. cit., in particolare pp. 11-12.
[55] Si veda, ad esempio, l’art. 528 del Codice Civile del Camerun o l’art. 13.1 dell’ancora oggi vigente Legge sulle Malattie Infettive del 1976 di Singapore, citati anche da R. N. FASEL, S. C. BUTLER, op. cit., in particolare alle pp. 10-12.
[56] Molti ordinamenti, pur espressamente non considerando gli animali altro che “res”, hanno in ogni caso emanato pregnanti norme a loro tutela, implicitamente valorizzandoli. Ciò rimanda al pensiero di chi ritiene che la “dereification” degli animali sia più un fatto simbolico perché, se si tiene veramente a questo tema, il mezzo per raggiungere il fine è semplicemente l’emanazione di moderne leggi: J. VINK, The open society and its animals, Londra, 2020, passim.
[57] S. SHAD, Y. JOGLEKAR, Key animal law in India, in A. KNIGHT, C. PHILLIPS, P. SPARKS (a cura di), Routledge handbook of animal welfare, op. cit., pp. 414 e ss..
[58] M. LERCIER, Legal protection of animals in Israel, in Journal of Animal and Natural Resource Law, Vol. XV, 2019, p. 121.
[59] M. MOLEFE, A rejection of humanism in African moral tradition, in Theoria: A Journal of Social and Political Theory, 62 (143), 2015, p. 59; E. GALGUT, Animal rights and african ethics: congruence or conflict?, in Journal of animal ethics, Vol. 7, 2, 2017, p. 175.
[60] D. I BILCHITZ, A. P. WILSON, Key animal law in South Africa, in A. KNIGHT, C. PHILLIPS, P. SPARKS (a cura di), Routledge handbook of animal welfare, op. cit., pp. 426 e ss.; A. P. WILSON, Animal Law in South Africa: “Until the lions have their own lawyers, the law will continue to protect the hunter”, in Derecho Animal (Forum of Animal Law Studies), n. 10/1, 2019, p. 35.
[61] Negli U.S.A. vigono norme ed orientamenti dottrinali e giurisprudenziali molto simili a quelli italiani rispetto, in particolare, ai temi del risarcimento del danno morale scaturente dall’uccisione dell’animale da compagnia (anche danno interspecifico) e dall’affidamento di quest’ultimo nel caso di crisi di coppia. Su tali temi, ma non solo, cfr. amplius: M. LIEBMAN, Key animal law in the United States, in A. KNIGHT, C. PHILLIPS, P. SPARKS (a cura di), Routledge handbook of animal welfare, op. cit., pp. 436 e ss.; R. BOUWMA, How to apply the “Best interest of the pet” standard in divorce proceedings in accordance with newly enacted law, in Animal Legal & Historical Center, 2019, p. 1.
[62] E. ELLIS, Australian animal law, Sydney, 2022, passim; M. GOOD, J. GOODFELLOW, Key animal law in Australia, in A. KNIGHT, C. PHILLIPS, P. SPARKS (a cura di), Routledge handbook of animal welfare, op. cit., pp. 379 e ss..
[63] Per una visione generale si veda: D. LEGGE, Key animal law across Europe, in A. KNIGHT, C. PHILLIPS, P. SPARKS (a cura di), Routledge handbook of animal welfare, op. cit., pp. 400 e ss.
[64] R. ORRÙ, Il vento dei “nuovi diritti” nel Grundgesetz tedesco ora soffia anche sugli animali?, in Dir. pubb. comp. eur., 2022, p. 1138; S. STUKI, Grundrechte für Tiere: Eine Kritik des geltenden Tierschutzrechts und rechtstheoretische Grundlegung von Tierrechten im Rahmen einer Neupositionierung des Tieres als Rechtssubjekt, Baden-Baden, 2016, passim; E. BUOSO, La tutela degli animali nel nuovo art. 20a del Grundgesetz, in Quad. cost., 2004, II, p. 371.
[65] R. DEMOGUE, L’animal sujet de droit ou la modernité d’une vieille idée, in RTD civ., 2021, p. 591; J. P. MARGUÉNAUD, La personnalité animale, in Recueil Dalloz, 2020, p. 28; M. LAFFINEUR-PAUCHET, Premier Code de l’animal en France: une réponse à un Droit Animalier dissonant, in Derecho Animal (Forum of Animal Law Studies), n. 10/2, 2019, p. 83.
[66] A. MOREIRA, La reforma del Còdigo Civil portugués respecto al estatuto del animal, in Derecho Animal (Forum of Animal Law Studies), n. 9/3, 2018, p. 80.
[67] R. ARREGUI MONTOYA, Legislazione e giurisprudenza spagnola sulla dichiarazione degli animali come esseri senzienti, in questa Rivista, 1, 2023, p. 98, prettamente in ambito penale; D. NAVARRO SANCHEZ, El proceso de descosificaciòn de los animales. Crisi de pareja: desde los pronunciameientos judiciales hasta la regulaciòn legal en España, in Derecho Animal (Forum of Animal Law Studies), 13/1, 2022, p. 65, in particolare l’Autore tratta dei rimedi, similari a quelli applicati in Italia, a favore degli animali nelle crisi di coppia; M. ORTIZ FERNÀNDEZ, Reflexiones en torno a la Ley 17/2021, de 15 de diciembre: la protecciòn de los animales como “seres sintientes”, in Actualidad Jurìdica Iberoamericana, 17, 2022, p. 440; G. CERDERIRA BRAVO DE MANSILLA, ¿Un nuevo Derecho civil para los animales?: Elogio (no exento de enmiendas) a la nueva Proposición de Ley sobre el régimen jurídico de los animales, en España, in Derecho Animal (Forum of Animal Law Studies), n. 12/2, 2021, p. 39; M. GIMÉNEZ CANDELA, La descosificaciòn de los animales en el Codigo Civil espanol, in Derecho Animal (Forum of Animal Law Studies), n. 9/3, 2018, p. 7.
[68] Similarmente sono intervenuti molti altri Stati quali, ad esempio, la Polonia che, all’art. 1 della propria “Legge sulla Protezione degli Animali” (USTAWA z dnia 21 sierpnia 1997 r. o ochronie zwierząt), ha espressamente previsto che gli animali, quali esseri viventi capaci di soffrire, non sono cose, e la Russia che, all’art. 137 del proprio Codice civile, ha previsto che le regole generali della proprietà si applicano agli animali salvo che altre norme dell’ordinamento non provvedano diversamente.
[69] E non solo, considerate anche le recenti inclinazioni volte ad allargare la riflessione sulla soggettività ad altri esseri non umani. Per un puntuale riassunto sullo stato dell’arte del dibattito sulla senzienza delle piante, cfr. V. TENORE, Riflessioni sulla rivendicata soggettività delle piante quali esseri senzienti e non statici, in Ambientediritto.it, XIII, 1, 2023, p. 1; A. ALPI, La coscienza delle piante, in Accademia dei Georgofili online, 2021 (https://www.georgofili.it/sezioni/l-accademina-per-il-post-covid-altri-contributi/51#Riflessioni). Rispetto al tema dell’attribuzione della soggettività all’intelligenza artificiale (intesa nel senso più ampio possibile, tale da ricomprendere le sue diverse anime quali gli algoritmi, la blockchain, etc.…), si vedano, senza pretesa di esaustività: AA.VV., Intelligenza artificiale. Il diritto, i diritti, l’etica, U. RUFFOLO (a cura di), Milano, 2020; W. BARFIELD, U. PAGALLO, Advanced Introduction to Law and Artificial Intelligence, Cheltenham, 2020; A. D’ALOIA, Intelligenza artificiale e diritto. Come regolare un mondo nuovo, Milano, 2020; U. RUFFOLO, Intelligenza Artificiale, machine learning e responsabilità da algoritmo, in Giur. it., 2019, p. 1689 ss..
[70] Qui rinviandosi, con tale espressione, alle figure cui si allude utilizzando i vari sintagmi di animale “da compagnia”, “d’affezione”, “domestico” e “familiare”, od altri a questi assimilabili in qualche modo.
[71] Utilizzi ritenuti comunque sempre meno accettabili. L’avversione è sentita in particolar modo per le attività della caccia, della sperimentazione animale, dell’uso delle pellicce, dell’uso nei circhi e degli allevamenti intensivi. Maggiori dati sono rinvenibili nel “Rapporto Italia 2023” pubblicato dall’Eurispes, già antea citato, reperibile online.
[72] Fine perseguito, come visto antea, anche da quelle posizioni che non intendono stravolgere le categorie giuridiche di stampo romanistico.
[73] Tra chi ha espresso un giudizio negativo, tra i vari, si veda in particolare M. PITTALIS, op. ult. cit., passim.
[74] Se si tralascia Pret. Cremona, 20 marzo 1998, in Giur. mer. 1999, p. 57, che, quale unicum, ha negato l’applicabilità della disciplina della compravendita e l’esperibilità dei rimedi utilizzabili in caso di vizi della cosa compravenduta. In particolare, tale pronuncia ha ritenuto che il compratore non potesse richiedere la risoluzione del contratto e la conseguente restituzione del prezzo sulla base del fatto che la (già sopra citata) l. 281/1991 postulasse una corretta convivenza tra gli uomini e gli animali e che, quindi, l’acquirente si sarebbe dovuto fare “.. carico di tutti quegli aspetti (cura, custodia, conservazione, ecc.) delineati e valorizzati nella legge medesima …”, dovendo “.. trattenere presso di sé l’animale acquistato …” quandanche fosse risultato malato.
[75] Cass., sez. II, ord. 6 dicembre 2022, n. 35844, in Foro it., 2023, 2, I, 463, con nota di M. FACCIOLI, Compravendita - La tutela consumeristica dell’acquirente di un animale d’affezione, in Nuova giur. civ. comm., 2, 2023, p. 232; Cass., sez. II, 25 settembre 2018, n. 22728, in Nuova giur. civ. comm., 2019, I, p. 268, con le note di L. DELOGU, L. OLIVERO, Animali d’affezione e garanzia per vizi tra codice civile e di consumo, in Nuova giur. civ. comm., 2, 2019, p. 268, di M. FACCIOLI, L’applicabilità della disciplina sulla vendita di beni di consumo alla vendita di animali, in Contr., 1, 2019, p. 19, di F. BERTELLI, Applicabilità del codice del consumo alla compravendita di animali, in Danno e resp., 1, 2019, p. 70, di S. CHERTI, Vendita di animali: gli animali da compagnia sono “beni di consumo”, in Corr. giur., 6, 2019, p. 777; Trib. Ravenna, sez. I, 13 agosto 2020, n. 656, in Dejure. In dottrina, oltre agli illustri Autori già citati, tra i primi ad interrogarsi sul tema, si veda anche A MANIACI, Vendita di animali: vizi, difetti e rimedi, in I contr., 12, 2004, p. 1120
[76] Di tale tenore si rinvengono, post entrata in vigore del Cod. Cons., poche isolate pronunce: Giudice di Pace di Palermo, 9 marzo 2010, in Dejure.
[77] Rimaneggiato con il d.lgs. 4 novembre 2021, n. 170, “Attuazione della direttiva (UE) 2019/771 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni, che modifica il regolamento (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE, e che abroga la direttiva 1999/44/CE”.
[78] Così invece si sono espresse M. PITTALIS, op. ult. cit. e C. FOSSÀ, op. cit..
[79] In tal senso M. FACCIOLI, opp. cit..
[80] Così, tra i vari, M. PITTALIS, op. ult. cit. e C. FOSSÀ, op. cit..
[81] In tal senso M. FACCIOLI, opp. cit., S. CHERTI, op. cit. e F. BERTELLI, op. cit..
[82] Sull’inclusione dei “beni usati” nella categoria dei “beni di consumo”, ex multis, cfr.: G. DE CRISTOFARO, La vendita dei beni di consumo, in E. GABRIELLI, E. MINERVINI (a cura di), I contratti dei consumatori, II, in Trattato dei contratti Rescigno-Gabrielli, Torino, 2005, pp. 967 e ss.; R. MONGILLO, Art. 128. Ambito di applicazione e definizioni, in E. CAPOBIANCO, L. MEZZASOMA, G. PERLINGERI (a cura di), Codice del consumo annotato con la dottrina e la giurisprudenza, II, Napoli, 2019, p. 671.
[83] Sul tema si vedano M. FACCIOLI, opp. cit. e R. SENIGAGLIA, op., cit.
[84] Del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni, che modifica il regolamento (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE, e che abroga la direttiva 1999/44/CE, il cui recepimento, in Italia, si è avuto per il tramite del già richiamato d.lgs. 170/2021.
[85] E con quale destino del “bene-animale” difettato, se non quello di rimanere “invenduto” e, quindi, risultare un “peso” per il venditore che, a quel punto, non potrebbe più “venderlo”.
[86] Buona parte della dottrina non ha potuto fare altro che “tirare un sospiro di sollievo” per le scelte dei consumatori incardinate in alcune note pronunce giurisprudenziali. Così, ad esempio: M. PITTALIS, op. cit., la quale scrive che “.. nel caso deciso [ndr Cass. n. 22728/2018 già citata], tuttavia, il compratore aveva fortunatamente prescelto di azionare il rimedio sussidiario della riduzione del prezzo e del risarcimento del danno …”; C. FOSSÀ, op. cit., la quale, analizzando la possibilità di esperire i rimedi edilizi (riparazione e sostituzione) ritiene “.. irragionevole incollare sull’animale d’affezione l’etichetta della fungibilità, peraltro legittimando fattispecie di abbandono ed esponendo l’animale da compagnia per il lungo periodo di due anni all’alea di essere riconsegnato al venditore affinché in via principale lo sostituisca con un altro esemplare non “difettato” …”; S. CHERTI, op. cit., rileva che, pur applicandosi agli animali la categoria dei beni fungibili e quindi i rimedi della riparazione e della sostituzione, essendo gli stessi esseri viventi senzienti oggetto di tutela da parte dell’ordinamento, “.. dunque, nel caso di specie [ndr Cass. n. 22728/2018 già citata] bene ha fatto la difesa dell’acquirente a considerare il cucciolo nella sua specificità, alla stregua di un bene infungibile e non sostituibile con un altro della stessa specie, indirizzando le richieste di parte alla riduzione del prezzo e al risarcimento del danno …”; secondo F. BERTELLI, op. cit., sarebbe la “.. actio quanti minoris, congiuntamente al risarcimento del danno (..) l’unica combinazione capace di ripristinare l’equilibrio sinallagmatico e ristorare il pregiudizio sofferto dall’acquirente senza provocare un ulteriore danno al suo interesse non patrimoniale alla continuazione della relazione affettiva con il proprio cane …”.
[87] Nonostante il contenuto della Dir. UE 771/2019 (già sopra citata), il nuovo art. 128, c. 2, lett. e), Cod. cons. italiano letteralmente “.. intende per (..) e) bene (..) 3) gli animali vivi …”. Per un approfondimento sulla nuova disciplina della vendita di beni di consumo, si veda G. DE CRISTOARO, Il recepimento della Direttiva 2019/771/UE nel diritto italiano. Le opzioni fondamentali del legislatore nazionale, I limiti “soggettivi” e “oggettivi” posti all’ambito di operatività della nuova disciplina, in G. DE CRISTOFARO (a cura di), La nuova discplina della vendita mobiliare nel codice del consumo, Torino, 2022, pp. 17 e ss.
[88] Hanno invece colto la possibilità data dal legislatore europeo, tra gli altri, la Spagna tramite il Real Decreto-ley 7/2021, de 27 de abril, la Francia tramite l’Ordonnance n. 2021-1247 du 29 septembre 2021, ed anche la Germania, il Portogallo, l’Austria e la Bulgaria. Cfr. amplius G. DE CRISTOFARO, op. cit..
[89] Su tutti, ad esempio, si richiamano quelle sentenze in tema di affidamento dell’animale in caso di crisi di coppia, ove, tralasciando del tutto il titolo di proprietà sulla bestiola (elemento che viceversa viene valutato per tutte le altre “cose” di proprietà dei coniugi), si fa riferimento esclusivamente al “best interest of the pet”.
[90] “.. Nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell'Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca e sviluppo tecnologico e dello spazio, l'Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti, rispettando nel contempo le disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda, in particolare, i riti religiosi, le tradizioni culturali e il patrimonio regionale …”.
[91] Si rinvia alla figura del consumatore ragionevole, “non approfittatore”, nonché al principio di autoresponsabilità del medesimo, tutte figure, per la verità, utilizzate dalla dottrina e dalla giurisprudenza in tema di corretta informazione contrattuale e di interpretatio in favorem delle clausole contrattuali: il principio che comunque se ne può trarre è che va rifuggita un’algida assolutezza della tutela del consumatore (cfr. ex multis: Corte eur. giust., 16 luglio 2020, causa C-224/19, CY c. Caixabank SA, in Dejure; Corte. eur. giust., causa C-259/19, LG e PK c. Banco Bilbao Vizcaja Argentaria SA, in Dejure; Cass., 08 luglio 2020, n. 14257, in Diritto & Giustizia, 2020, 9 luglio). Amplius sul concetto di “consumatore responsabile” si vedano, tra i vari: S. PAGLIANTINI, In memoriam del consumatore medio, in Europa dir. priv., fasc. 1, 2021; G. VETTORI, Oltre il consumatore, in Pers. e merc., 2011, p. 318. Ancora sul tema, per un approfondimento, cfr. anche: G. ALPA, Il contratto in generale. Principi e problemi, Milano, 2021, pp. 389-390; HANS-W. MICKLITZ, Il consumatore mercatizzato, frammentato, costituzionalizzato, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 3, 2016, p. 859.
[92] Sorge spontaneo chiedersi che fine farebbe la bestiola in caso di retrocessione al venditore. In quanto “bene” privo oramai di valore, in quanto invendibile a causa del riscontrato “vizio”, sarebbe destinato a rimanere “invenduto” (ed in quale luogo rimarrebbe?), negandoglisi la possibilità di “trovare una casa”.
[93] Ci si riferisce, in particolare, a Cass. 1ère civ., 9 déc. 2015, pourvoi n°14-25910, in RSDA, 1, 2015, con nota di K. GARCIA, p. 55, e con nota di S. DESMOULIN-CANSELIER, p. 360. La pronuncia è richiamata anche da: L. HEINZMANN, Le choix des modalités de réparation du préjudice en droit de la responsabilité civile, in Reveu generale du droit (online), 2021, n. 53949; M. REVERCHON-BILLOT, La vente d’animaux domestiques, in AA.VV., Les recodifications du droit de la vente en Europe, Poitiers, 2021; C. LE GALLOU, Les actions de l’acheteur à raison d’un défaut de la chose. Entre enchevêtrement et nationalisation, in AJ contrats, 2019, p. 71. Tuttavia, bisogna anche evidenziare che la pronuncia della Cassazione francese non ha però specificato in maniera definitiva l’esperibilità o meno degli altri rimedi, in particolare quelli della garanzia contro i “vizi redibitori”. Un simile pronunciamento, qualora si facesse strada anche in Italia, “rimettere in gioco” quanto già in passato rilevato anche dai nostri Giudici in Pret. Cremona, 20 marzo 1998, già antea citata, pronuncia che potrebbe oggi (o a breve) non essere più vista come un caso isolato.
[94] Con buona pace di coloro (fra tutti, Cass., SS.UU., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975, pronunce tutte reperibili in Dejure) che hanno ricompreso il contenzioso avente ad oggetto la perdita dell’animale d’affezione nell’insieme delle cause bagatellari, paragonando un simile thema decidendum a quelli afferenti un taglio di capelli mal riuscito, la rottura del tacco di una scarpa o l’attesa stressante in aeroporto.
[95] Con tale verbo, formato da “per” (attraverso) e “sonare” (risuonare), si faceva riferimento agli attori del teatro classico che “parlavano attraverso” la maschera lignea che indossavano in scena.
[96] Così il Dizionario Treccani, che definisce “.. animale ogni essere animato, cioè ogni organismo vivente dotato di sensi e capace di movimenti spontanei: in questo senso, è un animale anche l’uomo …”.
[97] Il riferimento è alla proposta di riforma del Codice Civile spagnolo del 14 febbraio 2017, vista come apprezzabile punto di partenza per la “.. descosificaciòn de los animales …” da M. GIMÉNEZ-CANDELA, op. cit., in particolare p. 47.
[98] Parafrasando il celebre aforisma della La fattoria degli animali di G. Orwell: “.. Gli animali da fuori guardavano il maiale e poi l’uomo, poi l’uomo e ancora il maiale: ma era ormai impossibile dire chi era l’uno e chi l’altro …”.
[99] G. CERDEIRA BRAVO DE MANSILLA, op. cit., in particolare pp. 48-52, parla di “.. posible “falsa salida” …” (id est falsa partenza) della nuova normativa spagnola sugli animali.
[100] Le parole sono di L. DELOGU, L. OLIVERO, op. cit., p. 3.
[101] Alle quali notoriamente non è stato poi dato seguito. Tra le varie, si segnala la n. 93 del 23 marzo 2018, meglio conosciuta come “Codice Brambilla”.