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Pubbl. Ven, 4 Dic 2015

Assicurazioni professionali e clausole claims made

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Rosa Mugavero


All’ordine del giorno ormai le controversie aventi ad oggetto la legittimità e l’efficacia di contratti assicurativi contenenti le cc.dd. clausole claims made: i professionisti infatti, destinatari per eccellenza di pretese risarcitorie (spesso pretestuose) si tutelano stipulando contratti di assicurazione per i rischi derivanti dall’attività professionale che limitano la copertura assicurativa soltanto alle richieste avanzate al proprio assicuratore nel periodo di vigenza del contratto. Non molto rassicurante lo scenario che si prospetta per le Compagnie assicurative a seguito della recente pronuncia della Corte di Cassazione.


Il caso

La III sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del 10 novembre 2015 n. 22891, affronta[1] un caso classico di responsabilità medica in cui si deduce la stipula di un contratto di assicurazione corredato da una clausola claims made.

Il danneggiato (che asseriva essere stato colpito da un’infezione da spondiloscite contratta in occasione di due consecutivi interventi chirurgici eseguiti presso la struttura ospedaliera) faceva valere la responsabilità dell’Ospedale, che veniva riconosciuta in primo e secondo grado, con condanna della compagnia assicuratrice alla manleva per tutti i sinistri verificatisi nel periodo di vigenza del contratto, anche qualora le relative richieste di risarcimento fossero pervenute successivamente alla sua scadenza: tanto sull’assunto della ritenuta vessatorietà della clausola claims made.

La pronuncia della Corte di Cassazione

La sentenza in commento si inserisce nel solco di una non tanto datata (ma molto “timida”) serie di pronunce della giurisprudenza di legittimità relative alla questione della rilevanza da ascrivere alle famose clausole claims made[2]. Questa volta però, a differenza dei precedenti arresti, la Corte supera le vecchie titubanze e fornisce un vero e proprio “manuale di istruzioni” ai giudici di merito per valutarne la natura giuridica e quindi orientare il giudizio di vessatorietà cui inesorabilmente sono deputati.

Una premessa appare doverosa, al fine di comprendere esattamente i termini della questione: cosa sono in sostanza le clausole claims made?

Per dirla “all’italiana”, si tratta di clausole “a richiesta fatta” con le quali si subordina la copertura assicurativa, anziché al momento di verificazione del danno (come accade per l’ordinario modello “loss occurrence” ex art. 1917 c.c.), alla circostanza che il sinistro sia stato denunciato dall’assicurato al proprio assicuratore nel periodo di vigenza del contratto. Col duplice effetto, da un lato di limitazione della responsabilità solo per i danni la cui richiesta sia intervenuta nel corso del termine di durata del contratto (restando esclusi quelli che pur verificatisi in tale periodo, vengano tuttavia fatti valere in un momento successivo), dall’altro di estensione della responsabilità anche a danni che siano occorsi in data anteriore alla stipula dell’accordo a condizione che la domanda risarcitoria venga promossa durante la vigenza dello stesso.

Rispetto a questo “nuovo tipo” contrattuale la Corte, nella sentenza in commento, oltre a ribadire gli approdi interpretativi precedenti (relativi alla astratta liceità di un contratto di tal fatta e alla sua natura atipica), svolge riflessioni di indiscusso rilievo in merito ai criteri cui deve essere improntato il giudizio di vessatorietà da parte dei giudici territoriali. In particolare si afferma che esso vada condotto avendo riguardo alla clausola claims made “nell’economia complessiva della polizza”, risultando all’uopo certamente inconferente il richiamo alla deroga all’art. 1917 c.c. comma 1.

Di guisa che:

1) qualora la clausola sia inserita “nella parte del contratto…deputata in via esclusiva alla definizione dell’oggetto della copertura assicurativa” essa va considerata alla stregua di clausola delimitativa dell’oggetto del contratto, con la conseguenza che non troverà applicazione la speciale disciplina approntata per le clausole vessatorie ai sensi dell’art. 1341 c.c.

2) nel caso in cui invece si configuri quale “condizione che limiti la garanzia assicurativa e, dunque, l’oggetto del contratto siccome definito e comunque percepibile da altra clausola”, ponendosi come disposizione che opera in aggiunta e dall’esterno, limitandolo, l’oggetto del contratto, allora trova applicazione la fattispecie delle clausole vessatorie in quanto si tratta di clausole di limitazione di responsabilità.

Riflessioni critiche

La pronuncia della Cassazione, se ha senz’altro il merito di fare finalmente chiarezza su un aspetto troppo spesso (e troppo poco opportunamente) demandato sic et simpliciter alle valutazioni dei giudici di merito che hanno negli anni adottato i parametri più disparati per analizzare il profilo della vessatorietà delle clausole claims made, può però risultare in concreto di facile elusione da parte delle compagnie assicurative, se interpretato nel senso della rilevanza della mera collocazione topografica all’interno del contratto: in altri termini se il principio è quello secondo il quale intanto è vessatoria la clausola in quanto non inserita all’interno della parte deputata alla determinazione dell’oggetto del contratto, non sarà difficile che le Assicurazioni non facciano altro che “spostare” la clausola in questa “zona franca”, magari senza che la controparte vi presti la dovuta attenzione, con la conseguenza che essa sarà esente da qualsivoglia giudizio di vessatorietà e da particolari formalismi a presidio della sua effettiva conoscenza (id est la specifica sottoscrizione richiesta ex art. 1341).

Discorso diverso per i contratti di assicurazione già stipulati, per i quali invece di solito le clausole claims made sono inserite nella parte finale, tradizionalmente sotto la rubrica “inizio e termine della garanzia”: per esse senz’altro ricorre la vessatorietà, e pertanto, se non specificamente sottoscritte ai sensi dell’art. 1341 comma 2 c.c., saranno inefficaci e la copertura assicurativa si spiegherà anche rispetto alle pretese risarcitorie avanzate dopo la scadenza del termine di durata del contratto.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Correggendo la motivazione fornita dalla Corte d’Appello di Milano in quanto erronea in iure, e facendo quindi applicazione degli ordinari poteri di valutazione di diritto di cui dispone.

[2] Cass. 15 marzo 2005, n. 5624; Cass. 22 marzo 2013 n.7273; Cass. 17 febbraio 2014 n. 3622. Si segnala peraltro il recente decreto di rimessione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (del 27 marzo 2015) circa la natura della clausola claims made.