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Pubbl. Mer, 2 Ago 2023

Il reato condizionato: le cd. condizioni negative di punibilità

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Paolo Leone
AvvocatoUniversità degli Studi di Catanzaro Magna Græcia



Il presente articolo ha la finalità di esaminare il peculiare genus delle condizioni negative di punibilità e di analizzare le problematiche relative al difficile inquadramento sistematico dell’istituto. Inoltre, si propone di offrire un’agile disamina delle condizioni negative di punibilità intese in senso lato, concentrandosi allo stesso tempo sulle singole ipotesi di condizioni negative di punibilità in senso stretto e focalizzandosi sulle connesse questioni giurisprudenziali maggiormente di rilievo ed analizzando, in dettaglio, l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto, con particolare riferimento alla possibilità di applicare la disciplina di cui all’art. 131-bis c.p. alle ipotesi di responsabilità delle persone giuridiche.


ENG

The under condition offense: the negative conditions of non-liability

This paper aims to examine the peculiar genus of the “negative conditions of punishability” and to analyze the problems relating to the difficult systematic classification of the institution. Furthermore, it aims to offer an agile examination of the negative conditions of punishability, as understood in a broad sense, focusing at the same time on the single hypotheses of negative conditions of punishability in the strict sense and focusing on the more relevant connected jurisprudential issues and analyzing, in detail, the institution of non-punishability due to the particular tenuousness of the fact, with particular reference to the possibility of applying the discipline pursuant to art. 131-bis of the italian criminal code to the hypotheses of liability of legal entities.

Sommario: 1. Definizione ed inquadramento sistematico; 2. La problematica della punibilità “sub condicione”; 3. Le condizioni negative di punibilità in senso lato ed in senso stretto: riepilogo; 4. Le condizioni negative di punibilità in senso stretto; 4.1 Le condizioni negative di punibilità soggettive concomitanti. L'art. 649 c.p.; 4.1.1. (segue) Le immunità di diritto internazionale di cui all’art. 3 c.p.; 4.2. Le condizioni negative di punibilità soggettive sopravvenute; 4.3. Le condizioni negative di punibilità oggettive. La non punibilità per particolare tenuità del fatto; 5. Conclusioni.

1. Definizione ed inquadramento sistematico

In talune particolari situazioni, espressamente contemplate dal Codice penale ovvero dalle leggi speciali, la legge penale richiede un quid pluris affinché un determinato fatto storico, anche se tipico, antigiuridico e colpevole, possa essere in concreto punito[1].

In tali circostanze può essere richiesto, da un lato, il verificarsi di una condizione ulteriore, che deve sussistere affinché il fatto tipico possa essere punito, situazione espressamente contemplata all’art. 44 c.p. e definita “condizione obiettiva di punibilità”; dall’altro, è richiesta la non esistenza di determinate condizioni, in presenza delle quali un fatto, già meritevole di pena, non può essere in concreto punito.

Dunque, questa seconda ipotesi è definita “condizione negativa di punibilità”.

Tuttavia, non essendo presente all’interno del Codice penale una norma definitoria ad hoc delle condizioni negative di punibilità, come, al contrario, avviene per le condizioni obiettive di punibilità, in virtù del richiamato art. 44 c.p., l’inquadramento sistematico di tale istituto risulta essere particolarmente problematico.

Tra l’altro, l’unico dato normativo che pare richiamare le condizioni negative di punibilità è costituito dall’art. 530, c. 1, c.p.p., nella parte in cui stabilisce la pronuncia di sentenza di assoluzione, da parte del giudice, per il fatto commesso “da persona non punibile per altra ragione”.

Infatti, proprio per l’assenza di una cornice legislativamente determinata, sono stati ricondotti al genus delle condizioni negative di punibilità una varietà di istituti, dalla natura giuridica tra loro assai diversa, aventi in comune soltanto la conseguenza della non punibilità in concreto di un fatto tipico in astratto meritevole di pena.

Pertanto, al fine di offrire un corretto inquadramento sistematico delle condizioni negative di punibilità, è necessario ricondurre tale istituto alla teoria generale del reato.

In sostanza, bisogna verificare se la “condizione”, di punibilità o di non punibilità, possa essere qualificata come elemento costitutivo del reato, ovvero sia elemento ad esso estraneo, ossia esterno a ciò che definisce e delimita l’oggetto del rimprovero.

2. La problematica della punibilità “sub condicione”

La discussione attorno alla possibilità di qualificare, o meno, la “condizione”, di punibilità o di non punibilità, come elemento costitutivo del reato ha assunto, col tempo, un punto di vista più ampio, trasferendosi dal piano dell’inquadramento sistematico delle condizioni obiettive e negative di punibilità a quello degli elementi costitutivi del reato.

La teoria del reato “condizionato” segna la linea di demarcazione tra l’elemento della tipicità e quello della punibilità.

Entrambi detti elementi risultano essere caratterizzati da una natura particolarmente indefinita ed effimera[2]: dunque, è necessario stabilire se, nella struttura del reato, tipicità è (rectius: comprende anche) punibilità, ovvero se lo stesso sia composto, con riguardo ai suoi propri elementi strutturali, da tipicità e punibilità, quali elementi differenti e distinti tra loro.

Inoltre, tale problematica è momento di verifica, nonché, secondo taluni esponenti della più raffinata dottrina[3], di tensione, della corrispondenza tra la fattispecie penale ed i principi generali di legalità e di tassatività e determinatezza.

In particolare, il disposto dell’art. 44 c.p. impone che sia la legge a prevedere il verificarsi di una condizione affinché il colpevole risponda del reato, senza tuttavia specificare se tale condizione sia, appunto, un elemento condizionale, esterno alla struttura del reato, ovvero un elemento costitutivo del reato medesimo.

Dunque, tale problematica, non priva di conseguenze con riguardo all’estensione della categoria, pone sostanzialmente il problema di determinare, da un lato, se la punibilità, ovvero la non punibilità, possa essere assunta quale quarto elemento costitutivo del reato e, dall’altro, se la relazione tra fatto illecito e sua punibilità sia omogenea, e, quindi, un fatto, se illecito, deve essere sempre e necessariamente punito, ovvero sia eterogenea, pertanto demandando la decisione di punirlo in concreto all’esito di un procedimento di ponderazione sull’opportunità di punire o meno il responsabile[4].

Sul punto, sono venuti a formarsi due orientamenti contrapposti.

Secondo i sostenitori della teoria che qualifica la condizione di punibilità come elemento costitutivo del reato, una attenta analisi dell’art. 44 c.p., che subordina la punibilità alla sussistenza di una condizione obiettiva e degli istituti che elidono la punibilità in concreto di un fatto meritevole di essere penalmente sanzionato, latamente riconducibili all’alveo delle condizioni negative di punibilità, dimostrerebbe che, nell’ordinamento giuridico penale italiano, sussiste una netta scissione tra illiceità del fatto e punibilità del medesimo[5].

Secondo tale assunto, posto un fatto tipico, antigiuridico e colpevole, in astratto punibile, ciò non comporta che detto fatto, in concreto, debba essere necessariamente punito.

Infatti, per i fautori di tale tesi, accertare che un fatto costituisce, in astratto, reato non comporta l’automatica applicazione, in concreto, della pena per esso stabilita: non verrebbe a determinarsi, dunque, una sequenza omogenea ed automatica tra l’illecito e la sua punizione, bensì un procedimento eterogeneo e da valutarsi caso per caso, poiché l’irrogazione della sanzione non può avvenire nel caso in cui non sussista la condizione obiettiva di punibilità, ovvero sussista una condizione negativa di punibilità.

Pertanto, in virtù di tale assunto, gli elementi costitutivi del reato, in realtà, non sarebbero tre, bensì quattro: accanto alla tipicità, alla antigiuridicità ed alla colpevolezza, il quarto elemento costitutivo del reato consisterebbe, appunto, nella punibilità.

In sostanza, mediante l’elemento della punibilità andrebbe ad indicarsi la soggezione del reato alla “condizione”: per questo motivo, tale teoria viene definita come teoria del reato condizionato ovvero del reato sub condicione.

Dunque, affinché un fatto storico possa essere qualificato come reato, sarebbe necessario che, oltre ad essere tipico, antigiuridico e colpevole, esso sia, in positivo, collegato alla sussistenza di una condizione obiettiva di punibilità, nei casi espressamente stabiliti dalla legge, nonché, in negativo, privo del collegamento ad una qualsiasi causa che possa comportarne la non punibilità in concreto.

Quindi, la punibilità, quale elemento costitutivo del reato, andrebbe definita come “valutazione della necessità della pena”: il potere statuale di applicazione della sanzione penale dovrebbe essere riqualificato e circoscritto, ed in sostanza limitato, alla sussistenza di una condizione obiettiva di punibilità, ovvero alla insussistenza di una condizione negativa di punibilità.

La concreta applicazione di tale tesi determinerebbe la conseguenza per la quale un dato fatto storico, in assenza di condizioni positive (rectius: obiettive) ovvero in presenza di condizioni negative di punibilità, indipendentemente dalla sussistenza dei caratteri della tipicità, antigiuridicità e della colpevolezza, non potrebbe essere qualificato, a priori, come reato e, di conseguenza, non potrebbe essere assoggettato a sanzione penale.

L’assunto potrebbe essere racchiuso nella massima "non vale la pena punire ciò che non è meritevole di pena”.

Tutto, comunque, con un non indifferente deficit di legalità, posto che la concreta irrogazione della sanzione penale sarebbe subordinata al verificarsi dell’evento futuro ed incerto costituito dalla condizione o, per meglio dire, dalla condicio iuris[6] (piuttosto che della condizione tipicamente prevista dalle parti in sede di formazione del contratto di cui all’art. 353 c.c.): tale impostazione, infatti, determinerebbe una netta scissione tra il piano della meritevolezza della pena in astratto e quello della necessità della pena in concreto.

Al contrario, i sostenitori dell’opposto orientamento qualificano la punibilità e, quindi, la soggezione del reato alla sussistenza di determinate condizioni, quale elemento esterno alla struttura del reato.

Dunque, le condizioni, di punibilità o non punibilità, seppur afferenti alla teoria del reato, altro non sono che elementi esterni all’illecito, che si verificano dopo l’azione stessa, e per tale ragione in nulla modificano la valutazione del comportamento dell’autore[7].

Tale impostazione si fonda su due distinte considerazioni: quanto alle condizioni obiettive di punibilità, si ritiene che queste siano elementi esterni al reato in quanto estranei alla sfera di competenza dell’agente, costituendo, invece, elementi di valutazione per l’assoggettamento del reo alla pena, volti alla tutela di interessi e beni giuridici più ampi; inoltre, in relazione alle condizioni negative di punibilità, si sostiene che la maggior parte delle figure sussunte nell’alveo di tale genus ed in particolare, come si vedrà, le cd. condizioni negative di punibilità in senso stretto, non determinino l’impossibilità di qualificare il fatto come reato, bensì l’impossibilità di punire un fatto di reato già perfezionato in tutti i suoi elementi essenziali, risultando, anche in tal caso, elementi esterni alla struttura del reato[8].

Va detto, in ogni caso, che, ad oggi, l’orientamento che propende per la punibilità quale quarto elemento della teoria generale del reato fatica a diventare dominante, risultando alla stessa preferita la già illustrata impostazione tripartita, di derivazione tedesca.

3. Le condizioni negative di punibilità in senso lato ed in senso stretto: caratteri generali e riepilogo

Data, dunque, la definizione delle condizioni negative di punibilità ed espresse le problematiche inerenti al relativo inquadramento sistematico nonché, più in generale, alla possibilità o meno di qualificare la punibilità come elemento costitutivo del reato, è possibile effettuare una ricognizione d’insieme dell’istituto, nonché un’agile panoramica tutte le fattispecie ricondotte all’alveo delle condizioni negative di punibilità, generalmente definite dalla dottrina come condizioni negative di punibilità in senso lato[9].

Le condizioni di non punibilità, solitamente, sono cause sopravvenute di non punibilità, costituite da condotte deputate a neutralizzare o ridurre posterius gli effetti lesivi della condotta tipica e rilevanti sul piano della prevenzione positiva[10].

Tuttavia, a differenza delle condizioni positive (rectius: obiettive), per le condizioni negative di punibilità non esiste, ad oggi, una disciplina puntuale ed omnicomprensiva, tale da poter essere sussunta a disciplina di carattere generale: si tratta, a ben vedere, di un terreno ancora in via di sedimentazione.

In definitiva, posta la frammentarietà della disciplina, può comunque dirsi che tutte le variegate species del genus delle condizioni negative di punibilità concorrono alla modulazione delle conseguenze del reato non tanto in relazione alle esigenze di prevenzione generale, quanto alla valutazione, da compiersi ex post, con la necessità di pena, determinando il venir meno della punibilità quando il fatto umano è ab origine inoffensivo ovvero perde la sua offensività originaria in relazione a comportamenti del soggetto agente, di segno positivo, successivi alla sua commissione[11].

Nel tempo, sono stati ricondotti, a vario titolo, nel genus delle condizioni negative di punibilità in senso lato una varietà di istituti.

In primo luogo, istituti incidenti sugli elementi costitutivi del reato, ossia le cause di esclusione della tipicità, che rimuovono la lesività del fatto tipico (art. 45 c.p. caso fortuito o forza maggiore; art. 46 c.p. costringimento fisico; il consenso dell’avente diritto in relazione ai reati di cui agli artt. 609 bis, 610 e 614 c.p.); nonchè le cause di giustificazione, dette anche scriminanti, che escludono l’illiceità di un fatto in tutto l’ordinamento giuridico e determinano la caducazione dell’antigiuridicità del fatto stesso (art. 50 c.p. consenso dell’avente diritto; art. 51 c.p. esercizio di un diritto o adempimento di un dovere; art. 52 c.p. legittima difesa; art. 53 c.p. uso legittimo delle armi).

Ancora, le cause di esclusione della colpevolezza, dette anche scusanti, le quali elidono l’elemento della colpevolezza: (art. 5 c.p.[12] ignoranza inevitabile della legge penale; art. 47 c.p. errore di fatto; art. 48 c.p. errore determinato dall’altrui inganno; art. 49 c.p. reato putativo e reato impossibile; art. 54, c. 1, c.p. stato di necessità; art. 54, c. 3, c.p. coazione morale; art. 82 c. 1 c.p. aberratio ictus monolesiva; art. 82 c. 2 c.p. aberratio ictus plurilesiva; art. 83 c.p. aberratio delicti).

In secondo luogo, le condizioni negative di punibilità in senso stretto, consistenti in istituti esterni agli elementi strutturali del reato ma incidenti sulla pena quale conseguenza del commesso reato, detti anche esimenti o cause di esclusione della sola pena, suddivisibili in tre distinte sub-species.

Le esimenti soggettive concomitanti, le quali sussistono al momento della consumazione del reato e sono relative a qualità soggettive dell’agente (art. 649 c.p. non punibilità a querela della persona offesa per fatti commessi a danno di congiunti; art. 3 c.p. immunità di diritto internazionale). 

Ancora, le esimenti soggettive sopravvenute, le quali sopravvengono rispetto al momento della consumazione del reato e sono relative a qualità soggettive dell’agente (art. 56 c.p. desistenza volontaria; art. 270 bis1, c. 5, c.p. recesso nei delitti di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico; artt. 308 e 309 c.p. recesso nei delitti di cospirazione e banda armata; art. 376 c.p.[13] ritrattazione in relazione agli artt. 371 bis, 371 ter, 372, 373 e 378 c.p.; art. 387, c. 2., c.p. cattura dell’evaso nella procurata evasione colposa; art. 463 c.p. impedimento alla contraffazione, alterazione, fabbricazione e circolazione di beni nei casi di determinati delitti contro la fede pubblica; art. 655, c. 3, c.p. ritiro dalla radunata sediziosa prima dell’ingiunzione dell’autorità; art. 257, c. 4, D. Lgs. 152 del 2006 non punibilità per bonifica dei siti contaminati, con applicazione ristretta alle sole contravvenzioni; nonché, in generale, tutte le figure di non punibilità per comportamenti di dissociazione da organizzazioni criminali e per condotte sopravvenute previste dalla legge speciale).

Infine, le esimenti oggettive, le quali sono indipendenti dalle qualità soggettive dell’agente e sono previste direttamente dalla legge (art. 131 bis c.p. non punibilità per particolare tenuità del fatto).

Tertium, le cause di estinzione del reato, che sopravvengono rispetto al momento consumativo del reato (art. 150 c.p. morte del reo prima della condanna; art. 151 c.p. amnistia propria; artt. 152 e ss. c.p. remissione della querela; artt. 157 e ss. c.p. prescrizione del reato; artt. 162 e 162 bis c.p. oblazione; art. 162 ter c.p. estinzione del reato per condotte riparatorie; artt. 163 e ss. c.p. sospensione condizionale con messa alla prova; artt. 168 bis e ss. c.p. sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato; art. 169 c.p. perdono giudiziale minorile; ipotesi previste dal legislatore in relazione a singole figure di reato come all’art. 341 bis c.p., in relazione all’art. 341 c.p. condotta riparatoria seguente ad oltraggio a pubblico ufficiale, nonché all’art. 641 c.p. adempimento delle obbligazioni prima della condanna in caso di insolvenza fraudolenta).

Inoltre, le cause di estinzione della pena, che sopravvengono alla comminazione della sanzione penale (art. 171 c.p. morte del reo dopo la condanna; art. 151 c.p. amnistia impropria; artt. 172 e 173 c.p. prescrizione della pena; art. 174 c.p. indulto e grazia; art. 176 c.p. liberazione condizionale; art. 178 c.p. riabilitazione del condannato; art. 175 c.p. non menzione della condanna nel casellario giudiziale, anche se quest’ultima impropriamente, in quanto tale istituto non estingue la pena, quanto piuttosto limita gli effetti della condanna).

Infine, le condizioni di non procedibilità, che operano a livello processuale (artt. 120 e ss. c.p. nonché artt. 336 e ss. c.p.p. querela; artt. 127 e ss. c.p. richiesta di procedimento per i delitti contro il Presidente della Repubblica; art. 130 c.p. istanza della persona offesa; artt. 343 e ss. c.p.p. autorizzazione a procedere; 344-bis c.p.p. improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione’’, introdotto a seguito della cd. “riforma Cartabia”).

4. Le condizioni negative di punibilità in senso stretto

Le condizioni negative di punibilità in senso stretto costituiscono circostanze soggettive, concomitanti o sopravvenute, ovvero oggettive, in virtù delle quali al fatto di reato non segue l’applicazione della sanzione penale per esso prevista.

La mancata irrogazione della sanzione penale è resa possibile dal legislatore, il quale, nel prevedere le condizioni negative di punibilità in senso stretto, opera un bilanciamento di interessi tra il bene giuridico tutelato ed il fatto criminoso e decide di non punire l’autore del fatto per ragioni di opportunità e convenienza.

Di conseguenza, le condizioni negative di punibilità in senso stretto costituiscono elementi esterni alla struttura del reato, il quale si configura perfetto in tutti i suoi elementi strutturali essenziali, limitandosi ad elidere l’applicabilità della pena.

Da tale impostazione derivano due precipitati particolarmente rilevanti.

Nel caso in cui il fatto criminoso comporti anche delle conseguenze risarcitorie di carattere civilistico, la condizione negativa di punibilità, seppur rendendo impossibile l’applicazione della sanzione penale, non incide sulle conseguenze civili del fatto e, conseguentemente, la persona offesa potrà comunque agire in sede civile per ottenere il ristoro del danno subito.

Inoltre, le condizioni negative di punibilità soggettive, concomitanti o sopravvenute, per via della loro configurabilità in relazione ad una qualità personale dell’autore del fatto, non si estendono agli eventuali concorrenti nelle ipotesi di concorso di persone nel reato.

4.1. Le condizioni negative di punibilità soggettive concomitanti. L’art. 649 c.p.

Nell'ambito delle condizioni negative di punibilità in senso stretto vengono a collocarsi le c.d. condizioni negative di punibilità soggettive concomitanti.

Da un punto di vista classificatorio, la natura giuridica di tale species si caratterizza per la sussistenza due elementi essenziali: la soggettività, intesa quale configurabilità della condizione negativa in virtù di una qualità personale dell’autore del fatto, predeterminata dalla legge, nonché la concomitanza, consistente nella preesistenza della condizione negativa rispetto al fatto criminoso, ovvero nella circostanza che questa sia venuta ad esistenza contemporaneamente alla commissione del reato[14].

In tal senso, rilevante è quanto disposto ai sensi dell’art. 649 c.p., rubricato “non punibilità e querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti”.

La ratio sottesa alla previsione di tale condizione di non punibilità è data da una valutazione di tipo politico – criminale da parte del legislatore, il quale ha ritenuto non meritevoli di punizione talune condotte compiute all’interno di contesti familiari, al fine di non intaccarne l’unità.

Infatti, si è ritenuto di non punire tali fatti per tutelare la sfera dei rapporti familiari da eventuali turbamenti dovuti all’intromissione della giurisdizione penale all’interno della stessa.

Tuttavia, l’intento di preservare l’armonia familiare cede di fronte alla tutela di determinati beni giuridici: infatti, tale causa di non punibilità non si estende ai delitti di rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di estorsione ed anche ai delitti contro il patrimonio, se commessi con violenza a danno di persone.

Sul punto, la giurisprudenza esclude che tale condizione negativa di punibilità possa estendersi anche ai casi di convivenza more uxorio.

Ciò poiché la causa di esclusione della punibilità prevista per i reati contro il patrimonio commessi ai danni di coniuge e prossimi congiunti è stata ritenuta non applicabile al convivente more uxorio, posto il chiaro intento del legislatore di voler attribuire rilievo, ai fini dell'operatività della causa di esclusione della pena in esame, all'esistenza di una convivenza qualificata, differenziandola quindi da quella more uxorio[15].

Inoltre, il rapporto di affinità tra autore e vittima del reato che fonda la causa di non punibilità ovvero la procedibilità a querela di cui all'art. 649 c.p. non opera allorché sia morto il coniuge da cui l'affinità stessa deriva e non vi sia prole[16].

Infatti, sarebbe irragionevole ritenere che la causa di non punibilità di cui all'art. 649 c.p.p. operi anche quando, in relazione agli effetti della legge penale, il vincolo familiare sia rescisso in modo definitivo, poiché si produrrebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra i fatti, non punibili, commessi ai danni di un affine ormai privo di legami per la morte del consanguineo, senza prole, e fatti commessi nei confronti di soggetti in rapporto di attuale consanguineità o del coniuge legalmente separato, punibili a querela della persona offesa.

Quanto, invece, ai rapporti tra i delitti di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione, cui la norma fa riferimento, e tentativo, si registra, in giurisprudenza, una apertura, non scevra di conseguenze, all’applicabilità della condizione di non punibilità al tentativo.

Sul punto, si sottolinea come un orientamento più risalente riteneva, facendo leva sul tenore letterale della norma, che l'esclusione della punibilità dovesse essere limitata alle sole forme consumate e non anche alle corrispondenti fattispecie tentate in quanto l'autonomia del delitto tentato comporta che gli effetti giuridici sfavorevoli previsti attraverso lo specifico richiamo di determinate norme incriminatrici vanno riferiti alle sole ipotesi di delitto consumato, in quanto le norme sfavorevoli sono di stretta interpretazione e, in difetto di espressa previsione, non possono trovare applicazione anche per le corrispondenti ipotesi di delitto tentato[17].

Al contrario, un secondo orientamento, di più recente formazione, ritiene applicabile la condizione negativa di punibilità, con riferimento ai reati presupposti ex art. 649 c.p., primo comma, al tentativo, caratterizzato da violenza morale e/o psichica ovvero da violenza sulle cose, muovendo dall’interpretazione per la quale la clausola derogatoria dell’ultimo comma dell’art. 649 c.p., prevedendo che “le disposizioni di questo articolo non si applicano ai delitti preveduti dagli articoli 628, 629 e 630 e ad ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alle persone”, trovi applicazione soltanto in relazione ai casi di violenza fisica[18].

Dunque, così chiariti gli aspetti relativi alla ratio della norma in esame, è possibile analizzare la stessa anche da un punto di vista storico – sistematico.

L’art. 649 c.p. riprende integralmente in contenuto dell’art. 443 del precedente Codice penale Zanardelli: in entrambe le compilazioni emerge, come si è evidenziato, l’intento del legislatore di tutelare la sfera dei rapporti familiari da intrusioni esterne da parte dell’ordinamento penale.

Tuttavia, tale disposizione pare essere ormai del tutto anacronistica, in quanto volta alla tutela di una unità familiare i cui caratteri si sono persi nel tempo, anche considerando l’entrata in vigore della Costituzione, il mutamento del diritto positivo, nonché il diverso contesto sociale col quale la norma interagisce.

Infatti, se, in origine, la condizione negativa di punibilità trovava una giustificazione sociale nella capacità di autoregolamentazione dei conflitti da parte di una struttura familiare caratterizzata dal ruolo dominante del marito e del padre e dalla inscindibilità del matrimonio, al contrario, nel contesto sociale attuale, dove l’assetto del nucleo familiare è profondamente mutato, la norma risulta essere anacronistica, in quanto contrastante con la tutela di quei diritti individuali che, ai sensi dell’art. 29 Cost., proprio all’interno della famiglia dovrebbero trovare pieno compimento.

Pertanto, sarebbe auspicabile un intervento del legislatore, idoneo ad evitare che, per alcune figure parentali, prevalga sempre e comunque la non punibilità.

Sul punto, è da rilevare come la Corte Costituzionale[19], pur dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p. per violazione degli artt. 3, commi 1 e 2, e 24, c. 1, Cost., per genericità ed apoditticità della prospettazione, ha comunque rilevato il carattere anacronistico della norma in esame, individuando la necessità di pervenire ad alternative, costituzionalmente compatibili, idonee ad evitare che la soluzione dell’impunità prevalga sempre e comunque per determinate figure parentali.

Tuttavia, poiché l’ambito nel quale operare tale bilanciamento tra diritti dei singoli ed esigenze di tutela del nucleo familiare è relativo a scelte di politica criminale, il compito di intervenire spetta unicamente al legislatore, al quale non può sostituirsi la Corte Costituzionale mediante l’ablazione della disposizione censurata.

4.4.1. (segue) Le immunità di diritto internazionale di cui all’art. 3 c.p.

Le immunità costituiscono una condizione negativa di punibilità in senso stretto, di natura soggettiva concomitante, volta alla apposizione di un limite all’esercizio del potere sanzionatorio statuale[20], rinvenendo la propria ratio giustificatrice nella necessità di mantenere pacifiche relazioni diplomatiche con gli Stati esteri[21].

Dunque, le immunità di diritto internazionale costituiscono un bilanciamento di interessi tra due beni giuridici differenti: da un lato, il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. ed il conseguente necessario perseguimento degli autori dei reati; dall’altro, le garanzie costituzionali connesse all’espletamento di funzioni diplomatiche da parte di soggetti appartenenti ad uno Stato straniero.

L’ordinamento giuridico prevede due distinte tipologie di immunità, definite assolute e relative.

Le immunità assolute determinano la non punibilità di tutti i reati ed operano indipendentemente dal compimento del fatto nell’esercizio del proprio incarico, mentre le immunità relative operano esclusivamente nell’esercizio ed in costanza delle proprie funzioni.

L’art. 3 c.p., nella parte in cui prevede immunità di diritto internazionale, pone una deroga alla regola generale dell’obbligatorietà della legge penale e, pertanto, in quanto norma di carattere eccezionale, non è suscettibile di interpretazione estensiva ovvero analogica.

Inoltre, in virtù del principio di legalità di cui all’art. 25, c. 2, Cost., le immunità di diritto internazionale devono essere necessariamente previste dalla legge, la quale, oltre a formulare il collegamento organico tra la persona fisica e lo Stato che rappresenta, deve espressamente indicare se l’immunità è di natura assoluta o relativa.

Sul punto, non può non rilevarsi come l'art. 3 c.p. stabilisca il principio per il quale la legge penale italiana obbliga non solo i cittadini, ma anche gli stranieri che si trovano nel territorio dello Stato; per cui l'immunità, che comporta la sottrazione di tali soggetti all'applicabilità delle sanzioni penali, costituendo un'eccezione alla regola suddetta, non può che derivare da disposizioni legislative ed è insuscettibile di interpretazioni estensive ed analogiche, come del resto avverte la stessa norma nel limitarla espressamente ai soli casi stabiliti "dal diritto internazionale".

Inoltre, il diritto internazionale generale, alle cui norme l'art. 10 Cost. dichiara che l'ordinamento giuridico italiano deve conformarsi, riconosce l'immunità suddetta, quale impossibilità totale di essere perseguiti penalmente per alcun fatto o di essere sottoposti a processo penale, ai soli capi di Stato, per il fatto che essi rappresentano i rispettivi Stati riconosciuti come sovrani da quello italiano.

Tutte le altre immunità non possono, dunque, che sorgere da specifiche norme legislative (anche se previste da Convenzioni internazionali) le quali non solo devono formulare il collegamento tra l'organo e la sua qualità di rappresentante dello Stato straniero, ma devono altresì indicare se l'esonero è generale o speciale.

Di conseguenza, l’immunità diplomatica non può essere estesa, per consuetudine o interpretazione analogica, anche ad altri soggetti[22].

I capi di Stato esteri, i reggenti, gli agenti diplomatici ed i funzionari internazionali godono di immunità assoluta, purché nella comunità internazionale lo Stato abbia la qualifica di Stato sovrano e di soggetto autonomo ed indipendente[23].

Di converso, i capi di governo, i ministri degli esteri stranieri ed i funzionari diplomatici di rango inferiore godono di immunità relativa.

I consoli e gli agenti consolari godono delle immunità previste nei trattati internazionali tra l’Italia e gli Stati stranieri; i parlamentari europei godono delle stesse immunità riconosciute ai parlamentari dei paesi di appartenenza; i giudici della Corte di Giustizia dell’Unione Europea beneficiano delle immunità previste dallo Statuto della Corte ed i giudici della Corte EDU godono di quelle previste dal protocollo addizionale inerente ai privilegi e le immunità del Consiglio d’Europa.

Infine, ai sensi dell’art. 8 dei Patti Lateranensi, al Sommo Pontefice, la cui persona è definita “sacra e inviolabile”[24] è riconosciuta immunità assoluta nella duplice veste di capo della cristianità e capo di Stato estero.

4.2. Le condizioni negative di punibilità soggettive sopravvenute

Costituiscono una ulteriore sottospecie delle condizioni negative di punibilità le cd. condizioni negative di punibilità soggettive sopravvenute.

La natura giuridica di tale species si caratterizza per la sussistenza due elementi essenziali: oltre alla già esaminata soggettività, l’altro elemento essenziale è quello della sopravvenienza, consistente nella venuta ad esistenza della condizione di non punibilità in un momento successivo rispetto a quello della commissione del reato[25].

Dunque, i singoli istituti riconducibili a tale categoria hanno in comune l’abbandono dell’intento criminoso da parte dell’agente, ovvero un comportamento tenuto dello stesso agente idoneo a rimuovere gli aspetti lesivi del commesso reato.

Il primo istituto che viene in rilievo è quello della desistenza volontaria di cui all’art. 56 c.p.

Si ha desistenza volontaria nelle ipotesi in cui l’agente recede da un’azione criminosa che non ha ancora completato il suo iter esecutivo[26] e, di conseguenza, egli risponde solo se gli atti compiuti costituiscano di per sé un reato diverso.

La ratio della previsione della condizione di non punibilità è da ricercarsi in quel fondamento di politica criminale definito come cd. teoria del ponte d’oro, consistente nel regime di favore previsto per il ripensamento, volto all’incentivazione dell’abbandono della condotta criminosa, al fine di evitare che la consapevolezza della pena meritata determini una spinta alla consumazione del reato, racchiudibile nella massima “nemico che fugge ponti d’oro” [27].

Inoltre, una ancor più robusta ratio giustificatrice deve rinvenirsi nel rapporto tra prevenzione generale e prevenzione speciale, in quanto chi volontariamente desiste dall’intento criminoso mostra di non possedere una voluntas criminis tale da giustificare l’irrogazione di una sanzione penale[28].

La medesima ragione giustificatrice si rinviene nelle ipotesi speciali previste dal legislatore agli artt. 270 bis1, c. 5, 308 e 309 c.p.

Tuttavia, in queste ipotesi specifiche, la non punibilità è subordinata, oltre che all’abbandono volontario dell’intento criminoso, all’esistenza di un requisito ulteriore, rinvenibile rispettivamente: nei casi di cui all’art. 270 bis1, c. 5, c.p., alla fornitura di elementi di prova determinanti per l'esatta ricostruzione del fatto e per l'individuazione degli eventuali concorrenti; invero, in quelli di cui agli artt. 308 e 309 c.p., al discioglimento dell’associazione da parte dei promotori, al recesso dal sodalizio dai partecipi, ovvero dall'impedimento attivo alla commissione dei delitti da parte dei membri semplici[29].

Invece, diversa ratio di fondo è posta alla base delle condizioni negative di punibilità di cui agli artt. 376, 387 e 463 c.p.

Infatti, in tali accezioni, l’agente commette un reato perfetto in tutti i suoi elementi essenziali mediante una condotta che porta a compimento l’iter esecutivo del disegno criminoso, ma, successivamente alla commissione del reato, attua un comportamento idoneo a rimuoverne ogni aspetto lesivo[30].

Dunque, in ciò si coglie la differenza con le ipotesi legislative esaminate in precedenza: se nelle prime la desistenza dall’intento criminoso porta a considerare il fatto come se non costituisse reato, nelle ultime il reato si è perfezionato, ma il sopravvenuto comportamento dell’agente determina la rimozione degli effetti lesivi.

In sostanza, è la condotta dell’agente, sopravvenuta alla commissione del reato e volta all’annullamento degli effetti di questo, a determinare la decisione del legislatore, in virtù di una scelta di politica criminale, di prevedere determinate condizioni di non punibilità.

Alla medesima ratio giustificatrice soggiace la previsione contenuta all’art. 257, c. 4, D. Lgs. n. 157 del 2006, la quale prevede la non punibilità di chi si è adoperato per la bonifica del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee inquinate, in osservanza dei progetti di cui all’art. 242 della medesima norma, limitatamente alle contravvenzioni ambientali contemplate da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento.

4.3. Le condizioni negative di punibilità oggettive. La non punibilità per particolare tenuità del fatto

L’ultima sottocategoria delle condizioni negative di punibilità è costituita dalle condizioni di non punibilità oggettive.

La natura giuridica di tale sottospecie si caratterizza per la presenza di un solo elemento essenziale, quello dell’oggettività, che svincola la categoria da qualsivoglia qualità soggettiva dell’agente ed ancora l’applicabilità della condizione di non punibilità alla sola entità dell’offesa[31].

L’ordinamento giuridico italiano prevedeva, fino al 2015, due limitati casi di non punibilità in senso oggettivo.

Questi erano, rispettivamente, nell’ambito del diritto penale minorile, la non punibilità per tenuità del fatto ed occasionalità del comportamento di cui all’art. 27 del D. P. R. n. 448 del 1988 nonché, nel circoscritto settore dei reati di competenza del Giudice di pace, la non punibilità per tenuità del fatto, occasionalità del comportamento e grado di colpevolezza, di cui all’art. 34 del D. Lgs. n. 274 del 2000.

Tuttavia, il legislatore, mediante il D. Lgs. n. 28 del 2015, attuativo della L. delega n. 67 del 2014, ha novellato il Codice penale, inserendo l’art. 131 bis c.p., rubricato esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

Pertanto, alla condizione non punibilità per tenuità del fatto, la cui operatività era sino a quel momento limitata al diritto penale minorile o all’ambito di competenza del Giudice di pace, viene conferita portata generale[32].

Le ragioni che hanno spinto il legislatore all’introduzione di tale istituto sono due: la prima, di carattere sistematico, trova fondamento nel principio di offensività e di proporzione tra gravità del reato e punizione ad esso connessa, in virtù del quale si ritengono non punibili quei fatti che, in astratto, presentano tutti i caratteri integrativi di una fattispecie penale ma che, in concreto, offendo il bene giuridico in maniera talmente tenue da non superare la soglia minima[33] che giustifica l’applicazione della sanzione penale; invece, la seconda obbedisce ad esigenze pratiche di carattere deflattivo, consentendo di alleggerire l’attività giurisdizionale dal peso di quei reati che risultano essere scarsamente offensivi[34].

La natura giuridica della non punibilità per particolare tenuità del fatto quale condizione negativa di punibilità trova conferma, dal punto di vista normativo, oltre che nel tenore letterale dell’art. 131 bis c.p. anche nella formulazione del novellato art. 411 c.p.p., il quale disciplina le modalità di archiviazione dell’indagato ove, in sede di indagini preliminari, emerga la particolare tenuità del fatto commesso[35].

Tuttavia, in tale accezione l’istituto dovrà necessariamente qualificarsi non quale condizione negativa di punibilità, bensì come condizione di procedibilità di carattere esclusivamente processuale.

I requisiti per l’applicazione dell’istituto sono tre.

In primo luogo, per necessità di prevenzione generale, la disciplina trova applicazione esclusivamente per quei reati puniti con pena pecuniaria, pena detentiva, o pena pecuniaria congiunta a pena detentiva, comunque non superiore nel minimo a due anni (per come determinato a seguito della cd. “riforma Cartabia”; invece, la formulazione originaria del primo comma dell’art. 131 bis c.p. prevedeva, quale limite di applicazione, quello dei reati puniti con pena non superiore nel massimo a cinque anni), da determinarsi, ai sensi dell’art. 131 bis, c. 4, c.p., senza operare il giudizio di bilanciamento di cui all’art. 69 c.p.

In secondo luogo, al fine di determinare la particolare tenuità del fatto, deve tenersi conto dell’intero disvalore del fatto, dovendosi dare rilevo non soltanto alla tenuità del danno o del pericolo, ma anche alla modalità della condotta.

Infine, per esigenze di prevenzione speciale, l’istituto non può trovare applicazione se il reato è continuato[36], se il reo è delinquente abituale, professionale o autore di reati della stessa indole, nonché nei casi di reati aventi ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate; al contrario, la non punibilità per particolare tenuità del fatto potrà trovare applicazione nelle ipotesi di reato permanente, a condizione che la permanenza sia terminata[37].

Tuttavia, quanto alla relazione tra particolare tenuità e reato continuato, deve essere precisato che la Cassazione, con una pronuncia assai recente, ha statuito che la continuazione tra reati non impedisce, di per sé, la configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, in quanto la decisione rimarrebbe affidata alla discrezionalità del giudice in ordine alla meritevolezza o meno della esclusione della punibilità nell’ipotesi della continuazione[38].

Tale impostazione fa seguito ad un nuovo orientamento assunto dalla Suprema Corte, la quale non preclude l’applicabilità dell’istituto ai casi di continuazione: infatti, già in passato gli Ermellini avevano statuito che pur dovendosi riconoscere l’astratta compatibilità della causa di non punibilità con la continuazione, la serialità ostativa, come tale idonea ad integrare l’abitualità del comportamento, si realizza anche quando l’autore faccia seguire a due reati della stessa indole un’ulteriore, autonoma, condotta illecita[39].

Il riferimento normativo alle condotte abituali allude al reato abituale in senso tecnico; di contro, appare di difficile interpretazione la locuzione che fa rifermento alle condotte “plurime e reiterate”.

Secondo parte della dottrina, si tratterebbe di un caso in cui il legislatore sia incorso in una inutile ridondanza di espressioni[40]; secondo un’altra parte della dottrina, le condotte reiterate sarebbero un sinonimo delle condotte abituali, mentre le condotte plurime potrebbero costituire un riferimento, tecnicamente improprio, al reato permanente, ai reati complessi, ovvero ai reati con più condotte[41].

In ogni caso, il legislatore ha previsto, al secondo comma dell’art. 131 bis c.p., specifiche presunzioni legislative, per le quali un fatto non può comunque essere considerato particolarmente tenue, che determinano la necessaria inapplicabilità dell’istituto.

Tali presunzioni sono costituite dai casi in cui l’agente ha agito per motivi futili o abietti, con crudeltà verso le persone ovvero in danno di animali, profittando delle condizioni di minorata difesa della vittima e, infine, quando dalla sua azione siano derivate, seppure non volute, la morte o lesioni gravissime in danno di una persona.

Inoltre, la condizione negativa di punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. deve ritenersi applicabile anche a quei reati caratterizzati dalla previsione, da parte del legislatore, di una determinata soglia di punibilità, anche se tale statuizione denota un certo contrasto logico tra l’opportunità di prevedere espressamente una soglia di punibilità e la successiva non punibilità di un fatto, che supera detta soglia, perché ritenuto in concreto particolarmente tenue.

Con riguardo alla applicabilità della non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati con soglia, erano venuti a formarsi due orientamenti giurisprudenziali contrapposti: per i sostenitori del primo orientamento, l’art. 131 bis c.p. non avrebbe potuto trovare applicazione, in quanto la tenuità o meno del fatto sarebbe determinata a monte dal legislatore, attraverso la previsione della soglia di punibilità; al contrario, per i fautori del secondo orientamento, la non punibilità per particolare tenuità avrebbe potuto trovare applicazione, in quanto istituto di carattere generale che deve essere ricondotto al caso concreto (ad esempio, potrebbe essere ritenuto tenue e, di conseguenza, non punibile, un reato in materia tributaria che superi la soglia di punibilità solamente per poche centinaia di euro).

Detto contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, le quali hanno statuito[42] che la non punibilità per particolare tenuità del fatto si applica a ogni fattispecie criminosa, in presenza dei presupposti e nel rispetto dei limiti fissati dalla medesima norma, ivi compresi quei reati caratterizzati dalla presenza di soglie di punibilità all’interno della fattispecie tipica, non essendo queste ultime incompatibili con la valutazione di particolare tenuità.

Tuttavia, la pronuncia non è esente da critiche: infatti, si ritiene che la soluzione interpretativa seguita dalle Sezioni Unite Penali sia scarsamente compatibile con il principio di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.

In particolare, seguendo tale impostazione, l’agente sarebbe incoraggiato a tenere una condotta che superi, seppur di poco, la soglia di punibilità, al fine di integrare la valutazione di particolare tenuità e, dunque, di ottenere la non punibilità; inoltre, verrebbe a determinarsi il paradosso per il quale l’agente che con la propria condotta supera la soglia di punibilità di un quantitativo ritenuto particolarmente tenue sarebbe esente da ogni sanzione, mentre l’agente che pone in essere una condotta non superiore alla soglia di punibilità è soggetto alle sanzioni amministrative eventualmente previste.

Di particolare rilevanza è il rapporto tra non punibilità per particolare tenuità e responsabilità delle persone giuridiche.

Il testo del D. Lgs. n. 231 del 2001 non stabilisce espressamente se l'applicazione di cause che escludono la punibilità dell'autore del reato presupposto, al di fuori delle ipotesi estintive, abbia effetti sulla possibilità di sanzionare la persona giuridica, e neppure se le cause di non punibilità siano direttamente applicabili agli enti.

Tuttavia, alla luce della giurisprudenza venutasi a formare sull’argomento, deve ritenersi che la non punibilità per particolare tenuità del fatto incontra un limite con riguardo alla responsabilità penale degli enti, non potendosi applicare ai reati imputabili alla persona giuridica e non escludendo la punibilità di questa nel caso in cui sia non punibile per particolare tenuità il fatto commesso dalla persona fisica autore del reato presupposto[43].

L’assunto trova fondamento nella natura del tutto autonoma della responsabilità dell’ente rispetto a quella penale di colui che pone in essere il reato presupposto: infatti, la responsabilità amministrativo-penale da organizzazione trova nella commissione di un reato da parte della persona fisica solamente un presupposto necessario ma non sufficiente.

Pertanto, considerata la peculiare natura giuridica della responsabilità ex D. Lgs. n. 231 del 2001, che non è una responsabilità penalistica in senso stretto, il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità ritiene che non sia possibile applicare la causa di non punibilità essendo questa espressamente e univocamente riferita alla realizzazione di un reato, quando, al contrario, la responsabilità dell’ente trova nella realizzazione di un reato solamente il proprio presupposto storico, ma è volta a sanzionare la colpa di organizzazione dell’ente.

Detto approdo, allo stato assolutamente da condividere, non rimuove tuttavia l’auspicio per il quale sarebbe opportuno, da parte del legislatore, valutare una introduzione della causa di non punibilità per particolare tenuità anche nel sistema della responsabilità degli enti, caratterizzata non da un semplice richiamo normativo, ma da elementi suoi propri, volti, ad esempio, alla valorizzazione degli aspetti di organizzazione, gestione, controllo e prevenzione tipici delle persone giuridiche.

La disciplina della non punibilità per particolare tenuità del fatto ha subito un ampliamento delle ipotesi di applicazione a seguito della cd. “riforma Cartabia”[44], la quale, con il dichiarato scopo di aumentarne la portata applicativa, è intervenuta tanto sui limiti edittali di pena per cui è consentito il ricorso all’art. 131-bis c.p., sostituendo, come già detto, nel comma 1, alle parole “pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni” le parole “pena detentiva non superiore nel minimo a due anni”, quanto modificando gli indicatori cui il giudice deve fare riferimento, prevedendo che il giudice non debba valutare soltanto il momento passato o presente alla commissione del reato, ma anche il momento futuro, costituito dalla condotta che l’imputato ha tenuto in epoca posteriore alla realizzazione dell’illecito.

Ciò anche in quanto la condotta dell’imputato successiva alla commissione del reato potrebbe, nell’ottica della considerazione del giudizio complessivo sull’entità dell’offesa recata, rendere particolarmente tenue un’offesa che tale non era al momento della consumazione del reato[45]

La novella, in mancanza di specifica disciplina transitoria, trova applicazione retroattiva anche ai fatti di reato commessi in epoca precedente al 30 dicembre 2022, ai sensi dell’art. 2, c. 4, c.p., trattandosi di istituto di diritto penale sostanziale[46].

Infine, meritano di essere esaminati i rapporti tra offesa particolarmente tenue e sanzioni amministrative accessorie.

Per l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale[47], la sanzione amministrativa accessoria alla sanzione penale rimane applicabile, ove la competenza spetti all’autorità amministrativa e non al giudice penale.

Detto orientamento trova origine nell’assunto per il quale, in mancanza di pronunzia di condanna ovvero di proscioglimento, le sanzioni amministrative riprendono la loro autonomia ed entrano nella sfera di competenza pubblica: questo meccanismo opera in ogni circostanza nella quale manchino nel merito condanna o proscioglimento e, pertanto, troverà applicazione anche nel caso in cui il fatto non è punibile per la sua particolare tenuità.

4.3. Conclusioni

L’esposta complessa analisi della categoria delle condizioni negative di punibilità determina riflessioni di notevole importanza.

Appare ormai chiaro come, nell’ordinamento giuridico italiano, la meritevolezza della pena, classicamente declinata secondo i principi costituzionali di offensività e proporzionalità, sia anche filtrata da una valutazione di opportunità, in particolar modo nelle ipotesi di fatti caratterizzati da scarsa lesività, colpa lieve, lievissima ovvero ancora incosciente.

Pertanto, il “bisogno di pena”, ossia la valutazione sulla necessità di applicare in concreto la sanzione penale, è frutto di un procedimento di valutazione logica finalizzato stabilire se la comminazione della sanzione stessa sia strumento idoneo a raggiungere lo scopo previsto da legislatore.

Quando non lo è, ovvero quando sono disponibili in seno all’ordinamento giuridico altri strumenti meno afflittivi, viene meno il bisogno di pena[48].

Allo stesso tempo, non può non rilevarsi come tale impostazione presti il fianco a taluni aspetti di criticità, che devono essere in questa sede rilevati.

Infatti, questo modello determinerebbe una frattura tra esigenze preventive e colpevolezza, poiché postulerebbe che un fatto illecito, in astratto punibile, vada esente da pena per mere ragioni di opportunità, che rendono non conveniente l’irrogazione della pena, declinate in termini di scelte di politica criminale ovvero in ottica deflattiva.

Tutto ciò sia nel considerare le condizioni negative di punibilità quali quarto elemento del reato, sia nel considerarle elementi esterni allo stesso.

In ogni caso, andando oltre tale notevole riflessione di teoria generale, è ragionevole ritenere che le singole species di condizioni negative di punibilità, in particolare la disciplina di cui all’art. 131 bis c.p., anche alla luce della recente riforma, necessitino di un più generale e dogmatico ripensamento, meritando un inquadramento non tanto meramente deflattivo, quanto una impostazione orientata alla cd. restorative justice ed alla risocializzazione del reo.


Note e riferimenti bibliografici

[1] S. CANESTRARI – L. CORNACCHIA – G. DE SIMONE, Manuale di diritto penale, parte generale, Bologna, Il Mulino, 2017, p. 733.

[2] G. COCCO, La difesa della punibilità quale elemento autonomo del reato, in Scritti in onore di Stile, Napoli, 2013, pp. 497 e ss.

[3] L. CORNACCHIA, La punibilità sub condicione, in www.lalegislazionepenale.eu, 12.12.2017, p. 3.

[4] G. COCCO, La punibilità quarto elemento del reato, in Trattato breve di diritto penale, diretto da G. Cocco, E.M. Ambrosetti, Padova, 2017.

[5] S. CANESTRARI – L. CORNACCHIA – G. DE SIMONE, op. cit., p. 715.

[6] L. CORNACCHIA, op. cit., p. 4.

[7] A. PAGLIARO, Il fatto di reato, Palermo, 1960, p. 389.

[8] G. LATTANZI, Codice di procedura penale annotato con la giurisprudenza, Milano, Giuffrè, 2018, p. 246.

[9] F. MANTOVANI, Diritto penale, parte generale, Vicenza, Wolters Kluwer - Cedam, 2017, p. 381.

[10] L. CORNACCHIA, op. cit., p. 30.

[11] M. RONCO, Le condizioni oggettive di punibilità, in Scritti patavini, Tomo I, Torino, 2017, pp. 426 – 428.

[12] La Corte Cost., con sent. n. 364 del 24 marzo 1988, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 5 c.p. nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile.

[13] La Corte Cost., con sent. n. 101 del 30 marzo 1999, ha dichiarato l’incostituzionalità del c. 1 dell’art. 376 c.p. nella parte in cui non prevede la ritrattazione come causa di non punibilità per chi, abbia reso dichiarazioni false o reticenti ai fini delle indagini, in tutto o in parte, nei confronti della polizia giudiziaria, delegata dal pubblico ministero a norma dell’art. 370 c.p.p.

[14]  G. MARINUCCI – E. DOLCINI – G.L. GATTA, Manuale di diritto penale, parte generale, Milano, Giuffrè, 2018, p. 442.

[15] Cass. Pen. Sez. V, sent. n. 37873 del 2019, seguente a Corte Cost. ord. n. 57 del 2018, che si era pronunciata nel senso che “sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 649, comma 1, c.p., censurato, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede la non punibilità anche dei fatti criminosi previsti dal titolo XIII del libro II del Codice penale commessi in danno di un convivente more uxorio, nonostante il D. Lgs. 19 gennaio 2017, n. 6, abbia aggiunto, tra i soggetti che beneficiano della causa di non punibilità in esame, la parte dell'unione civile fra persone dello stesso sesso atteso che, nell’ordinanza di rimessione, il soggetto nei cui confronti si procede è definito esplicitamente «ex convivente», e si ragiona della convivenza in questione come «pregressa» o «intercorsa» relazione. Da tale statuizione consegue inequivocabilmente l'inapplicabilità della disposizione censurata”.  

[16] Cass. Pen. Sez. V, sent. n. 23060 del 2021, conforme a Cass. Pen. Sez. II, sent. n. 19668 del 2010.

[17] Come si evince chiaramente già in Cass. Pen. Sez. II, sent. n. 3631 del 2016, poi confermata anche da Cass. Pen. Sez. II, sent. n. 27888 del 2020.

[18] Cass. Pen. Sez. II, sent. n. 22930 del 2023, in relazione a tentata estorsione commessa in danno dei genitori con minacce e violenza sulle cose; nonché Cass. Pen. Sez. II, sent. n. 3614 del 2020, inerente a tentata estorsione commessa in danno dei genitori esclusivamente con violenza sulle cose.

[19] Corte Cost., sent. n. 223 del 2015.

[20] G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 159.

[21] S. CANESTRARI – L. CORNACCHIA – G. DE SIMONE, op. cit., p. 92.

[22] Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 1011 del 1998.

[23] Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 49666 del 2004 “in tema di immunità previste dal diritto internazionale, poiché alla Repubblica del Montenegro non spetta, nell'ambito della comunità internazionale, la qualifica di Stato sovrano e di soggetto autonomo e indipendente (che fa capo solo allo Stato Unione di Serbia e Montenegro), il presidente della Repubblica e il capo del governo del Montenegro non godono delle immunità dalla giurisdizione penale italiana riconosciute ai Capi di Stato e di Governo e ai Ministri degli esteri degli Stati sovrani e soggetti di diritto internazionale”. Tuttavia, si fa presente che, a far data da giorno 3 giugno 2006, la Repubblica del Montenegro è diventata Stato sovrano autonomo ed indipendente internazionalmente riconosciuto e, pertanto, da quella data il presidente della Repubblica ed il capo del governo del Montenegro godono delle immunità di cui all’art. 3 c.p.

[24] G. MARINUCCI – E. DOLCINI – G. L. GATTA, op.cit., p. 168.

[25] G. MARINUCCI – E. DOLCINI – G. L. GATTA, op.cit., p. 442.

[28] G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 501.

[29] G. LATTANZI, op. cit., pp. 830 – 831.

[30] G. LATTANZI, op. cit., pp. 1143 – 1146, p. 1389.  

[31] G. MARINUCCI – E. DOLCINI – G. L. GATTA, op. cit., p. 442.

[32] G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 826.

[33] G. MARINUCCI – E. DOLCINI – G. L. GATTA, op. cit., p. 448.

[35] G. LATTANZI, op. cit., pp. 1392 – 1394.

[36]Cass. Pen. Sez. VI, sent. n. 18192 del 2019 la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall'art. 131-bis c.p. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, specie se consumati in un significativo arco temporale, in quanto anche il reato continuato configura un'ipotesi di "comportamento abituale", ostativo al riconoscimento del beneficio”, conforme a Cass. Pen. Sez. V, sent. n. 48352 del 2017 “in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, e giudicati nel medesimo procedimento, non opera l'istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto, configurando anche il reato continuato una ipotesi di comportamento abituale ostativa al riconoscimento del beneficio”; tuttavia, si sottolinea in senso difforme Cass. Pen. Sez. II, sent. n. 42579 del 2019 “la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131- bis c.p., non sussistendo alcuna identificazione tra continuazione e abitualità, può essere dichiarata anche in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione purché non espressivi di una tendenza o inclinazione al crimine”.

[37] Cass. Pen. Sez. II, sent. 16363 del 2019 “il delitto di invasione di terreni demaniali di cui agli artt. 633 e 639 bis c.p. ha natura permanente, atteso che l'offesa al patrimonio demaniale perdura sino a che continua l'invasione arbitraria del terreno al fine di occuparlo o di trarne profitto, sicché è preclusa, sino a quando la permanenza non sia cessata, l'applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p., in ragione della perdurante compressione del bene giuridico per effetto della condotta delittuosa”, conforme a Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 30383 del 2016 “in tema di reati permanenti, è preclusa l'applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto finché la permanenza non sia cessata, in ragione della perdurante compressione del bene giuridico per effetto della condotta delittuosa”.

[38] Cass. Pen. Sez. V, sent. n. 18890 del 2023.

[39] Cass. Pen. Sez. II, sent. n. 49678 del 2022.

[41] F. MANTOVANI, op. cit., p. 793.

[42] Cass. Pen. SS.UU., sent. n. 13681 del 2016

[43] Quanto alla possibilità applicativa dell’art. 131 bis c.p. alla responsabilità delle persone giuridiche di cui al D. Lgs. n. 231 del 2001, Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 1420 del 2020 “non è applicabile la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto in riferimento alla esecuzione di attività̀ di recupero di rifiuti speciali non pericolosi da parte del legale rappresentante della società, nell’interesse della stessa”; Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 1420 del 2019 “la causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131 bis c.p. non è applicabile alla responsabilità amministrativa degli enti per i fatti commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dai propri dirigenti o dai soggetti sottoposti alla loro direzione, in considerazione della differenza esistente tra la responsabilità penale, che espressamente prevede l'istituto estintivo in relazione a un fatto di reato commesso dalla persona fisica, e quella amministrativa dell'ente per il fatto di reato commesso da chi al suo interno si trovi in posizione apicale o sia soggetto alla altrui direzione, la quale responsabilità amministrative dell’ente trova nella realizzazione di un reato solamente il proprio presupposto storico, non già l'intera sua concretizzazione, essendo volta a sanzionare la colpa di organizzazione dell'ente per fatti commessi nel suo interesse o a suo vantaggio”, conforme a Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 9072 del 2018. Invece, per quanto attiene alla possibilità di estendere la non punibilità per particolare tenuità del fatto prevista per il reato presupposto commesso dalla persona fisica anche all’ente, Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 11518 del 2019 “nell'applicazione del D. Lgs. n. 231 del 2001, la eventuale declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità del fatto nei confronti dell'autore del reato presupposto non incide sulla contestazione formulata nei confronti dell'ente, né ad esso può applicarsi la predetta causa di non punibilità”, conforme a Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 9072 del 2017 “in tema di responsabilità degli enti, in presenza di una sentenza di applicazione della particolare tenuità del fatto nei confronti della persona fisica responsabile della commissione del reato, il giudice deve procedere all'accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio il reato fu commesso; accertamento di responsabilità che non può prescindere da una opportuna verifica della sussistenza in concreto del fatto reato, in quanto l'applicazione dell'articolo 131 bis c.p. non esclude la responsabilità dell'ente, in via astratta, ma la stessa deve essere accertata effettivamente in concreto, non potendosi utilizzare allo scopo, automaticamente, la decisione di applicazione della particolare tenuità del fatto emessa nei confronti della persona fisica”.

[44] D.L. n. 150/2022, entrato in vigore il 30 dicembre 2022, giusta previsione del D.L. n. 162/2022, nel testo convertito dalla L. n. 199/2022.

[45] Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 18029/2023.

[46] Cass. Pen. Sez. VI, sent. n. 17183/2023, conforme a Cass. Pen. Sez. VI, sent. n. 7573/2023.

[47] In particolare, Cass. Pen. Sez. IV, sent. n. 25820/2023.

[48] L. CORNACCHIA, op. cit., p. 7.