Responsabilità risarcitoria dell´avvocato in caso di non corretto adempimento della prestazione professionale
Modifica pagina
Claudia Migliazza
In questo contributo sarà analizzata la responsabilità dell’avvocato nel caso di non corretto adempimento della prestazione professionale. In primo luogo, si esaminerà il contratto che lega le parti al fine di individuare la responsabilità al quale l’avvocato è soggetto e, pertanto, la disciplina applicabile. Successivamente, la disamina si soffermerà su quella che è stata l’evoluzione giurisprudenziale in materia fino ad arrivare alla recente pronuncia n. 10864/2023 della Corte di Cassazione.
Liability for compensation of the lawyer in the event of incorrect performance of the professional service
This contribution will analyze the liability of the lawyer in the event of incorrect performance of the professional service. First, the contract binding the parties will be analyzed in order to identify the liability to which the lawyer is subject and, therefore, the applicable discipline. Subsequently, the examination will focus on what has been the jurisprudential evolution on the subject up to the recent ruling n. 10864/2023 of the Court of Cassation.Sommario: 1. La tipologia di contratto che intercorre tra l’avvocato ed il cliente; 2. Obblighi e doveri dell’avvocato; 3. Inquadramento: la responsabilità contrattuale; 3.1. La responsabilità dell’avvocato; 3.2. L’onere della prova 4. La giurisprudenza in materia di responsabilità dell’avvocato; 5. La pronuncia n. 10864/2023 della Corte di Cassazione 5.1.Considerazioni di diritto; 6. Conclusioni
1.La tipologia di contratto che intercorre tra l’avvocato ed il cliente
Prima di delineare la responsabilità civile al quale può essere soggetto l’avvocato, occorre definire il rapporto intercorrente tra l’avvocato ed il suo cliente ed, in particolare, la tipologia di contratto sul quale si fonda tale rapporto. L’incipit dell’esame della materia, infatti, sotto il profilo strettamente civilistico, parte necessariamente dall’origine del rapporto tra avvocato e patrocinato.
Sul punto, preliminarmente, appare utile distinguere la procura ad litem[1] dal contratto di patrocinio. La prima, regolata dall’art. 83 del codice di procedura civile, costituisce un rapporto unilaterale con il quale il soggetto necessitante di difesa tecnica, dà procura ad un avvocato al fine di essere difeso e rappresentato in giudizio e, dunque, ha una propria autonomia[2] rispetto al contratto di patrocinio. Per quanto attiene, invece, il contratto di patrocinio – o mandato sostanziale – questo costituisce un negozio bilaterale, con il quale l’avvocato svolge la sua opera professionale in favore della parte.
In altre parole e al fine di comprendere meglio la distinzione tra le due forme, la Corte di Cassazione, in tema di attività professionale svolta da avvocati, afferma che «mentre la procura “ad litem” è un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio, il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale (cd. contratto di patrocinio) con il quale il legale viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte; conseguentemente, ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura “ad litem”, essendo questa richiesta solo per lo svolgimento dell'attività processuale, né rileva il versamento di un fondo spese o di un anticipo sul compenso, atteso che il mandato può essere anche gratuito e che, in ipotesi di mandato oneroso, il compenso ed il rimborso delle spese possono essere richiesti dal professionista durante lo svolgimento del rapporto o al termine dello stesso»[3].
Discussa, poi, è stata la natura del contratto di patrocinio, in quanto taluni consideravano tale contratto come un contratto di mandato e, in quanto tale, soggetto alle regole previste dall’art. 1703 c.c., il quale dispone che il contratto di mandato è quella tipologia di contratto con il quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altro. Il mandato, dunque, è un contratto consensuale ad effetti obbligatori ed a forma libera[4]. Altri, definivano il contratto di patrocinio come un contratto di prestazione d’opera professionale, regolato dall’art. 2229 c.c., mediante il quale l’avvocato presta la propria opera nei confronti del cliente e viene qualificato dalla giurisprudenza come mandato professionale a tempo.
La differenza sostanziale tra le due tipologie di contratto concerne la normativa applicabile in quanto quella sul mandato ha carattere generale mentre quella sulla prestazione d’opera professionale carattere speciale.
Pertanto, la Cassazione, nel redimere il contrasto, individua la tipologia di contratto che lega l’avvocato ed il suo cliente, nonché la disciplina applicabile sostenendo che «l’incarico affidato al difensore, pur rientrando nella più ampia categoria del mandato quale assunzione dell’obbligazione a compiere atti giuridici[5] è, in ragione delle specifiche caratteristiche che connotano l’attività professionale, oggetto dell’obbligazione disciplinata dagli artt. 2229 ss. c.c.[6]».
Oltre alle norme del codice civile riferibili alla tipologia contrattuale che lega le due parti, al rapporto cliente/avvocato si applicano anche le norme contenute nella L. n. 247/2012 (cd. Legge professionale forense) e nel Codice deontologico forense[7].
In altre parole, il rapporto tra avvocato e cliente è regolato dal cd. contratto di patrocinio, un contratto di prestazione d’opera intellettuale riconducibile allo schema del mandato[8]. Quest’ultimo è richiamato espressamente dagli artt. 23, 26, 27 e 32 del Codice deontologico forense e dall’art. 14 della n. 247/2012.
L’insieme delle norme – le norme regolanti il contratto di prestazione d’opera professionale e del contratto di mandato previste dal codice civile, nonché le norme previste dal Codice Deontologico Forense e dalle Legge Professionale – viene definito come “diritto forense”[9].
2. Obblighi e doveri dell’avvocato
La stipulazione del contratto professionale di prestazione d’opera fa sorgere in capo all’avvocato una serie di obblighi e doveri.
In primis, al momento della stipula sorge un’obbligazione in capo all’avvocato e, per lungo tempo, si è discusso se tale obbligazione fosse da ritenere un’obbligazione di mezzi[10] o un’obbligazione di risultato[11]. Tale distinzione risulta essere superata, infatti, ogni obbligazione postula la compresenza sia del comportamento del debitore, sia del risultato, in misura diversa in base alla tipologia di obbligazione assunta[12]. Più in generale, l’obbligazione assunta dall’avvocato è ritenuta come un’obbligazione di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a porre in essere tutte le condizioni tecnicamente necessarie a consentire al proprio cliente la realizzazione dello scopo perseguito, ma non a conseguire il risultato.
A tal riguardo, occorre fare riferimento ad un importante dovere in capo all’avvocato: il dovere di diligenza.
La diligenza del professionista è regolata dall’art. 1176 co.2 c.c.[13] e dall’art. 12 – rubricato “dovere di diligenza”[14] – del Codice deontologico forense. Il prestatore d’opera, dunque, ha l’obbligo di agire secondo diligenza e l’art. 1176 co. 2 c.c. rappresenta il parametro di valutazione della condotta dell’avvocato, il quale deve essere dotato di media attenzione e preparazione, qualificato dalla perizia e dotato degli strumenti tecnici adeguati al tipo di prestazione da svolgere[15].
Il professionista ha, poi, il dovere di informazione, regolato dall’art. 27 del Codice Deontologico Forense[16], mediante il quale l’avvocato, all’atto dell’assunzione dell’incarico, ha il dovere di informare il cliente sulle caratteristiche e l’importanza dell’incarico conferito, sulle attività da espletare precisando le iniziative e le ipotesi di risoluzione, sulla possibile durata del processo e degli oneri annessi, sulla possibilità di avvalersi degli istituti della negoziazione assistita e/o mediazione e di tutti i percorsi alternativi al contenzioso giudiziario, sulla necessità di compiere tutti gli atti necessari al fine di evitare prescrizioni, decadenze o altri effetti pregiudizievoli relativamente agli incarichi in corso nonché della possibilità, ove ne ricorrano le condizioni, di avvalersi del patrocinio a spese dello Stato.
Occorre sul punto sottolineare che, al contempo, il cliente è onerato da uno speculare obbligo di informazione e collaborazione con l’avvocato, in quanto, laddove il parere informativo dell’avvocato risultasse errato a causa di erronee informazioni fornite dal cliente, non potrebbe poi sussistere alcuna responsabilità del legale[17]. Oltre ciò, il professionista, nel corso dello svolgimento del rapporto, è soggetto al dovere di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente nonché di sconsigliare di intraprendere e/o proseguire il giudizio ove non sussistano le condizioni che potrebbero comportare un esito sfavorevole[18]. Il dovere di informazione in capo all’avvocato incontra, tuttavia, un limite, che si sostanzia nella scelta libera e consapevole del cliente, in quanto il professionista non ha obbligo di persuadere lo stesso[19].
Tra gli obblighi informativi dell’avvocato, poi, rientra il dovere di rendere edotto il cliente di essere dotato di una polizza assicurativa[20] a copertura della responsabilità civile derivante dalla professione.
Nella fase di informazione al cliente, l’avvocato non adempie all’obbligazione di mezzi – propria del rapporto contrattuale – bensì ad una obbligazione di risultato, dovendo offrire al cliente tutti gli elementi di valutazione necessari allo scopo di assumere una consapevole decisione in ordine all’opportunità – o meno – di promuovere la causa[21].
Tuttavia, l’avvocato, nel difendere il singolo cliente, deve sempre tenere conto della superiore funzione pubblica e sociale legata al proprio ruolo[22], soprattutto quando l’interesse individuale del cliente va a collidere con l’interesse della collettività[23].
3. Inquadramento: la responsabilità contrattuale
Prima di definire la responsabilità che può configurarsi in capo all’avvocato, è necessario inquadrare la fattispecie di riferimento. Infatti, avendosi la stipula di un contratto tra il professionista ed il cliente, la responsabilità civile configurabile si inserisce nell’alveo della responsabilità contrattuale, ex art. 1218 c.c. – rubricato “responsabilità del debitore”[24]. L’inquadramento della fattispecie nell’alveo della responsabilità contrattuale risulta necessario, in quanto – come è noto – a seconda che si configuri la responsabilità contrattuale o extracontrattuale muta il regime di onere della prova nonché il termine prescrizionale.
Con riferimento al profilo probatorio, si assiste ad una vera e propria inversione dell’onere, basato sulla presunzione di colpa, pertanto, spetterà al creditore l’onere di fornire la prova dell’inadempimento e dell’entità del danno. Invero, con la responsabilità contrattuale, il risarcimento del danno, dovuto all’inadempimento o al ritardo della prestazione, deve essere comprensivo sia della diretta perdita subita dal creditore (il cd. danno emergente) sia del mancato guadagno di quest’ultimo (il cd. lucro cessante), in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta: cd. nesso di causalità tra l’inadempimento ed il danno[25].
Per quanto concerne, invece, il termine prescrizionale, in materia di responsabilità contrattuale lo stesso è fissato a dieci anni (cd. termine ordinario), salvo differente determinazione prevista dalla specificità del contratto.
La responsabilità contrattuale, poi, a differenza di quella extracontrattuale[26], basa la propria natura sull’esplicita violazione di uno specifico dovere derivante da un vincolo obbligatorio rimasto inadempiuto. La ratio della norma, dunque, è da ricercare nella volontà del legislatore di tutelare la posizione del creditore contro possibili inadempimenti del debitore.
Il concetto di responsabilità contrattuale è strettamente collegato al principio di diligenza[27] nell’adempimento dell’obbligazione, regolato dall’art. 1176 c.c., il quale esonera da responsabilità il creditore che abbia agito secondo diligenza nonostante l’inadempimento dell’obbligazione.
3.1. La responsabilità dell’avvocato
Dopo un necessario inquadramento, è possibile analizzare la responsabilità professionale.
Il concetto di responsabilità professionale è un concetto molto ampio, in quanto comprende la responsabilità penale[28], la responsabilità disciplinare[29] e la responsabilità civile. Difatti, si configura responsabilità penale quando, ad esempio, il professionista agisce intenzionalmente contro l’interesse del proprio assistito; si configura la responsabilità disciplinare quando viola i doveri deontologici ed, infine, si configura responsabilità civile – in generale – quando il professionista è inadempiente alla propria obbligazione contrattuale nei confronti del proprio cliente, cagionandone un danno.
Per quanto attiene la responsabilità civile del professionista entrano in gioco tre norme fondamentali di riferimento: l’art. 1176 c.c., concernente la diligenza nell’adempimento; l’art. 1218, concernente la responsabilità del debitore e l’art. 2236, concernente la responsabilità del prestatore d’opera.
Accanto a tali norme si inseriscono quelle relative alla responsabilità precontrattuale, in quanto l’avvocato è onerato dell’obbligo di informazione anche prima della stipula del contratto di patrocinio, ossia nel momento in cui fornisce un parere. Pertanto, in questa fase, l’avvocato sarà soggetto al principio di buona fede, ex art. 1337 c.c., il quale si declina nell’obbligo di informare l’altra parte su tutte le circostanze che possono essere determinanti per il suo consenso[30].
Nel tempo, si sono sviluppate alcune ipotesi tipiche di responsabilità dell’avvocato, quali: il colposo mancato rilievo della prescrizione[31]; intervenuta decadenza per la mancata colposa proposizione di impugnazione, della redazione dell’atto, mancata intimazione dei testi, erronea interpretazione di una norma; mancata partecipazione alle udienze e/o mancato deposito di atti e documenti; mancata informazione relativa a scelte processuali essenziali; inadempimento dell’obbligo di rendiconto[32]; violazione dell’obbligo di informazione del cliente; svolgimento di cause ad elevato rischio di soccombenza[33]; uso di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente; errata individuazione del legittimato passivo[34]; imperizia ed errata strategia processuale; responsabilità per l’attività del domiciliatario; decadenza della costituzione di parte civile o dalla citazione di testimoni ammessi al dibattimento.
In relazione al dovere di informazione, l’avvocato risponde anche per colpa lieve allorquando ometta di segnalare al cliente, per ignoranza, negligenza o imperizia, tutte le questioni di fatto o di diritto che avrebbero sconsigliato l’utile esperimento dell’azione[35]. In tale ipotesi, il giudizio di responsabilità dell’avvocato va condotto ex ante, ossia ci si deve porre nella posizione e nella conoscenza che aveva (o poteva diligentemente avere) l’avvocato nel momento del conferimento dell’incarico[36]. Ad esempio, è responsabile l’avvocato che non informi il proprio cliente circa la possibilità di proporre impugnazione avverso un provvedimento, allorché vi sia la possibilità di ottenere una pronuncia favorevole[37].
Come anticipato, si profila, poi, ipotesi di responsabilità per omessa o tardiva proposizione dell’impugnazione, infatti, può accadere che l’avvocato depositi un atto d’appello oltre i termini, con conseguente dichiarazione di irricevibilità da parte del giudice. Chiaramente il deposito oltre i termini non è sufficiente per profilarsi una ipotesi di responsabilità, occorre, altresì, dimostrare – mediante un giudizio probabilistico[38] – che il danno è stato cagionato dal comportamento positivo omesso[39]. A ciò si aggiunge che, qualora il ritardo andasse a vanificare tutta l’attività professionale precedente, l’avvocato sarebbe considerato totalmente inadempiente non producendo la prestazione alcun effetto e, pertanto, nessun compenso è dovuto[40]. La perdita del diritto al compenso, ex art. 1460 c.c., è, altresì, collegata alla violazione del dovere di diligenza. Il cliente, ovviamente, può rifiutare di pagare il compenso solo quando l’avvocato sia incorso in omissioni dell’attività difensiva tali da aver impedito il conseguimento utile della lite altrimenti ottenibile[41]. L’eccezione di inadempimento può essere opposta dal cliente all’avvocato che, ad esempio, abbia omesso di produrre un documento e/o di presenziare all’udienza di ammissione dei mezzi di prova. Quest’ultima ipotesi, inoltre, costituisce negligenza dell’avvocato, salvo che questi dimostri di non avervi potuto adempiere per fatto a lui non imputabile o di avere svolto tutte le attività che potevano essergli richieste[42]. Accanto all’ipotesi di mancata presentazione all’udienza di ammissione dei mezzi di prova, si colloca l’ulteriore ipotesi di utilizzo di mezzi difensivi pregiudizievoli per il cliente, la quale integra la violazione dell’art. 1176 co. 2 c.c., anche quando il legale sia stato sollecitato all’utilizzo dal cliente.
E, ancora, è negligente l’avvocato che non attivi tempestivamente la pretesa risarcitoria del proprio assistito, determinando il compimento della prescrizione[43], ad esempio, del credito verso alcuni condebitori solidali. In tale ipotesi, l’avvocato sarà responsabile del danno patito consistente nella perdita della possibilità di avvalersi di più coobbligati e di agire verso quelli più solvibili[44].
Pertanto, l’avvocato risponde di responsabilità professionale oltre che nelle ipotesi precedentemente delineate - relative alle ipotesi di negligenza per violazione dei doveri di informazione e diligenza – anche in numerose altre, legate ad imperizia del professionista. Infatti, è configurabile l’imperizia del professionista nel caso in cui lo stesso ignori o violi precise disposizioni di legge ovvero erri nel risolvere questioni giuridiche prive di margine di opinabilità[45].
Infine, vi è una ulteriore ipotesi di responsabilità professionale cd. aggravata, regolata dall’art. 96 del codice di procedura civile[46], ossia quella norma che va incidere sulla cd. “lite temeraria”[47]. In particolare, il comma 3 della norma in esame, configura una sanzione di carattere pubblicistico volta a scoraggiare l’abuso dello strumento processuale[48], espressione del cd. danno punitivo[49].
In conclusione, ai fini dell’inadempimento, occorre valutare l’effettiva configurazione di violazione delle regole di condotta, le quali fanno emergere la cd. “colpa professionale”, regolata dall’art. 43 c.p.: la colpa sussiste in caso di negligenza, imprudenza o imperizia o in caso di inosservanza normativa[50], pertanto, ai fini dell’inadempimento, occorre valutare se l’attività svolta dal professionista presenti profili di colpa professionale[51]. Il fondamento della responsabilità colposa del professionista è da ricercare nell’art. 2236 c.c., il quale introduce l’esimente circa la graduazione della colpa, affermando che, se la prestazione implica problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o di colpa grave[52]. L’art. 2236 c.c., a sua volta, deve essere letto in combinato disposto con l’art. 1176 c.c., creandosi un rapporto di integrazione per complementarietà: il professionista deve seguire la diligenza prevista dal comma 2 dell’art. 1176 c.c. ma, nei casi in cui vi siano profili tecnici di speciale difficoltà, risponde solo di dolo o colpa grave.
Da ciò emerge l’esonero della responsabilità per colpa lieve, ammessa nei soli casi di imperizia, negligenza o imprudenza, con la specifica che nei casi di negligenza o imprudenza, l’avvocato risponde per colpa lieve quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà[53]. Stante la linea di confine molto incerta tra colpa lieve e colpa grave[54], si può condividere l’opinione per cui il confine debba essere individuato nel caso concreto ricorrendo al principio di discrezionalità che permea il libero convincimento del giudice, desumibile dall’art. 116 co. 1 c.p.c.: se l’avvocato, affrontando una questione di particolare complessità, prestasse la sua attività con attenzione e cautela adeguata, la responsabilità potrebbe essere valutata con minor rigore laddove l’errore fosse trascurabile, anche se in parte prevedibile[55].
3.2. L’onere della prova
In tema di responsabilità dell’avvocato, trattandosi – come detto – di responsabilità contrattuale, l’onere della prova è in capo al cliente. Il principio sul quale si basa, oggi, l’onere della prova in materia è frutto della lunga diatriba circa la distinzione tra obbligazione di mezzi e obbligazione di risultato, contrasto risolto nel 2008 dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione[56]. Pertanto, ai fini della responsabilità, non è sufficiente allegare il non corretto compimento dell’attività ma occorre, altresì, provare la sussistenza del danno ed il nesso eziologico tra l’evento lesivo e la condotta negligente[57]. Sicché, il cliente deve assolvere il proprio onere probatorio sia sotto il profilo del nesso causale, sia sotto quello della sussistenza del danno.
La colpa professionale forense, dunque, non si presume ma deve essere dimostrata dal cliente[58].
L’accertamento del nesso di causalità rappresenta il momento più difficile nei giudizi di responsabilità, particolare rilievo assume la natura dell’obbligazione sulla quale si fonda l’inadempimento del professionista. Invero, «il cliente è tenuto a provare non solo di aver sofferto un danno, ma anche che questo è stato causato dalla insufficiente o inadeguata attività del professionista e cioè dalla difettosa prestazione professionale. In particolare, trattandosi dell’attività del difensore, l’affermazione della responsabilità implica l’indagine positivamente svolta sulla scorta degli elementi di prova che il cliente ha l’onere di fornire – circa il sicuro e chiaro fondamento dell’azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e in definitiva, la certezza morale[59], che gli effetti di una diversa attività sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente medesimo rimanendo, in ogni caso, a carico del professionista l’onere di dimostrare l’impossibilità a lui non imputabile della perfetta esecuzione della prestazione»[60].
La giurisprudenza più recente, tuttavia, utilizza il cd. criterio della probabilità: occorre dimostrare che un determinato comportamento, probabilmente, avrebbe portato un diverso esito al giudizio[61].
Pertanto, è fondamentale dimostrare che, ove l’avvocato avesse tenuto il comportamento dovuto, l’assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni. Diversamente, mancherebbe la prova del nesso causale tra la condotta del legale – attiva o omissiva – ed il risultato derivatone[62]. In ambito risarcitorio, dunque, il nesso eziologico si scompone in due momenti: in primis si deve determinare se l’evento può essere imputato ad un soggetto e, in secundis, il nesso deve essere valutato per stimare il danno provocato da quel determinato evento[63]. La causalità di fatto, poi, si compone di ulteriori due momenti: uno positivo, dato dalla prova che un soggetto abbia posto in essere una condizione dell’evento secondo la regola della conditio sine qua non ed uno negativo, per cui l’evento finale sia stato determinato da fattori eccezionali[64].
Per quanto attiene, invece, la sussistenza del danno, il cliente è tenuto a dimostrare il danno in termini di danno emergente e lucro cessante e che questo sia conseguenzialità diretta e immediata dell’inadempimento illecito[65]: si parla di causalità giuridica, ex art. 1223 c.c. . La funzione della causalità giuridica è relativa al quantum risarcibile entro i limiti della normalità, della regolarità e della ordinarietà desunti dalla regola delle conseguenze immeditate e dirette, ex art. 1223 c.c. e della regola della evitabilità, ex art. 1227 co. 2 c.c.[66].
Nell’ambito della responsabilità forense, in alcuni casi, si parla, poi, di nesso eziologico da causalità omissiva, ossia quelle ipotesi in cui l’inadempimento è causato dal mancato compimento di una determinata attività da parte dell’avvocato[67]. Nel caso di specie, deve essere condotta la verifica di «uno stringente nesso di causalità tra l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente e la condotta dell’avvocato»[68].
In sintesi, il cliente avrà l’onere di dimostrare che l’evento produttivo del pregiudizio sia riconducibile alla condotta del legale, accertare la sussistenza del danno, acclarare che, qualora l’avvocato avesse tenuto la condotta dovuta, si sarebbe avuto il riconoscimento delle proprie ragioni[69].
D’altro canto, l’avvocato dovrà provare di aver osservato le regole dell’arte, ossia di aver svolto la propria prestazione con la diligenza media richiesta dalla legge, ex art. 1176 co. 2 c.c. .
4. La giurisprudenza in materia di responsabilità dell’avvocato
Alla luce di quanto dedotto fino a questo momento e prima di analizzare la recentissima pronuncia del 2023 della Corte di Cassazione, occorre arricchire il contenuto con un breve excursus storico circa la responsabilità forense.
A partire dagli inizi del 2000, si è verificato un mutamento rispetto alla precedente impostazione della giurisprudenza, volta ad una tutela crescente del cliente. Fino al 1950, infatti, l’avvocato godeva di una sorte di “impunità”, in quanto lo stesso era considerato responsabile solo nel momento in cui si sarebbe potuto stabilire e dimostrare con certezza un rapporto tra diligenza tenuta e buon esito della causa[70]. La responsabilità dell’avvocato, dunque, era considerata un’eccezione giustificata sulla base di due criteri: l’impossibilità di prevedere l’esito della lite; l’inammissibilità del riesame di controversie già decise con sentenza passata in giudicato.
La chiave di volta si ha in tema di responsabilità medica, assumendo la stessa una posizione centrale in tema di responsabilità dei professionisti intellettuali e divenendo un traino alla responsabilità degli altri professionisti. La disciplina di riferimento è da rinvenire – come ampiamente anticipato – nell’art. 2236 c.c., tale norma – inizialmente volta a tutelare esigenze corporativistiche – è stata reinterpretata in chiave costituzionale, infatti, la Corte Costituzionale ha affermato la legittimità costituzionale della stessa «ritenendo irragionevole la scelta del legislatore di graduare i presupposti della responsabilità in ragione della difficoltà della prestazione. L’art. 2236 c.c. risulta non più una norma eccezionale ma applicazione concreta del principio di cui al secondo comma dell’art. 1176 c.c., al quale l’avvocato deve attenersi nell’esercizio dell’attività professionale»[71]. A seguito di tale pronuncia, la Cassazione ha precisato che il rapporto tra le due norme richiamate dalla Corte Costituzionale, hanno un rapporto di complementarietà[72]. Infatti, «l’inadempimento del professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile sperato dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale, ed in particolare del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione il criterio di cui all’art. 1176 c.c., sicché la diligenza che il professionista deve utilizzare è quella media, cioè quella del professionista di preparazione professionale e attenzione medie, salvo il caso in cui la prestazione professionale involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso la responsabilità è attenuata, configurandosi la previsione di cui all’art. 2236 c.c. solo nel caso di dolo o colpa grave. L’accertamento relativo al se la prestazione professionale implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà è rimesso al giudice di merito ed il relativo giudizio è incensurabile in sede di legittimità, sempre che sia sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici o da errori di diritto»[73].
La giurisprudenza, nel corso degli anni, ha trattato diversi casi concreti riferibili alla responsabilità professionale, invero, l’avvocato è stato ritenuto responsabile nei confronti del proprio cliente: per mancata integrazione del contraddittorio[74], per aver rinunciato al mandato senza aver adottato le opportune iniziative a tutela delle ragioni del cliente e senza averlo informato[75], per omessa richiesta delle prove testimoniali[76], per aver iniziato una causa in relazione a un diritto prescritto senza avere preventivamente informato il cliente[77], per aver omesso di perfezionare una transazione lasciando decorrere i termini di appello[78], per mancata impugnazione tempestiva di una decisione[79], per non aver proposto tempestivamente l’istanza di ammissione di mezzi di prova[80], per errore nella notificazione dell’atto[81], per non aver consigliato un’impugnazione tempestiva di un provvedimento[82], per aver depositato tardivamente il ricorso tanto da incorrere in dichiarazione di inammissibilità per decadenza[83] e in molti altri casi[84].
A ben vedere, la responsabilità professionale è un tema in continua espansione, espansione collegata a motivazioni giuridiche, sociali, economiche e ordinamentali[85].
Questo è il quadro di riferimento in tema di responsabilità professionale fino al 24 aprile del 2023, data in cui, con la pronuncia n. 10864, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in materia di responsabilità risarcitoria dell’avvocato in caso di non corretto adempimento della prestazione professionale, affermando che la responsabilità risarcitoria dell’avvocato risulta correlata al non corretto adempimento della prestazione professionale ed esige un rapporto causale diretto ed immediato tra tale inadempimento ed il danno[86].
5. La pronuncia n. 10864/2023 della Corte di Cassazione[87]
Prima di inquadrare la questione a livello normativo e, dunque, prima di arrivare ai motivi addotti dalla Corte di Cassazione nonché alla relativa massima, appare opportuno inquadrare la fattispecie fattuale.
La vicenda vede protagonisti quattro soggetti: un avvocato e tre clienti e prende le mosse da un decreto ingiuntivo depositato nel 2011 da parte dell’avvocato avente ad oggetto il pagamento dei compensi professionali – pari ad euro 12.667,98 oltre interessi – inerenti l’attività difensiva svolta nei confronti dei tre resistenti concernente l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto. A detto decreto ingiuntivo, i resistenti hanno proposto domanda riconvenzionale adducendo la negligenza e l’imperizia con il quale aveva agito l’avvocato, con conseguente richiesta di condanna ai danni. Il Tribunale di Milano, in primo grado, accoglie parzialmente l’opposizione dei clienti e revoca il decreto ingiuntivo emesso, condannando l’avvocato al pagamento dei danni (pari ad euro 4.140,41 cadauno oltre interessi), in quanto ritenuto responsabile nei limiti delle condanne alle spese processuali ed i clienti alla minor somma di euro 6.333,99. Avverso tale decisione del Tribunale di Milano, l’avvocato propone ricorso in Corte di Appello deducendo: la violazione dell’art. 28 della L. 13 giugno 1942, n. 794[88]; la tardività dell’opposizione al decreto ingiuntivo[89] da parte dei propri clienti; l’errata risoluzione della questione giuridica in quanto priva di margini di opinabilità.
La Corte di Appello di Milano ha respinto il gravame proposto dall’avvocato affermando, quanto al primo motivo, che la violazione di legge sollevata è inammissibile in quanto, per costante giurisprudenza, non è applicabile quando la controversia riguardi non solo la determinazione del compenso ma anche altri oggetti di accertamento della decisione; quanto al secondo motivo, la Corte ritiene tempestiva l’opposizione al decreto ingiuntivo; quanto al terzo motivo, la Corte afferma che «una semplice ricerca giurisprudenziale avrebbe confermato la correttezza e legittimità» della fattispecie oggetto del contendere.
Pertanto, l’avvocato ricorre in Cassazione avverso la sentenza n. 4565/2016 emessa dalla Corte di Appello di Milano, adducendo quattro motivi di ricorso: 1) inammissibilità dell’opposizione proposta dai clienti avverso il decreto ingiuntivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 28 della L. 794/1942; 2) tardività dell’opposizione da parte dei clienti al decreto ingiuntivo con violazione e falsa applicazione dell’art. 641 c.p.c.[90]; 3) erroneità della sentenza emessa dalla Corte di Appello per violazione degli artt. 1176 (diligenza nell’adempimento)[91], 2236 (responsabilità del prestatore d’opera)[92] e 2697 (onere della prova)[93] c.c.; 4) violazione degli artt. 1176 e 2697 c.c., assumendo che «la prova del corretto e diligente del mandato e degli obblighi gravanti sull’avvocato è documentale ed emerge dalla semplice lettura degli atti».
I clienti, di converso, si oppongono al ricorso richiedendone l’inammissibilità ed il rigetto.
In conclusione e volendo utilizzare le parole della Corte, «la Cassazione ha respinto il ricorso di un avvocato che riteneva invalida l'opposizione all'ingiunzione proposta dai propri clienti per violazione dell'articolo 28, legge n. 794/1942. Nel caso i clienti avevano contestato non solo l'ammontare del compenso, ma ne avevano contestato la debenza per la difettosa assistenza del professionista prestata in materia di esecuzione di un contratto».
5.1. Considerazioni di diritto
Per quanto attiene i motivi di diritto posti a fondamento della domanda spiegata dall’avvocato in Corte di Cassazione, preliminarmente si rileva che ci si soffermerà in maniera più analitica sul terzo e quarto motivo di ricorso, essendo gli stessi i punti nevralgici del presente contributo. Il primo e secondo motivo di ricorso, infatti, per come spiegato dalla Corte di Cassazione, pongono per lo più problematiche processuali che, comunque, per completezza espositiva verranno brevemente delineati.
Pertanto, in riferimento ai primi due motivi di ricorso – violazione e falsa applicazione degli artt. 28 della L. 794/1942 e 641 c.p.c. – la Corte di Cassazione ritiene il ricorso infondato, tuttavia, non procede alla cassazione della sentenza della Corte di Appello ma, in applicazione dell’art. 384 co. 4 c.p.c., opera una correzione alla stessa, in quanto risulta semplicemente motivata in maniera erronea ma è conforme ai principi di diritto. Nel correggere la sentenza n. 4565/2016, la Corte di Cassazione afferma che il problema è agli arbori del procedimento, in quanto si assiste ad una erronea trattazione della causa fin dalla sua introduzione. Infatti, nel caso di specie, non è utilizzabile il rito ordinario introdotto con atto di citazione ma il corretto rito è quello previsto dal combinato disposto dell’art. 28 della L. 794/1942 e dell’art. 14 del d.lgs. n. 150/2011, i quali, nei casi analoghi a quello oggetto di disamina, prevedono l’introduzione del contenzioso con ricorso, come anche confermato da alcune pregresse pronunce della stessa Suprema Corte[94].
Nonostante l’erroneità del rito, lo stesso è da considerarsi sanato nel momento in cui vi è la tempestiva notificazione anche in mancanza di mutamento del rito da parte del giudice[95] (come avvenuto nel caso di specie).
In sintesi, il ricorrente lamentava l'omissione da parte del giudice sulla questione riguardante l'articolo 14 del D.lgs n. 150/2011, che assoggetta al rito sommario di cognizione le controversie previste dall'articolo 28 della legge n. 794/1942. Per la Cassazione, il riscontro in sede di appello dell'erronea trattazione della causa a partire dalla sua introduzione col rito ordinario anziché con il rito speciale previsto in materia di onorari (articoli 28 della legge n. 794/1942 e 14 del D.lgs n. 150/2011) impone al giudice d'appello unicamente di valutare gli effetti sostanziali e processuali della domanda introduttiva secondo le norme del rito seguito, ormai consolidatosi, avendo dunque riguardo alla data di notifica della citazione, senza che sia invalidata l'attività processuale in precedenza compiuta o che venga annullata la sentenza di primo grado. La prima udienza di comparizione delle parti costituisce uno sbarramento per il mutamento del rito, conseguendone la stabilizzazione del rito erroneo.
Sul punto, la Corte enuncia il seguente principio di diritto: «il riscontro, in sede di appello, dell'erronea trattazione della causa fin dal momento della sua introduzione con il rito ordinario anziché con il rito ex L. n. 794 del 1942, artt. 28 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, impone al giudice d'appello unicamente di valutare gli effetti sostanziali e processuali della domanda introduttiva secondo le norme del rito seguito, ormai consolidatosi, avendo dunque riguardo alla data di notifica della citazione, senza spiegare effetti invalidanti sull'attività processuale in precedenza compiuta, né comportare la nullità della sentenza di primo grado o comunque la rimessione al primo giudice ai sensi dell'art. 354 c.p.c.».
Per quanto concerne, invece, il terzo e quarto motivo di ricorso – violazione degli artt.1176, 2236, 2697 c.c. – la Corte di Cassazione dichiara l’insindacabilità, sulla base delle proposte censure, degli accertamenti operati dai giudici di primo e secondo grado, rilevando, inoltre, che il giudice non ha la facoltà di intervenire nella scelta professionale dell’avvocato ancorché se lo stesso ha utilizzato la diligenza richiesta, informando, altresì, il proprio cliente sui rischi di una scelta professionale azzardata.
Nello specifico, la Corte di Cassazione conferma la sentenza resa dalla Corte di Appello di Milano, confermando la responsabilità in capo all’avvocato, affermando l’inutile difesa volta all’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo nonché la conseguente riduzione del prezzo per vizi della cosa. Dunque, la Corte afferma la responsabilità risarcitoria dell’avvocato correlata al non corretto adempimento della prestazione professionale. Nel fare ciò opera una ricostruzione dei precedenti principi di diritto asseriti dalla stessa Corte in materia di responsabilità professionale dell’avvocato – ricostruzione operata da chi scrive nei paragrafi precedenti – muovendo dalla distinzione tra obbligazione di mezzi e obbligazione di risultato[96], dall’utilizzo della diligenza nello svolgimento delle proprie funzioni[97] e conseguente perdita del diritto al compenso in violazione della diligenza[98] nonché dal principio per cui la responsabilità risarcitoria dell’avvocato non può ravvisarsi per il solo fatto del non corretto adempimento della prestazione professionale, occorrendo verificare il nesso causale tra la condotta ed il danno[99]. Tuttavia, se la Corte si fosse soffermata all’enunciazione di tali precedenti probabilmente non avrebbe ritenuto l’avvocato responsabile ma la stessa non si è limitata a ciò ma ha aggiunto un quid pluris alla disamina giurisprudenziale pregressa, soffermandosi su ulteriori precedenti confacenti la fattispecie in esame, elaboranti principi contrari a quelli posti a fondamento del ricorso.
In particolare, nel caso di specie e rispetto all’assunto per cui l’avvocato afferma che i clienti fossero stati messi al corrente del fatto che la scelta processuale che andava ad intraprendersi fosse azzardata, la Corte riprende il principio di diritto per cui «la responsabilità professionale dell’avvocato, per violazione del dovere di diligenza esigibile ai sensi dell’art. 1176 co. 2 c.c., discende dall’adozione di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente e non è esclusa né ridotta quanto tali modalità siano state sollecitate dal cliente stesso, poiché costituisce compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell’attività professionale»[100]. Con tale principio, dunque, la Corte ricorda all’avvocato che era tenuto ad assolvere non solo al dovere di informazione del cliente ma anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione e informazione dello stesso, dovendo sconsigliare di intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole.
La Corte, poi, fa riferimento al principio per cui «la scelta di una determinata strategia processuale da parte dell'avvocato è foriera di responsabilità nei confronti del cliente allorché l'inadeguatezza rispetto al raggiungimento del risultato perseguito da quest'ultimo sia valutata dal giudice di merito ex ante, in relazione alla natura e alle caratteristiche della controversia e all'interesse del cliente ad affrontarla con i relativi oneri, dovendosi in ogni caso valutare anche il comportamento successivo tenuto dal professionista nel corso della lite»[101]. Sul punto si rileva, inoltre, che la Corte nella medesima pronuncia ha, altresì, asserito che «è configurabile un'imperizia del professionista allorché questi […] erri nel risolvere questioni giuridiche prive di margine di opinabilità», come nel caso in esame.
Infine, la Corte ha ricordato il principio per cui «lo svolgimento di un’attività professionale, da parte dell’avvocato, totalmente inutile, già ex ante prognosticabile come tale, non gli attribuisce alcun diritto al compenso»[102].
Per tutti questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso condannando il ricorrente a rimborsare i propri clienti per le spese del giudizio di Cassazione ed enuncia, in conclusione, il seguente principio di diritto: «la responsabilità dell'avvocato non può affermarsi per il solo fatto del non corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se, ove il professionista avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando altrimenti la prova del nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, e il risultato derivatone».
6. Conclusioni
Alla luce di quanto dedotto fino a questo momento è possibile trarre talune conclusioni, sottolineando che i seguenti spunti critici non devono essere considerati come una rappresentazione completa o definitiva della responsabilità civile dell'avvocato, quanto piuttosto come punti di discussione per valutare le sfaccettature complesse dell'argomento.
Preliminarmente deve rilevarsi che il rapporto avvocato/cliente è un rapporto volto a contemperare esigenze differenti tra loro, queste si sostanziano in un obbligo in capo all’avvocato di agire con diligenza e competenza nell’interesse dei propri clienti, mentre i clienti, d’altro canto, hanno il diritto di aspettarsi una rappresentanza adeguata e di avanzare richieste di responsabilità civile in caso di negligenza o cattiva rappresentanza.
In tema di responsabilità civile, in primo luogo, sembra opportuno sottolineare che l’accesso alla giustizia è limitato, in quanto la responsabilità civile dell’avvocato, o meglio la dimostrazione della stessa, può comportare costi elevati per i clienti che avviano azioni legali nei confronti dei propri difensori, cercando rimedi per presunte negligenze professionali. A ciò si aggiunge la difficoltà in ordine alla prova circa la presunta negligenza, infatti, dimostrare che un avvocato è stato negligente può rivelarsi un compito complesso dovendo dimostrare la violazione del proprio dovere di cura e che tale violazione ha causato danni al cliente. Questa prova può richiedere un’analisi dettagliata e una documentazione approfondita, rendendo difficile per i clienti ottenere un adeguato risarcimento.
Un altro fattore concerne l’ambito di discrezionalità in capo all’avvocato nell’esercizio delle proprie funzioni, infatti, ciò può rendere difficile stabilire un criterio oggettivo per valutare la loro responsabilità civile. Le decisioni professionali prese dagli avvocati possono essere soggette ad interpretazioni differenti, complicando l’individuazione di presunte negligenze e standard chiari.
Inoltre, occorre far riferimento all’impatto che l’azione comporta sulla professione legale, in quanto le richieste di responsabilità civile possono avere un impatto negativo sulla professione legale nel suo complesso. Ciò si traduce in uno sviluppo di atteggiamenti restii in capo all’avvocato a prendere casi complessi o ad assumere rischi nel loro lavoro per paura di possibili azioni legali, limitando, di conseguenza, la disponibilità di servizi legali nonché influendo sulla qualità dell’assistenza legale fornita ai clienti.
Per quanto attiene, poi, alla copertura assicurativa anche questa comporta dei limiti, in quanto le polizze di assicurazione circa la responsabilità professionale degli avvocati potrebbero avere dei limiti di copertura, limiti che non consentono di coprire interamente i danni derivanti da negligenze professionali. Ciò può provocare una disparità tra l’importo delle richieste di risarcimento e la somma massima che l’assicurazione è disposta a pagare, lasciando i clienti con una compensazione insufficiente.
L'assicurazione della responsabilità professionale fornisce, dunque, una forma di protezione finanziaria per gli avvocati, ma la dimostrazione dei danni e della negligenza può rappresentare una sfida per i clienti.
In conclusione, la responsabilità civile dell'avvocato rappresenta una delicata questione che richiede una valutazione equilibrata tra gli interessi dei clienti e le sfide professionali degli avvocati. La fiducia, la diligenza e la giusta tutela dei diritti legali sono elementi fondamentali per garantire una rappresentanza adeguata e l'equità nel sistema legale.
[1] La procura si distingue in generale e speciale, con la prima si conferisce all’avvocato il potere di difesa in tutti i processi che andrà a proporre o che saranno contro di essa proposti; con la seconda, la parte conferisce all’avvocato il potere di difesa solo in un determinato giudizio. La procura, ex lege, deve essere rilasciata per iscritto è può essere apposta in calce o a margine dell’atto od anche in foglio separato, in www.brocardi.it.
[2] Sull’autonomia preme sottolineare che la procura ad litem presenta un’autonomia logica e concettuale rispetto al rapporto di patrocinio, infatti, il rilascio di una procura non prova un sottostante rapporto di patrocinio, questo è sotteso solo qualora si dimostri che le parti intendevano concludere anche tale contratto; Cass. Civ., sez. II, sentenza n. 20865 del 02/08/2019 in www.dejure.it.
[3] Cass. Civ. sez. III, sentenza n. 14276 del 08/07/2017, in www.dejure.it. Negli stessi termini si veda Cass. Civ., sez. II, n. 13963 del 16/06/2006, in www.dejure.it.
[4] N. LIPARI, P. RESCIGNO, Diritto civile, volume III, obbligazioni, i contratti, coordinato da A. ZOPPINI, Giuffrè Editore, 2009, 404.
[5] Ossia quegli atti aventi la capacità di produrre effetti di quel tipo.
[6] Cass. Civ., sez. II, ordinanza n. 185 del 09/01/2020, in www.dejure.it.
[7] Approvato dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 31.01.2014 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 241 del 16/10/2014, in www.gazzettaufficiale.it.
[8] U. SARDO, Procura alle liti e contratto di patrocinio, in La previdenza forense, 2019, 2, 143.
[9] R. DANOVI, Manuale breve. Ordinamento e deontologia forense, Milano 2015, 24-25.
[10] L’obbligazione di mezzi è quella tipologia di obbligazione in cui il debitore è tenuto a svolgere una prestazione a prescindere dal conseguimento di una determinata attività; M. AZZALINI, Obbligazioni di mezzi e di risultati. Categorie giuridiche travisate, in I Quaderni della Rivista di Diritto Civile, Cedam, 2012.
[11] Ossia quell’obbligazione in cui il debitore si obbliga a realizzare una determinata attività; M. BIANCA, Diritto civile. L’obbligazione, 4, Milano, Giuffrè Editore, 1993, 71.
[12] Cass. Civ., sez. un., sentenza n. 577 del 11/01/2008, in www.dejure.it.
[13] “Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata [2104, 2145 comma 2, 2174, 2224 comma 1, 2232]”; www.brocardi.it.
[14] “L’avvocato deve svolgere la propria attività con coscienza e diligenza, assicurando la qualità della prestazione professionale”; in Codice Deontologico Forense, Consiglio Nazionale Forense.
[15] La giurisprudenza ritiene negligente il professionista che tenga una condotta diversa da quella che avrebbe osservato l’homo eiusdem generis et condicionis, affermando, altresì, che “la responsabilità professionale dell’avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza, da commisurare, ai sensi dell’art. 1176 co. 2 c.c. alla natura dell’attività esercitata”; Cass. Civ., sez. II, sentenza n. 23740 del 01/10/2018, in www.dejure.it; la giurisprudenza, inoltre, definisce il professionista “medio”, “ossia la figura ideale che costituisce il parametro di valutazione della condotta che si assume colposa, non corrisponde ad un professionista “mediocre”, ma ad un professionista “bravo”, ovvero sufficientemente preparato, zelante e solerte”; Cass. Civ., sez. III, sentenza n. 13777 del 31/05/2018 in www.dejure.it.
[16] “1. L’avvocato deve informare chiaramente la parte assistita, all’atto dell’assunzione dell’incarico, delle caratteristiche e dell’importanza di quest’ultimo e delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione. 2. L’avvocato deve informare il cliente e la parte assistita sulla prevedibile durata del processo e sugli oneri ipotizzabili; deve inoltre, se richiesto, comunicare in forma scritta, a colui che conferisce l’incarico professionale, il prevedibile costo della prestazione. 3. L’avvocato, all’atto del conferimento dell’incarico, deve informare chiaramente la parte assistita della possibilità di avvalersi del procedimento di negoziazione assistita e, per iscritto, della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione; deve altresì informarla dei percorsi alternativi al contenzioso giudiziario, pure previsti dalla legge. 4. L’avvocato, ove ne ricorrano le condizioni, all’atto del conferimento dell’incarico, deve informare la parte assistita della possibilità di avvalersi del patrocinio a spese dello Stato. 5. L’avvocato deve rendere noti al cliente ed alla parte assistita gli estremi della propria polizza assicurativa. 6. L’avvocato, ogni qualvolta ne venga richiesto, deve informare il cliente e la parte assistita sullo svolgimento del mandato a lui affidato e deve fornire loro copia di tutti gli atti e documenti, anche provenienti da terzi, concernenti l’oggetto del mandato e l’esecuzione dello stesso sia in sede stragiudiziale che giudiziale, fermo restando il disposto di cui all’art. 48, terzo comma, del presente codice. 7. Fermo quanto previsto dall’art. 26, l’avvocato deve comunicare alla parte assistita la necessità del compimento di atti necessari ad evitare prescrizioni, decadenze o altri effetti pregiudizievoli relativamente agli incarichi in corso. 8. L’avvocato deve riferire alla parte assistita, se nell’interesse di questa, il contenuto di quanto appreso legittimamente nell’esercizio del mandato. 9. La violazione dei doveri di cui ai commi da 1 a 5 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento. La violazione dei doveri di cui ai commi 6, 7 e 8 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.”; in Codice Deontologico Forense, Consiglio Nazionale Forense.
[17] P. DORIA, Il metodo giuridico e la tecnica difensiva. La strategia processuale dell’avvocato civilista, in Il diritto come processo. Princìpi, regole e brocardi per la formazione critica del giurista, a cura di P. MORO, Milano, 2012, 132.
[18] Cass. Civ., sez. III, sentenza n. 10289 del 20/05/2015, in www.dejure.it.
[19] A tal riguardo, il difensore non è tenuto a svolgere attività di persuasione del cliente al compimento – o meno – di un atto, in quanto si tratterebbe di un obbligo ulteriore rispetto all’assolvimento dell’obbligo informativo, risultando concretamente inesigibile, oltre che contrastante con il principio per cui l’obbligazione dell’avvocato è un’obbligazione di mezzi e non di risultato; Cass. Civ., sez. II, sentenza n. 7708 del 19/04/2016, in www.dejure.it.
[20] Il 15 agosto del 2015, infatti, mediante il D.P.R. n. 137/2012, è stato imposto a tutti i professionisti di dotarsi di una polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile derivante dalla professione forense. In particolare, l’art. 12 della Legge Professionale Forense, prevede, in capo agli avvocati, l’obbligo di stipulare una polizza assicurativa, la quale deve comprendere anche la custodia dei documenti, delle somme di denaro, dei titoli e dei valori ricevuti in deposito dai clienti.
[21] A. PROCIDA MIRABELLI DI LAURO – M. FEOLA, La responsabilità civile. Contratto e torto, Torino, 2014, 369.
[22] R. VON JHERING, La lotta per il diritto, Milano, 1989, 125-127. In altre parole, il difensore, pur nell’ambito del rispetto del dovere di fedeltà nei confronti del cliente, deve essere consapevole del ruolo costituzionale e sociale del proprio ruolo, rappresentando un elemento indispensabile nell’ambito della corretta amministrazione della giustizia, garantendo l’attuazione del principio del contraddittorio disposto dal co. 2 dell’art. 111 della carta costituzionale; F. GALGANO, Il contraddittorio processuale è ora nella Costituzione, in Contratto e impresa, 2000, 3, 1082.
[23] Il rilievo sociale della difesa è espressamente riconosciuto dagli art. 9 e 10 del Codice Deontologico forense e dagli artt. 1 co. 2 e 3 della Legge Professionale. Sul punto, A. MARIANI MARINI, Il tempo che verrà. Avvocatura e società, Pisa, 2012, 25 ss.
[24] “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta [1176, 1181] è tenuto al risarcimento del danno [1223 ss.], se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile [1221, 1229, 1257, 130, 1557, 1558, 1673, 1693, 1821, 2740; 160 disp. trans.]”; in www.brocardi.it.
[25] R. MAZZON, Responsabilità contrattuale e danni risarcibili, Giuffrè Editore, 2019.
[26] Per mero scrupolo di completezza si ricorda che la responsabilità contrattuale (definita anche aquiliana) è regolata dall’art. 2043 del codice civile e non presuppone alcun rapporto di tipo obbligatorio tra danneggiato o danneggiante, ma solamente un comportamento che abbia violato il principio generale del neminem laedere.
[27] La diligenza di riferimento è quella del “buon padre di famiglia” ossia l’atteggiamento tipico di un padre che cerca di fare tutto il possibile per dare il meglio ai figli e alla moglie. Si tratta di una metafora utile a chiarire che un debitore deve dimostrare di avere agito nel migliore modo possibile, anche se per cause esterne non è riuscito ad adempiere al suo obbligo.
[28] Nel codice penale, infatti, sono presenti varie fattispecie di reato riconducibili all’attività di avvocato, come ad esempio, il reato di patrocinio o consulenza infedele (art. 380 c.p.), il reato di altre infedeltà del patrocinante e del consulente tecnico (art. 381 c.p.), il reato di millantato credito del patrocinante (art. 382 c.p.), il reato di frode processuale (art. 374 c.p.), il reato di intralcio alla giustizia (art. 377 c.p.).
[29] La responsabilità disciplinare consiste nella violazione delle regole di condotta contenute nel Codice Deontologico Forense e nella legge. La responsabilità disciplinare è autonoma rispetto a quella civile e penale; R. DANOVI, Manuale breve di ordinamento forense e deontologia, Giuffrè Editore, Milano, 2014, 173 ss. .
[30] M.R. TRAZZI, Responsabilità dell’avvocato per violazione dell’obbligo di informazione, in Contratto e impresa, 1999, I, 49.
[31] Per cui l’avvocato risponde se non eccepisce la prescrizione o se ha iniziato la causa senza aver rilevato l’esistenza della prescrizione del diritto e, se eccepita la prescrizione dalla controparte, non abbia avvisato il proprio cliente; V. PATERNO, La responsabilità professionale, Catania, 11 marzo 2011, 2.
[32] V. PATERNO, La responsabilità professionale, Catania, 11 marzo 2011, 2.
[33] Nel caso di controversie con particolare difficoltà, tali da esporre il cliente ad un forte rischio di soccombenza, l’attività di avvocato deve essere svolta diligentemente, al fine di limitare il pregiudizio al cliente. Quindi, il legale deve esimersi dall’accettare una causa che considera “persa” e, qualora la dovesse accettare, non ha facoltà di non prestare il dovuto interesse sul solo presupposto che non vi sia possibilità di ottenere un esito favorevole; Cass. Civ. sez. III, sentenza n. 15717 del 02/07/2010, in www.dejure.it.
[34] L’omessa osservanza della regola sulla legittimazione passiva costituisce fonte di responsabilità professionale dell’avvocato difensore; Cass. Civ., sez. III, sentenza n. 10822 del 05/06/2020, in www.dejure.it.
[35] Ad esempio, il caso di omessa segnalazione del compimento della prescrizione del suo diritto (art. 27 co. 7 Codice Deontologico Forense); Cass. Civ., sentenza n. 16023 del 14 novembre 2022, in www.dejure.it.
[36] M. TICOZZI, Gli obblighi informativi del professionista sono obbligazioni di risultato, nota a Cass. Civ., sentenza n. 7410 del 23/03/2017, in www.dejure.it.
[37] Cass. Civ., sez. III, sentenza n. 6859 del 20/03/2018, in www.dejure.it. A tale ipotesi se ne aggiungono ulteriori, un altro esempio è costituito dalla fattispecie per cui nonostante l’avvocato abbia rinuncia al mandato viene considerato responsabile qualora non informi il cliente sulla necessità di porre in essere specifici atti giudiziari per impedire il decorrere delle decadenze o altro.
[38] Il danno cagionato da un’omissione o, in generale, da una condotta negligente, è ravvisabile solo se si accerta che, in base a criteri probabilistici, senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito. Pertanto, l’affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita. Occorre, però, dimostrare che la sostituzione della condotta colposa con quella esigibile avrebbe portato all’esito auspicato dal cliente; Cass. Civ., sez. III, sentenza n. 10526 del 22/05/2015, in www.dejure.it.
[39] Cass. Civ., sez. III, sentenza n. 14644 del 18/07/2016, in www.dejure.it.
[40] Cass. Civ., sez. II, sentenza n. 2638 del 10/02/2016, in www.dejure.it.
[41] Cass. Civ., sez. II, sentenza n. 25894 del 15/12/2016, in www.dejure.it.
[42] Occorre evidenziare che rientrano nei doveri di diligenza dell’avvocato non solo la consapevolezza che la mancata prova degli elementi costitutivi della domanda espone il cliente alla soccombenza, ma anche che il cliente, normalmente, non è in grado di valutare regole e tempi del processo, né gli elementi che debbano essere sottoposti alla cognizione del giudice; Cass. Civ., sez. II, sentenza n. 25963 del 23/12/2015, in www.dejure.it.
[43] Compiere atti interruttivi della prescrizione rientra nell’ordinaria diligenza richiesta al professionista.
[44] Cass. Civ., sez. III, sentenza n. 11907 del 10/06/2016, in www.dejure.it.
[45] La scelta di una determinata strategia processuale può costituire fonte di responsabilità solo quando la sua inadeguatezza al raggiungimento del risultato voluto dal cliente sia valutata dal giudice di merito ex ante, sulla base dell’esito del giudizio.
[46] Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave , il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza [disp. att. 152]. Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente. In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata. Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000; in www.brocardi.it.
[47] Ossia quella fattispecie che ricorre allorché il soggetto abbia la consapevolezza dell’infondatezza della domanda o dell’eccezione (mala fede) ovvero sia in una condizione di ignoranza colpevole circa la sua fondatezza colpa grave).
[48] Cass. Civ., sez. III, sentenza n. 15209 del 12/06/2018, in www.dejure.it.
[49] Tale espressione, di derivazione statunitense, fa riferimento alle ipotesi in cui alla funzione risarcitoria tipica dell’illecito civile, sia aggiunge e sovrappone una funzione punitiva, tipica della sanzione penale.
[50] A. PERULLI, Il lavoro autonomo. Contratto d’opera e professioni intellettuali, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da A. CICU e F. MESSINEO, continuato da L. MENGONI, Milano, 1996, 590-591; CATTANEO, La responsabilità del professionista, Milano, 1958, 53.
[51] Occorre distinguere la colpa professionale dell’errore professionale, quest’ultimo pur rappresentando una condotta tecnicamente errata è caratterizzato dall’assenza di colpa; R. FAVALE, La responsabilità civile del professionista forense, Padova, 2011, 174 ss. .
[52] M. FRANZONI, Dalla colpa grave alla responsabilità professionale, Torino, 2011, 10 ss. .
[53] S. PERUGINI, La fattispecie prevista dall’art. 2236 c.c. e la ripartizione dell’onere della prova nota a Cass. Civ., sez. III, sentenza n. 11488 del 21/06/2004 in www.dejure.it.
[54] In estrema sintesi, si parla di colpa lieve quando vi la violazione dell’ordinaria diligenza, mentre si parla di colpa grave – definita anche errore grossolano o inescusabile - quando ad essere violata è la diligenza minima; C. M. BIANCA, Diritto civile, 5, la responsabilità, Milano, 2019, 581.
[55] G. CASSANO, Trattato di diritto civile, Santarcangelo di Romagna (RN), 2020, I, 100.
[56] Cass. Civ., sez. un., sentenza n. 577 del 11/01/2008, in www.dejure.it; infatti, nell’esaminare l’applicazione dell’art. 2226 c.c., la Suprema Corte ha affermato che la distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato ha solo carattere descrittivo e non ha alcuna incidenza sul regime di responsabilità ove è richiesto al professionista di attenersi a parametri molto rigidi di professionalità, notandosi come lo stesso standard di diligenza sia cresciuto sensibilmente, comprimendo l’area della colpa grave nei confronti di problemi tecnici di speciale difficoltà
[57] Cass. Civ., sentenza n. 10526 del 2015, in www.dejure.it.
[58] L. SCALIA – F. CENTOFANTI, L’avvocato e le sue quattro responsabilità, a cura di V. TENORE, Napoli, 2014, 256.
[59] L’orientamento tradizionale in tema di nesso eziologico relativo alla causalità di fatto, si orienta sul criterio della certezza morale degli effetti dell’attività del professionista: occorre che venga raggiunta la certezza che, in mancanza dell’inadempimento dell’avvocato, l’esito del giudizio sarebbe stato diverso e ovviamente favorevole al cliente. Si tratta di una probatio quasi diabolica, in quanto occorre provare un fatto certo nell’ambito del processo, ambito in cui il risultato è sempre condizionato dal rischio; F. BARTOLINI, La responsabilità dell’avvocato, Piacenza, 2012, 115.
[60] Cass. Civ. sez. III, sentenza n. 25266 del 16/10/2008, in www.dejure.it. Nel caso di specie, il cliente contestava al proprio difensore la mala gestio in una causa in cui era stato convenuto per i danni subiti dall’attore in occasione di un incidente stradale. La mala gestio era indiscutibile ma i giudici di merito avevano escluso ogni rapporto di causalità tra la suddetta mala gestio e la soccombenza dell’assistito nella precedente causa. Nello stesso senso si veda Cass. Civ., sez. I, sentenza n. 16846 del 2015, in www.dejure.it.
[61] Cass. Civ., sez. III, sentenza n. 1169 del 21/01/2020, in www.dejure.it.
[62] Cass. Civ,sez. II, sentenza n. 1984 del 02/02/2016, in www.dejure.it.
[63] F. BARTOLINI, La responsabilità dell’avvocato, Piacenza, 2012, 60. Il nesso eziologico tra la condotta del soggetto agente e l’evento riguarda la causalità di fatto, regolata dagli artt. 40 e 41 c.p. (pacificamente applicabili in materia civile; L. SCALIA – F. CENTOFANTI, L’avvocato e le sue quattro responsabilità, a cura di V. TENORE, Napoli, 2014, 262), infatti, si tratta di accertare nel caso concreto se, secondo il criterio di regolarità statistica o adeguata , applicando la regola id quod plerumque accidit, un determinato contegno ha provocato il verificarsi di un certo evento; Cass. Civ., sez. un., sentenza n. 576 dell’11/01/2008, in www.dejure.it.
[64] M. FRANZONI, L’illecito, in Trattato della responsabilità civile diretto da M. FRANZONI, Milano, 2004, 68.
[65] C. M. BIANCA, Diritto civile, 5, la responsabilità, Milano, 2019, 149.
[66] M. FRANZONI, L’illecito, in Trattato della responsabilità civile diretto da M. FRANZONI, Milano, 2004, 140.
[67] In altre parole l’evento danno si verifica perché l’agente non pone in essere il comportamento dovuto. Il nesso omissivo è sempre regolato dall’art. 40 c.p., il quale afferma che non impedire l’evento che si aveva l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo; F. GALGANO, Trattato di diritto civile, Milano, 2015, III, 184.
[68] Cass. Civ., sez. II, sentenza n. 1948 del 02/02/2016, in www.dejure.it.
[69] Cass. Civ., sentenza n. 2338 del 2013, in www.dejure.it.
[70] Chiaramente tale rapporto era impossibile da dimostrare in quanto “ogni sentenza è condizionata da una quantità di fattori inimmaginabili, da indurre a negare la sussistenza di un danno risarcibile, anche in presenza di una accertata negligenza professionale”; Trib. Roma, sentenza del 3 marzo 1954, in www.dejure.it.
[71] Corte Costituzionale, sentenza n. 166 del 28/11/1973, in www.dejure.it.
[72] Cass. Civ., sez III, sentenza n. 499 del 15/01/2001, in www.dejure.it.
[73] Cass. Civ., sez II, sentenza n. 7618 del 14/08/1997, in www.dejure.it.
[74] Cass. Civ., sentenza n. 1437 del 24/03/1978, in www.dejure.it.
[75] Cass. Civ., sentenza n. 5325 del 08/05/1993, in www.dejure.it.
[76] Cass. Civ., sentenza n. 1286 del 06/02/1998, in www.dejure.it.
[77] Cass. Civ., sentenza n. 16023 del 14/11/2002, in www.dejure.it.
[78] Cass. Civ., sentenza n. 10686 del 13/11/2011, in www.dejure.it.
[79] Cass. Civ., sentenza n. 6937 del 01/08/1996 e, da ultimo, Cass. Civ., sentenza n. 4781 del 26/06/2013, in www.dejure.it
[80] Cass. Civ., sentenza n. 5325 del 08/05/1993 e da ultimo Cass. Civ., sentenza n. 25963 del 23/12/2015, in www.dejure.it.
[81] Cass. Civ., sentenza n. 5617 del 18 giugno 1996 e da ultimo Cass. Civ., sentenza n. 7924 del 30 marzo 2018, in www.dejure.it.
[82] Cass. Civ., sentenza n. 6859 del 20/03/2018, in www.dejure.it.
[83] Cass. Civ., sentenza n. 23449 del 28/09/2018, in www.dejure.it.
[84] Quali, ad esempio, per tardiva opposizione a decreto ingiuntivo con successiva declaratoria di inammissibilità (Trib. Roma 11/10/1995); per tardiva riassunzione della causa (Trib. Roma 02/06/2002); per aver introdotto in sede ordinaria una causa soggetta ad arbitrato in presenza di clausola arbitrale irrituale (Trib. Padova 18/09/2009); per aver omesso di comunicare al cliente l’avvenuta notificazione di una sentenza di condanna fino a far decorrere il termine per impugnare (Cass. Civ., sentenza n. 8312 del 12/04/2011); per non aver proposto congiuntamente alla domanda di esecuzione specifica di un contratto preliminare di compravendita l’azione di riduzione del prezzo per vizi del bene (Cass. Civ., sentenza n. 14936 del 06/09/2012); per tutto www.dejure.it.
[85] P. CALAMANDREI, Troppi avvocati!, ristampa anastatica dell’edizione originale del 1921 a cura della Fondazione forense bolognese, Bologna, 2006, 12 – 57.
[86] Cass. Civ., sez. II, sentenza n. 10864 del 24/04/2023, in www.dejure.it.
[87] Per tutto ciò che si dirà nel proseguo si veda Cass. Civ., sez. II, sentenza n. 10864 del 24/04/2023, in www.dejure.it.
[88] L’art. 28 della L. 794/1942 è inserito nel titolo II, rubricato “norme comuni” e recita testualmente: “(Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l'avvocato, dopo la decisione della causa o l'estinzione della procura, se non intende seguire il procedimento di cui agli articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile, procede ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150.)”. Contenente, altresì, la specifica che Il D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, ha disposto (con l'art. 36,comma 2) che "Le norme abrogate o modificate dal presente decreto continuano ad applicarsi alle controversie pendenti alla data di entrata in vigore dello stesso"; in www.normattiva.it.
[89] L'opposizione tardiva a decreto ingiuntivo è quella che la parte propone dopo che è scaduto il termine di 40 giorni dalla notifica. L'opposizione tardiva è ammissibile solo se ricorrono determinate condizioni espressamente indicate dall'art. 650 c.p.c. .
[90] “Se esistono le condizioni previste nell'articolo 633, il giudice, con decreto motivato da emettere entro trenta giorni dal deposito del ricorso, ingiunge all'altra parte di pagare la somma o di consegnare la cosa o la quantità di cose chieste o invece di queste la somma di cui all'articolo 639 nel termine di quaranta giorni, con l'espresso avvertimento che nello stesso termine può essere fatta opposizione a norma degli articoli seguenti e che, in mancanza di opposizione, si procederà a esecuzione forzata. Quando concorrono giusti motivi, il termine può essere ridotto fino a dieci giorni oppure aumentato a sessanta. Se l'intimato risiede in uno degli altri Stati dell'Unione europea, il termine è di cinquanta giorni e può essere ridotto fino a venti giorni. Se l'intimato risiede in altri Stati, il termine è di sessanta giorni e, comunque, non può essere inferiore a trenta né superiore a centoventi. Nel decreto, eccetto per quello emesso sulla base di titoli che hanno già efficacia esecutiva secondo le vigenti disposizioni, il giudice liquida le spese e le competenze e ne ingiunge il pagamento”; art. 641 c.p.c., in www.brocardi.it.
[91] “Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata [2104, 2145 comma 2, 2174, 2224 comma 1, 2232, 2236]”; art. 1176 c.c., in www.brocardi.it.
[92] “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave [1176, 2104]”; art. 2236 c.c., in www.brocardi.it.
[93] “Chi vuol far valere un diritto in giudizio [99 c.p.c., 100 c.p.c.] deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento [115 c.p.c.]. Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda”; art. 2697 c.c., in www.brocardi.it.
[94] Cass. Civ., sez. un., sentenza n. 758 del 12/01/2022: “Nella disciplina di cui al d.lg. n. 150 del 2011, il giudizio, erroneamente proposto nella forma dell'atto di citazione, è correttamente instaurato ove quest'ultima sia notificata tempestivamente, producendo gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri; tale sanatoria piena si realizza indipendentemente dalla pronunzia dell'ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, ex art. 4 d.eg. n. 150 cit., la quale opera soltanto 'pro futuro', ossia ai fini del rito da seguire all'esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi gli effetti sostanziali e processuali riconducibili all'atto introduttivo, sulla scorta della forma in concreto assunta e non a quella che esso avrebbe dovuto avere (nella specie, la S.C. ha ritenuto tempestiva l'opposizione c.d. recuperatoria avverso una cartella di pagamento per sanzioni amministrative conseguenti a contravvenzioni stradali, proposta con citazione - anziché con ricorso, come previsto dall'art. 7 d.lg. n. 150 del 2011 - tempestivamente notificata nel termine di trenta giorni dalla data di notifica della cartella medesima)”; nello stesso senso si veda anche Cass. Civ., sez. un., sentenza n. 927 del 13/01/2022, in www.dejure.it.
[95] Ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 150/2011, il quale, testualmente, dispone: “1. Quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dal presente decreto, il giudice dispone il mutamento del rito con ordinanza. 2. L'ordinanza prevista dal comma 1 viene pronunciata dal giudice, anche d'ufficio, entro il termine di cui all'articolo 171-bis del codice di procedura civile. 3. Quando la controversia rientra tra quelle per le quali il presente decreto prevede l'applicazione del rito del lavoro, il giudice fissa l'udienza di cui all'articolo 420 del codice di procedura civile e il termine perentorio entro il quale le parti devono provvedere all'eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria. 4. Quando dichiara la propria incompetenza, il giudice dispone che la causa sia riassunta davanti al giudice competente con il rito stabilito dalle disposizioni del presente decreto. 5. Gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento. Restano ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento”; in www.normattiva.it.
[96] Cass. Civ., sez. un., sentenza n. 577 del 2016, in www.dejure.it.
[97] Cass. Civ., sez. II, sentenza n. 23740 del 01/10/2018, in www.dejure.it.
[98] Cass. Civ., sez. II., sentenza n. 2638 del 10/02/2016, in www.dejure.it.
[99] Cass. Civ., sentenza n. 1984 del 02/02/2016, in www.dejure.it.
[100] Cass. Civ., sez. III, sentenza n. 10289 del 20/05/2015, in www.dejure.it.
[101] Cass. Civ., sez. III, sentenza n. 30169 del 22/11/2018, in www.dejure.it.
[102] Cass. Civ., sez. II-VI, sentenza n. 5440 del 18/02/2022, in www.dejure.it.