ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Gio, 3 Dic 2015

Natura giuridica ed usucapione dell’azienda

Modifica pagina

Francesco Rizzello


Una importantissima pronuncia degli ermellini a sezioni unite scioglie il nodo di una questione a lungo dibattuta: l´usucapibilità dell´azienda. Al fine di rendere la trattazione dell´argomento maggiormente chiara ed espositiva, vengono in apertura ripercorsi i tratti salienti della disciplina giuridica attorno alla azienda.


La nozione di azienda

Il libro quinto del codice civile, dedicato al lavoro, sotto il titolo VIII ("dell'azienda"), al capo primo, recante le disposizioni generali in materia, contiene l'art. 2555 c.c., il quale definisce l'azienda come segue: "L'azienda è il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa".

Volendo inserire l'azienda all'interno di un quadro schematico-nozionistico di stampo puramente giuscommercialistico, è stato scritto che l'imprenditore è identificabile con il soggetto, l'impresa è identificabile con l'attività che egli esercita e l'azienda con gli strumenti utilizzati per esercitarla.

Alcuni elementi di un'azienda possono essere, ad esempio, i terreni, gli edifici, le macchine, le scorte di materie prime, i semilavorati ed i prodotti finiti, gli schedari, i disegni e i documenti tecnici, i crediti, i brevetti d'invenzione e così via.
Si può, quindi, immediatamente affermare la fondamentale distinzione tra impresa ed azienda (la quale è andata perduta nel linguaggio corrente, il quale tende ad equiparare i due termini): l'azienda è un complesso di beni, l'impresa è un'attività.
È discusso se si possa avere un'azienda svincolata dagli elementi "imprenditore" ed "impresa": ossia, se tra i tre elementi sussista un nesso pratico tale, per cui non sia ipotizzabile l'esistenza individuale dell'uno a prescindere dalla sussistenza degli altri elementi. Pare, tuttavia, che una azienda possa esistere anche quando non esiste esercizio attuale di un'impresa; la Cassazione ritiene infatti sufficiente l'astratta idoneità di un complesso di beni ad essere impiegato nell'esercizio di un'impresa, e non richiede che l'esercizio sia effettivo.
Incerta è, invece, la possibilità di concepire l'esistenza di un'impresa senza imprenditore (soluzione ipotizzata, ad esempio, nel caso di esercizio dell'impresa nel fallimento).
Si è anche discusso se l'azienda sia un elemento presente in qualsiasi ipotesi di esercizio d'impresa o se sia concepibile che un soggetto eserciti un'attività economica rilevante ai sensi dell'art. 2082 c.c. senza organizzare a tal fine alcun complesso di beni.
Il problema, in realtà, riguarda delle ipotesi periferiche di imprese prive di rilevanza economica (ci si limita a rilevare, che a suo tempo la questione s'incentrò sulla qualificazione dell'attività svolta da un facchino, il quale trasporta bagagli con rudimentali strumenti, quali carretti a mano, cinghie per legarli, e via dicendo).

La natura giuridica dell'azienda

Molto discussa è la natura giuridica dell'azienda. Vi sono essenzialmente due correnti di pensiero a riguardo.
Da una parte vi è la teoria c.d. unitaria, secondo la quale, l'azienda costituisce un bene unitario, distinto rispetto ai singoli beni che la compongono. In tale prospettiva, l'azienda viene vista come una universitas factii o rerum, argomentandosi, in proposito, dal dato letterale dell'art. 2555 c.c. (vedi sopra) e dell'art. 670 c.p.c. n. 1 che, contemplando espressamente il sequestro giudiziario di "aziende o altre universalità di beni", sembra stabilire un'equiparazione delle due nozioni.

Bisogna chiarire la distinzione tra universalità di fatto e di cose. Il codice civile prevede espressamente solo le prime, all'art. 816 c.c., "universalità di mobili". Ai sensi della norma, "è considerata universalità di mobili la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria".
Il secondo comma dispone poi che: "le singole cose componenti la universalità possono formare oggetto di separati atti e rapporti giuridici". Esempi delle universalità di mobili (o di fatto) sono: il magazzino delle merci di un'impresa, i quadri di una pinacoteca, una collezione di monete, il gregge.
La universalità di fatto si distingue dalle cose composte in quanto non vi è coesione fisica tra gli elementi che la compongono. Si distingue inoltre anche dalle pertinenze in quanto non sussiste un rapporto di subordinazione tra un bene e l'altro (pertinenze sono, come si ricorderà, le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa, senza esserne parte costitutiva). In comune con esse, la universalità di fatto ha, invece, il dato per cui la destinazione delle stesse dipende dalla volontà del possessore.

Un'ultima considerazione relativa alle universalità di beni mobili riguarda il regime della usucapione dei medesimi.
Vi è, anzitutto, da richiamare il dato per cui alle universalità di fatto non si applica la regola generale del "possesso vale titolo" contenuta all'art. 1153 c.c. ("colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà"). Stabilisce infatti l'art. 1156 c.c. che le norme sul possesso di buona fede di beni mobili non si applicano alle universalità di mobili e mobili iscritti in pubblici registri.
Si guarda allora all'art. 1160 c.c., che dispone in materia di usucapione di universalità di beni mobili quanto segue: "L'usucapione di un'universalità di mobili o di diritti reali di godimento sopra la medesima si compie in virtù del possesso continuato per vent'anni" (comma primo); "nel caso di acquisto in buona fede da chi non è proprietario, in forza di titolo idoneo, l'usucapione si compie con il decorso di dieci anni" (comma secondo).
La dottrina, invece, ha individuato una nuova cateogria di universalità non avente ad oggetto beni mobili, bensì rapporti giuridici che si è voluti considerare in maniera unitaria. Un esempio è costituito dai rapporti giuridici riassumibili sotto il tetto della successione mortis causa.
Alla teoria unitaria si contrappone quella c.d. atomistica, che identifica l'azienda con una pluralità di beni e rinunzia a cercare un sistema per trasformarla in un'unità.

Usucapibilità dell'azienda: analisi della sentenza della Cassazione, SS.UU., n. 5087 del 5 marzo 2014

Compiuta l'analisi nozionistica, giunge il momento di passare al secondo elemento in esame con la presente trattazione, ossia la usucapibilità dell'azienda, con riferimento alla sentenza n° 5087 del 5 marzo 2014 delle sezioni unite della Suprema Corte di cassazione.
Sulla questione era già intervenuta la seconda sezione della Corte, con la sent. n° 11902 del 16 maggio 2013; tuttavia, data la massima importanza della quaestio iuris, fu richiesta una pronuncia a sezioni unite, depositata, per l'appunto, il 5 marzo dell'anno successivo.

Nel caso di specie, oltre a figurare come tema centrale la suscettibilità dell'azienda all'usucapione, figura anche l'usucapibilità dell'autorizzazione amministrativa all'esercizio di una farmacia, trattandosi, nella fattispecie, di beni relativi a questo tipo di impresa. A riguardo, la risposta delle sezioni unite è stata negativa: l'atto pubblico dell'autorità amministrativa è svincolato dai profili civilistici e commercialistici che caratterizzano le cessioni d'azienda inter vivos o mortis causa.
Tornando invece al tema di maggior rilievo, esaminiamo ora la soluzione proferita dagli ermellini.

Relativamente alla ammissibilità od inamissibilità dell'usucapione dell'azienda, la Corte propende per una risposta positiva, argomentando dal rilievo circa il riconoscimento legislativo dell'unità economica dell'azienda che comporta l'applicabilità per analogia di tutte le norme dettate per gli acquisti derivativi, che non siano escluse da un'espressa disciplina contraria, anche agli acquisti a titolo originario, tra i quali si colloca ovviamente quello per usucapione.

Pertanto, non essendovi all'interno del codice civile disposizioni incompatibili con la tesi che l'azienda sia suscettibile di possesso ex art. 1140 c.c., se ne ammette l'usucapibilità.

Al contrario, il possesso è supposto in diverse disposizioni esplicitamente riferite all'azienda, come l'art. 2556, primo comma, c.c.: "Per le imprese soggette a registrazione i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell'azienda devono provati per iscritto, salva l'osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l'azienda o per la particolare natura del contratto", o l'art. 2561, secondo comma, c.c., in materia di usufrutto dell'azienda: "egli (l'usufruttuario) deve gestire l'azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l'efficienza dell'organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte".
Ai fini, quindi, della disciplina dell'usucapione, l'azienda deve essere considerata nella sua concezione unitaria, svincolata da una percezione atomistica del singolo bene che la compone, in quanto ad essere trasferito (art. 2556, primo comma, c.c.) non è il singolo bene, bensì l'azienda intera.

Infine, vi è da porre in rilievo un ulteriore aspetto interpretativo tramite il quale la Corte giunge al risultato appena esposto.
Sebbene l'azienda è nella maggior parte dei casi inscindibile dall'esercizio dell'impresa, l'ordinamento, prevedendo la possibilità di cessione della proprietà o dell'usufrutto sulla medesima, consente una scissione tra l'attività d'impresa e la permanenza del complesso aziendale nel possesso dell'imprenditore che se ne serve o se ne è servito. Si rimanda pertanto a quanto già annunciato in apertura di esposizione riguardo al vincolo tra azienda, impresa ed imprenditore.
Si conclude l'articolo con una citazione testuale, cardinale, estrapolata dalla pronunzia in esame: "...ai fini della disciplina del possesso e dell'usucapione, l'azienda, quale complesso di beni organizzati per l'esercizio dell'impresa, deve essere considerata come un bene distinto dai singoli componenti, suscettibile di essere unitariamente posseduto e, nel corso degli altri elementi indicati dalla legge, usucapito".


Note bibliografiche

  • P.G. Jaeger, F. Denozza, A. Toffoletto, Appunti di Diritto Commerciale, VII ed, 2010 Milano, pp. 70-71
  • P. Trimarchi, Istituzioni di Diritto Privato, XIX ed., 2011 Milano, pp. 91, 626
  • M. Iaselli, L'azienda è usucapibile? La risposta delle sezioni unite. da Altalex.it del 14/04/2014
  • L. Albertazzi, Cassazione a Sezioni Unite: usucapione d'azienda, differenza tra azienda farmaceutica e autorizzazione all'esercizio dell'attività farmaceutica, da Studiocataldi.it del 08/03/2014
  • Garaffa e Manenti, La proprietà di un'azienda può essere acquistata per usucapione, da Leggiecontratti.it del 07/03/2014
  • C. Mellone, Le universalità, da Dirittoprivatoinrete.it