ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Gio, 20 Apr 2023

La riforma Cartabia interviene sulla sospensione del procedimento con messa alla prova: tra novità e criticità

Andrea Magaglio
Laurea in GiurisprudenzaLibera Università Maria Santissima Assunta



Questa breve disamina sulla sospensione del procedimento con messa alla prova ex art. 168 bis c.p. ha lo scopo di inquadrare le novità introdotte dalla c.d. riforma Cartabia (D.lgs. 150/2022) ed esporre le sue conseguenze sui procedimenti giudiziari.


Sommario: 1. Le cause estintive del reato; 2. La sospensione condizionale con messa alla prova: strumento rieducativo e di deflazione giudiziaria. Disciplina ante riforma; 3. Interviene la riforma Cartabia (D.lgs. 150/2022); 4. Conclusioni: tra novità e criticità. 

Sommario: 1. Le cause estintive del reato; 2. La sospensione condizionale con messa alla prova: strumento rieducativo e di deflazione giudiziaria. Disciplina ante riforma; 3. Interviene la riforma Cartabia (D.lgs. 150/2022); 4. Conclusioni: tra novità e criticità. 

1. Le cause estintive del reato

Alla commissione di un reato, di norma, consegue, quale effetto tipico, l’applicazione delle sanzioni penali previste dalla legge, poste a tutela di quel determinato bene giuridico tutelato dalla norma penale e leso ovvero posto in pericolo dal reo con la sua condotta.

Tuttavia, non è raro che tale effetto giuridico, a certe condizioni, venga meno e che al fatto tipico commesso dal reo non consegua alcuna condanna nei suoi confronti. Si pensi, ad esempio, alle ipotesi in cui sussista, a favore de soggetto agente, una causa di non punibilità in senso stretto oppure al caso in cui sussista una causa di estinzione del reato.

L’art. 531, co. 1, c.p.p. stabilisce che “Salvo quanto disposto dall'articolo 129 comma 2[1], il giudice, se il reato è estinto, pronuncia sentenza di non doversi procedere enunciandone la causa nel dispositivo”.

In altri termini, il legislatore prevede espressamente che, verificatesi certe condizioni, alla luce del venir meno tanto del reato quando della responsabilità del reo, il giudice debba pronunciare sentenza di non doversi procedere.

Giova tuttavia sottolineare che, nell’ipotesi di causa estintiva del reo, il fatto storico rimane invariato e, per tale motivo, continuerà a produrre i suoi effetti. A conferma di ciò, l’art. 106 c.p. afferma che, relativamente agli effetti derivanti dalla recidiva (art. 99 c.p.) e dell’abitualità nel reato, il giudice deve tener conto anche di quei reati per i quali è intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena. Ancora, l’art. 198 c.p. sancisce l’irrilevanza dell’estinzione del reato o della pena sulle obbligazioni civili derivanti dal reato (in altri termini, anche in caso di estinzione della pena, i danni patrimoniali e non patrimoniale devono essere risarciti).

Alla luce di quanto finora detto è, dunque, chiaro che l’estinzione del reato determina il venir meno della responsabilità penale del reo con conseguente rinuncia dello Stato a perseguire penalmente quest’ultimo.

2. La sospensione condizionale con messa alla prova: strumento rieducativo e di deflazione giudiziaria. Disciplina ante riforma

Finalità rieducative del reo e, contemporaneamente, di deflazione del carico giudiziario hanno indotto il legislatore, con l. 67/2014, ad introdurre nel codice di rito la c.d. sospensione del procedimento con messa alla prova: causa di estinzione del reato che consegue all’esito di un percorso rieducativo portato a termine positivamente dal reo.

Previsto originariamente dal rito minorile[2], ad oggi tale istituto opera anche a favore degli imputati maggiorenni. Prima della riforma Cartabia, avvenuta con d.lgs. 150/2022, tale istituto operava, ai sensi dell’art. 168 bis c.p., “Nei procedimenti per i reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’art. 550 c.p.p.[3]”.

Inoltre, ai sensi del previgente art. 464 bis c.p.p., l’istituto in esame poteva essere richiesto dal solo imputato, oralmente o per iscritto, personalmente o per mezzo di procuratore speciale, sino alla formulazione delle conclusioni in sede di udienza preliminare o, laddove quest’ultima non fosse celebrata, sino alla dichiarazione di apertura dibattimentale di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio.

Il medesimo articolo prevede, altresì, che alla richiesta di sospensione venga allegato un programma di trattamento, elaborato d’intesa con l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (c.d. U.E.P.E.) o, nel caso non sia stato possibile, almeno la richiesta di elaborazione del suddetto programma. Quest’ultimo dovrà prevedere: “[...] a) le modalità di coinvolgimento dell'imputato, nonché del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale, ove ciò risulti necessario e possibile; b) le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l'imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all'attività di volontariato di rilievo sociale; c) le condotte volte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa e lo svolgimento di programmi di giustizia riparativa”.

In altri termini, la sospensione del procedimento con messa alla prova porta l'imputato ad attivarsi al fine di eliminare le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato nonché, laddove sia possibile, a risarcire il danno da lui stesso causato. L'imputato è inoltre affidato al servizio sociale ed è tenuto a svolgere lavori di pubblica utilità, non retribuiti, tenendo conto anche delle sue specifiche professionalità ed attitudini lavorative nonché le sue esigenze di di lavoro, di studio, di famiglia e di salute. 

Il giudice, ai sensi dell’art. 464 quater, co. 4, c.p.p., qualora ritenga il programma inadeguato, anche alla luce delle informazioni acquisite d’ufficio, può disporne l’integrazione o la modifica con il consenso dell’imputato.

Definito ed approvato il programma di messa alla prova, il giudice pronuncia ordinanza con cui accoglie la richiesta ex art. 464 bis c.p.p., dichiara sospeso il procedimento e, ai sensi dell’art. 464 quinquies c.p.p., fissa altresì il termine entro il quale “[...] le prescrizioni e gli obblighi relativi alle condotte riparatorie o risarcitorie imposti devono essere adempiuti”[4].

Conclusosi il periodo di sospensione individuato nell’ordinanza di ammissione alla messa alla prova, il giudice è chiamato a valutare il percorso intrapreso dall’imputato, valutando il suo comportamento e il rispetto delle prescrizioni stabilite[5].

Qualora l'autorità giudiziaria ritenga che la messa alla prova abbia avuto esito positivo, il giudice dichiara con sentenza estinto il reato, ai sensi dell’art. 464 septies, co. 1, c.p.p. e 168 ter ,co. 2, c.p.

Tuttavia, qualora l’esito della messa alla prova sia invece negativo, ai sensi dell’art. 464 septies co. 2, il giudice è tenuto a disporre con ordinanza che il processo riprenda il suo corso.

Prima che decorra naturalmente il termine fissato con l’ordinanza che dispone la messa alla prova, il giudice può altresì procedere alla revoca della sospensione del procedimento, in presenza di una delle situazioni tassativamente previste dall’art. 168 quater c.p., ovvero in caso di grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o delle prescrizioni imposte, ovvero di rifiuto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità oppure in caso di commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede.

Infine, il legislatore ha previsto altresì che l’imputato possa beneficiare solamente una volta di tale causa di estinzione del reato. In altri termini, nel caso di esito negativo o revoca della messa alla prova, ovvero nel caso in cui l’imputato abbia già goduto, per altro reato, di tale istituto, a quest’ultimo è preclusa la riproposizione di una nuova istanza. 

3. Interviene la riforma Cartabia (D.lgs. 150/2022)

Con il chiaro intento di ridurre il carico dei Tribunali ordinari, la riforma Cartabia è intervenuta al fine di modificare la disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova, estendendo i limiti applicativi dell’istituto e, nel contempo, valorizzando ora anche l’iniziativa del Pubblico Ministero.

Con riguardo al primo punto, la legge delega aveva previsto un aumento del limite edittale di accesso alla messa alla priva, fino a sei anni di reclusione. Tuttavia, il legislatore, non aderendo a tale indicazione, si è limitato ad estendere l’elenco dei reati di cui all’art. 550, co. 2, c.p.p. che, come detto sopra, consentono l’applicabilità dell’istituto anche qualora il quadro edittale superi il limite dei quattro anni di reclusione nel massimo. A titolo esemplificativo, oggi sono estinguibili mediante messa alla prova i delitti di violenza o minaccia e resistenza a pubblico ufficiale (artt. 336, 337 c.p.), l’istigazione a delinquere (art. 414 c.p.), la truffa aggravata (art. 640 co. II c.p.), il fraudolento danneggiamento dei beni assicurati (art. 642 c.p.).

Giova tuttavia precisare che, nonostante tale ampliamento del novero dei reati di cui all’art. 550 c.p., permane il potere discrezionale del giudice di valutare non solo l’idoneità del programma di messa alla prova ma anche la possibile futura astensione dell’imputato nel commettere altri reati (art. 464 quater co. III c.p.).

Altra importante novità, introdotta con la riforma Cartabia, ha riguardato l’introduzione di un nuovo ed inedito ruolo attribuito al Pubblico Ministero nella scelta del rito deflattivo nelle indagini preliminari. Infatti, la riforma ha provveduto ad introdurre un nuovo primo comma all’art. 464 ter 1 c.p.p., il quale oggi recita “Il pubblico ministero, con l'avviso previsto dall'articolo 415 bis, può proporre alla persona sottoposta ad indagini la sospensione del procedimento con messa alla prova, indicando la durata e i contenuti essenziali del programma trattamentale. Ove lo ritenga necessario per formulare la proposta, il pubblico ministero può avvalersi dell'ufficio di esecuzione penale esterna”. Coerentemente a tale modifica, la riforma è intervenuta anche sull’art. 168 bis c.p. il quale, oggi, recita “Nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell'articolo 550 del codice di procedura penale, l'imputato, anche su proposta del pubblico ministero, può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova”.

Tale nuova disciplina, dunque, si differisce nettamente dalla previgente per due ordini di ragioni: da un lato, l’elaborazione del programma non deve più necessariamente seguire la richiesta di ammissione alla messa alla prova, potendo oggi il Pubblico Ministero indicare, nell’avviso ex art. 415-bis c.p.p. la durata e i contenuti essenziali del programma trattamentale; dall’altro lato, è ammessa l’iniziativa del Pubblico Ministero che può oggi proporre direttamente all’indagato la sospensione del procedimento con messa alla prova.

Inoltre, è necessario anche sottolineare come l’iniziativa del Pubblico Ministero e l’iniziativa dell’imputato non sono tra loro alternative ma coesistono. In altri termini, dinanzi ad una richiesta di messa alla prova proposta dal Pubblico Ministero e rifiutata dall’indagato, rimane ferma la "classica" proponibilità della richiesta di messa alla prova da parte dell’imputato ex art. 168 bis c.p. (sino alla formulazione delle conclusioni in sede di udienza preliminare o, laddove quest’ultima non fosse celebrata, sino alla dichiarazione di apertura dibattimentale di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio).

Infine, a conferma dello sforzo deflattivo del legislatore, la riforma estende i propri effetti anche ai procedimenti in corso: la messa alla prova potrà essere richiesta nei procedimenti già pendenti, anche in appello, purché ne ricorrano le altre condizioni[6].

4. Conclusioni: tra novità e criticità

Nata col chiaro intento di ridurre il carico giudiziario, la causa di estinzione del reato ex art. 168 bis c.p. ha goduto, sin da subito, di un’ampia applicazione da parte degli uffici giudiziari. Tale effetto deflattivo è stato ancor di più accentuato con il D.lgs. 150/2022, il quale, apportando modifiche alla disciplina dell’istituto in esame, ha ampliato il novero dei reati per cui è possibile richiedere la sospensione del procedimento per messa alla prova (da sottolineare, inoltre, come l’intento della riforma era addirittura quello di prevedere anche un limite edittale della pena, non più di quattro anni, ma di sei anni nel massimo).

Tuttavia, tale riforma non è esente da aspetti critici. Infatti, se da un lato, l’estensione del catalogo dei reati è da apprezzare con favore, dall'altro lato qualche perplessità nasce relativamente alla nuova facoltà attribuita al Pubblico Ministero ex art. 464 ter, comma 1, c.p.p. Infatti, come si può leggere anche dalla stessa Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 " [...]il ruolo del pubblico ministero nella formulazione della proposta di sospensione del procedimento con messa alla prova è destinato ad essere residuale. Nell’udienza preliminare o nella fase predibattimentale, infatti, l’imputato ha piena cognizione di quali siano gli elementi accusatori con i quali deve confrontarsi e ha quindi modo – ove lo ritenga utile e opportuno – di attivarsi direttamente per sollecitare la sospensione del procedimento con messa alla prova. Si è comunque ritenuto utile prevedere che – anche in questa fase – il pubblico ministero possa formulare all’imputato la proposta di sospensione del procedimento con messa alla prova; ciò al fine di lasciare aperta al massimo grado possibile la porta che dà accesso a tale modalità di definizione alternativa del procedimento, magari in supplenza a situazioni di inerzia dell’ufficio di difesa (situazioni di inerzia che, pur rare, talora si registrano nella prassi)" [7]

Infine, non può di certo essere ignorato l'aumento del carico di lavoro non solo per gli UEPE ma anche per gli Uffici di Procura: di certo, sarà necessario dotare entrambe di una adeguata dotazione di risorse umane e materiali. Solo il tempo potrà rivelare se tale riforma avrà effetti positivi o appesantirà ancor di più il sistema. 


Note e riferimenti bibliografici

[1] Art. 129, co. 2, c.p. “Quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta”.

[2] Art. 28, D.P.R. 448/1988

[3] Art. 550 c.p.p. “Casi di citazione diretta a giudizio”.

[4] Tale termine potrà essere prorogato, in corso di esecuzione del programma, solamente una volta e per gravi e fondati motivi.

[5] Art. 464 septies c.p.p., “[il Giudice] a tale fine acquisisce la relazione conclusiva dell'ufficio di esecuzione penale esterna che ha preso in carico l'imputato e fissa l'udienza per la valutazione dandone avviso alle parti e alla persona offesa”.

[6] La richiesta deve essere presentata alla prima udienza utile dopo il 30 dicembre 2022 e, comunque, entro 45 giorni da tale data.

[7] Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, p. 303.