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Pubbl. Mer, 12 Apr 2023

La contiguità alle associazioni di tipo mafioso e al terrorismo. Percorsi differenziati tra scienze sociali e figure penalistiche.

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autori Giovanni Grasso , Ripepi Antonino



Il contributo esamina i percorsi interpretativi della contiguità alle organizzazioni criminali, con particolare riguardo alle associazioni di tipo mafioso e al fenomeno terroristico. Prendendo le mosse dall’intreccio inestricabile tra diritto e scienze sociali, viene ricostruito il quadro giuridico-ermeneutico della partecipazione e delle forme di supporto esterno a tali organizzazioni. In particolare, ne vengono evidenziate le divergenze nelle applicazioni giurisprudenziali, sintomatiche della inevitabile lettura sociologicamente orientata delle incriminazioni, talora difficilmente conciliabili con le tradizionali categorie penalistiche.


ENG

The proximity to maphia organizations and terrorism. Differentiated paths between social science and criminal law categories.

The paper deals with the interpretative paths of proximity to criminal organizations, with special regard to maphia associations and the terroristic phenomenon. Starting from the entangled link between law and social sciences, it reconstructs the juridical-hermeneutical picture of the participation crime and of forms of supporting these organizations by extranei. Particularly, it underlines the differences in case law, demonstrative of the unavoidable interpretation in a sociological way, sometimes difficulty adaptable with traditional categories of criminal law.

Sommario: 1. La contiguità al fenomeno mafioso in prospettiva socio-criminologica; 2. Esame dei singoli ambiti di contiguità mafiosa; 3. Caratteristiche del moderno fenomeno terroristico; 4. Contiguità al fenomeno terroristico; 5. Gli strumenti penalistici di contrasto alla contiguità mafiosa; 5.1. Le principali norme incriminatrici della contiguità mafiosa. 5.1.1. Un primo cenno alla contiguità politico-mafiosa. 5.1.2. Le forme di contiguità economico-imprenditoriale; 6. La rilevanza penale della contiguità mafiosa “qualificata”. La continua ricerca dei confini tra le principali fattispecie in tema di criminalità organizzata; 6.1. Partecipazione e concorso esterno in associazione mafiosa: due fattispecie avvinte da un destino comune; 6.1.1. Spazi per il tentativo di partecipazione? 6.2. Il concorso esterno tra affermazione e negazione della fattispecie; 6.3. Lo “scambio elettorale con metodo mafioso”; 6.4. La contiguità criminosa con finalità di agevolazione del sodalizio; 6.5. Spunti critici sulla rilevanza penale attuale delle forme di “contiguità qualificata”; 7. L’”ammorbidimento” delle figure penalistiche attraverso la “liquidità” del terrorismo; 7.1. La quasi-onnivoracità della partecipazione all’associazione terroristica; 7.2. Oltre la partecipazione all’associazione con finalità di terrorismo: le condotte collaterali all’organizzazione; 7.2.1. La sottile linea di demarcazione tra arruolamento e partecipazione; 7.2.1.1. «Non un passo indietro»: la configurabilità del tentativo di arruolamento; 7.2.2. L’addestramento ad attività con finalità di terrorismo tra “informazione” e “formazione”; 7.2.3. Gli apporti economici alle attività terroristiche: tra finanziamento dell’associazione e finanziamento degli atti con finalità di terrorismo; 8. Conclusioni.

1. La contiguità al fenomeno mafioso in prospettiva socio-criminologico

Costituisce ormai un dato acquisito dalla dottrina[1] l’osservazione secondo cui la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 416-bis c.p. (e, conseguentemente, il concorso eventuale nel reato associativo) sia stata tipizzata attraverso elementi normativi extragiuridici, tanto da poter affermare, con le parole di un illustre Autore, che «spetta non da ora in particolare alla sociologia il primato conoscitivo nello studio delle caratteristiche del fenomeno mafioso»[2].

Se questa osservazione è valida in relazione alle condotte punite dal citato art. 416-bis c.p., a maggior ragione essa concerne il fenomeno della “contiguità”, ossia della “vicinanza” al sodalizio mafioso, repressa dal combinato disposto di norme di parte generale e speciale e di particolare interesse anche sul terreno extragiuridico.

Pertanto, appare opportuno muovere da un previo inquadramento del fenomeno mafioso (e, a seguire, di quello terroristico) esaminando le più recenti acquisizioni della scienza sociologica e criminologica. In particolare, per esigenze di ordine espositivo, si muoverà dall’esame dell’elaborazione fornita dalle scienze sociali in tema di vicinanza alle consorterie mafiose, analizzando tutti i versanti in cui declina la poliedrica figura penalistica della “contiguità”.

In primo luogo, appare necessario definire tale concetto, comunemente utilizzato dalla dottrina[3] per individuare il fenomeno della vicinanza collaborativa agli ambienti criminali mafiosi.

La contiguità consiste nella relazione tra due entità che, tuttavia, restano ontologicamente distinte: è la «vicinanza immediata nello spazio o nel tempo, prossimità»[4]. Stante la non immedesimazione tra i due enti in rapporto, ciò che è “contiguo” resta “esterno” rispetto a ciò che, invece, è “parte” di un fenomeno, criminale o meno che sia.

Con riguardo alle organizzazioni mafiose, il valico tra le due dimensioni è segnato, in chiave simbolica, dai rituali di affiliazione, ormai ampiamente studiati in ambito giuridico[5] e non[6].

Tuttavia, il concetto di contiguità dev’essere necessariamente studiato alla luce della rinnovata struttura e dinamica delle associazioni mafiose.

Infatti, la prospettiva di studio cc.dd. culturalista, che identificava la mafia quale prodotto di una subcultura legata a retaggi borbonici nel contesto di un ambiente pastorale e retrogrado[7], è stata ormai sostituita da una nuova corrente, che valorizza la struttura reticolare[8] della mafia stessa, ossia, per citare le scienze aziendali e manageriali, un’organizzazione “a legame debole”[9], capace di espandersi oltre i propri ambienti di elezione naturali nella misura in cui riesce a indurre alla collaborazione l’imprenditoria, le istituzioni politiche, i professionisti e larghi strati della società civile, e tanto sulla scorta della reciproca convenienza economica dell’accordo[10]. In questa rinnovata ottica, il mafioso agisce quale intermediario tra i vari nodi che compongono la rete, annidandosi in quella che è stata definita “zona grigia”[11] dalla dottrina[12], intessendo un capitale sociale consistente in relazioni di scambio materiali e simboliche che l’individuo e l’organizzazione possono sfruttare per il perseguimento dei propri fini[13].

2. Esame dei singoli ambiti di contiguità mafiosa

L’opportunità di esaminare le molteplici forme di manifestazione della contiguità mafiosa conduce a interrogarsi sui rapporti tra mafia e istituzioni politiche. Sul punto, varie sono le classificazioni proposte sul piano socio-criminologico: si distingue tra una contiguità “a monte”, relativa a rapporti che si instaurano in un momento precedente rispetto alla competizione elettorale e in vista della stessa, e una contiguità “a valle”, concernente relazioni che sorgono dopo l’elezione e per “remunerare” la stessa[14]; si rimarca, inoltre, la necessità di tenere distinto l’«esponente politico che sia formalmente affiliato all’organizzazione mafiosa ed occupi una posizione stabile e predeterminata all’interno della struttura criminale»[15] dal politico “esterno”, che intesse un rapporto clientelare di scambio che può essere episodico[16] o stabile, continuativo e fortemente personalizzato[17]. In tutti questi casi, comunque, il rapporto è conveniente per entrambe le parti e, dunque, da esse perseguito e agevolato attraverso un sistema clientelare per cui «i mafiosi ricevono dagli uomini politici di governo favori per se stessi e per i propri accoliti: il rilascio di un porto d’armi, la modifica di un rapporto di polizia, il trasferimento di un funzionario troppo solerte, la facilitazione dell’iter della riabilitazione giudiziaria ecc.»[18].

Altro settore, afferente al diverso ambito economico e oggetto di grande attenzione da parte della dottrina, è quello della prossimità tra mafia e imprenditoria, in quanto lo scopo finale dell’associazione mafiosa è, come noto, l’accumulazione economico-finanziaria[19]. Naturalmente, il fenomeno va distinto dall’imprenditore mafioso in sé, in quanto affiliato, ipotesi in cui non sussiste contiguità per le ragioni dianzi precisate, nonché dalla c.d. impresa a partecipazione mafiosa[20], per motivazioni analoghe. Anche nel diverso settore della “contiguità” propriamente intesa, le scienze socio-criminologiche suggeriscono alcune partizioni, quali quella tra contiguità compiacente e contiguità soggiacente[21], ove il primo termine della dicotomia consiste nella posizione di tendenziale parità dei due soggetti economici, mentre nel secondo caso l’imprenditore è vittima di estorsioni e fenomeni di intimidazione, sicché acconsente alle richieste mafiose solo per tutelare se stesso, i familiari e l’attività[22] e non può definirsi in termini di vero e proprio “complice”. Di grande importanza anche la categoria dei cc.dd. imprenditori strumentali, i quali, «a differenza degli imprenditori collusi e clienti – cercano con la mafia accordi limitati nel tempo e definiti nei contenuti»[23], in quanto hanno la forza economica che consente loro di instaurare rapporti di scambio con le associazioni mafiose.

Sussistono, poi, fenomeni di contiguità anche nel mondo delle professioni: i cc.dd. knowledge brokers, come suggerisce il termine, fungono da “intermediari” tra mafia e imprese/pubbliche amministrazioni, fornendo un contributo difficilmente surrogabile in assenza di quel know how; i cc.dd. knowledge providers, invece, garantiscono all’associazione le conoscenze necessarie per sviluppare il business mafioso[24]. Nella realtà giudiziaria sono note a tutti le vicende dell’”aggiustamento di processi”[25], mentre anche il mondo delle forze dell’ordine è contraddistinto da casi di rivelazione di notizie segrete riguardanti indagini in corso[26].

Infine, è necessario ricordare una vasta gamma di condotte di fiancheggiamento che si sostanziano nella trasmissione di messaggi – i cc.dd. pizzini – o altre attività di intermediazione nei confronti di esponenti mafiosi, specie se latitanti[27].

3. Caratteristiche del moderno fenomeno terroristico

Una volta approfondito l’esame della contiguità mafiosa sul terreno delle scienze sociali, occorre adesso affrontare l’analisi della prossimità rispetto a un diverso fenomeno criminale, parimenti recente e preoccupante, tanto da essere sussunto sotto il comune paradigma del “diritto penale del nemico”[28]: il terrorismo.

Per definirlo, è sufficiente «risalire all’origine latina (“terror”: forte commozione d’animo per una grande paura che sgomenta e atterrisce) per configurare un uso della violenza finalizzato ad innescare il terrore nella popolazione»[29]. Il terrorismo, infatti, è stato definito nei termini che seguono: «ogni atto, compiuto come parte di un metodo di lotta politica (cioè volta ad influenzare e conquistare o difendere il potere statale), che comporta l’uso di violenza estrema (l’inflizione della morte fisica o psichica, o di sofferenze o lesioni fisiche o psichiche) contro persone innocenti (nel senso di non combattenti)»[30].

Tuttavia, sul piano criminologico, appare necessario distinguere tra un terrorismo “politico”, in cui un gruppo sfidante attacca un sistema sfidato secondo le coordinate teoriche del c.d. modello di Gurr[31], rendendo così indispensabile lo scontro con l’ordine costituito, e un terrorismo “religioso”, jihadista, che si fonda sulla teorizzazione di Sayyid Qutb[32]; quest’ultimo configura una macro-categoria in cui rientrano al-Qaeda e ISIS (il secondo inteso quale evoluzione del primo[33]),connotato da radicalizzazione religiosa[34] e originante dal ’79 afghano[35].

Il terrorismo di matrice jihadista si presenta con le seguenti caratteristiche, descritte in modo illuminante dalla dottrina: «Il nuovo modello di sviluppo dello jihadismo militante si dimostra privo di centro, privo di gerarchie piramidali e assume le sembianze di una “rete d’odio” verso l'Occidente, all'interno della quale soggetti isolati o radunati in piccoli gruppi, sostanzialmente autonomi e debolmente (o per nulla) connessi l'uno all'altro, coltivano il proprio jihad individuale»[36]. Viene in evidenza, dunque, un fenomeno criminale caratterizzato da liquidità e destrutturazione[37], con una organizzazione a legame debole[38] e assenza di gerarchia, purché si combatta per la stessa causa antioccidentale.

Questa osservazione è di fondamentale importanza nella misura in cui espande il perimetro del concetto (sociologico, prima che giuridico) di “partecipazione” all’associazione terroristica[39] rispetto alla mafia, la quale ultima, similmente al terrorismo moderno, è una struttura a rete, ma cerca l’accordo, la collusione e non lo scontro con le istituzioni.

4. Contiguità al fenomeno terroristico

Le considerazioni precedentemente rassegnate conducono alla conclusione secondo cui la contiguità al terrorismo è sociologicamente e criminologicamente configurabile, ma in forme diverse rispetto alla mafia.

Si pensi, in primo luogo, alla figura dell’addestrato, autonomamente incriminata anche dal sistema di diritto penale positivo e, dunque, diversa dal “far parte”. In chiave criminologica, l’importanza dell’addestramento è contemplata da veri e propri manuali islamici rinvenuti dalle forze dell’ordine, tra cui gli “Studi Militari per il Jihad contro i Tiranni”, verosimilmente usato da Osama Bin Laden per preparare i terroristi della propria rete[40], nonché il manuale dattiloscritto in lingua araba intitolato “Elementi di base per la preparazione del jihad per la causa di Allah”[41].

Occorre, altresì, ricordare l’immagine dei finanziatori, anch’essi autonomamente incriminati, la cui pericolosità è stata a più riprese rimarcata in varie sedi internazionali[42] e acuita dal ricorso alle nuove tecnologie (virtual coins[43]); d’altronde, anche i manuali islamici precedentemente menzionati evidenziano, a più riprese, l’importanza di sovvenzionare i fratelli coinvolti nella lotta contro l’Occidente[44].

Infine, è doveroso ricordare i fiancheggiatori in generale, anche definiti facilitatori, “individui che hanno i contatti giusti all’interno di uno o più gruppi jihadisti, e pertanto sono in grado di fare da garanti per le nuove reclute. Spesso si tratta di militanti impegnati che hanno partecipato a vari conflitti e stabilito solidi legami con diversi network jihadisti”[45], dotati di grande carisma, che avvicinano gli individui designati nelle occasioni più varie e offrono loro collaborazione per unirsi alla guerra santa.

5. Gli strumenti penalistici di contrasto alla contiguità mafiosa

5.1. Le principali norme incriminatrici della contiguità mafiosa

L’osservazione di entrambi i fenomeni con la lente offerta dalle scienze sociali consente, a questo punto, di meglio arricchire la prospettiva in cui si colloca l’esame della eventuale rilevanza criminosa delle ipotesi di contiguità ai sodalizi criminali. Di questa, vista in confronto alle associazioni di tipo mafioso, può operarsi una classificazione seguendo uno schema a progressione discendente[46]. Il soggetto estraneo al sodalizio può rientrare nella figura del concorrente esterno, fattispecie gemmata dalla combinazione degli artt. 110 e 416-bis c.p., secondo il modello causalistico accolto in giurisprudenza; può essere parte di un accordo di scambio di tipo elettorale qualificato dal metodo mafioso (art. 416-ter c.p.) ovvero rendersi autore di un reato non appartenente direttamente alla materia della criminalità mafiosa, ma aggravato dalla finalità di agevolazione della compagine criminale (art. 416-bis.1 c.p.). Ancora, potrebbero venire in rilievo forme speciali di contribuzione, come l’intermediazione o agevolazione di comunicazione tra detenuti sottoposti a un particolare regime detentivo (art. 391-bis c.p.), il depistaggio aggravato (art. 375, comma 3 c.p.), il favoreggiamento personale aggravato verso un indagato o ricercato per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p., ovvero ancora l’assistenza agli associati (art. 418 c.p.)[47].

Premesso questo brevissimo riepilogo, si procederà con l’inquadramento giuridico delle principali forme di contiguità, per poi procedere al raffronto con le figure di maggiore centralità nel dibattito penalistico, quali la partecipazione, il concorso esterno, lo “scambio elettorale” e la c.d. agevolazione mafiosa.

5.1.1. Un primo cenno alla contiguità politico-mafiosa

Volgendo lo sguardo alla contiguità politico-mafiosa, e in particolare a quella di tipo “politico-istituzionale”, può scorgersi una “zona grigia” molto “sfumata”, in cui è forte il dubbio circa la responsabilità penale, ovvero solo morale o politica, degli autori di tali condotte. In disparte le forme di vicinanza ideale e contingente, rientranti nel legittimo terreno delle discussioni politiche[48], più problematico appare il tema della contrattazione tra membri delle istituzioni e componenti, anche apicali, della consorteria criminale, avente ad oggetto l’intermediazione con le autorità politiche ai fini della concessione di benefici e a fronte della mitigazione della strategia stragista imperversante negli anni ‘90. Una vicenda che si inserisce in un contesto drammatico e più ampio della storia d’Italia, che si è scontrata con la difficoltà di inquadramento all’interno degli schemi di incriminazione del supporto alle organizzazioni criminali, apparendo più “contigua” a un terreno etico-politico, che non a quello strettamente penale e giudiziario[49].

5.1.2. Le forme di contiguità economico-imprenditoriale

Le capacità di infiltrazione e diffusione all’interno del circuito produttivo hanno reso simbiotici i rapporti con la criminalità di tipo economico[50]. Le organizzazioni mafiose odierne si presentano come compagini molto articolate sul piano imprenditoriale e societario[51]; al punto da poter affermare che esse non dispongono più soltanto di capitale umano, ma soprattutto societario[52]. Le ipotesi di strumentalizzazione dell’attività di impresa agli obiettivi della compagine mafiosa sono una nota immagine dell’inquinamento del tessuto economico. Tuttavia, occorre distinguere le diverse condizioni in cui può versare l’imprenditore che si relazioni con la criminalità mafiosa. Da un lato, si colloca chi abbia convenuto il sostegno agli interessi del sodalizio in cambio della possibilità di imporre la propria posizione dominante sul mercato (c.d. imprenditore colluso). Dall’altro, a questa situazione non è certamente equiparabile quella di chi abbia accolto le richieste della societas sceleris per aver subito le pressioni criminali (c.d. imprenditore acquiescente). Anche in questo caso, però, occorre distinguere tra chi abbia svolto una valutazione di tipo utilitaristico, concludendo per la convenienza della relazione di affari con il sodalizio (c.d. imprenditore connivente), e colui che abbia concluso al più accordi viziati dal contesto estorsivo e tesi a limitare il danno ingiusto che ne può conseguire[53].Mentre la prima ipotesi può oscillare tra la partecipazione, il concorso esterno e il favoreggiamento – ferma restando la integrazione di ulteriori fattispecie, come quelle in materia di usura o riciclaggio, o ancora di cui agli artt. 512-bis o 513-bis c.p. – l’inquadramento dell’ipotesi di imprenditore connivente è risultata maggiormente problematica in dottrina[54].

Per l’impresa si apre anche la possibilità di incorrere nella responsabilità para-penale[55] ai sensi dell’art. 24-ter d.lgs. n. 231 del 2001[56]. In questo ambito, fuori dei casi di ente intrinsecamente criminale, meritevole dell’applicazione di una sanzione interdittiva, qualche dubbio è emerso circa la sussistenza dell’interesse o del vantaggio dell’ente, quale criterio di imputazione oggettiva del fatto di connessione di tipo associativo[57].

6. La rilevanza penale della contiguità mafiosa “qualificata”. La continua ricerca dei confini tra le principali fattispecie in tema di criminalità organizzata

6.1. Partecipazione e concorso esterno in associazione mafiosa: due fattispecie avvinte da un destino comune

Esaurita questa prima rassegna e concentrando l’attenzione sulle principali forme di rilevanza penale della contiguità mafiosa “qualificata”, la prima questione da risolvere attiene al confine esistente tra partecipazione e concorso esterno. Come dimostrano le diverse pronunce delle Sezioni Unite che si sono avvicendate in materia, l’indagine sulla definizione dell’intraneo e dell’estraneo deve rimanere unitaria, trattandosi di categorie reciprocamente interdipendenti.

Il carattere aperto che presenta oggi la struttura dell’associazione mafiosa, di natura intrinsecamente relazionale, rende problematica la stessa individuazione della linea di confine tra partecipe e concorrente esterno, stante la natura intrinsecamente relazionale.

Può ritenersi certamente accantonata quell’interpretazione della condotta di partecipazione che dava la stura a una fattispecie onnivora, in grado di attrarre a sé qualsiasi forma di contiguità[58]; così come il “fare parte” penalmente rilevante non può risolversi in una mera adesione psicologica all’associazione[59]. Esclusa la sostenibilità di tali letture, possiamo restringere a tre i modelli partecipativi che si contendono il campo: a) causale; b) organizzatorio; c) misto.

Nel tentativo di valorizzare la materialità e l’offensività della condotta, il primo orientamento esige un contributo eziologicamente rilevante alla vita dell’associazione[60].Sebbene l’istanza di massima applicazione dei principi sia certamente apprezzabile, detta impostazione si espone ai seguenti rilievi critici: a) fa impropriamente richiamo al criterio causale e non consente di circoscrivere il novero di condotte interessate, perché non è in grado di spiegare in base a che cosa queste debbano essere individuate; b) rischia di conferire rilevanza a contributi frammentari, e quindi può entrare in collisione col dato letterale, poiché il riferimento a chi “fa parte” richiama una compenetrazione stabile all’interno dell’associazione; c) rischia di trasformare il problema in una questione probatoria sul rapporto di causalità e di finire col rendere assorbente la prova sui delitti scopo, in contrasto con alcuni principi costituzionali[61]; d) soprattutto, limita al solo profilo soggettivo la distinzione tra la partecipazione e il concorso esterno.

Il modello organizzatorio sposta l’attenzione dal contributo alla vita dell’associazione all’incardinamento stabile del partecipe al suo interno, sulla base di un accordo sinallagmatico che presuppone il riconoscimento delle regole associative e la “messa a disposizione” per realizzare il programma criminoso[62]. Il criterio strutturale su cui si fonda tale interpretazione consente di evidenziare meglio la distinzione con il concorso esterno sul piano oggettivo. Nondimeno, anch’essa si espone ad alcune riserve, in quanto: a) pone il problema della responsabilità dastatus o di posizione; b) trasforma la partecipazione in un reato accordo, senza specificarne i contenuti in chiave di compatibilità con materialità e offensività.

Per risolvere le criticità del modello strutturale, si è resa necessaria un’integrazione del requisito coerente con i principi di materialità e offensività. Efficacemente, si è osservato che al modello organizzativo è stata conferita una «proiezione fattuale»[63], richiedendosi un inquadramento “dinamico-funzionale” dell’intraneo nell’associazione[64]. Il partecipe non risponde per una mera posizione, un mero status, ma deve avere necessariamente un ruolo attivo all’interno della societas sceleris. Non è sufficiente, dunque, la mera “messa a disposizione” in senso statico; al contempo, non occorre che questi si “metta anche in gioco” attraverso comportamenti penalmente rilevanti[65], ma è necessario che sia concretamente individuabile l’impegno di contribuzione al programma del sodalizio. Allora si fa riferimento alla rilevanza in concreto, rispetto alla quale si rende il reato associativo un reato ad “accordo qualificato” da un sinallagma che includa la qualità, la serietà del contesto, la tipologia dell’impegno, i soggetti coinvolti, la misura della disponibilità, che deve avere valenza continuativa.

In questo quadro, il ruolo del rito di affiliazione, anche nelle mafie c.d. storiche, viene relegato al terreno della prova, quale indizio che, in base a delle massime esperienziali e ad ulteriori elementi di riscontro, possa contribuire al procedimento dimostrativo della condotta di partecipazione.

6.1.1. Spazi per il tentativo di partecipazione?

Già solo porre il problema della configurabilità del tentativo di partecipazione stimola, generalmente, delle immediate risposte negative. Ciò per due evidenti ordini di ragioni. Da un lato, il reato associativo è un tipico reato a concorso necessario e, com’è noto, l’art. 115 c.p., nel sancire il principio di esecutività in materia di concorso di persone, è in grado di escludere la rilevanza penale della condotta di chi abbia tentato di compartecipare all’altrui fatto di reato[66]. Dall’altro lato, se si opinasse diversamente, si anticiperebbe eccessivamente la tutela penale, posto che il tentativo di un reato di pericolo, quale “pericolo del pericolo”, rappresenterebbe, per definizione, un “non pericolo”[67]. Dunque, argomentando in base ai principi tradizionali in tema di tentativo e di concorso di persone, si dovrebbe concludere per la inammissibilità del tentativo di partecipazione[68].

Tuttavia, ha senso porre in chiave problematica la questione della punibilità della partecipazione in forma solo tentata.

In primo luogo, in giurisprudenza, si è affermato che occorre distinguere tra il reato associativo in sé e la condotta partecipativa. Nel primo caso non potrebbe riconoscersi rilevanza penale al contributo dato all’associazione in fieri, posto che la stessa fattispecie associativa rappresenta una deroga all’art. 115 c.p.[69]. Al contrario, se l’associazione esiste già, non si incorre nel contrasto con l’art. 115 c.p., poiché il tentativo incide su una struttura associativa già esistente[70].

In secondo luogo, l’idea della partecipazione quale reato-accordo, sia pure qualificato dalla serietà ed effettività dell’impegno e dal riconoscimento di un ruolo dinamico-funzionale, può far sorgere il quesito circa il destino delle condotte prodromiche all’ingresso dell’aspirante sodale, tuttavia non ancora concretatesi nella sua completa affiliazione (c.d. avvicinati)[71]. Difatti, può capitare che nella fase che precede l’ingresso, o comunque in un percorso diretto a tale esito, siano stati compiuti degli atti per conto dell’associazione, che comunque non siano significativi dell’inclusione del soggetto all’interno del sodalizio. Può darsi che tali atti costituiscano di per sé reato; ma potrebbero anche difettare i requisiti di una diversa fattispecie incriminatrice. Inoltre, la configurabilità del concorso esterno si scontra con l’esistenza della volontà di entrar a far parte dell’associazione. Al contempo, la partecipazione, benché emancipatasi dall’equazione con la formalità dell’affiliazione, sembra impedita dalla mancanza della “organicità” della condotta. Non resterebbe, dunque, che considerarla come atto idoneo e diretto in modo non equivoco a culminare nel “far parte” dell’associazione.

Per quanto suggestiva, la soluzione della incriminazione a titolo di tentativo non sembra in linea con i principi costituzionali e con quelli accolti dal codice vigente. Va certamente tenuta distinta una progressione nell’offesa da una progressione verso l’offesa, e cioè verso quegli elementi che possono essere in grado di fondare un pericolo. Inoltre, si creerebbe il rischio di frizioni con il principio di materialità, atteso che si apre alla possibilità di reprimere la mera intenzione di entrare a far parte del sodalizio, manifestata dalla “messa a disposizione” non culminata in atti delittuosi o in un accordo di compenetrazione organica.

In ogni caso, fuori della integrazione di altri reati, la vicenda non resterebbe priva di conseguenze giuridico-penali, in quanto sussistendo un “quasi-reato” ai sensi dell’art. 115 c.p., rimarrebbero applicabili le misure di sicurezza, laddove si accertasse la pericolosità sociale del soggetto coinvolto. Il codice del 1930 ha sancito un principio netto e tranciante, scindendo, sotto il profilo sanzionatorio, il piano della pericolosità sociale da quello della pericolosità per i beni giuridici del comportamento tipizzato da una norma incriminatrice.

6.2. Il concorso esterno tra affermazione e negazione della fattispecie

Il concorso eventuale, o esterno, nel reato associativo è risultata la fattispecie più idonea ad abbracciare l’apertura dell’azione delle mafie verso il mondo politico ed economico, e quindi a coinvolgere le diverse forme di contiguità mafiosa non inscrivibili nella parte speciale del codice penale[72].

La configurabilità del concorso[73] è ormai affermazione consolidata nella giurisprudenza e nella dottrina[74], così come appare resistente anche la ricostruzione che se n’è fatta secondo il modello causale. Qualche oscillazione sembra comparire nuovamente oggi attraverso il riferimento alla c.d. fibrillazione, quale status di presupposizione in cui deve versare l’associazione e su cui deve ricadere il contributo dell’extraneus[75]. Tuttavia, sono più le voci che respingono l’idea di un ritorno della fibrillazione quale elemento della fattispecie concorsuale, che non quelle che ne invocano timidamente il riutilizzo[76].

Ai fini della punibilità del concorrente, ripudiata l’idea statica della mera contiguità compiacente, della vicinanza, disponibilità, finanche nei confronti degli esponenti di spicco[77], si è prestata adesione a un modello causale c.d. forte. In particolare, il contributo concorsuale si presenta come segue: a) opera verso l’associazione, non verso le singole condotte[78]; b) si riduce a un contributo materiale, perché si respinge l’idea della causalità psichica da rafforzamento, la quale espanderebbe oltremodo la fattispecie e non darebbe certezze in punto di prova[79], mentre deve risolversi in un contributo alle capacità operative dell’associazione; c) la causalità va ricostruita secondo i principi della sentenza “Franzese”[80], perché si richiede la prognosi postuma con riscontro in concreto del ruolo della condotta quale condizione dell’evento. Sennonché, mentre quest’ultima pronuncia è intervenuta in ambito di eventi naturalistici e di causalità scientifica, il rapporto causale può essere ricostruito soltanto in termini metaforici[81]. Difatti, il macro-evento del “rafforzamento dell’associazione” è di problematica individuazione[82] e questo non può che refluire sul nesso di causalità. In secondo luogo, resta il problema della probatio diabolica, specialmente nella fase della causalità generale, che ha condotto a elevare le difficoltà di contestazione e accertamento del concorso esterno nel reato associativo[83].

Per quanto apprezzabile l’intento di restringere l’area della tipicità penale, in vista di una maggiore tassativizzazione di una ipotesi per definizione “atipica”, l’impostazione del 2005, agli occhi di una parte della dottrina, è apparsa insoddisfacente. Per questo taluno ha proposto di svolgere una valutazione sull’idoneità ex ante del contributo; con il paventato pericolo, però, di trasformare il concorso in un “tentativo di concorrere”[84]. Un’altra opinione autorevole ha suggerito di incentrare il concorso sulle singole condotte, abbandonando l’idea del concorso nell’associazione[85]. Tuttavia, la dottrina aveva già messo in evidenza la possibilità di punire condotte bagatellari di mero favoritismo personale, con un’equiparazione irragionevole nella forbice sanzionatoria[86]. Diversamente, il concorso nel reato associativo si mostra più in linea con l’idea della unitarietà plurisoggettiva del reato associativo, oltre che con la dimensione empirico-criminale della “contiguità qualificata”[87].

Il concorso esterno, comunque, diventa una fattispecie a sé stante, che vive in asimmetria rispetto alle condotte punite nella fattispecie in cui si concorre. In primo luogo, mentre la partecipazione è un reato di condotta, qui siamo in presenza di un reato di evento, a causalità naturalistica e non giuridica. In secondo luogo, nelle affermazioni più ricorrenti in giurisprudenza, viene inteso come un reato istantaneo, mentre la partecipazione dà luogo a una condotta permanente[88]. Infine, si tratta di un reato a dolo diretto, con l’anomalia che lo si ricava da una mera esigenza di restringere la fattispecie[89].

6.3. Lo “scambio elettorale con metodo mafioso”

Le difficoltà di inquadramento nei modelli penalistici già esistenti, per come ricostruiti nel corso del tempo, ha spinto verso la incriminazione di singole figure di contiguità con le organizzazioni mafiose.

Atto a reprimere le forme di contiguità politico-elettorale, il delitto di cui all’art.416-ter c.p. risentiva di alcune limitazioni strutturali[90] superate attraverso la riforma del 2014. Attualmente, secondo l’opinione più accreditata, esso costituisce un unico reato plurisoggettivo, nella forma del reato-accordo[91]. Pertanto, esso rappresenta un reato di mera condotta, fermo restando che, ai fini del rispetto del principio di offensività, si esige che gli impegni assunti raggiungano un livello di significatività e serietà.

Dopo l’intervento del legislatore del 2014, il disvalore della fattispecie è incentrato sull’oggetto dell’accordo, rappresentato dal procacciamento dei voti mercé il c.d. metodo mafioso, a prescindere dalla “mafiosità” di una delle parti. A tale riguardo, appare efficace l’osservazione dottrinale che ha preferito utilizzare la denominazione di “scambio elettorale con metodo mafioso”, rispetto a quella impiegata dalla rubrica[92].

L’appartenenza della controparte al sodalizio, sebbene non sia necessaria, incide sul tema dimostrativo della pubblica accusa, che, raggiunta questa prova, non sarà onerata della dimostrazione della ricorrenza di un impegno espresso all’utilizzo del metodo a fini elettorali[93].

L’attuale conformazione dell’art. 416-ter c.p., pur con le criticità emerse in seguito alla riforma del 2019[94], ha consentito di superare le difficoltà ricostruttive insite nel particolare modello concorsuale indicato dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2005. Per un verso, trattandosi di reato di condotta, e quindi mancando l’estremo dell’evento naturalistico, non è necessaria l’integrazione del nesso di causalità. Per un altro verso, non richiedendosi necessariamente che la controparte dell’accordo faccia parte dell’associazione mafiosa, viene superato un altro ostacolo probatorio, relativo alla intraneità al sodalizio dell’interlocutore dell’extraneus[95], oggi da ottenersi, oltretutto, secondo la combinazione tra i principi di diritto espressi nel 2005 e nel 2021.

6.4. La contiguità criminosa con finalità di agevolazione del sodalizio

Altra fattispecie che ha ricevuto ampia applicazione in seguito al restringimento del concorso esterno è quella dell’aggravante della finalità di agevolazione mafiosa (oggi all’art. 416-bis.1). Ritenuta configurabile, in seguito a un dibattito, anche rispetto ai membri del sodalizio[96], invero, tale circostanza viene introdotta proprio per allargare lo spazio di rilevanza giuridico-penale delle condotte di supporto all’associazione di tipo mafioso. L’aggravante ha natura soggettiva e, alla luce della lettura data dalla giurisprudenza all’art. 118 c.p., è estensibile ai concorrenti nei limiti della effettiva conoscenza di tale scopo[97]. In ogni caso, in base ai principi di materialità e offensività, essa non è integrata se il fatto a cui si riferisce non è idoneo ex ante a contribuire alle attività del sodalizio[98].

Pur arretrando la soglia di rilevanza rispetto al contributo concorsuale, trattandosi di elemento accidentale del reato, essa sconta il limite dell’accessorietà a un’altra ipotesi criminosa.

6.5. Spunti critici sulla rilevanza penale attuale delle forme di “contiguità qualificata”

La via della punizione autonoma delle forme di apporto nei confronti dell’associazione è stata ritenuta preferibile da una parte della dottrina, che ha suggerito di svincolare l’accertamento giudiziale dalle strette e incerte maglie della causalità indicata dalle Sezioni Unite[99]. La prospettiva è stata quella di ipotizzare un abbandono, espresso normativamente, della figura del concorso esterno, per incriminare autonomamente l’adoperarsi in funzione dell’agevolazione del sodalizio[100].

Altre proposte si sono mosse nel solco della rivitalizzazione del concorso esterno. Prima che la riforma del 2014 espandesse lo scambio di cui all’art. 416-ter c.p. alle utilità diverse dal denaro, nel rilevare la insufficienza dell’idea del concorso quale condizione del rafforzamento effettivo dell’organizzazione, alcuni Autori avevano proposto di spostare l’attenzione sul collegamento funzionale tra il contributo e la vita dell’associazione, in vista della realizzazione degli interessi della struttura[101].Posto che nessun comportamento associativo può dirsi indispensabile né ai fini dell’esistenza né per la forza dell’associazione, il contributo a una condotta collettiva può essere valutato solo nella dimensione della sua “funzionalità” rispetto all’attività associativa, da valutarsi alla luce della strutturazione interna e degli scopi della consorteria[102]. In questo senso, la contiguità punibile a titolo di concorso esterno potrebbe corrispondere all’assunzione di impegni seri ed effettivi di messa a disposizione per conto dell’associazione, aventi ad oggetto la realizzazione di attività di supporto alla stessa, funzionali alla vita dell’associazione e alla realizzazione del programma criminale.

Tale prospettiva sembra restituire una visione simmetrica, sia pure parzialmente, al confronto operato tra il concorso e la condotta partecipativa. Al contempo, si potrebbe spiegare meglio la recente equiparazione sanzionatoria, in astratto, tra la partecipazione e l’accordo di scambio, che, a patto che venga interpretato in maniera conforme al principio di offensività – specialmente nell’impegno inerente alla c.d. messa a disposizione – potrebbe rappresentare una forma di concorso esterno, secondo la lettura svincolata dalla causalità rigida sopra richiamata. Dunque, una disponibilità non più “mera”, ma quale contributo “funzionale” agli interessi dell’associazione.

Invero, in senso contrario potrebbe deporre proprio il nuovo requisito alternativo della “disponibilità” della parte politica a soddisfare gli interessi o le esigenze del sodalizio[103]: la mera “disponibilità” o “vicinanza” sono state considerati insufficienti, infatti, a fondare la fattispecie del concorso esterno[104]. Tuttavia, se si leggesse tale forma di promessa come generica e semplice messa a disposizione del politico nei confronti del sodalizio, l’incriminazione verrebbe privata di qualsivoglia nucleo di offensività, fino al rischio di oltrepassare la sfera penalistica per approdare a quella dell’etica. La valutazione delle qualità assunte dall’accordo si rende necessaria per orientare la lettura della fattispecie al rispetto dei canoni oggettivi fondamentali del diritto penale. Peraltro, la soluzione dell’arretramento della tutela penale non consentirebbe di spiegare perché vengano posti sullo stesso piano le controprestazioni “utili”, oggetto di un serio accordo, e la “disponibilità mera”. Questa soluzione renderebbe difficile individuare un disvalore tale da giustificare la meritevolezza di una forbice sanzionatoria così elevata[105].

D’altro canto, sembra avvicinarsi a questa lettura l’interpretazione data dalle Sezioni Unite riguardo al concetto di “appartenenza” ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione[106]. Quest’ultima, infatti, non coincide con la partecipazione, ma è in grado di abbracciare – si dice – il concorso esterno, da intendersi quale «situazione di contiguità all’associazione, che risulti funzionale agli interessi della struttura criminale […] quale contributo fattivo alle attività e allo sviluppo del sodalizio criminoso»[107].

Una flessibilizzazione dei contenuti del concorso esterno, dunque, consentirebbe di recuperare al terreno penalistico la repressione di tali forme di vicinanza qualificata nei confronti della societas sceleris, riducendo il rischio, insito nella prassi odierna, del ricorso alle misure di prevenzione quali strumenti punitivi di aggiramento del rigore probatorio del processo penale[108].

7. L’”ammorbidimento” delle figure penalistiche attraverso la “liquidità” del terrorismo

In confronto a quanto visto sopra, il regime penalistico di contrasto al terrorismo si presenta frammentato in una pluralità di fattispecie, anch’esse potenzialmente ordinabili secondo una scala di intensità. A partire dal partecipe – la cui nozione, come vedremo, è intesa in maniera estesa, se non quasi “onnivora” – fino alla previsione di forme speciali di contiguità, le quali non hanno impedito la configurazione della fattispecie di concorso esterno.

Si è già detto in apertura come i due fenomeni – quello terroristico e quello mafioso – si differenzino fra loro. Se queste differenze sono minori rispetto al terrorismo interno di tipo politico[109], si è opportunamente sottolineato l’”imbarazzo” del modello associativo classico di fronte al terrorismo internazionale[110]. La maggiore fluidità di quest’ultimo porta a considerare la componente organizzativa di tali associazioni secondo uno schema “fattuale”[111], ovvero a “struttura orizzontale” o “polverizzata”[112].

Ne risente il modello partecipativo, che qui ha rilevanza centrale; inoltre, sorge la necessità di dedicare un’attenzione particolare verso quelle forme di vicinanza qualificata che non vi rientrano. Diversamente, il concorso esterno, per quanto ammissibile in linea di principio, rimane sullo sfondo, posto che l’affollamento di norme incriminatrici rivolte a tali condotte collaterali riduce le istanze di inquadramento all’interno della fattispecie concorsuale. Un’estensione della tutela penale nei confronti dell’allarmante fenomeno terroristico che si risolve in un notevole arretramento della soglia di rilevanza penale, dando luogo così a un intervento repressivo con forti venature preventive.

7.1. La quasi-onnivoracità della partecipazione all’associazione terroristica

Il carattere “aperto” dell’organizzazione terroristica internazionale di matrice jihadista – caratterizzata da una “proposta di adesione al programma ad incertam personam[113] – allontana la partecipazione dall’immagine degli ingressi rituali tipici delle associazioni criminali tradizionali[114], nonché, chiaramente, dall’idea della compenetrazione stabile del sodale, inquadrabile in una posizione dinamico-funzionale[115]. Anche le pronunce che hanno richiamato il pericolo di una smaterializzazione del concetto di partecipazione hanno concluso per la sufficienza della “messa a disposizione” verso una struttura organizzata, da intendersi anche in maniera elementare[116].

Sovente in giurisprudenza sono state ritenute sufficienti la condivisione unilaterale e la propaganda del messaggio ideologico-religioso[117], creando non poche difficoltà in ordine al regolamento di confini con le fattispecie istigatorie (artt. 302 c.p. e 414 c.p.)[118].

Le statuizioni giurisprudenziali più recenti, nel tentativo di valorizzare la “dimensione concordataria a base strutturale” del fenomeno associativo e la necessità di un contributo fattivo per l’organizzazione[119], in conformità ai principi di materialità e offensività, hanno definito la linea di demarcazione esterna della partecipazione in base a una categoria criminologica, rappresentata dai c.d. lupi solitari, la cui ispirazione eversiva non può essere inclusa nel concetto di “fare parte”[120].

Resta ferma, comunque, la lontananza dal paradigma di intraneità alle associazioni tradizionali e dalle tendenze di restrizione del significato di “partecipazione” che si fanno largo ormai da tempo nelle pronunce in materia di associazioni di tipo mafioso.

L’allargamento della condotta di partecipazione a forme di supporto al programma terroristico, riconosciute dall’altra parte, in sinergia con le altre incriminazioni in materia di terrorismo, annichilisce il concorso esterno, che se, da un lato, viene ritenuto configurabile secondo la sua dimensione “ordinaria” e di rigore[121], dall’altro, rimane relegato a forme marginali di contribuzione dell’extraneus[122].

7.2. Oltre la partecipazione all’associazione con finalità di terrorismo: le condotte collaterali all’organizzazione

La “liquidità” delle associazioni terroristiche ha innescato un’espansione dell’area verso l’esterno della punibilità, secondo un criterio selettivo che fotografasse autonomamente alcune tipologie di manifestazione della contiguità al fenomeno.

Se il lettore delle norme codicistiche volge lo sguardo verso l’orizzonte dell’offesa, scorgerà “alle spalle” della figura del partecipe il c.d. arruolato. Dopo un primo intervento normativo, compulsato da strumenti internazionali, volto a incriminare il c.d. recruiting, nel 2015 il legislatore ha rivalutato la meritevolezza di pena con riguardo al protagonista passivo di tale ingaggio (art. 270-quater, comma 2 c.p.). Una vicenda analoga ha coinvolto l’addestramento, sul quale si tornerà poco oltre.

7.2.1. La sottile linea di demarcazione tra arruolamento e partecipazione

Esclusa un’omogeneità di significati rispetto all’arruolamento di cui agli artt. 244 o 288 c.p. – corrispondente all’inserimento in ruoli militari[123]‒ resta da comprendere se tale forma di coinvolgimento nelle attività terroristiche si estrinsechi in una mera “messa a diposizione” o se si richieda qualcosa di più. Si è visto, infatti, che tali associazioni, avvalendosi della diffusività e della rapidità dei mezzi di comunicazione odierni, rivolgono messaggi a un pubblico indeterminato di soggetti, ricercandone la disponibilità, ancorché questa poi rimanga nella sfera interna del singolo. Donde una parte della giurisprudenza si è orientata nel senso della sufficienza dell’adesione individuale a tali proposte[124]. La differenza con la condotta di partecipazione si sarebbe risolta nella bilateralità di quest’ultima, a fronte della unilateralità dell’arruolamento[125].

Diversa soluzione è stata data in altre pronunce, che hanno ritenuto che un’opzione ermeneutica più in linea con il principio di esecutività e con il canone dell’offensività imponesse il raggiungimento di un “serio accordo”, quale effettivo ingaggio del soggetto entrato in contatto con l’associazione. Del resto, la norma incriminatrice sarebbe finalizzata alla repressione delle forme di incremento delle potenzialità operative del gruppo, ancorché non passate attraverso il farne parte. Al fine di escludere la riconducibilità a tale species facti di chi fa mera opera di proselitismo ideologico, si è concluso che l’arruolamento consiste nell’ingaggio, quale convergenza tra proposta aperta alla possibilità di inserimento organico della controparte e ferma adesione di quest’ultima alla doppia finalità di violenza o sabotaggio e terroristica[126].

Sennonché, questa impostazione, oggi condivisa incidentalmente in un passaggio argomentativo dalle Sezioni Unite in tema di partecipazione ex art. 416-bis c.p.[127], crea il rischio di sovrapposizione con il concetto ampio e fluido della stessa condotta partecipativa[128]. A meno di non ritenere che questa recente statuizione della Suprema Corte debba far muovere verso la unitarietà della definizione di partecipazione, tanto nel modello mafioso quanto in quello terroristico.

Prendendo le mosse dall’intento legislativo di ampliare il novero dei fatti punibili, per l’eventualità della transizione dalla condotta di arruolamento a quella di partecipazione, qualche sentenza ha argomentato per la configurabilità del concorso di reati[129].Quale che sia l’interpretazione più corretta delle due incriminazioni, appare più ragionevole collocare le due diverse condotte nel solco di una progressione dell’offesa. D’altra parte, l’intento della riforma del 2015 è stato sì nel senso di rendere punibile ciò che non lo era, ma attraverso un arretramento dell’intervento repressivo nella scala del pericolo verso i beni giuridici presidiati.

7.2.1.1. «Non un passo indietro»: la configurabilità del tentativo di arruolamento

Proprio la previsione di atti meramente preparatori, che richiedono uno sforzo definitorio dell’offesa tale da rinvenire, al massimo, l’esistenza di un pericolo meramente presunto, dovrebbe escludere l’ipotizzabilità del tentativo di arruolamento. D’altro canto, in senso negativo ci si è orientati rispetto alla partecipazione, stante altresì il suo allargamento concettuale.

Paradossalmente, una volta asserita la natura bilaterale qualificata dell’arruolamento, quale “serio accordo” tra i soggetti coinvolti, è stata sostenuta anche la soluzione opposta in relazione a ogni atto idoneo e diretto univocamente al raggiungimento dell’ingaggio. Che questa sia una soluzione imposta dalla tesi più garantista sembra lecito dubitare; specialmente se si ragiona sulla base degli stessi principi e delle istanze richiamati da tale orientamento. Altrimenti opinando, com’è stato condivisibilmente notato, si abiliterebbe il perseguimento di qualsivoglia forma di contatto tra soggetti che aderiscono all’ideologia terroristica[130].

7.2.2. L’addestramento ad attività con finalità di terrorismo tra “informazione” e “formazione”

La necessità di impedire l’attrazione nell’agone penalistico della mera diffusione di messaggi ideologici, in quanto riconducibili nell’alveo degli artt. 19 e 21 Cost., ha spinto a tenere in non cale la condotta informativa che prescinde dall’interazione fra i soggetti. Pur a fronte di una commistione tra formazione religiosa e preparazione all’attività terroristica, occorre respingere visioni atte a fagocitare la mera propagazione dei messaggi religiosi nella forma unilaterale dell’addestramento attivo, quale la mera informazione, laddove non abbia sortito alcun effetto formativo, ovverosia in ordine all’acquisizione altrui circa le modalità di realizzazione degli atti di terrorismo[131].

7.2.3. Gli apporti economici alle attività terroristiche: tra finanziamento dell’associazione e finanziamento degli atti con finalità di terrorismo

Altra forma peculiare di contiguità con le organizzazioni terroristiche è rappresentata dalle attività di finanziamento svolte in loro favore (art. 270-bis, comma 1 c.p.) ovvero di singole condotte con finalità di terrorismo (art. 270-sexies c.p.)[132], per la consumazione delle quali è sufficiente la raccolta o la messa a disposizione di risorse destinate al compimento di tali atti, indipendentemente dall’effettivo utilizzo (art. 270-quinquies.1 c.p.)[133]. Il discrimine tra le due fattispecie consiste in ciò: che mentre nel primo caso il finanziamento deve risolversi in una forma di contribuzione alle sostanze dell’associazione, tale da consentire l’attuazione del proprio programma, nel secondo la stessa condotta, che può anche essere occasionale, dovrebbe essere limitata ad attività esterne al sodalizio, come quelle poste in essere dai c.d. lupi solitari[134]. Nel caso di un contributo rivolto a un membro o a un gruppo di membri dell’associazione, in linea teorica, potrebbe essere arduo escludere che questo non giovi alla stessa organizzazione; a meno che tale qualità non rimanga sconosciuta in capo al finanziatore[135].

Quale che sia la linea di confine tra le due incriminazioni, esse sono esattamente sovrapponibili dal punto di vista sanzionatorio. Invero, proprio l’esame della forbice edittale fa sorgere qualche dubbio in relazione al rispetto del principio di proporzionalità della pena, attesa la differenza di gravità che intercorre con il supporto economico rivolto a un intero complesso organizzato[136].

Da ultimo, nonostante l’applicazione dell’art. 25-quater d.lgs. n. 231 del 2001 sia stata alquanto rara, il finanziamento del fenomeno terroristico potrebbe determinare la responsabilità degli enti nel cui interesse o vantaggio siano state commesse tali condotte[137], sempre purché sia ravvisata la propria colpa di organizzazione[138].

Come accade per i reati in materia di criminalità organizzata, sul piano della profilassi, una dimensione centrale dovrebbero assumere i controlli finanziari e contabili. Ciò, specialmente laddove si dovesse trattare di transazioni eseguite con controparti straniere, direttamente o indirettamente correlate ai contesti territoriali in cui trovano sede le strutture principali delle organizzazioni che operano a livello globale[139].

8. Conclusioni

Dall’analisi condotta emerge l’inestricabile intreccio tra diritto e scienze sociali, dal quale non si può prescindere in sede di esame delle fattispecie incriminatrici in tema di mafia e terrorismo. Se, infatti, l’istituto del concorso esterno si presenta “a geometria variabile” a seconda che si disquisisca dell’una o dell’altro, ciò dipende dalla diversa ampiezza del concetto di partecipazione che già la sociologia e la criminologia, come evidenziato in apertura, consentono di apprezzare. Residuano, comunque, dubbi – la cui soluzione è rimessa alla solerzia e buona volontà del lettore – circa la problematica interazione delle scienze sociali con la rigidità del principio costituzionale di legalità, nonché il timore che la “liquidità” attualmente connotante i fenomeni terroristici di stampo jihadistico possa dilatare a dismisura il concetto penalmente di partecipazione ai sensi dell’art. 270-bis c.p.; sul versante del concorso esterno, invece, con particolare riferimento alla mafia, si impone l’esigenza di armonizzare il paradigma giuridico “causale” ormai predominante con le molteplici e sotterranee forme di manifestazione del fenomeno criminale nella realtà odierna, connotata da indubbia e crescente complessità.


Note e riferimenti bibliografici

 

[1] G. FIANDACA, C. VISCONTI, Il concorso esterno come persistente istituto “polemogeno”, in Arch. pen., 2/2012, 487 ss.; G. FIANDACA, Il concorso “esterno” tra sociologia e diritto penale, in Scenari di mafia. Orizzonte criminologico e innovazioni normative, a cura di G. Fiandaca, C. Visconti, Torino, 2010, 203 ss.; G. FIANDACA, Ermeneutica e applicazione giudiziale del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 358; S. MOCCIA, La perenne emergenza. Tendenze autoritarie nel sistema penale, 2a ed., Napoli, 2000, 54 ss.; V. ROMBO, Concorso eventuale nell’associazione mafiosa: la formazione del diritto vivente e la praticabilità investigativa e processuale delle soluzioni applicative, in Riv.  criminologia, vittimologia e sicurezza, Vol. VI – 1/2012, 106 ss.

[2] G. FIANDACA, Il concorso “esterno” tra sociologia e diritto penale, cit., 203.

[3] Il riferimento corre, tra i tanti possibili, al titolo della monografia di G. AMARELLI, La contiguità politico-mafiosa. Profili politico-criminali, dommatici ed applicativi, 2017, nonché al contributo di C. VISCONTI, Sui modelli di incriminazione della contiguità alle organizzazioni criminali nel panorama europeo: appunti per un’auspicabile (ma improbabile?) riforma “possibile”, in Scenari di mafia. Orizzonte criminologico e innovazioni normative, cit.

[4] Dizionario della lingua italiana DEVOTO – OLI, Milano, ed. 2004-2005, 671.

[5] Cass., Sez. Un., 27 maggio 2021, n. 36958, in CED Cass., Rv. 281889-01. Tra i vari commenti alla pronuncia, si v. G. AMARELLI, La tipicità debole della partecipazione mafiosa e l’affiliazione rituale: l’incerta soluzione delle Sezioni Unite tra limiti strutturali del 416-bis c.p. e alternative possibili, in Dir. pen. proc., 2021, 786 ss.

[6] L. PAOLI, Il contratto di status nelle associazioni mafiose, in Quaderni di Sociologia, 18/1998, 73 ss.

[7] Relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia (1875 - 1876), citata da G. TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, Milano, 2008, 45 nt. 37.

[8] Si veda la riflessione del sociologo R. SCIARRONE, Mafie vecchie, mafie nuove. Radicamento ed espansione, Roma, 2009, 35 ss.

[9] K.E. WEICK, D.J. ORTON, I sistemi organizzativi a connessione debole, in “Sviluppo & Organizzazione”, 22/1990; M. FERRANTE, S. ZAN, Il fenomeno organizzativo, Roma, 1994.

[10] P. ARLACCHI, La mafia imprenditrice. Dalla Calabria al centro dell’inferno, Milano, 2007, 95 ss.

[11]«Un’area che ha una propria vita istituzionale, che esercita un processo continuo di influenza, normazione e controllo dei processi che avvengono al suo interno, i quali riguardano pratiche opache di allocazione di risorse e di regolazione del funzionamento dei mercati, ovvero relazioni, scambi e transazioni che producono vantaggi e benefici selettivi» (G. BONAZZI, Storia del pensiero organizzativo, Milano, 2008, 473).

[12] M. CATINO, Fare luce sulla zona grigia, in Criminalia, 2019, 23.

[13] Discorre di “capitale sociale” J.S. COLEMAN, Social Capital in the Creation of Human Capital, in Am. J. Sociol., 94, 1988.

[14] G. AMARELLI, op. cit., 54-55.

[15] A. BALSAMO, A. LO PIPARO, La contiguità all’associazione mafiosa e il problema del concorso eventuale, in Le associazioni di tipo mafioso, a cura di B. Romano, Torino 2015, 162.

[16]A. BALSAMO, A. LO PIPARO, op. cit., 169.

[17] G. TURONE, op. cit., 480 ss.

[18] P. ARLACCHI, op. cit., 60.

[19] A. BALSAMO, A. LO PIPARO, op. cit.,142.

[20] Espressione di S. PELLEGRINI, L’impresa grigia. Le infiltrazioni mafiose nell’economia legale. Un’analisi sociologico-giuridica, Roma, 2018, 70-71.

[21] Propria delle scienze sociologiche (distingue tra imprenditori subordinati e collusi R. SCIARRONE, Il rapporto tra mafia e imprenditorialità in un’area della Calabria, in Quad. sociol., vol. XXXVII, 5/1993, 68 ss.) e recepita anche dalla giurisprudenza: si v. Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105, in www.giustizia-amministrativa.it.

[22] G. TURONE, op. cit., 51 ss.

[23]G. TURONE, op. cit., 464.

[24] La distinzione è di M. CATINO, Colletti bianchi e mafie. Le relazioni pericolose nell’economia del Nord Italia, in Stato e mercato, 1/2018, 151 ss.

[25] A. BALSAMO, A. LO PIPARO, op. cit., 172.

[26]Ibidem.

[27]A. BALSAMO, A. LO PIPARO, op. cit., 173.

[28] M. DONINI, Mafia e terrorismo come “parte generale” del diritto penale. Il problema della normalizzazione del diritto d’eccezione, tra identità costituzionale e riserva di codice, in www.discrimen.it,30 maggio 2019.

[29] A. PICCI, Terrorismo (profili criminologici e giuridici), in Dig. pen., Agg. V, Torino, 2010, 822.

[30] G. PONTARA, Violenza e terrorismo, in Dimensioni del terrorismo politico, a cura di L. Bonanate, Milano, 1979, 25.

[31] Richiamato da L. STORTONI, La repressione del terrorismo in Italia: l’intervento delle forze dell’ordine fino all’inizio degli anni ottanta, Tesi di dottorato, 1992, 7, ove si osserva che «la forma e i risultati del conflitto sono correlati ed entrambi ascrivibili alle proprietà del sistema sfidato e del gruppo sfidante. E che nella fase intermedia il comportamento dei due attori è modellato su dinamiche interne proprie e sulla reciproca interazione».

[32] Come affermato da R. GUOLO, Jihad e violenza sacra, in Terrorismo internazionale e diritto penale, a cura di C. De Maglie, S. Seminara, Padova, 2007, 2.

[33] A. PLEBANI, Introduzione, in Jihad e terrorismo. Da al-qa’ida all’ISIS: storia di un nemico che cambia, a cura di A. Plebani, 2016, XII ss.

[34] P. MAGGIOLINI, Dal jihad al jihadismo: militanza e lotta armata tra XX e XXI secolo, in Jihad e terrorismo, cit., 3 ss.

[35] Lo rileva A. SPATARO, Le forme attuali di manifestazione del terrorismo nella esperienza giudiziaria: implicazioni etniche, religiose e tutela dei diritti umani, in Terrorismo internazionale, cit., 166.

[36]F. FASANI, voce Terrorismo islamico,in Dig. disc. pen., Agg. IX, Torino, 2016, 755.

[37] Accentuata dal dato di comune esperienza per cui la chiamata al martirio avviene, ormai, anche e soprattutto tramite web (P.M. SABELLA, Il fenomeno del cybercrime nello spazio giuridico contemporaneo. Prevenzione e repressione degli illeciti penali connessi all’utilizzo di Internet per fini di terrorismo, tra esigenze di sicurezza e rispetto dei diritti fondamentali, in Informatica e dir., XLIII annata, Vol. XXVI, 1-2/2017, 140).

[38] Esattamente come la mafia, come illustrato in nota 9.

[39] Si pensi al discusso fenomeno dei foreign fighters.

[40] Ne dà dettagliatamente conto A. SPATARO, Le forme attuali di manifestazione del terrorismo, cit., 175.

[41]A. SPATARO, op. cit., 178.

[42] V. ARAGONA, Il contrasto al finanziamento del terrorismo. Criticità e innovazione della nuova disciplina italiana, in Dir. pen. cont., 1/2017, 97-99.

[43] V. ARAGONA, op. cit., 100.

[44] A. SPATARO, op. cit., 190 ss.

[45] L. VIDINO, Jihadisti europei in Siria. Profili, dinamiche di viaggio e risposte governative, in Jihad e terrorismo, cit., 73

[46] Chiaramente, gli strumenti maggiormente pervasivisi collocano sul terreno della prevenzione ante o praeter delictum. Senza trascurare, per i casi di permeabilità delle imprese, le interdittive antimafia. Sul fronte politico-istituzionale troviamo una ipotesi speculare, che è quella dello scioglimento degli organi degli enti locali, fondata sull’esistenza di specifiche forme di collegamento o tipologie di condizionamento criminale della loro attività. L’analisi di tali istituti trascende gli scopi del presente lavoro, sicché si rinvia alla vasta produzione scientifica in materia.

[47]Tutte queste fattispecie sono definibili “in negativo” rispetto al concorso esterno: nel senso che la loro operatività dipende dalla insussistenza del concorso eventuale nel reato associativo, cioè ogniqualvolta la forma di contiguità non sia qualificata dall’apporto vantaggioso nei confronti del sodalizio. In dottrina, con particolare riferimento ai rapporti tra favoreggiamento e concorso esterno in associazione mafiosa, si è discusso di vera e propria “terra del Kaos”: C. VISCONTI, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, Torino, 2003, 203 ss.

[48]Si v. la vicenda riassunta da G. AMARELLI, La contiguità politico-mafiosa, cit., 62 ss. e C. VISCONTI, op. cit., 387 ss. Rispetto a queste forme di vicinanza, oltre alle difficoltà di ravvisare un concorso esterno nel reato associativo, entrano in gioco le garanzie costituzionali dell’attività politica del parlamentare volte a escluderne la rilevanza penale (art. 68 Cost.).

[49]Nel giudizio della c.d. trattativa Stato-mafia si sono avvicendate, per il momento, due pronunce di segno diametralmente opposto. Il giudizio di primo grado si è concluso con il riconoscimento della sussistenza del delitto di cui all’art. 338 c.p., contestato dalla Procura di Palermo (Ass. Palermo, Sez. II, 20 aprile 2018, in www.archiviodpc.dirittopenaleuomo.org). Al contrario, nel giudizio di appello l’esito condannatorio è stato ribaltato, essenzialmente per l’assenza del dolo di minaccia delle condotte dei soggetti istituzionali, in capo ai quali, piuttosto, sarebbe stato ravvisabile un intento salvifico nei confronti dello Stato (App. Palermo, Sez. II, 6 agosto 2022, in www.sistemapenale.it).Per un’analisi critica antecedente agli esiti giudiziari, si v. G. FIANDACA, La trattativa stato-mafia tra processo politico e processo penale, in Criminalia, 2012, 68 ss.; G. AMARELLI, La contiguità politico-mafiosa, cit., 75 ss. Per i diversi commenti sulla pronuncia di primo grado, si v. Id., La trattativa Stato-mafia non è reato tipico, ma reato sostanziale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, 2181 ss.; G. AMARELLI, Il processo sulla trattativa: analisi e critica di una sentenza ‘storica’, in Cass. pen., 2019, 1499 ss.; Id., La sentenza sulla trattativa stato-mafia: per il Tribunale di Palermo tutti i protagonisti sono responsabili del delitto di minaccia a un corpo politico dello stato di cui all'art. 338 c.p., in www.archiviodpc.dirittopenaleuomo.org, 25 luglio 2018. Sulla sentenza di appello, si v. Id., La sentenza d’appello sulla c.d. trattativa Stato-mafia: dalla condanna mediatico-giudiziaria al proscioglimento dei co-imputati ‘istituzionali’. pregi e limiti di un revirement prevedibile, in www.sistemapenale.it., 11 novembre 2022.

[50] Di “simbiosi” discorre F.M. IACOVIELLO, Concorso eventuale in associazione mafiosa: il fatto non è più previsto dalla legge come reato, in Cass. pen., 2001, 2082.

[51] Per la mafia come impresa, si cfr. già G. FALCONE, Cose di Cosa nostra, in collaborazione con M. Padovani, Milano, 1991, 129. Nella giurisprudenza si riconosce da tempo che l’associazione di tipo mafioso non è qualificata dalle finalità perseguite, che possono essere del tutto lecite, bensì dal metodo, attraverso il quale può condizionare le attività imprenditoriali (Cass., Sez. VI, 1993, 1793, in CED Cass., Rv. 198576).

[52]Si cfr. F.M. IACOVIELLO, op. cit., 2082 ss., per l’accostamento tra mafia e gruppo di imprese. Idea riproposte in A. CENTONZE, Contiguità mafiose e contiguità criminali, Milano, 2013, 202 ss.

[53]Cass., sez. V, 1° ottobre 2008, n. 39042, in CED Cass., Rv. 242318. Per la distinzione, si v. L. SIRACUSA, L’imprenditore estorto “acquiescente” tra coazione morale e libertà del volere, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, 1812, la quale fa riferimento anche all’imprenditore “resistente”, che non si piega alle richieste estorsive.

[54]L. SIRACUSA, op. cit., 1814, la quale analizza la tematica in una prospettiva vittimologica, attraverso il ricorso alla distinzione penalistica tra “motivi” e “scopi”.

[55]Se per l’associazione per delinquere si sono posti problemi di estensione indebita della fattispecie, ciò non è avvenuto per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p., proprio in quanto la tipicità di tale fattispecie è incentrata sul metodo mafioso (V. TUTINELLI, E. GIORGIS, sub art. 24-ter. Delitti di criminalità organizzata, in Il 231 nella dottrina e nella giurisprudenza a vent'anni dalla sua promulgazione, diretto da M. Levis, A. Perini, Bologna, 2021, 616).

[56] L’impulso all’introduzione di questa disposizione è stato fornito dalla decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio del 24 ottobre 2008, relativa alla lotta contro la criminalità organizzata, avente come obiettivo il riavvicinamento nella lotta al crimine organizzato. La l. 94 del 2009 ha inserito i reati associativi di cui all’art. 10 l. n. 146 del 2006 di ratifica della Convenzione ONU sulla lotta alla criminalità organizzata transnazionale (firmata il 27 novembre 2000 a Palermo); Convenzione che già all’art. 10 ha imposto la introduzione della responsabilità delle persone giuridiche. Il rischio di disallineamenti derivava dalla sanzionabilità discendente dalla commissione del reato che avesse i caratteri della transnazionalità, venendo così a creare una disparità di trattamento con identiche fattispecie in relazione alle caratteristiche o alla nazionalità delle persone coinvolte.

[57]Problemi ai quali in questa sede si può soltanto accennare. Per una compiuta analisi, tra gli altri, si rinvia a N. SELVAGGI, Criminalità organizzata e responsabilità dell’ente, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2020, 738 ss.; F. D’ARCANGELO, La responsabilità da reato degli enti per i delitti di criminalità organizzata, in Resp. amm. soc. enti, 2010, p. 35 ss.

[58] V. MAIELLO, Il concorso esterno in associazione mafiosa tra crisi del principio di legalità e diritto penale del fatto, in Id., Il concorso esterno tra indeterminatezza legislativa e tipizzazione giurisprudenziale. Raccolta di scritti, Torino,2014, 50 ss.

[59]Principio di legalità ed ermeneutica nella definizione (delle figure) della partecipazione associativa di tipo mafioso e del c.d. concorso esterno, in Id., op. cit., 110. Tra le affermazioni giurisprudenziali della sufficienza di una mera volontà di ingresso nell’associazione, Cass., Sez. I, 21 dicembre 1978, Ricci, richiamata da C. VISCONTI, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, cit., 127.

[60]Cass., Sez. I, 24 aprile 1985, n. 7462Arslan, in CED Cass., Rv. 170229-01.

[61]V. MAIELLO, ult. op. cit., 103.

[62]Modello emerso già in Cass., Sez. I, 27 novembre 1968, n. 1569, Muther, e Cass., sez. I, 13 giugno 1987, Altivalle, in Cass. pen., 1988, 1812 ss., e poi delucidato in Cass., Sez. I, 1° settembre 1994, Graci, in Cass. pen., 1995, 539 ss., con nota di G. PACI, Osservazioni sull’ammissibilità del concorso eventuale nel reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. In seguito, tale impostazione è stata ribadita per due volte dalle Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 5 ottobre 1994, n. 16, Demitry, Rv. 199386; Cass., Sez. Un., 27 settembre 1995, n. 30, Mannino).

[63]Così, efficacemente, Cass., Sez. Un., 27 maggio 2021, n. 36958, cit.

[64]Cass., Sez. Un., 12 luglio 2005, n. 33748, Mannino, Rv. 231670, e Cass., Sez. Un., 27 maggio 2021, n. 36958, Modaffari, cit.

[65]Cass., Sez. Un., 27 maggio 2021, n. 36958, Modaffari, cit.

[66]Si cfr. T. PADOVANI, Note minime sul c.d. concorso esterno, in Arch. pen., 2/2012, 10

[67]Si cfr. F. MANTOVANI, Diritto penale, 10a ed., Padova,2017, 446; G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale, Parte generale, 7a ed., Bologna,2014, 495. Distingue tra reati di pericolo astratto o presunto e reati di pericolo concreto, G.A. DE FRANCESCO, Diritto penale, Principi, reato, forme di manifestazione, Torino, 2018, 631 ss.

[68]F. MANTOVANI, op. cit., 510; G.A. DEFRANCESCO, ult. op. cit., 647

[69]A quanto esposto, si aggiunge una ragione di ordine logico, per cui la valutazione positiva circa la idoneità e non univocità dell’atto rischierebbe di sovrapporsi con la effettiva costituzione della struttura associativa, e quindi con la consumazione del delitto. Analoghe considerazioni sono state svolte rispetto al tentativo di partecipazione: si cfr. G. INSOLERA, T. GUERINI, Diritto penale e criminalità organizzata, 3a ed., Torino, 2022, 104.

[70] Cass., Sez. VI, 9 ottobre 2014, n. 4294, in CED Cass., Rv. 262049, che richiama alcuni precedenti giurisprudenziali intervenuti sul rapporto tra il tentativo e i reati associativi: Cass., Sez. VI, 3 ottobre 2013, n. 13085, Amato e altri, in CED Cass., Rv. 25948; Cass., Sez. I, 9 novembre 1987, n. 6077, Montenegro, Rv. 178420; Cass., Sez. I, 7 aprile 1989, n. 130, Romano, Rv. 182993.

[71]In giurisprudenza, l’orientamento che ha argomentato per la sufficienza della “messa a disposizione” del singolo ai fini della qualifica di associato, ha incluso anche la categoria degli avvicinati all’interno della partecipazione. Si v. Cass., Sez. I, 18 febbraio 2010, n. 9091, in CED Cass., che ha escluso la riconduzione di tali figure al concorso esterno e le ha intese come forme di “intraneità”, ancorché manchi l’investitura formale mercé l’affiliazione. Si v. anche Cass., Sez. V, 24 ottobre 2013, n. 1703, in CED Cass., Rv. 258956, nel senso che l’inquadramento come “avvicinato” può essere significativo dell’attribuzione di un ruolo all’interno dell’associazione. La questione è menzionata anche nelle motivazioni della sentenza “Modaffari”, sopra cit.

[72] Si cfr. C. VISCONTI, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, cit., 272. Alla stessa opera si rinvia per le origini risalenti del concorso esterno, alla luce delle interessanti indagini giurisprudenziali in chiave storica ivi svolte (43 ss.).

[73]Per l’affermazione del concorso esterno, si v. Cass., Sez. I, 27 novembre 1968, n. 1569, Muther; Cass., Sez. I, 7 giugno 1977, n. 1475; Cass., Sez. I, 10 marzo 1978, n. 588; Cass., Sez. I, 5 marzo 1980, n. 768; Cass., Sez. I, 31 marzo 1980, n. 1081; Cass., Sez. I, 14 novembre 1980, n. 2840; Cass., Sez. I, 25 ottobre 1983, n. 617, riportate da G. LEO, Concorso esterno nei reati associativi, in Il libro dell’anno Treccani 2017, www.treccani.it. È evidente che sulla configurabilità del concorso esterno si riflette anche l’abbandono di una lettura eccessivamente lata del concetto di partecipazione.

[74] A partire dalla già citata Cass., Sez. Un., 5 ottobre 1994, n. 16, Demitry.

[75]Talora inteso in chiave di “infungibilità”. Di recente, questa lettura è riemersa in Cass., Sez. Un. 19 dicembre 2019, n. 8545, Chioccini, in CED Cass., Rv. 278734. Àncora il concorso esterno alla fibrillazione dell’associazione anche Cass., Sez. VI, 25 giugno 2020, n. 25619,Pittelli, sia pure con qualche differenza: quest’ultima pronuncia, infatti, «individua nella situazione patologica di disfunzionalità dell’associazione un mero requisito specializzante che coglie nel relativo superamento, determinato dall’apporto di sostegno esterno, l’evento costitutivo della fattispecie» (così, V. MAIELLO, Il cantiere sempre aperto del concorso esterno, in www.sistemapenale.it, 22 febbraio 2021, 6-7).

[76]La rilevanza delle “condizioni di salute” del sodalizio, ritenuta incompatibile con una lettura criminologicamente orientata della fattispecie (G. FIANDACA, La criminalità organizzata e le sue infiltrazioni nella politica, nell’economia e nella giustizia in Italia, in, Il crimine organizzato come fenomeno transnazionale, a cura di V. Militello, L. Paoli, J. Arnold, Milano-Freiburg, 2000, 258), è stata ulteriormente negata, di recente, da Cass., Sez. I, 7 dicembre 2022, n. 49744, in www.giurisprudenzapenale.com.

[77]Per una critica al modello espresso dalla sentenza “Carnevale” (Cass., Sez. Un., 30 ottobre 2002, n. 22327, Rv. 224181), si v. V. MAIELLO, Il concorso esterno in associazione mafiosa tra crisi del principio di legalità e diritto penale del fatto, cit., 78 ss.

[78] V. MAIELLO, ult. op. cit., 66 ss.

[79]Cass., Sez. V,9 marzo2012, n. 15727, Dell’Utri, in CED Cass., Rv. 252329.

[80]Cass., Sez. Un., 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese. Sia pure con un’attenuazione del rigore nomologico richiesto da tale pronuncia: G. FIANDACA, C. VISCONTI, Il concorso esterno come persistente istituto “polemogeno”, cit., 495, che evocano il rischio di soluzioni intuizionistiche. Similmente, T. PADOVANI, op. cit., 8 ss.

[81]G. AMARELLI, La contiguità politico-mafiosa, cit., p. 244. Si cfr. anche A. CENTONZE, op. cit., 27 ss.; I. GIUGNI, Il problema della causalità nel concorso esterno, in www.archiviodpc.dirittopenaleuomo.org, 6 ottobre 2017, 29 ss.

[82] Si v. i richiami alla nota precedente.

[83]G. AMARELLI, ult. op. cit., 195 ss.

[84] T. PADOVANI, Note minime sul concorso esterno, in Arch. pen., 2/2012, 9 ss.

[85]G.A. DE FRANCESCO, Il concorso esterno nell’associazione mafiosa torna alla ribalta del sindacato di legittimità, in Cass. pen., 2012, 2552 ss.; Id., Prospettive de lege ferenda in materia di criminalità organizzata: un’introduzione, in La criminalità organizzata tra esperienze normative e prospettive di collaborazione internazionale, a cura dello stesso A., Torino, 2009, 17; T. PADOVANI, op. cit., 11 ss.; M. DONINI, Il concorso esterno “alla vita dell’associazione” e il principio di tipicità penale, in www.archiviodpc.dirittopenaleuomo.org, 13 gennaio 2017, 10; F.M. IACOVIELLO, Il concorso eventuale nel delitto di partecipazione ad associazione per delinquere, in Cass. pen., 1995, 863; V.B. MUSCATIELLO, Il concorso esterno nelle fattispecie associative, Padova, 1995, 135 ss.; G. PANEBIANCO, Reati di associazione declinazioni preternazionali della criminalità organizzata, Milano, 2018, 227.

[86]C. VISCONTI, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, cit., 302 ss.; V. MAIELLO, Il concorso esterno in associazione mafiosa tra crisi del principio di legalità e diritto penale del fatto, cit., 66 ss.,il quale sottolinea anche che, così opinando, si sarebbe generata una sperequazione punitiva tra concorso e 418 e 378 c.p. Si cfr. anche G. DE VERO, I reati di associazione mafiosa: bilancio critico e prospettive di evoluzione normativa, in La criminalità organizzata tra esperienze normative e prospettive di collaborazione internazionale, cit., 42, il quale evidenzia che l’adesione alla tesi del concorso nelle condotte renderebbe le ipotesi di concorso esterno meramente bagatellari.

[87] G. DE VERO, op. cit., 42.

[88] In senso contrario alla natura istantanea, si registrano Cass., Sez. V, 9 marzo2012, n. 15727, Dell’Utri, cit., e Cass., Sez. V, 5 giugno 2013, n. 35100, Matacena, in CED Cass., Rv. 255769.

[89]G. FIANDACA, C. VISCONTI, Il patto di scambio politico–mafioso al vaglio delle sezioni unite, in Foro it., 2006, 86 ss.; Iid., Il concorso esterno come persistente istituto polemogeno, cit., 497 ss. Sulla probatio diabolica dell’elemento soggettivo, si cfr. G. AMARELLI, La contiguità politico-mafiosa, cit., 246 ss.

[90] Anche se non ne hanno risentito le applicazioni giurisprudenziali, che hanno adottato un’interpretazione molto ampia dei ristretti spazi operativi della incriminazione: si cfr., a titolo di esempio, Cass., Sez. VI, 11 aprile 2011, n. 20924, in CED Cass., Rv. 252788.

[91]G. AMARELLI, La contiguità politico-mafiosa, cit., 285 ss.; l’A. argomenta altresì la configurabilità di un concorso di reati nel caso di attuazione dell’accordo attraverso l’impiego del metodo mafioso: 352 ss.

[92] G. AMARELLI, ult. op. cit., 318-319, il quale osserva che, con tale modifica, la fattispecie è stata resa esportabile al peculiare modus operandi delle associazioni “delocalizzate”.

[93]Detta affermazione, emersa in giurisprudenza, è poi confluita nell’art. 416-tercon la riforma del 2019.

[94]La l. n. 43del 2019, oltre ad alterare i rapporti di proporzionalità della pena: a) ha aggiunto il riferimento (pleonastico) agli intermediari o della qualità di intraneo dell’intermediario, oltre che dell’aggettivo “qualunque” riferito alle utilità (sul quale ultimo concetto, criticamente, E. SQUILLACI, Il “nuovo” reato di scambio elettorale politico-mafioso. Pregi e limiti di una riforma necessaria, in Arch. pen., 3/2014, 9); b) ha introdotto tra le prestazioni oggetto dello scambio, la mera disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione, con dubbi di compatibilità con il principio di offensività; c) ha previsto l’evento accidentale del risultato elettorale quale forma di aggravamento. Per le diverse criticità della riforma, si rinvia a G.AMARELLI, La riforma dello scambio elettorale, in www.archiviodpc.dirittopenaleuomo.org., 4 giugno 2019; si v. anche M. DELLAGIACOMA, Il delitto di scambio elettorale politico-mafioso post 2019: quale pena per il politico e per l’esponente mafioso?, in www.sistemapenale.it, 15 gennaio 2021, 15 ss.

[95]Si cfr. G. AMARELLI, La contiguità politico-mafiosa, 309.

[96] Cass., Sez. Un., 28 marzo 2001, n. 10, Cinalli, in CED Cass., Rv. 218378.

[97] Cass., Sez. Un. 19 dicembre 2019, n. 8545, Chioccini, cit. Tra i vari commenti alla pronuncia, si rinvia a S. FINOCCHIARO, Le Sezioni unite sulla natura dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa e sulla sua estensione ai concorrenti: tra punti fermi e criticità irrisolte, in www.sistemapenale.it, 16 marzo 2020; I. MERENDA, Concorso di persone e aggravante dell’agevolazione mafiosa: riflessioni a margine della pronuncia delle Sezioni unite, in Arch. pen., 1/2020; F. CALABRESE, La sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione a proposito della natura della aggravante della finalità di agevolazione mafiosa, in Arch. pen., 2/2020.

[98] Si cfr., tra le altre, Cass., Sez. VI, 21 settembre 2017, n. 56956, in CED Cass., Rv. 271952, in tema di premeditazione.

[99] Peraltro, disvelate da Cass., Sez. Un., 27 maggio 2021, n. 36958, Modaffari, cit., punto 12.1 del considerato in diritto, sebbene con riguardo alla partecipazione. Difatti, in questo passaggio argomentativo, si osserva l’inidoneità del paradigma causale a soddisfare le esigenze di accertamento della “messa a disposizione” del partecipe, attesa la sua immaterialità e la difficoltà di considerarlo come evento del reato.

[100]C. VISCONTI, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, cit., 494 ss.; Id., Sui modelli di incriminazione della contiguità alle organizzazioni criminali nel panorama europeo: appunti per un’auspicabile (ma improbabile?) riforma “possibile”, in Scenari di mafia. Orizzonte criminologico e innovazioni normative, a cura di G. Fiandaca, C. Visconti, Torino, 2010, 201 ss.

[101] S. ALEO, Sistema penale e criminalità organizzata, Milano, 2009, 23 ss.; A. CENTONZE, op. cit., 55 ss.

[102]Si v. i richiami contenuti nella nota precedente.

[103] In questi termini, M. DELLAGIACOMA, op. cit., 26-27.

[104] Cass., Sez. Un., 12 luglio 2005, n. 33748, Mannino, cit.

[105]La stessa Cass., Sez. Un., 27 maggio 2021, n. 36958, Modaffari, cit., ha sottolineato come la proporzionalità della pena impone una considerazione dinamica della “messa a disposizione” nella condotta partecipativa.

[106]Cass., Sez. Un., 30 novembre 2017, n. 111, Gattuso, in CED Cass., Rv. 271512. Per un commento, si v. A. QUATTROCCHI, Lo statuto della pericolosità qualificata sotto la lente delle Sezioni Unite, www.archiviodpc.dirittopenaleuomo.org, 15 gennaio 2018.

[107]Si v. anche Cass., Sez. VI, 8 gennaio 2016, n. 3941, in CED Cass., Rv. 266541.

[108]Sulle relazioni sviluppatesi tra diritto penale e misure di prevenzione, si v. il recente studio di E. SQUILLACI, La prevenzione illusoria. Uno studio sui rapporti tra diritto penale e diritto penale ‘reale’, Napoli, 2020.

[109]Un’eccezione è rappresentata dalle associazioni anarchiche. Infatti, in questa particolare forma del fenomeno terroristico ritroviamo la medesima struttura “fluida” tipica del terrorismo internazionale: si cfr. S. SANTINI, Dissenso ideologico o terrorismo? La Cassazione torna a precisare il discrimen, in Giur. it., 2021, 1152. In questo senso, Cass., Sez. II, 1° aprile 2016, n. 28753, in CED Cass., Rv. 267512.

[110] In questi termini, F. FASANI, Terrorismo islamico e diritto penale, Padova, 2016, 406 ss. Sulla distinzione tra il terrorismo interno e quello internazionale, D. FALCINELLI, voce Terrorismo (profili sostanziali), in Dig. disc. pen., Agg. III, Torino, 2005, 1625 ss.

[111] Così, G. FLORA, Profili penali del terrorismo internazionale: tra delirio di onnipotenza e sindrome di autocastrazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 66.

[112] Si cfr. Cass., Sez. II, 27 aprile 2018, n. 38208; Cass., Sez. I, 9 ottobre 2018, n. 51654, in CED Cass., Rv. 274985-03, entrambe richiamate recentemente in Cass., Sez. V, 18 dicembre 2020, n. 8891, in CED Cass., Rv. 280750-01.

[113] Specialmente se si includono nel concetto di “associazione” anche le cellule terroristiche, nelle quali i contatti con i nuovi “sodali” si presentano spesso in maniera discontinua ed elastica: Cass., Sez. VI, 12 luglio 2012, n. 46308, in CED Cass., Rv. 253944.

[114]Cass., Sez. II, 27 aprile 2018, n. 38208, cit. Affermazioni riprese anche da Corte cost., 31 luglio 2020, n. 191, in www.sistemapenale.it, 23 novembre 2020, con nota di C. CATTANEO, Legittima la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere per l'associazione con finalità di terrorismo.

[115]Si cfr. Cass., Sez. V, 11 giugno 2008, n. 31389, in CED Cass., Rv. 241175, che ha ritenuto sufficiente: «(…) una condotta di adesione ideologica che si sostanzi in seri propositi criminali diretti alla realizzazione delle finalità associative, senza che sia necessario, data la natura di reato di pericolo presunto, che si abbia l'inizio di materiale esecuzione del programma criminale»; ancor più nettamente, Cass., Sez. VI, 19 dicembre 2017, n. 14503, in CED Cass., Rv. 272730, nella quale si legge che «Non occorre uno stabile inserimento nell'apparato dell'associazione, né l'attribuzione di specifiche funzioni: per partecipare e rafforzare una siffatta associazione è sufficiente che il partecipe si metta a disposizione della "rete" per attuare il disegno terroristico, che questa sappia dei progetti criminosi».

[116]Cass., Sez. VI, 19 dicembre 2017, n. 14503, cit., Sulla stessa linea, sia pure in un’esposizione critica del quadro giurisprudenziale in materia, Cass., sez. VI, 11 settembre 2018, n. 40348, in CED Cass., Rv. 274217-02. Le ricostruzioni sulla “semplicità” della struttura organizzativa di tali associazioni sono state recepite da Corte cost., 31 luglio 2020, n. 191, cit.

[117]Cass., Sez. II, 27 aprile 2018, n. 38208, cit. Lo segnala anche Cass., sez. VI, 11 settembre 2018, n. 40348, cit.

[118] È chiaro che quanto più si dilata l’ambito dell’incriminazione della partecipazione verso la diffusione di messaggi, tanto più si riduce l’operatività dell’art. 414, comma 4 c.p. Anzi, quest’ultima disposizione dovrebbe indirizzare verso un’interpretazione maggiormente rigorosa dell’art. 270-bis, comma 2 c.p. Inoltre, in conformità con quanto statuito da Corte cost., 4 maggio 1970, n. 65, l’apologia deve avere caratteristiche tali che, per le modalità e il contesto di realizzazione, trasmodi la mera libera manifestazione del pensiero e risulti concretamente idonea a provocare la commissione di tali delitti. Inoltre, come suggerito dalla clausola di apertura dell’art. 414, comma 4 cit., tale fattispecie deve essere commessa pubblicamente ed essere rivolta a una pletora indeterminata di soggetti, residuando l’applicabilità dell’art. 302 c.p. nei casi in cui l’istigazione abbia dei destinatari predeterminati. Sempre purché questa non sia seguita dalla commissione del delitto, giacché altrimenti si profilerebbe un concorso morale nel medesimo, se non una delle condotte specificamente punite in materia di terrorismo. Senza considerare che se l’istigazione è accolta, potrebbero sorgere dei problemi di interferenza con la fattispecie di arruolamento, da risolvere alla luce della maggiore offensività di quest’ultima. Rispetto alla cospirazione politica mediante accordo (art. 304 c.p.), si è autorevolmente osservato che l’alternativa di immediata individuazione sarebbe quella tra una lettura minimale e una più stringente, costituzionalmente orientata, volta ad enfatizzare l’idoneità della strutturazione organizzativa dell’accordo (F. BRICOLA, voce Teoria generale del reato, in Nov. dig. it., XIX, 1973, 85 ss.). Tuttavia, mentre la prima condurrebbe a rischi di incostituzionalità sotto il profilo della materialità e dell’offensività, la seconda la renderebbe difficilmente distinguibile dai reati associativi. In dottrina, si è cercato di rivitalizzare la fattispecie attraverso un riferimento comparatistico al c.d. grupo spagnolo, «quale forma associativa “minore”, all’interno della quale la necessaria idoneità della struttura dell’accordo non si accompagni ad alcune o alcuna delle caratteristiche dell’associazione (stabilità, permanenza nel tempo ecc.)»: in questi termini, F. FASANI, Terrorismo islamico e diritto penale, cit., 415-416.

[119] Per l’insufficienza del mero indottrinamento, si v. Cass., Sez. V, 14 luglio 2016, n. 48001, in CED Cass., Rv. 268164. Per un commento, si v. R. BERTOLESI, Indottrinare al martirio non è reato di associazione con finalità di terrorismo, in www.archiviodpc.dirittopenaluomo.org, 23 gennaio 2017.

[120]Cass., Sez. VI, 11 settembre 2018, n. 40348, cit.

[121]Cass., Sez. I, 11 ottobre 2006, n. 1072, in CED Cass., Rv. 235289; Cass., Sez. I, 14 marzo 2010, n. 16549, in CED Cass., Rv. 246937.

[122]Si cfr. A. CAVALIERE, Il contrasto del terrorismo tra esigenze di tutela e garanzie individuali, in Dir. pen. proc., 2017, 1095.

[123] Si tratta della lettura che è stata data allo stesso lemma nei delitti di atti ostili verso uno Stato estero, con esposizione dello Stato italiano al pericolo di guerra (art. 244 c.p.) e di arruolamenti o armamenti non autorizzati a servizio di uno Stato estero (art. 288 c.p.). Si cfr. Cass., Sez. VI, 1° luglio 2003, n. 36776, Rv. 226049, anche per la differenza rispetto al reato di reclutamento di mercenari di cui all’art. 4 l. n. 210 del 1995.

[124] Cass., Sez. II, 14 marzo 2019, n. 23168, in CED Cass., Rv. 276425-01.

[125]Cass., Sez. II, 14 marzo 2019, n. 23168, cit.

[126]Cass., Sez. I, 9 settembre 2015, n. 40699, in CED Cass., Rv. 264719.

[128] Lo rileva anche Cass. Sez. II, 14 marzo 2019, n. 23168, cit.

[129] Cass., Sez. V, 2 ottobre 2008, n. 39430, in CED Cass., Rv. 241742.

[130]Così, F. DE MARINIS, Considerazioni minime intorno al tentativo di arruolamento, tra legislazione e prassi giurisprudenziale, in Dir. pen. cont., 7-8/2017, 77.

[131]Cass., Sez. I, 6 novembre 2013, n. 4433, in CED Cass., Rv. 259020, per la distinzione tra “formazione” e “informazione”; Cass., Sez. I, 12 luglio 2011, n. 38220, in CED Cass., Rv. 251363.

[132] Introdotta con la l. n. 153 del 2016 in recepimento di diversi di strumenti di internazionali. Per un’analisi comparatistica dell’attuazione di tali convenzioni, si rinvia a N. SELVAGGI, Brevi note sul finanziamento del terrorismo, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2012, 224.

[133]Nel senso della plurisoggettività necessaria del finanziamento, R. BARTOLI, Legislazione e prassi in tema di contrasto al terrorismo internazionale: un nuovo paradigma emergenziale?, in Dir. pen. cont., 1/2017, 257. Sull’idoneità dei beni o delle somme destinate ai delitti di terrorismo, si v. V. ARAGONA, Il contrasto al finanziamento del terrorismo, cit., 104. Nel senso dell’oggettiva valenza causale dell’interesse che muove l’agente, L. PICOTTI, Terrorismo e sistema penale: realtà, prospettive, limiti, in Dir. pen. cont., 1/2017, 259. Argomenta per la difficoltà di valorizzare il requisito dell’idoneità, sia in relazione al quantitativo destinato, che potrebbe essere non ingente, sia nel senso che, come nel caso della raccolta, l’attività possa avvenire in assenza di destinatari predeterminati, F. FASANI, Un nuovo intervento di contrasto al terrorismo internazionale, in Dir. pen. proc., 12/2016, 1561.

[134]R. BERTOLESI, Ancora nuove norme in materia di terrorismo, in www.archiviodpc.dirittopenaleuomo.org, 19 ottobre 2016.

[135]Ibidem.

[136]Si cfr. R. BARTOLI, op. cit., 257, che esprime queste perplessità con riguardo a tutte le fattispecie “preparatorie” dei delitti di terrorismo.

[137] Invero, manca un’indicazione precisa dei reati punibili, sicché occorre fare riferimento ai reati previsti dal codice penale e dalla legislazione penale, nonché alle violazioni previste dalla Convenzione di New York del 1999, richiamata dall’ultimo comma.

[138]Sui problemi di ricostruzione del regime della responsabilità degli enti e dei modelli preventivi con riguardo a tale fattispecie, stante il richiamo dei reati-presupposto “per categoria”, R. SABIA, Delitti di terrorismo e responsabilità da reato degli enti tra legalità e esigenze di effettività, in Dir. pen. cont., 1/2017, 208 ss. In tema di responsabilità dell’ente, si v. anche N. SELVAGGI, Brevi note, cit., 230 ss.

[139]R. RAZZANTE, sub art. 25-quater. Delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, inIl 231 nella dottrina e nella giurisprudenza a vent'anni dalla sua promulgazione, a cura di M. Levis, A. Perini, cit., 711, che, in tema di operazioni sospette, ritiene che delle indicazioni potrebbero ricavarsi, a contrariis, da quelle formulate per il sistema finanziario dell’UIF, disponibili su www.uif.bancaditalia.it.