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Pubbl. Mer, 5 Apr 2023

È appropriazione indebita la mancata restituzione dell´auto in leasing

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Andrei Mihai Pop
Laurea in GiurisprudenzaUniversità degli Studi di Trento



La presente nota a sentenza affronta le tematiche richiamate dalla Corte di Cassazione, Sez. II, n. 4983 del 29/11/2022 (dep. 6/2/2023) circa il rapporto tra il reato di cui all’articolo 646 c.p. ed il contratto di leasing. Gli Ermellini sono giunti ad affermare che, seppur in assenza di una espressa attivazione della clausola di risoluzione del contratto derivante dall’inadempimento del pagamento dei canoni di leasing, laddove vi sia anche l’intimazione ad adempiere entro un termine perentorio, configurerà una appropriazione indebita punibile ai sensi dell’articolo 646 c.p. la non restituzione del bene entro la scadenza del suddetto termine.


ENG

Is misappropriation the failure to return the leased car

This judgment note addresses the issues referred to by the Court of Cassation, Sec. II, no. 4983 of 29/11/2022 (dep. 6/2/2023) concerning the relationship between the offence under Article 646 of the Criminal Code and the leasing contract. The Court of Appeal has come to affirm that, although in the absence of an express activation of the termination clause of the contract deriving from the non-fulfilment of the payment of the leasing instalments, where there is also the instruction to fulfil within a peremptory term, the failure to return the goods by the expiry of the aforementioned term will constitute an embezzlement punishable under Article 646 of the criminal code.

Sommario: 1. Premessa; 1.1. L’appropriazione indebita; 1.2. Il leasing; 2. Il ricorso e le questioni affrontate dalla Corte di Cassazione penale, Sez. II, con la sentenza n. 4983 del 29/11/2022 (dep. 6/2/2023); 3. Conclusioni.

1. Premessa

La tematica, per poter essere compresa nel suo insieme, deve necessariamente incominciare dall’analisi, seppur sintetica, di due previsioni apparentemente lontane e non comunicanti: la prima, è l’articolo 646 c.p. ed ha natura sanzionatoria-punitiva; la seconda, invece, è il contratto di leasing, il quale, di per sé, è uno strumento a disposizione dei privati per regolare i loro rapporti giuridici.

Dall’analisi disgiunta di tali figure si potrà successivamente approdare a delle conclusioni più certe circa la configurabilità dell’appropriazione indebita nei contratti di leasing (c.d. locazione finanziaria).

1.1. L’appropriazione indebita

Principiando dalla disposizione penale, risulta utile riportare per esteso il primo comma dell’articolo 646 c.p.: Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000.

Ora, l’articolo utilizza il pronome “chiunque”, il quale per sua natura vorrebbe riferirsi a “qualsiasi persona”, perciò si deve concludere che si tratta di un reato comune. Invero, soggetto attivo del reato è “chiunque” si trovi in un rapporto di possesso, a qualsiasi titolo, con un determinato bene, salvo il proprietario dello stesso[1].

Inoltre, da un punto di vista processuale, la fattispecie in esame è punibile a querela di parte[2], ovverosia su iniziativa del proprietario del bene o di chi ne ha il godimento in forza di un diritto reale (c.d. soggetti passivi del reato)[3].

La condotta penalmente rilevante consiste nella trasformazione di un possesso per conto altrui, in un possesso per conto proprio (detto altrimenti, una situazione di fatto equivalente all’esercizio del diritto di proprietà o di un altro diritto reale): è la c.d. interversione del possesso ex articolo 1164 c.c.[4]. Essenziale, qui, sia l’animo domini dell’agente, sia la manifestazione di tale “intenzione” con atti esterni materialmente apprezzabili (in ossequio al principio di materialità). 

Questa necessaria presenza di atti “esterni” si declina anche nel senso di escludere la rilevanza ex articolo 646 c.p. delle mere omissioni. E allora, alla c.d. appropriazione omissiva “pura” non pare poter essere applicata la disposizione in esame per almeno due motivi: il primo, in relazione al principio di materialità, è che la mera mancata (ri)consegna del bene non è espressione univoca della volontà del possessore di volersi comportare come un soggetto che eserciti di fatto poteri spettanti ad un soggetto titolare di diritti reali sulla resin secundis, in relazione al principio di legalità e tassatività, risulta dubbiosa l’equiparazione tra condotta commissiva ed omissiva alla luce dell’articolo 40 comma 2 c.p. 

Risulta necessario, quindi, che alla ritenzione si accompagni anche una condotta commissiva-attiva, con la conseguenza di rendere inequivocabile il proprio animus all’esterno: per esempio, un esplicito rifiuto di consegnare il bene, ovvero di nasconderlo[5].

Questa condotta materiale dell’agente deve ricadere o su di una somma di denaro, oppure, ed in senso ben più ampio, su qualsiasi cosa mobile altrui[6] di cui si ha il possesso.

Per quanto concerne l’elemento soggettivo del reato, l’appropriazione indebita rappresenta un esempio di delitto punito in presenza di un dolo specifico, ovverosia laddove, con la propria condotta, si ottenga un ingiusto profitto (anche solo potenziale) di natura patrimoniale o, più in generale, qualsiasi altra illegittima utilità di natura non patrimoniale[7].

La consumazione del reato è pacificamente ricondotta all’atto di appropriazione, ovverosia nel momento in cui si verifica l’interversione del possesso, anche se il termine di restituzione della cosa non fosse scaduto: un soggetto potrà “mutare” il proprio “animo-intenzione” rispetto al bene anche prima che scada l’accordo, ad esempio, col proprietario del bene[8].

Circa il tentativo, la maggior parte degli autori, sulla scia di un indirizzo tradizionale, sembrano propensi nell’escludere l’applicazione di tale istituto visto che l’articolo 646 c.p. risulterebbe essere un delitto istantaneo ed unisussistente, ma tale conclusione non è più così pacifica[9].

1.2. Il leasing

Vediamo, ora, la seconda disposizione che necessariamente va analizzata per comprendere il tema. 

Il leasing (o locazione finanziaria) è una tipologia contrattuale di origine anglosassone e di grandissima diffusione in Italia[10]. Purtuttavia, nonostante un ampio ricorso a questo schema contrattuale, il leasing è rimasto a lungo tra i c.d. contratti atipici. Solo con la L. n. 124 del 4 agosto 2017, all’articolo 1, commi 136-140, si è giunti a disciplinarlo espressamente facendo rientrare tale istituto tra i c.d. contratti tipici. Sinteticamente,  questa tipologia contrattuale prevede che un soggetto (utilizzatore) si rivolga ad un intermediario autorizzato[11]affinché egli acquisti un certo bene per poi concederlo in godimento all’utilizzatore stesso, in cambio del pagamento di un canone periodico. Essenziale evidenziare che all’utilizzatore è attribuita la possibilità, alla scadenza del contratto, di acquistare il bene con il pagamento di un prezzo residuo – di norma inferiore rispetto al valore del bene – che tenga conto delle somme già versate a titolo di canone. 

Giova evidenziare che ai nostri fini rileva la nozione di leasing traslativo, ovverosia quel contratto il cui oggetto riguarda i beni c.d. deteriorabili[12] (o anche detti di consumo durevole[13]), quindi, ad esempio, le automobili.

2. Il ricorso e le questioni affrontate dalla Corte di Cassazione penale, Sez. II, con la sentenza n. 4983 del 29/11/2022 (dep. 6/2/2023)

Il ricorrente, nella persona del proprio avvocato, presenta ricorso ai sensi dell’articolo 606 comma 1, lettera b) c.p.p. avverso l’ordinanza del 19/7/2022 del Tribunale di Sondrio che aveva rigettato la richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo emesso ai sensi dell’articolo 321 c.p.p. per il reato ex articolo 646 c.p. (nella specie, l’appropriazione indebita riguarderebbe un’autovettura oggetto di leasing).

Il difensore lamenta che la società, benché abbia inviato alcune lettere di messa in mora, non ha mai inteso avvalersi della clausola risolutiva espressa in conseguenza del mancato pagamento di alcune rate, poiché tale decisione sarebbe stata solamente prospettata in caso di ulteriore e protratto inadempimento.

Purtuttavia, la Cassazione ha rigettato il ricorso, rimarcando, in primo luogo, che l'interessato non si era confrontato in modo critico con l'ordinanza resa dal Tribunale di Sondrio, atteso che le doglianze compendiate nell'atto di impugnazione erano le stesse già sviluppate in sede di riesame. 

In secundis, e tralasciando questa motivazione “procedurale”, la Cassazione, seppur brevemente, ha evidenziato alcuni principi fondamentali circa il rapporto tra l’articolo 646 c.p. ed il contratto di locazione finanziaria. 

Si è, infatti, affermato che le diffide inviate dalla società all’utilizzatore dell’automobile erano chiare e precise, ossia idonee a manifestare, in modo inequivocabile, la volontà di voler “attivare” la clausola risolutiva espressa – con la conseguente restituzione del bene – laddove non fosse pervenuto l’adempimento-pagamento, entro quindici giorni, delle rate del canone di leasing oramai scadute.

Detto ciò, potendosi già ritenere esaurita la questione prospettata dalla difesa, il supremo Collegio ha richiamato un principio ormai costante in giurisprudenza, ovverosia che, in caso di inadempimento circa il pagamento dei canoni del contratto di leasing da parte dell’utilizzatore, laddove non si ottemperi alla successiva richiesta di restituzione del bene, tale condotta assumerebbe valore non solo in termini di inadempimento contrattuale, ma anche agli effetti del diritto penale, sotto il profilp dell’articolo 646 c.p. Ciò in quanto la mancata restituzione del bene (unitamente all’omesso pagamento dei canoni), in ragione del rapporto tra l’utilizzatore e la res oggetto di locazione finanziaria “traslativa”, costituirebbe una oggettiva interversione del possesso[14]. Sicché, la mera omissione del pagamento del canone di leasing non è sufficiente per configurare l’appropriazione indebita; tuttavia, il rifiuto (anche manifestato per facta concludentia) di restituire il bene a seguito di richiesta esplicita non potrà che ritenersi come una manifestazione inequivocabile di volontà di volersi comportare uti dominus in rapporto alla res considerata[15].

3. Conclusioni

A seguito della disamina che ha avuto come punto di partenza la sentenza oggetto del presente contributo, non si può che concludere circa la compatibilità, oramai pacifica, tra l’appropriazione indebita ex articolo 646 c.p. ed il contratto di leasing laddove l’utilizzatore (soggetto attivo del reato e debitore), a seguito dell’intimazione ad adempiere al pagamento delle somme del canone non versate a favore dell’intermediario finanziario (soggetto passivo del reato e creditore), e nonostante la prospettazione della risoluzione del contratto in forza della clausola risolutiva espressa e della conseguente richiesta di restituzione del bene, non ottemperi entro il termine perentorio assegnato. Inoltre, tale condotta risulta punibile anche laddove non si sia già espressamente attivata la clausola risolutiva espressa.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Per la tesi della natura di reato comune abbiamo la maggioranza degli interpreti. Vedi R. BARTOLI, M. PELISSERO, S. SEMINARA, Diritto penale – Lineamenti di parte speciale, Torino, 2021, 278; R. GAROFOLI, Manuale di diritto penale – parte speciale, Roma, 2013, 255; E. DOLCINI e G. MARINUCCI, Codice penale commentato – tomo III, Milano, 2021, 2764; T. PADOVANI, Codice penale – tomo II, Milano, 2019, 4692. In minoranza, ma l’opinione è rilevante, Mantovani osserva che sarebbe più corretto affermare che “è punito qualsiasi possessore” essendoci un rapporto “qualificato” tra il soggetto attivo e la res. In questa prospettiva, il delitto in esame sarebbe, dunque, inquadrabile nella categoria dei reati propri. Così F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte speciale II – Delitti contro il patrimonio, Padova, 2018, 121.

[2] Il delitto di cui all’articolo 646 c.p., a seguito del d.lgs. n. 36/2018 in forza del quale si è abrogato il comma 3 dell’articolo 646 c.p., non è più procedibile d’ufficio nemmeno laddove vi sia l’aggravante di cui al comma 2 dell’articolo 646 c.p., ovvero l’aggravante di cui all’articolo 61 n. 11 c.p. Vedi sul punto T. PADOVANI, Codice penale – tomo II, 4699-4700.

[3] Vedi F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte speciale II, 128. Conforme anche E. DOLCINI e G. MARINUCCI, Codice penale commentato – tomo III, 2763-2764 e T. PADOVANI, Codice penale – tomo II, 4692-4693. La giurisprudenza concorda. Sul punto, vedi Cassazione penale, Sez. II, n. 20776 del 08/04/2016 (dep. 19/05/2016), Rv. 267037 – 01; Cassazione penale, sez. II, n. 2862 del 27/01/1999 (dep. 02/03/1999), Rv. 212766 – 01. Di contrario avviso altra dottrina che ritiene essere soggetto passivo (e quindi legittimato a proporre querela) il solo proprietario della cosa. In tal senso, F. ANTOLISEI, Manuale di Diritto Penale, Parte speciale I, Milano, 2022, 471-472.

[4] Vedi F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte speciale II, 125-126. Nello stesso senso G. FIANDACA ed E. MUSCO, Diritto penale, parte speciale, vol. II – I delitti contro il patrimonio, Bologna, 2015, 107 e T. PADOVANI, Codice penale – tomo II, 4693-4694.

[5] In tal senso, F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte speciale II, 126, G. FIANDACA ed E. MUSCO, Diritto penale, Parte speciale II, 108 e F. ANTOLISEI, Manuale di Diritto Penale, Parte speciale I, 479. Vedi altresì E. DOLCINI e G. MARINUCCI, Codice penale commentato – tomo III, 2768.

[6] L’altruità risulta essere un concetto “semplice”, tuttavia si potrà parlare anche di appropriazione indebita circa le cose in comune? La risposta è affermativa osservando la giurisprudenza. Ad esempio, l’acquisizione per confusione di cose fungibili (come il denaro) nel patrimonio di chi le riceve può configurare il delitto ex articolo 646 c.p. – così Cassazione penale, Sez. Unite, n. 37954 del 25/5/2011 (dep. 20/10/2011), Rv. 250974 – 01. Oppure, il cointestatario di conto corrente bancario, che disponga della somma in deposito in misura eccedente la quota parte di sua pertinenza: così Cassazione penale, Sez. II, n. 16655 del 20/04/2010 (dep. 30/04/2010), Rv. 247024 – 01.

[7] Ovviamente occorre anche la coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, posseduta a qualsiasi titolo, sapendo di agire senza averne diritto – c.d. dolo generico. Inoltre, questo ingiusto profitto potrà essere anche a favore di terzi. Dottrina e giurisprudenza concorde. Vedi F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte speciale II, 129 e G. FIANDACA ed E. MUSCO, Diritto penale, Parte speciale II, 113. Così anche T. PADOVANI, Codice penale – tomo II, 4698-4699. Per la giurisprudenza, vedi Cassazione penale, Sez. V, n. 4942 del 01/12/2021 (dep. 10/02/2022), Rv. 282777 – 01; Cassazione penale, Sez. II, n. 19147 del 01/03/2019 (dep. 07/05/2019), Rv. 276100 – 01; Cassazione penale, Sez. II, n. 27023 del 27/03/2012 (dep. 10/07/2012), Rv. 253411 – 01; Cassazione penale, Sez. VI, n. 16362 del 20/09/2011 (dep. 03/05/2012), Rv. 256619 – 01.

[8] In tal senso, F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte speciale II, 126 e E. DOLCINI e G. MARINUCCI, Codice penale commentato – tomo III, 2773-2774. Così anche, tra le tante, Cassazione penale, Sez. II, n. 19519 del 15/01/2020 (dep. 30/06/2020), Rv. 279336 – 01.

[9] Ad esempio, il tentativo di vendere qualcosa di cui ci si è appropriati indebitamente non merita di essere punito dal combinato disposto degli articoli 56 c.p. e 646 c.p.? La risposta, che sembrerebbe la più logica e coerente con una esigenza di repressione dei delitti, è una affermativa. Così, da ultimo, Cassazione penale, Sez. II, n. 15735 del 14/02/2020 (dep. 25/05/2020), Rv. 279225 – 01. Vi è, però, una ampia dottrina che, invece, configura il tentativo non potendosi affermare che necessariamente l’articolo 646 c.p. sia un reato unisussistente ed istantaneo. Per tutti, F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte speciale II, 129, F. ANTOLISEI, Manuale di Diritto Penale, Parte speciale I, 483-484 e, seppur più cautamente, G. FIANDACA ed E. MUSCO, Diritto penale, Parte speciale II, 114-115. Rilevante anche il contributo di E. DOLCINI e G. MARINUCCI, Codice penale commentato – tomo III, 2775.

[10] Così A. TORRENTE e P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, 2021, 775. Vedi altresì A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Milano, 2021, 1189-1190 e F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2021, 1317-1319. 

[11] Ad esempio, una banca o un altro soggetto autorizzato iscritto all’albo di cui all’articolo 106 del T.U.B.

[12] Utilizzando un'espressione di A. TORRENTE e P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, 192-193.

[13] Utilizzando l’espressione di A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, 1189.

[14] Rientra tra i soggetti attivi del reato anche il debitore nel contratto di leasing, poiché il debitore è il c.d. utilizzatore, il quale, almeno finché non eserciterà l’opzione di acquisto del bene, non può essere considerato come proprietario, in quanto non vi è ancora l’effetto traslativo del contratto, e dunque esso potrà rientrare nella nozione di soggetto attivo ex articolo 646 c.p. Così T. PADOVANI, Codice penale – tomo II, 4698. In tal senso, Cassazione penale, Sez. II, n. 25288 del 31/05/2016 (dep. 17/06/2016), Rv. 267114 – 01; Cassazione penale, Sez. II, n. 42977 del 02/10/2014, Rv. 260473 – 01; Cassazione penale, Sez. II, n. 5809 del 5/12/2013 (dep. 6/2/2014); Cassazione penale, Sez. II, n. 13347 del 07/01/2011 (dep. 01/04/2011), Rv. 250026 – 01; e Cassazione penale, Sez. II, n. 38604 del 20/09/2007 (dep. 18/10/2007), Rv. 238163 – 01.

[15] Così, tra le tante, Cassazione penale, Sez. II, n. 25282 del 31/05/2016 (dep. 17/06/2016), Rv. 267072 – 01. Per una casistica più ampia, si veda E. DOLCINI e G. MARINUCCI, Codice penale commentato – tomo III, 2785.