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Pubbl. Gio, 9 Mar 2023

Le novità della riforma Cartabia per il processo civile. Una breve ricognizione delle modifiche alle disposizioni generali

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Tiziana Anna Ghiotto
CommercialistaUniversità commerciale Luigi Bocconi



Il presente contributo mira a offrire una ricognizione delle modifiche più rilevanti che il processo civile è destinato a subire per effetto della cd. Riforma Cartabia. Prendendo le mosse dai motivi ispiratori della novella, ci si soffermerà sulla modifica alle norme inerenti le disposizioni generali del codice di procedura civile, si sono illustrate le modifiche alle disposizioni sulla competenza e sul potere del giudice, nonché la nuova disciplina del difetto di giurisdizione. In particolare, si è tentato di verificare se e in quali termini le modifiche abbiano accolto o trascurato i suggerimenti che la giurisprudenza aveva avuto già modo di formulare su singole questioni già sottoposte all’esame dei giudici; una speciale riflessione verrà riservata al tema del giudicato implicito.


ENG

The novelties of the Cartabia reform for the civil trial. A brief overview of the changes to the general provisions

The paper aims to offer a survey of the most significant changes that the civil process is destined to undergo as a result of the so-called Cartabia reform. The work starts from the inspiring reasons for the novella, focusing on the amendment to the rules concerning the general provisions of the code of civil procedure, the amendments to the provisions on the jurisdiction and power of the judge were illustrated, as well as the new regulation on the lack of jurisdiction. An attempt was made to verify whether and in what terms the amendments accepted or neglected the suggestions that the jurisprudence had already had the opportunity to formulate on specific questions already submitted to the examination of the judges; a special reflection will be reserved for the theme of implicit judgement.

Sommario: 1. Premessa. Gli schemi e le operatività di una riforma; 2. Il decreto attuativo e le modifiche alle disposizioni generali del codice di rito: le nuove regole sulla competenza; 3. L’intervento su altre disposizioni generali: tra nuovi poteri del giudice e la consacrazione di principi giurisprudenziali; 4. Il difetto di giurisdizione: l’indebolimento della giurisprudenza e lo strumento del giudicato implicito.

1. Premessa. Gli schemi e le operatività di una riforma

La cd. Riforma Cartabia ha determinato capovolgimenti importanti nel procedimento di cognizione, in qualunque fase del gravame. In questa sede ci si limiterà a descrivere alcune delle novità che sono state introdotte in riferimento alle disposizioni generali del codice di rito.

Conviene contestualizzare, seppur succintamente, l’emanazione della novella, il cui testo definitivo è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il 28 settembre 2022, al termine di un iter parlamentare che era stato a sua volta avviato il 9 gennaio 2020, con la presentazione al Senato, ad opera del governo guidato da Giuseppe Conte, del disegno di legge A.S. 1662 recante «Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie». In un secondo momento, insediatosi il governo guidato da Mario   Draghi, la Ministra della Giustizia Marta Cartabia ha formato una commissione ad hoc per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi. Si tratta della cd. cd. Commissione Luiso, creata con il d.m. 12 marzo 2021.

I lavori della commissione suddetta sono stati sottoposti a emendamenti governativi, culminati nella presentazione all’assemblea parlamentare di un maxiemendamento, che ha accolto numerose modifiche emerse in sede referente, e sulle quali è stata posta la questione di fiducia. Si comprende, quindi, la struttura della riforma de qua, che, come precisa anche la Corte di Cassazione nella Relazione che ne illustra i contenuti, presenta un unico articolo, composto di quarantaquattro commi. La legge delega, denominata “Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”, è entrata in vigore il 24 dicembre 2021 e doveva essere esercitata entro un anno, ossia entro il 24 dicembre 2022[1]. Si è giunti, dunque, all’estate del 2022: il 28 luglio 2022, il Consiglio dei Ministri ha approvato, in esame preliminare, lo schema di decreto legislativo trasmesso alle Camere il 2 agosto 2022; le Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari hanno espresso un parere positivo e il Governo ha avuto a disposizione sessanta giorni di tempo per emanare i decreti legislativi. Il decreto legislativo contenente la riforma del codice di procedura civile è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il 28 settembre 2022, è stato firmato il 10 ottobre 2022 ed è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 17 ottobre 2022 con il n. 149. Dall’entrata in vigore dei decreti legislativi attuativi della riforma, il Governo ha a disposizione ulteriori ventiquattro mesi per eventuali disposizioni integrative o correttive, da introdurre nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dalla legge n. 206 del 2021 e, più in generale, del principio del contraddittorio.

Specificamente, le modificazioni del codice di rito realizzate con la legge n. 206/2021 e poi cristallizzate con il decreto legislativo n. 149/2022, ricalcano le scelte compiute per il processo penale dalla legge n. 134/2021: da un lato vi è una delega al Governo proprio per la riforma del processo civile, attraverso l’intervento su principi e criteri direttivi; dall’altro lato, le trasformazioni interessano direttamente talune disposizioni, ad esempio in riferimento al diritto di famiglia, all’esecuzione forzata e all’accertamento dello stato di cittadinanza. Le rationes che hanno guidato il legislatore nell’attività di riforma sono, sostanzialmente, connesse alle ormai improrogabili esigenze di semplificazione, speditezza e razionalizzazione, finalizzate tutte a rendere effettiva la tutela giurisdizionale[2].

2. Il decreto attuativo e le modifiche alle disposizioni generali del codice di rito: le nuove regole sulla competenza 

Il decreto legislativo n. 149/2022, come emerge dalla Relazione Illustrativa, si pone quale ambizioso obiettivo la realizzazione di un riassetto del processo civile di cognizione, del processo di esecuzione, dei procedimenti speciali e degli strumenti alternativi di composizione delle controversie, tanto dal punto di vista formale che sostanziale. Le modifiche, pertanto, interessano tutta la normativa fondamentale: il codice di procedura civile, il codice civile, il codice penale, il codice di procedura penale, nonché le leggi speciali. Il risultato ottenuto è una organica riforma del processo civile di cognizione e degli altri modelli di risoluzione alternativa dei conflitti di interesse, che necessariamente imporrà all’interprete di coordinare il nuovo con l’antico, prestando particolare attenzione alle disposizioni che sono state abrogate e alle disposizioni transitorie.

La presente ricognizione sarà limitata alle modifiche alle disposizioni generali del codice di rito, che hanno coinvolto, dunque, i temi del contraddittorio e le disposizioni in materia di competenza, sulla base delle indicazioni contenute nel capo II del decreto attuativo della legge n. 206/2021 e, specificamente, agli articoli 3 e 4. La nuova disciplina ha interessato la competenza del giudice di pace, la competenza per motivi di connessione e i regolamenti, di competenza e di giurisdizione, secondo le disposizioni dei commi da 1 a 22 dell’art. 3 citato: appare opportuno leggere alcune modifiche alle disposizioni generali del codice di procedura civile alla luce delle premesse che ne hanno determinato la modificazione de iure condendo e prospettando gli eventuali dubbi interpretativi che sembrerebbero potere emergere già ora, anteriormente all’applicazione pratica della norma.

L’unico articolo della legge n. 206 del 2021, al comma 7, lett. b) ha modificato il testo dell’art. 7 c.p.c., dedicato alla competenza del giudice di pace. L’intervento è stato effettuato sul limite generale di valore della competenza del giudice di pace, relativamente ai beni mobili, ed ha portato all’innalzamento del valore a diecimila euro; per quanto attiene le cause di risarcimento del danno da circolazione dei natanti e di veicoli, il valore è ora fissato a venticinquemila euro. In origine, nel disegno di legge sottoposto all’attenzione del Parlamento, la competenza mobiliare del giudice di pace era stata aumentata a quindicimila euro, mentre la competenza per le cause di risarcimento del danno per la circolazione di veicoli e natanti era stata aumentata a trentamila euro. Camera e Senato hanno sollecitato il legislatore delegato a ridurre gli importi pecuniari della competenza, scendendo agli attuali valori, rispettivamente, di diecimila e venticinquemila euro[3]: ne è risultata, così, modificata la competenza per valore e per valore-materia, mentre è rimasta intatta la competenza per materia[4].

Si può rammentare che la legge delega n. 206/2021 aveva attribuito al Governo il compito di ridefinire i compiti del giudice onorario e le sue specifiche competenze. Le norme attuative paiono essere state ispirate a prudenza - quella che si richiede laddove si tratti di stabilire legislativamente le i confini delle competenze di un giudice non togato -, ma anche da una certa sfiducia nei riguardi della figura del giudice onorario.

Ancora, l’art. 37 c.p.c. è stato modificato attraverso la limitazione della possibilità di rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione in ogni stato e grado e del processo.

Con l’art. 40 c.p.c., si sono aggiornati i criteri di competenza determinati da vincoli di connessione. Infatti, laddove vi sia connessione tra cause assoggettate a riti diversi, è stata prevista la prevalenza del rito semplificato di cognizione quando a configurarsi sia una connessione cd. “forte” tra una causa sottoposta a tale rito e una causa da trattarsi con rito speciale diverso da quelli di cui agli artt. 409 e 422 c.p.c. (comma 2). Giova anticipare sin da ora che la novella ha voluto realizzare un coordinamento tra l’eventuale coesistenza del nuovo rito semplificato di cognizione e gli altri riti speciali diversi da quelli in materia lavoristica e di locazione.

L’aggiunta di una previsione specifica al comma 3 dell’art. 40 c.p.c. ha conseguito un intento chiarificatore che già da tempo veniva auspicato dagli interpreti, impegnati in difficoltà esegetiche. Infatti, ancora nel più recente passato, laddove si vertesse in materia di connessione, non ci si riferiva espressamente al rito sommario di cognizione, perché esso veniva considerato ‘altro’ rispetto al rito sommario e rispetto ai procedimenti speciali, nonché privo di una specifica previsione. La riforma oggi ha creato la categoria del ‘rito semplificato di cognizione’ e ha scelto di disciplinare la fattispecie del simultaneus processus, per l’evenienza in cui si raccolgano cause connesse a riti diversi tra le quali compare proprio il rito sommario di cognizione.

La regola enunciata suona in questi termini: in caso di connessione, ai sensi degli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c., tra cause sottoposte al rito semplificato di cognizione e cause sottoposte a riti speciali, il primo prevale, sempre che, come detto, non si tratti di cause sottoposte al rito locatizio (ai sensi degli artt. 409 e 422 c.p.c.). Diversamente, il rito ordinario prevale di norma sul rito semplificato di cognizione.

Anche l’art. 47 c.p.c. ha oggi un diverso tenore, modificato dall’introduzione di modifiche acceleratorie al procedimento del regolamento di competenza: si è quindi perseguita la finalità di semplificazione e di precisazione degli adempimenti per l’ipotesi in cui si intenda presentare ricorso per regolamento di competenza. Unico onere in capo alla parte che intenda presentare regolamento di competenza, è di farne deposito, insieme agli altri documenti, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione fatta alle parti. La trasmissione degli atti alla Corte di Cassazione viene ora realizzata come un passaggio interno agli uffici e non più, come era precedentemente alla riforma, come oggetto di un’istanza di parte. La volontà di semplificazione è, dunque, assai evidente e si pone in continuità e parallelismo con la previsione del comma 4 dell’art. 47 c.p.c., il quale elimina l’obbligo del giudice che domandi un regolamento di competenza, di trasmettere il fascicolo alla cancelleria della Corte di Cassazione: tale incombenza viene riversata sulla cancelleria del tribunale adito e non richiederà alcun tipo di disposizione o coordinamento a opera del giudice[5]. Inoltre, in coerenza con la descritta modifica e, più in generale, con le regole del processo telematico, il comma 5 dell’art. 47 c.p.c. prevede una generica trasmissione delle scritture difensive e dei documenti allegati genericamente alla Corte di Cassazione e non già alla cancelleria, in una prospettiva di dematerializzazione dei luoghi del deposito che le procedure digitali rendono ormai improcrastinabile[6].

L’art. 48 c.p.c., poi, prevede che la sospensione - cd. impropria[7] - dei processi si verifichi di diritto nei casi in cui venga richiesto il regolamento di competenza. Quanto al momento in cui ha inizio la sospensione, i casi previsti dalla norma sono due. In una prima ipotesi l’inizio della sospensione è fatto coincidere con la data in cui, dinanzi al giudice davanti al quale pende la causa, venga depositata copia del ricorso notificato ad opera della parte. Nell’ottica della semplificazione, la parte viene liberata dall’onere, tipico del regime pregresso, di domandare a tutti gli uffici interessati che i fascicoli venissero rimessi dinanzi alla Corte di Cassazione, e il mero e semplice obbligo di deposito è quanto residua per volere del novellatore. Nel caso de quo il deposito si configura come una comunicazione formale dotata di un’immediata e diretta efficacia sospensiva del procedimento. Come si è detto, esso fornisce tanto al giudice quanto alle controparti notizia di un evento che impatta sul procedimento in corso attivandosi come vero e proprio procedimento incidentale, determinando preclusioni processuali superabili solo dalla discrezionalità del giudicante che le valuti come urgenti[8].

Residua una criticità che merita di essere sottolineata: la sospensione prevista dall’art. 48 c.p.c. non richiedeva, nella precedente disciplina, un’apposita istanza e la novella conferma siffatta ricostruzione. Tuttavia, si può sottolineare come, mancando il deposito della copia del ricorso per regolamento, verrebbe meno il presupposto di fatto della sospensione medesima: ciò significa che anche nella versione riformata, occorre un atto di parte che, però, non dipende da una richiesta formale.

È stato, invece, oggetto di abrogazione l’art. 49 c.p.c.: infatti, in materia di ordinanze di regolamento di competenza, l’art. 375 c.p.c. è sufficiente a regolare le ordinanze emesse in camera di consiglio, soprattutto dopo le modifiche apportate dalla medesima novella legislativa[9].

Volgendo lo sguardo all’art. 50-bis c.p.c., invece, si può verificare come esso abbia sottratto alla competenza del tribunale in composizione collegiale e rimesso alla composizione monocratica le cause previste dai commi 5 e 6. Si tratta delle cause che abbiano a oggetto l’impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea e del consiglio di amministrazione, nonché quelle di responsabilità, da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari e i liquidatori delle società di persone, delle mutue assicuratrici e società cooperative, delle associazioni in partecipazione e dei consorzi e le cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesione di legittima (come previsto dal comma 4 della disposizione in esame). La collegialità, invece, è ancora riservata alle cause che abbiano a oggetto l’impugnazione di delibere e le azioni di responsabilità riguardanti organi di società di capitali, poiché per esse rimane ferma la competenza della sezione specializzata in materia di diritto d’impresa[10].

3. L’intervento su altre disposizioni generali: tra nuovi poteri del giudice e la consacrazione di principi giurisprudenziali

Lasciando per ora da parte la nuova disciplina delle udienze in generale (con l’introduzione di una specifica normativa per lo svolgimento di udienze mediante collegamenti audiovisivi, nonché della possibilità di sostituire l’udienza con lo scambio di note scritte) e delle notificazioni (ormai adeguata alla nuove tecnologie), destinate a formare oggetto di specifiche disamine, si può sottolineare come di peculiare interesse sia la modifica che ha interessato il curatore speciale del minore: infatti, sono state abrogate tutte le disposizioni che lo coinvolgono. L’abrogazione totale, realizzata a opera della legge n. 206 del 2021, ha prodotto il trasferimento della citata normazione all’interno di un nuovo Titolo IV-bis del libro II del codice di rito, dedicato ai procedimenti in materia di persone minorenni e famiglia.

L’intensa operazione di modifica degli artt. 78 e 80 c.p.c. è stata suggerita dagli stessi operatori del diritto di famiglia che da tempo auspicavano un ampliamento dei poteri di ufficio del giudice. Si tratta, peraltro, di norme per le quali era stata ab origine prevista una entrata in vigore anticipata, per venire incontro a esigenze che la prassi reclamava come urgenti[11].

La novella ha enucleato fattispecie in cui è previsto l’intervento ufficioso del giudice, che provveda alla nomina di un curatore speciale per il minore, anche in assenza di un’istanza proveniente da uno dei soggetti interessati.

L’art. 96 c.p.c., dedicato alle fattispecie di lite temeraria, è stato modificato attraverso l’introduzione di una sanzione pecuniaria, in una misura compresa tra i cinquecento e i cinquemila euro, a favore della cassa delle ammende, che deve essere versata a compensazione del danno arrecato all’Amministrazione della giustizia per l’inutile impiego di risorse nella gestione del processo. Le ipotesi individuate dal novellatore sono varie e riferibili a diversi contesti: sono coincidenti con l’iniziativa o la resistenza in giudizio per mala fede o colpa grave; sono casi di inesistenza del diritto per il quale sia stato richiesto un procedimento cautelare, trascritta una domanda giudiziale o iscritta un’ipoteca; si configurano laddove sia stata iniziata un’esecuzione forzata o sia stata già compiuta o quando la parte soccombente abbia subito una condanna al pagamento di una somma stabilita in via equitativa. In simili evenienze - è bene sottolinearlo - il giudice non esprime alcun tipo di discrezionalità, non essendo richiesto che la pronuncia giunga a domanda di parte: è ragionevole pensare che si sia voluto escludere il collegamento tra il potere sanzionatorio del giudice e l’istanza di parte, al fine di valorizzare e meglio perseguire l’intento deterrente dell’ammenda.

Anche all’art. 118 c.p.c. è stata introdotta una previsione di condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende: nello specifico, la disposizione menzionata si riferisce alla parte che si rifiuti di eseguire un ordine di ispezione a persone o cose comminato dal giudice nel corso dell’istruttoria, all’evidente scopo di garantire l’effettività del processo civile.

Un’esigenza simile è quella tradotta nella previsione dell’art. 121 c.p.c., che ha introdotto nel corpo del codice di rito i principi di chiarezza e sinteticità degli atti di parte e del giudice medesimo. Più specificamente, la modifica ha natura di precetto che incombe sul giudice, sulle parti, sui consulenti, sugli ausiliari e su tutti coloro che approntano atti processuali per iscritto. La prescrizione del legislatore impone di aderire a uno stile semplice e lineare, che eviti i virtuosismi fini a sé stessi e generatori di dubbi e incertezze interpretativi[12]. Nello stesso tempo, però, si deve aderire a un medesimo ideale di chiarezza e completezza dell’atto, e di specificità, soprattutto negli atti introduttivi[13]. Si tratta di principi ormai immanenti al nostro ordinamento giuridico, parimenti valevoli per i giudizi di impugnazione e già ampiamente indagati dalla giurisprudenza di legittimità, oggi cristallizzata nella previsione legislativa[14].

Ancora, trascorrendo sul piano del rispetto del principio del contraddittorio, che rappresenta una guida per il novellatore e per l’interprete, la riforma ha apportato l’introduzione di una precisazione non irrilevante, poiché nel nuovo art. 101 c.p.c. si legge che il giudice assicura il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, è tenuto ad adottare i provvedimenti opportuni.

La modifica al comma 2 dell’art. 101 c.p.c. merita qualche riflessione. Il comma citato era stato introdotto dalla legge n. 69/2009, al fine di eliminare quelle che erano state definite come ‘sentenze a sorpresa’ o ‘sentenze della terza via’, secondo un orientamento ancora recentemente ribadito dalla giurisprudenza europea[15]. Alla previsione è stato attribuito un significato più generale e programmatico, sebbene il contenuto specifico venga conservato e imponga al giudice di mettere a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, di riservare la decisione medesima e di attribuire alle parti, a pena di nullità, un termine per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni in merito. Il richiamo introduttivo al rispetto del contraddittorio è una novità significativa perché da regola astratta esso diviene precetto concreto nella misura in cui assurge a disposizione da rispettare puntualmente in ogni stato e grado del processo.

D’altra parte, la giurisprudenza aveva avuto modo di esprimersi in merito al divieto di decisioni sulla base di argomenti e prove non sottoposte al contraddittorio delle parti, per una svariata gamma di fattispecie[16].

4. Il difetto di giurisdizione: l’indebolimento della giurisprudenza e lo strumento del giudicato implicito

Un discorso a sé stante merita la previsione dell’art. 37 c.p.c.: con una modificazione che si può definire ‘storica’, infatti, si è proceduto a limitare la possibilità di rilevare, anche d’ufficio, il difetto di giurisdizione «in ogni stato e grado e del processo». Il testo precedente alla riforma era espressione di una precisa volontà legislativa, che mirava a rendere rilevabile, in ogni stato e grado del processo appunto, anche a opera del giudice, il difetto di giurisdizione. La giurisdizione italiana veniva, infatti, intesa come opzione inderogabile e come migliore espressione della sovranità popolare, sottoposta ai soli limiti emergenti dalle disposizioni degli artt. 2, 3 e 4 c.p.c. L’uso del verbo al tempo passato è necessario perché la dimensione internazionale in cui è oggi proiettato l’ordinamento processuale ha imposto un ripensamento anche sul tema della giurisdizione. Il primo momento di necessario scollamento rispetto a tale visione può essere colto nella legge di diritto internazionale privato (legge n. 218/1995), che ha scalfito il dogma della inderogabilità della giurisdizione statale. Un secondo profilo che, contestualmente, è andato approfondendosi è quello che attiene alle modalità processuali con cui viene sollevato il difetto di giurisdizione, che devono essere ispirate a celerità e certezza.

Per comprendere le ragioni della novella occorre riferirsi - come suggerisce la Relazione illustrativa alla riforma - alle pronunce della giurisprudenza di legittimità, che appaiono ispirate ai principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo. Basti ricordare, ad esempio, un arresto delle Sezioni Unite del 2008, a tenore del quale, quando il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione, e le parti vi abbiano prestato acquiescenza, ossia esse non abbiano contestato la relativa sentenza sotto il profilo della giurisdizione attraverso uno specifico motivo di impugnazione, non è consentito, al giudice della successiva fase di gravame, rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione, trattandosi di una questione ormai coperta dal giudicato implicito[17]. Più nello specifico, appare evidente come sia contrario a logiche di economia processuale consentire il proseguimento, durante tutta la durata del processo, della possibilità di sollevare dubbi sulla giurisdizione del giudice adito, nonché di porre un argine a tale facoltà una volta raggiunta una fase matura del procedimento. Quando si parla di giudicato implicito, quindi, occorre riferirsi riferisce a quella situazione, ricavabile in via di interpretazione dalla sentenza impugnata, determinata dalla mancata contestazione dei capi della sentenza regolante il merito[18].

La conseguenza immediata di tale impostazione è che, nei giudizi di impugnazione, il difetto di giurisdizione risulti rilevabile solamente se dedotto con specifico motivo di gravame contro il capo della pronuncia che vi abbia statuito, anche in modo implicito. In tal modo si esclude anche che l’attore, una volta incardinato il giudizio dinanzi al giudice ordinario, possa avere ripensamenti in merito a tale opzione, sollevando, con un’impugnazione del provvedimento, un’eccezione di difetto di giurisdizione nei confronti del giudice che egli stesso, quando ha instaurato il giudizio, aveva ritenuto correttamente individuato.

Concretamente la riforma si è sostanziata nell’eliminazione, al comma 1 dell’art. 37 c.p.c., delle parole «o dei giudici speciali». In tale maniera si è limitata, come accennato, la rilevabilità anche d’ufficio in qualunque stato e grado del processo alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione.

È stato, poi, aggiunto un ulteriore periodo al comma 1 dell’articolo citato, dedicandolo al riparto di giurisdizione tra il giudice ordinario e i giudici speciali. A questo proposito, giova sottolineare subito un passaggio che appare poco chiaro e che rischia di confondere l’interprete, essendo stata introdotta una distinzione tra giudici speciali e giudice amministrativo che, assente nella legge delega, appare di difficile comprensione.

Si è deciso che il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti del giudice amministrativo e dei giudici speciali debba essere rilevato in primo grado anche d’ufficio e in sede di impugnazione; di conseguenza, sarebbe ammissibile la discussione sulla giurisdizione solo quando vi sia un’eccezione in tal senso proposta con l’appello principale o con quello incidentale, sicché il dibattito sulla relativa questione non potrebbe riaprirsi quando, dopo due gradi di giudizio, l’eccezione sia sollevata per la prima volta in sede di legittimità. Inoltre, come già accennato, si prevede espressamente che il difetto di giurisdizione non sia proponibile dall’attore per contestare la giurisdizione del giudice che egli stesso abbia adito, in applicazione di un principio che fa il suo esordio nel codice di rito: il principio di autoresponsabilità.

Sintetizzando, dunque, anzitutto, si è mantenuta la possibilità di rilevare, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, il difetto di giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione, in evidente ossequio al principio di separazione dei poteri che nessuna esigenza di riforma può evidentemente intaccare[19].

Mutata è la possibilità di sollevare difetto di giurisdizione nei riguardi del giudice amministrativo e dei giudici speciali, poiché la rilevabilità, anche d’ufficio, è prevista solamente nel primo grado di giudizio. Per quanto attiene, poi, i giudizi di impugnazione, il difetto di giurisdizione può venire sollevato solamente se diviene specifico motivo dell’impugnazione medesima. In altre parole, anche la rilevabilità del difetto di giurisdizione viene fatta rientrare nella categoria dei difetti procedurali, sicché essi possono costituire motivi di gravame soltanto se espressamente riconosciuti come tali dalle parti ricorrenti. Con una precisazione, però: il difetto di giurisdizione non può essere rilevato, come motivo di impugnazione, dall’attore che abbia avviato il giudizio di primo grado. La ratio di tale decisione è facilmente intuibile: occorre sbarrare, almeno da un certo momento processuale, le possibilità per l’attore di modificare all’infinito le sue scelte e, sempre in ossequio al suddetto principio di autoresponsabilità, le decisioni che si rivelano sbagliate per superficialità o incompetenza non possono giustificare le interminabili lungaggini processuali che richiede il rifacimento di un intero giudizio. Ovviamente la ‘sanzione’ a carico dell’attore non deve tradursi in uno svantaggio per il convenuto, al quale, al contrario, come visto, viene riconosciuta la possibilità di intervenire in caso di negligenti condotte attoree.

Si può, in altri termini, osservare come nel primo grado di giudizio, siano entrambe le parti a potere eccepire la lacuna giurisdizionale. Al convenuto spetta avvalersi dell’eccezione come mezzo paralizzatore del prosieguo erroneamente avviato dall’attore, mentre per quest’ultimo la rilevabilità funziona quale correttore a una valutazione errata. In un secondo grado di giudizio, valutazioni sul difetto di giurisdizione suonerebbero come nuove, e perciò inammissibili.

In tale prospettiva la riforma si limita a suggellare quanto la giurisprudenza di legittimità aveva timidamente affermato, riconoscendo e valorizzando la diversa posizione delle parti processuali, ma non potendosi spingere fino al punto da modificare il dettato normativo, che invece non faceva distinzione tra ruolo dell’attore e ruolo del convenuto. Lo sbilanciamento di responsabilità era realizzato, ad esempio, attraverso l’accollo delle spese processuali in capo al solo attore[20].


Note e riferimenti bibliografici

[1] L’entrata a regime di quella che ormai viene definita la ‘Riforma Cartabia’ del processo civile è stata, invece - e giova ricordarlo subito - anticipata, rispetto all’originaria previsione di entrata in vigore al 30 giugno 2023. L’anticipazione prevede che tutti i processi introdotti dopo il 28 febbraio 2023 (quindi con citazione notificata o ricorso depositato dal 1° marzo 2023), saranno soggetti alla nuova normativa. Lo spartiacque è quindi fissato alla data del 1° marzo 2023.

[2] Concretamente, sono stati creati presso il Ministero della giustizia, con il d.m. 14 gennaio 2022, sette gruppi di lavoro per l’elaborazione degli schemi di decreto legislativo in materia civile; i temi sottoposti al vaglio delle commissioni sono le procedure di mediazione e negoziazione assistita, l’arbitrato; i principi generali relativi al processo civile, alla digitalizzazione e all’ufficio per il processo; il procedimento di primo grado; il giudizio di appello e il giudizio di cassazione; il processo del lavoro, il processo di esecuzione e i procedimenti in camera di consiglio; il procedimento relativo a persone, minorenni e famiglie e, infine, la riforma ordinamentale, nonché l’istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie.

[3] Per un esempio delle fattispecie che hanno impegnato la giurisprudenza in materia di competenza per valore del giudice di pace, si può ricordare la recente Cass. civ., 22 agosto 2022, n. 25077, in Redazione Giuffrè, 2022, dove si legge che salvo quanto diversamente espressamente disposto, il rito innanzi al Giudice di pace è caratterizzato dallo stesso regime di preclusioni previsto nel procedimento davanti al tribunale con la conseguenza che l’eccezione di incompetenza per materia e valore è tardiva se proposta per la prima volta con la memoria istruttoria.

[4] La procedura innanzi al giudice di pace è invece stata oggetto di riforma, attraverso la modificazione degli articoli 316, 317, 319, 320 e 321 c.p.c.

[5] Si può ricordare la decisione di Cass. civ., 27 marzo 2007, n. 7410, in Giust. Civ. Mass., 2007, dove si afferma che, poiché la presentazione ed il deposito dell’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio non sono richiesti dall’art. 47 c.p.c. a pena di improcedibilità, la loro mancanza non può comportare la declaratoria della sua improcedibilità, ma, semmai, all’atto della decisione, la declaratoria dell’inammissibilità dell’istanza per il caso in cui il fascicolo non risulti comunque trasmesso, e ciò sempre che la Corte di cassazione non possa decidere sull’istanza senza esaminarlo.

[6] La procedura preesistente sollevava problemi pratici di cui può essere esemplificazione la pronuncia di Cass. civ., 10 ottobre 2009, n. 21814, in Giust. Civ. Mass., 2009, secondo cui in tema di regolamento di competenza, allorché il ricorrente abbia allegato di avere estratto copia della sentenza impugnata in una certa data (ovvero ciò risulti dalla copia autentica della stessa), ma nulla abbia dedotto in ordine alla comunicazione della sentenza, o, addirittura, abbia allegato che non vi sia stata alcuna comunicazione, non può presumersi che la comunicazione sia avvenuta prima del momento dell'estrazione della copia, o nel momento in cui questa fu rilasciata. Ne consegue che, in tal caso, il termine per impugnare non coincida quello dell’art. 47, co. 2, c.p.c., ma con quello previsto dall’art. 327 c.p.c. La Corte di Cassazione, nell’esercizio del suo dovere d’ufficio di controllare la tempestività dell’impugnazione, può già rilevarla dalla circostanza che non sia stato inserito nel fascicolo d’ufficio l’originale del biglietto di cancelleria relativo a detta comunicazione; tuttavia, laddove manchi la trasmissione del fascicolo, la Corte deve sollecitarne d’ufficio la trasmissione, ferma restando la facoltà del ricorrente di produrre, anche nel corso dell’adunanza per la camera di consiglio, la certificazione della cancelleria del giudice a quo, con la quale si attesti il difetto di comunicazione o una comunicazione successiva alla notificazione dell’istanza. Nel caso, infine, in cui, una volta trasmesso il fascicolo, risulti che la comunicazione era avvenuta prima della proposizione dell’istanza di regolamento, quest’ultima deve essere dichiarata improcedibile, per la violazione dell’art. 369, comma 2, c.p.c.

[7] Cass. civ., 26 febbraio 2015, n. 3915, in Giust. Civ. Mass., 2015, afferma che il provvedimento di sospensione del processo ex art. 48 cod. proc. civ. in ragione della proposizione di un precedente regolamento di competenza integri un'ipotesi di sospensione cd. impropria, avverso la quale non è ammissibile un autonomo regolamento di competenza, trattandosi di evenienza che esula dall'ambito dell’art. 42 c.p.c., riferito esclusivamente ai casi di sospensione per pregiudizialità. Cfr. anche: Cass. civ., 11 giugno 2013 n. 14684, in Ilfallimentarista.it, 24 gennaio 2014, con nota di F. ROLFI; in Giust. civ. Mass., 2013; Cass. civ., 3 ottobre 2005 n. 19292, in Giust. civ. Mass., 2005, 10.

[8] Cfr. Cass. civ., 7 gennaio 2022, n. 283, in Giust. civ. Mass., 2022, dove si legge che il provvedimento di assunzione della prova, disposto ai sensi dell’art. 48, comma 2, c.p.c., per ragioni d’urgenza, durante la sospensione del procedimento a seguito di proposizione di regolamento di competenza, ha carattere ordinatorio e non decisorio, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile il ricorso straordinario per cassazione proposto avverso tale provvedimento.

[9] Per comodità riportiamo il testo dell’art. 375 c.p.c. Pronuncia in udienza pubblica o in camera di consiglio. La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia in pubblica udienza quando la questione di  diritto è di particolare rilevanza, nonché nei casi di cui all’articolo 391-quater. La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio quando riconosce di dovere: 1) dichiarare l'inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto, anche  per mancanza dei motivi previsti dall’articolo 360; 1-bis) dichiarare l’improcedibilità del ricorso; … 4) pronunciare sulle istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione, salva l'applicazione del primo comma; 4-bis) pronunciare nei casi di correzione di errore materiale; 4-ter) pronunciare sui ricorsi per revocazione e per opposizione di terzo, salva l’applicazione del primo comma; 4-quater) in ogni altro caso in cui non pronuncia in pubblica udienza.

[10] Sull’atteggiamento sinora assunto dalla giurisprudenza di merito in applicazione dell’art. 50-bis c.p.c. si può leggere la decisione di Corte d’Appello Milano, 1 luglio 2020, n. 1625, in Redazione Giuffrè, 2020, secondo cui in tema di decisioni prese dal giudice monocratico, il mancato rispetto dell'art 50-bis c.p.c., che stabilisce quando il tribunale debba decidere in composizione collegiale, non integra il vizio di costituzione del giudice, onde la trattazione, da parte del giudice monocratico, di una causa che avrebbe dovuto essere trattata dal collegio, determina, ai sensi dell'art 50-quater c.p.c., una nullità da far valere ai sensi dell’art 161 primo comma c.p.c., unitamente ai motivi di gravame, che non rientra tra le ipotesi tassative di rimessione degli atti al primo giudice, previste dall'art 354 del codice di rito. Infatti, l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale costituisce, per effetto del rinvio operato dall'art 50-quater c.p.c. al successivo art 161, comma 1, un’autonoma causa di nullità della decisione, con conseguente convertibilità in motivo di impugnazione. Ne deriva che rimane ferma la validità degli atti che hanno preceduto la pronuncia della sentenza nulla, e che la declaratoria di nullità non può comportare la rimessione degli atti al primo giudice, ove quello dell'impugnazione sia anche giudice del merito.

[11] Sulla necessità della nomina di un curatore speciale per il minorenne, la giurisprudenza è ampia. A mero titolo esemplificativo, si può ricordare la decisione recente di Cass. civ., 21 aprile 2022, n. 12802, in Dir. & Giust., 2022, 22 aprile, secondo cui in tutti i procedimenti che riguardano minori, deve essere loro garantito il contraddittorio, attraverso la nomina di un tutore provvisorio o di un curatore speciale del minore, ex art. 78 c.p.c., tutte le volte in cui si profili un conflitto di interessi tra il minore e i suoi rappresentanti legali, genitori o tutore, o attraverso l'ascolto del minore. Ancora esemplare appare Cass. civ., 15 febbraio 2022, n. 4994, in Guida al dir., 2022, 10, secondo cui la nomina di un curatore speciale del minore si impone come indispensabile in tutti i giudizi «aventi ad oggetto l'adozione di provvedimenti limitativi, ablativi o restitutivi della responsabilità genitoriale, anche se riguardanti uno solo dei genitori». A ricordarlo è la Cassazione sottolineando come qualora - come accaduto nel caso di specie - non si sia provveduto a questa nomina il procedimento si deve ritenere nullo in base all’articolo 354, comma 1, del codice di procedura civile, con remissione della causa al primo giudice, affinché provveda all'integrazione del contraddittorio. La Suprema corte sottolinea l'importanza del principio per il quale nei procedimenti che riguardano la responsabilità genitoriale tanto i genitori, quanto i minori devono essere assistiti da un difensore.

[12] Cass. civ., 21 marzo 2019, n. 8009, in Giust. civ. Mass., 2019, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali che, fissato dall’art. 3, comma 2, del c.p.a., esprime tuttavia un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile, espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione, non già per l'irragionevole estensione del ricorso (la quale non è normativamente sanzionata), ma in quanto rischia di pregiudicare l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l'esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui ai nn. 3 e 4 dell'art. 366 c.p.c., assistite - queste sì - da una sanzione testuale di inammissibilità. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile un ricorso che si limitava a riprodurre stralci degli atti difensivi depositati dal ricorrente nei precedenti gradi del giudizio senza formulare alcuna specifica censura nei confronti della decisione impugnata).

[13] Esemplare sul punto Cass. civ., 14 marzo 2022, n. 8117, in Giust. Civ. Mass., 2022, dove si precisa che il principio di specificità del ricorso per cassazione, secondo cui il giudice di legittimità deve essere messo nelle condizioni di comprendere l’oggetto della controversia ed il contenuto delle censure senza dover scrutinare autonomamente gli atti di causa, deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dal richiamo essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l'attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza.

[14] Si pensi a Cass. civ., 30 aprile 2020, n. 8425, in Giust. civ. Mass., 2020; Cass. civ., 21 marzo 2019, n. 8009, in Redazione Giuffrè 2019; Cass. civ., SS.UU., 17 gennaio 2017, n. 964, in Giust. civ. Mass., 2017; Cass. civ., 20 ottobre 2016, n. 21297, in Giust. Civ. Mass., 2016; in Ilprocessocivile.it, 5 gennaio 2017, con nota di G. IANNI; Cass. civ., 6 agosto 2014, n. 17698, in Giust. civ. Mass., 2014.

[15] Cfr. a mero titolo esemplificativo, Corte di Giustizia Ue, 1 dicembre 2022, n. 512, in DeJure. Banche dati editoriali GFL, la quale ha affermato che il diritto a un equo processo, sancito dall’articolo 47 della CDFUE, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che il giudice investito del ricorso avverso la decisione dell'autorità tributaria prenda in considerazione, quale elemento di prova dell'esistenza di una frode dell'imposta sul valore aggiunto o della partecipazione del soggetto passivo a tale frode, una violazione di detti obblighi, qualora tale elemento di prova possa essere contestato e discusso in contraddittorio dinanzi ad esso.

[16] A mero titolo esemplificativo, si può ricordare Cass. civ., 21 luglio 2016, n. 15019, in Ilprocessocivile.it 3 ottobre 2016, con nota di G. LAUROPOLI; Cass. civ., 23 maggio 2014, n. 11453, in Giust. civ. Mass., 2014; in Dir. & Giust., 2015, 22 settembre, Cass. civ., 9 giugno 2008, n. 15194, in Giust. civ. Mass., 2008, 6, 901.

[17] Cfr. la pronuncia di Cass. civ., SS.UU., 18 giugno 2006, n. 14828, in Giust. civ. Mass., 2010, 6, 938, che bene inquadra la prospettiva successiva alla entrata in vigore dell'art. 59 della legge n. 69 del 2009 (contenente la disciplina sulla decisione delle questioni di giurisdizione). La Corte afferma che si è venuta a realizzare la sostanziale riduzione ad unità del processo dalla fase della domanda a quella della decisione, con la connessa esclusione di ogni rilevanza impeditiva dell’eventuale errore iniziale della parte nella individuazione del giudice provvisto di giurisdizione. Ne consegue che la preclusione del regolamento preventivo di giurisdizione dopo che il giudice di merito abbia emesso una pronuncia declinatoria della propria giurisdizione non può più essere limitata all'ipotesi di proposizione dell'indicato rimedio nell'ambito del giudizio instaurato dinanzi a detto giudice, applicandosi tale preclusione anche nel caso in cui il regolamento venga formulato a seguito della riassunzione del giudizio dinanzi al giudice indicato dal primo come quello fornito di potestas iudicandi, per effetto del giudicato implicito sulla giurisdizione, che si determina in mancanza dell'impugnazione della decisione di difetto di giurisdizione del primo giudice ed in conseguenza della realizzata riassunzione avanti al giudice individuato nella stessa pronuncia.

[18] Cfr. Cass. civ., 4 ottobre 2018, n. 24358, in Giust. civ. Mass., 2018, dove si legge che il giudicato interno può formarsi solo su capi di sentenza autonomi, che cioè risolvano una questione controversa avente una propria individualità ed autonomia, così da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; sono privi del carattere dell'autonomia i meri passaggi motivazionali, ossia le premesse logico-giuridiche della statuizione adottata, come pure le valutazioni di meri presupposti di fatto che, unitamente ad altri, concorrono a formare un capo unico della decisione. Nel caso di specie in cui la Suprema Corte ha escluso che vi fosse stata violazione del giudicato interno, per la mancata impugnazione della sentenza di prime cure, nella parte in cui aveva ritenuto insussistente il requisito della eterodirezione, quale indice rilevante, ma non esaustivo, della natura subordinata del rapporto di lavoro, per il cui riconoscimento era stato intentato il giudizio.

[19] Conseguentemente, devono ritenersi ancora vigenti le disposizioni del codice del contenzioso amministrativo (decreto legislativo n. 204/2010), nonché la previgente disciplina della legge 20 marzo 1865, b. 2248, allegato E.

[20] Si pensi a Cass. civ., SS.UU., 12 marzo 2004, n. 5179, in Giust. civ. Mass., 2004, 3; in Dir. e Formazione, 2004, 674; in Foro amm., CDS, 2004, 667.